TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa. Il diritto emergenziale ed il quadro normativo di rife-rimento.
Il blocco dei licenziamenti fino al 30 giugno 2021 ha superato un anno di vita, proiettando i suoi effetti fino al 31 ottobre 2021 .
Una misura straordinaria che non conosce precedenti .
La proroga del blocco dei licenziamenti richiede, in primo luogo, alcune precisazioni di carattere generale.
La prima questione da chiarire attiene a cosa si intende per “situazione emergenziale”.
Ci troviamo in una situazione di “eccezione”, nel senso schmittiano del termine (che presuppone uno spazio vuoto e deregolato) o in una situa-zione di “emergenza”?
La risposta, come chiarito in un contributo di Gustavo Zagrebelsky , è certamente nel secondo senso.
L’emergenza in cui siamo immersi ha carattere temporaneo e conserva-tivo; imponendo il ritorno, nel più breve tempo possibile, alla normalità attraverso poteri riconosciuti dalla Costituzione.
La disciplina dello stato di emergenza è stata introdotta con legge ordi-naria (l. n. 225/1992).
Richiede un presupposto di fatto (nel nostro caso, l’emergenza sanitaria dichiarata dall’OMS), un atto di proclamazione (funzionale alla delimita-zione temporale dell’emergenza) ed una previsione di cessazione degli effetti (“La durata della dichiarazione dello stato di emergenza non può superare i 180 giorni prorogabile non più di ulteriori 180 giorni”).
Da tale precisazione deriva una prima conseguenza.
Gli interventi “derogatori”, in un contesto di emergenza, devono avere carattere temporaneo , pena la lesione di diritti fondamentali dell’individuo.
Il blocco dei licenziamenti deve conoscere una “fine” per non degenera-re in una lesione della libertà d’impresa.
Il carattere “temporaneo” del divieto dei licenziamenti risulta leso dalla estensione al 30 giugno 2021 e, ancor di più, dalla estensione, di fatto, alla fine di ottobre di quest’anno.
Sabino Cassese, rispondendo ad una precisa domanda sul tema, non ha dubbi: “Sono chiaramente misure straordinarie, destinate a durare bre-vemente. Un loro prolungamento imporrebbe una verifica di costituzio-nalità, che credo si risolverebbe in una dichiarazione di illegittimità co-stituzionale” .
In realtà, i dubbi sulla “ragionevolezza”, proporzionalità” “ma anche sulla violazione del principio dell’affidamento” non mancano .
Ma sul tema avremo modo di tornare
La seconda questione attiene all’esistenza, o meno, di una copertura “costituzionale” alla legislazione di emergenza.
Parte della dottrina, valorizzando il “silenzio” dei padri costituenti, ri-tiene che la legittimazione della “necessità emergenziale” trovi fonda-mento nei principi del “primum vivere” e “salus rei publicae” che po-trebbero giustificare l’esigenza di interventi derogatori anche di disposi-zioni costituzionali .
Secondo l’opinione che si condivide, viceversa, il fondamento è rinveni-bile nella Carta costituzionale e, in particolare, nei principi di unità e in-divisibilità della Repubblica, della tutela della salute pubblica e della si-curezza .
Opinione che trova conforto nella relazione sullo stato della giustizia costituzionale dove si legge che “anche nel tempo presente, dunque, ancora una volta è la Carta costituzionale così com’è, con il suo equili-brato complesso di principi, poteri, limiti, e garanzie, diritti, doveri e re-sponsabilità a offrire alle istituzioni e ai cittadini la bussola necessaria a navigare per l’alto mare aperto dell’emergenza e del dopo emergenza che ci attende”.
Nel quadro costituzionale, nel contesto in esame, occorre bilanciare i principi desumibili dai primi due commi dell’art. 41 Cost. ed i principi ed i diritti che si desumono dagli artt. 2 e 32 della Costituzione.
Ma prima di esaminare questo tema occorre illustrare, sia pure nei limiti di questa riflessione, la struttura e l’ambito di applicazione dell’art. 8 del D.L. n. 41/2021.

 

2. L’art. 8, commi 9-11, del D.L. 22 marzo 2021, n. 41.

L’art. 8 del D.L.n. 41/2021 introduce un meccanismo a “doppio bina-rio”.
Fino al 30 giugno 2021 conferma il blocco dei licenziamenti, individuali (per gmo) e collettivi, indistintamente per tutti, fatte salve le esclusioni previste nei commi 9 e 11.
La disposizione riprende, nella sostanza, quanto previsto nei commi 309-311 della legge n. 178 del 2020.
Dal 1 luglio al 31 ottobre 2021, il divieto permane, ai sensi del comma 10, solo per i “datori di lavoro di cui ai commi 2 e 8”, ovverossia, per i datori di lavoro “che sospendono o riducono l’attività lavorativa” per via del Covid e chiedono l’ammissione all’assegno ordinario o alla cassa in deroga (comma 2) e quelli che richiedono la cassa integrazione per operai agricoli (comma 8).
La disposizione riprende, con alcune differenze, il meccanismo introdot-to dall’art. 14 del D.L. n. 104/2020 .
La diversità delle due disposizioni riflette un diverso bilanciamento degli interessi in gioco.
Dal 1 luglio il divieto dei licenziamenti non viene prorogato in modo generalizzato ma risulta applicabile solo ai datori di lavoro “di cui ai commi 2 e 8” che intendano accedere ai trattamenti di integrazione sa-lariale previsti dai predetti commi.
Questo sulla base dell’esegesi della disposizione.
Ma se si passa dal piano delle fonti a quello ermeneutico lo scenario cambia.
Nel dossier sul Decreto sostegni del 26 marzo 2021 (D.L. 41/2021) si legge che: a) fino al 30 giugno 2021, il divieto opera per coloro che ri-chiedano il trattamento di cassa integrazione ordinaria; b) dal 1 luglio al 31 ottobre 2021 per coloro che richiedano l’assegno ordinario e il trat-tamento di integrazione salariale in deroga.
Una lettura diversa da quella che emerge dalla disposizione dell’art. 8 che ha già creato, fin dalle prime letture della norma , notevoli incer-tezze interpretative.
Non è chiaro, peraltro, se il blocco fino ad ottobre richieda l’effettivo utilizzo delle ulteriori settimane di integrazione ovvero ne prescinda (le-gando il divieto all’astratta possibilità di accedere alla cig in deroga) .
Tesi che, di fatto, renderebbe il blocco prorogato fino al 31 ottobre 2021.
In questo contesto, di totale incertezza interpretativa, le questioni di co-stituzionalità e di conformità all’ordinamento dell’Unione europea di-ventano quanto mai attuali.

3. Il bilanciamento tra i diritti ed i principi contenuti nella Carta costituzionale.

Nel periodo regolato dall’art.8 del D.L. n.41/2021 occorre bilanciare una serie di diritti e principi. Non solo i “principi” sanciti negli articoli 41, comma 1 e 2, e 4 della Costituzione, ma anche i principi e i diritti sanciti dagli artt. 2 e 32 della Costituzione.

Il controllo costituzionale, se la questione – com’è molto probabile – verrà portata all’attenzione della Corte costituzionale, dovrà svolgersi, come di consueto, in più tappe.
In primo luogo, la Consulta dovrà valutare se il bilanciamento dei “principi”, operato dal Legislatore, risponda al criterio di “necessità”; nel senso che la scelta di limitare la libertà d’impresa trovi giustificazio-ne nella necessità (si badi bene, non nell’opportunità) di dare attuazione ad un altro “principio” (la tutela dell’occupazione).
La prevalenza della tutela del lavoro, in base al combinato disposto de-gli artt. 4 e 41, comma 2 , della Cost., sulla libertà d’impresa appare, però, dubbia nel periodo dal 1 aprile al 30 giugno e, ancor di più, nel pe-riodo dal 1 luglio al 31 ottobre 2021.
Nel periodo dal 1 aprile al 30 giugno 2021, oltre alla durata del divieto e alla lesione della tutela dell’affidamento, viene in gioco il rispetto della proporzionalità dell’intervento.
In sostanza, la Corte costituzionale dovrà verificare se la misura del blocco generalizzato “sia necessaria e idonea al conseguimento di obiet-tivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” .
Nel periodo dal 1 luglio al 31 ottobre 2012 questi problemi si accen-tuano.
La questione si pone in tutta evidenza qualora si acceda alla tesi che, in detto periodo, il blocco dei licenziamenti sussista sulla base della sem-plice possibilità di accedere alla cig in deroga (al di là della sua fruizione effettiva).
In questa ipotesi, la lesione del principio di libertà d’impresa appare evi-dente.
Il ricorso, in questo contesto, agli artt. 2 e 32 della Cost., non elimina i dubbi di costituzionalità.
In primo luogo, contrariamente a quanto sostiene una parte della dot-trina “nemmeno la vita o la dignità umana si sottraggono al bilancia-mento o sono concepibili come valori così fondativi da essere qualificati addirittura come metavalori” .
Anche il diritto alla salute deve essere bilanciato con altri diritti o prin-cipi costituzionali.
Non basta invocare il diritto alla salute per assicurare prevalenza alla tu-tela dell’occupazione.
Occorre qualcosa di più.
Nel contesto emergenziale nel quale ci troviamo immersi occorre la presenza di un presupposto di fatto: l’esistenza, adeguatamente accerta-ta, di una situazione pandemica di gravità tale da rendere inevitabile una “proroga del blocco dei licenziamenti”.
Tale presupposto di fatto (la gravità estrema della situazione sanitaria), però, andrà verificata, nel periodo dal 1 luglio al 31 ottobre 2021, alla luce della evoluzione della situazione pandemica (che speriamo sia posi-tiva sulla base delle vaccinazioni in corso).
Superata questa prima fase si porrà il problema di valutare la scelta del Legislatore alla stregua di un criterio di “sufficienza”.
In altri termini, andrà considerato se l’intervento legislativo (che limita un “principio”) soddisfi in maniera non insufficiente le esigenze di ga-ranzia del “principio” ristretto, “valutando l’interazione reciproca tra l’accrescimento di tutela dell’uno e la corrispondente diminuzione di ga-ranzia dell’altro” .
In questo contesto appare “preziosa” la rilettura della sentenza n. 85/2013 della Consulta sul caso ILVA .
Nella sentenza, la Corte precisa che “tutti i diritti fondamentali tutelati nella costituzione” (tra cui anche l’art. 32) “si trovano in rapporto di in-tegrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciu-te e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della di-gnità della persona”.
Il bilanciamento, perciò, dovrà rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza asso-luta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuni di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati.
Ma il rinvio alla Corte costituzionale, in questo contesto, non è l’unica via praticabile.
Un rinvio alla Corte di Giustizia è ammissibile e, anzi, auspicabile.
Si pongono, però, due problemi preliminari.
Se sia ammissibile un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Se, in via prioritaria, si debba percorrere la strada del rinvio alla Consul-ta.
Iniziamo dal primo problema.

4. Sull’ammissibilità del rinvio pregiudiziale alla CGUE.

L’ammissibilità del rinvio trova sostegno in due considerazioni.
In primo luogo, occorre ricordare che la Corte di giustizia ha, più volte, ribadito che la direttiva 98/59 non incide, in alcun modo, “sulla libertà di giudizio” del datore di lavoro “in merito al se e al quando debba elaborare un piano di licenziamento collettivo”.
Occorre, poi, evidenziare che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta sono applicabili a tutte le situazioni regolate dal diritto dell’Unione. Ciò si verifica, in particolare, allorché una normativa nazio-nale è atta ad ostacolare una o più libertà fondamentali garantite dal Trattato. Il ricorso, da parte di uno Stato membro, a eccezioni previste dal Diritto dell’Unione per giustificare un ostacolo a una libertà fonda-mentale garantita dal Trattato deve pertanto essere considerato come attuazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 51, par. 1, della Carta secondo le precisazioni fornite dalla sentenza Akeberg-Fransson .
In secondo luogo, la “competenza” della Corte di giustizia trova la sua base giustificativa nel principio del c.d. effetto utile.
Tale principio, che impone un’applicazione o un’interpretazione delle norme comunitarie che sia funzionale al raggiungimento delle loro fina-lità , viene utilizzato dalla Corte di giustizia per superare i limiti fisio-logici della direttiva sui licenziamenti collettivi (che garantisce solo una armonizzazione parziale delle norme interne alla direttiva).
Un rinvio alla Corte di giustizia, in questo contesto, appare, quindi, cer-tamente ammissibile.

5. Il problema della doppia pregiudizialità

In presenza di una disposizione che può infrangere, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell’Unione”, si pone, peraltro, il problema della doppia pregiudizialità.
Fino al 2017, la Consulta riteneva che, in presenza di una “doppia pre-giudizialità”, la questione fosse inammissibile, considerato l’onere del giudice nazionale di rivolgersi alla Corte di giustizia e, solo dopo avere esperito tale rimedio, al giudice delle leggi .
A partire dalla sentenza n. 269/2017 , tuttavia, tale orientamento è mu-tato.
In questa sentenza, la Corte costituzionale ha affermato che, nel caso in cui “la violazione di un diritto alla persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell’Unione”, è necessario “un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentra-to di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costitu-zionale”.
Si tratta di un’inversione dell’ordine logico e cronologico della “doppia pregiudizialità”.
La Consulta, pur non imponendo la necessità dell’inversione (la Corte giudicherà “alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli eu-ropei secondo l’ordine di volta in volta appropriato”), lascia intendere che la questione di legittimità costituzionale sarà ordinariamente trattata per prima, lasciando la pregiudiziale comunitaria in posizione tempo-ralmente successiva ed eventuale.
La sentenza ha suscitato un acceso dibattito in dottrina , trovando un riscontro (diversificato) in sede di giudizi di legittimità .
Sulla questione sono intervenute due sentenze della Corte costituzionale (le sentenze nn. 20 e 63/2019) e l’ordinanza n. 117 del 10 maggio 2019 dove la Corte “riassume” il suo pensiero.
Nell’ordinanza si legge che resta fermo “che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria anche al ter-mine del procedimento incidentale di legittimità costituzionale; e fermo restando, altresì, il loro dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al loro esame, la disposi-zione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta” .
Il tutto, come già evidenziato dalla sentenza n. 269 del 2017, “in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garan-zia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialo-go con la Corte di giustizia (da ultimo ordinanza n. 24 del 2017), affin-ché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemi-co” .
Nell’evoluzione degli orientamenti della Consulta si avverte il tentativo di “smussare” alcune “tensioni” generate dalla sentenza n. 269/17 e di rimettere alla gestione del giudice ordinario i casi di “doppia pregiudi-zialità” senza imporre vincoli assoluti .
Resta il fatto che, sull’ordine di priorità tra rinvio pregiudiziale e rimes-sione alla Consulta, la babele delle lingue regna sovrana .
Ai poli opposti si collocano le tesi di chi sostiene che la preferenza e, quindi, la priorità debba essere comunque data alla Corte di giustizia e chi , viceversa, afferma che la precedenza debba essere garantita in ogni caso alla Consulta. Nella terra di mezzo si colloca chi sostiene la tesi del contestuale impiego dei due strumenti, con rinvio pregiudiziale parallelo alla rimessione alla Consulta . Tesi, quest’ultima, seguita dalla Corte di appello di Napoli .
Secondo una diversa impostazione , basata sul “principio di prossimi-tà”, occorre distinguere l’ipotesi in cui vi sia un margine di discrezionali-tà in capo al legislatore nazionale in sede di trasposizione dell’obbligo posto dal diritto dell’Unione ed il caso in cui questa discrezionalità non sia ravvisabile.
Nel primo caso, occorrerebbe in primis ricorrere alla Corte costituzio-nale. Nel secondo la precedenza dovrebbe essere accordata al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
La tesi che si condivide, in questo nebuloso contesto, è quella secondo cui a doversi pronunciare per prima nella maggior parte dei casi, è la Corte di giustizia, salva l’ipotesi in cui “gli standard nazionali di prote-zione dei diritti fondamentali risultino più alti di quelli offerti dalle nor-me dell’Unione” .
Considerato che gli standard di tutela nazionali non sembrano risultare più elevati di quelli offerti dall’ordinamento dell’Unione europea do-vrebbe operare la regola (il rinvio prioritario alla CGUE) e non l’eccezione (il rinvio prioritario alla Consulta).
Ma anche a non condividere tale tesi occorre valutare un altro argomen-to a favore del rinvio prioritario alla CGUE.
La valutazione della legittimità/conformità dell’intervento legislativo ri-chiede una valutazione che non può essere circoscritta all’orizzonte na-zionale perché il problema della “risposta” alla pandemia investe l’intero ordinamento dell’Unione europea.
In questo contesto, assumerà un peso rilevante la comparazione delle “risposte” che i singoli Stati hanno fornito al drammatico periodo in cui viviamo.
In proposito va rammentato che in altri paesi dell’Unione Europea si è affrontata l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia con aiuti a fondo perduto alle imprese e senza ricorrere al blocco prolungato dei licen-ziamenti .

6. Identificazione ed interpretazione dei principi in gioco nella Carta dei diritti fondamentali.

Ma quali sono i “principi” che entrano in gioco?
Sicuramente, come nel diritto nazionale, la libertà d’impresa, la tutela del posto di lavoro e il diritto a condizioni di lavoro sane, che trovano espressione negli artt. 16, 30 e 31, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali.
L’art. 16 della Carta recita che “la libertà d’impresa è riconosciuta conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi naziona-li”.
La libertà di determinare la natura e la portata dell’attività, come ha precisato la Grande sezione della Corte di giustizia nella sentenza del 21 dicembre 2016 , è un diritto fondamentale per l’impresa e “la decisione di procedere a un licenziamento collettivo rappresenta una decisione fondamentale nella vita dell’impresa”.
Ma questo principio va bilanciato con le finalità sociali che, nella giuri-sprudenza della Corte di giustizia, hanno trovato sempre più spazio e rilevanza.
La tutela dei lavoratori rientra tra le ragioni imperative di interesse ge-nerale .
La Corte di giustizia ha già ammesso che le considerazioni attinenti al mantenimento dell’occupazione possono costituire, in determinate cir-costanze e a certe condizioni, giustificazioni per una normativa naziona-le limitativa .
L’Unione europea non soltanto instaura un mercato interno ma si ado-pera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa.
“Poiché dunque l’Unione non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale tra i quali figurano in particolare, come risulta dall’art. 151, primo comma, TFUE, la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello oc-cupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione” .
Identificati (ed interpretati) i “principi” in gioco occorre effettuare un bilanciamento.

7. Il bilanciamento dei principi.

Il principio di proporzionalità e la tecnica del bilanciamento sono consi-derati il tratto essenziale dei moderni sistemi costituzionali.
La relazione stretta tra proporzionalità e diritti fondamentali si fonda sulla teoria di Alexy .
Le norme dei diritti fondamentali hanno generalmente carattere di prin-cipi e in caso di collisione con altre norme di diritti fondamentali sono oggetto di bilanciamento.
Alexy evidenzia lo stretto legame tra teoria dei principi e principio di proporzionalità in quanto “il carattere dei principi implica il principio di proporzionalità e questo implica quello” .
I conflitti tra principi costituzionali sono risolti per mezzo di un “enun-ciato di preferenza”, come lo chiama Alexy, la cui forma logica è: Il principio P1 ha più peso (ossia più valore) del principio P2 nel contesto X” .
Bilanciare due principi non è “riconciliarli” o trovare, tra essi, un “equi-librio” .
Il bilanciamento si risolve “nel concretizzare o specificare uno di essi in un determinato caso (…). Ma si tratta di una gerarchia assiologica, fles-sibile, mobile, instabile: dipende dal caso in discussione” .
Secondo Alexy, l’enunciato di preferenza stabilisce una “relazione di precedenza condizionale” , se si danno le condizioni C1, P1 prevale su P2; se si danno le condizioni C2, P2 prevale su P1.
Nei processi applicativi delle norme sui diritti fondamentali “la tecnica del bilanciamento è, essa stessa, la forma di decisione, la quale consiste in un giudizio di prevalenza di uno o l’altro dei principi che nel caso concreto vengono a confliggere, oppure di concorrenza dell’uno con l’altro in condizioni di reciproca limitazione” .
Il bilanciamento, comunque, deve essere effettuato in astratto e in con-creto .
Sul piano “astratto” viene in rilievo il rispetto del contenuto essen-ziale della libertà d’impresa.
Non basta, quindi, una limitazione prevista dalla legge ma occorre che tale limitazione non leda il “contenuto essenziale” del principio in gioco (nella specie la libertà d’impresa) rispettando il principio di proporziona-lià .
Principio (di proporzionalità) che impone un bilanciamento, in concreto, dei principi in gioco.
In questo contesto, il carattere generico e impreciso della formulazio-ne del comma 10 dell’art. 8 del D.L. 41/2021 (con le incertezze inter-pretative che, fin dal suo nascere ha generato) va probabilmente oltre quanto necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti dalla disposi-zione, così violando non solo il principio di proporzionalità, ma anche la libertà d’impresa sancita dall’art. 16 della Carta.

8. Riflessione conclusiva.

In un recente contributo, Natalino Irti scrive:
“Il virus del nostro tempo produce l’eccesso di regole, le quali, nella lo-ro convulsa precarietà, possono mettere capo (…) all’orrido vuoto, do-ve dominano la pura violenza o la perversa astuzia dei singoli”.
Tale modo di legiferare scuote, fin dalle fondamenta, il principio della certezza del diritto che è un principio cardine (oltre che dell’ordinamento nazionale) dell’ordinamento multilivello, come rico-nosciuto, da tempo, dalla Corte di giustizia.
Scriveva, nel 1942, Lopez De Onate : “certezza del diritto significa uni-cità delle qualificazioni giuridiche e significa per il cittadino esistenza e rispetto da parte dei pubblici poteri di una sfera di autonomia ga-rantita dal diritto”.
Un’utopia che dobbiamo continuare a coltivare.

 

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