testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa, fonti ed inquadramento del problema.
Da tempo retaggio dei penalisti , negli ultimi anni il tema delle aziende sequestrate e confiscate schiude nuovi spazi di indagine sul piano dell’economia, del mercato del lavoro e delle tutele per i lavoratori .
In genere la riflessione giuslavorista si è concentrata prevalentemente sull’analisi delle caratteristiche territoriali del mercato del lavoro nelle aree economicamente depresse e a più alto rischio di disoccupazione e povertà, come quelle del Sud , senza soffermarsi sugli aspetti schiettamente penali relativi alla criminalità organizzata .
Se, infatti, si considera il quadro normativo in materia di aziende sequestrate e confiscate, spiccano le lacune legislative in relazione ai temi del lavoro e alla tutela dei lavoratori, avendo il legislatore privilegiato, soprattutto, gli strumenti per la repressione penale e la prevenzione dei fenomeni criminosi. Le recenti riforme hanno colmato - almeno parzialmente - tale vuoto, nella misura in cui hanno introdotto disposizioni specifiche concernenti i lavoratori.
In questa cornice si inserisce il presente contributo, che offre una breve disamina delle tutele previste per i dipendenti di aziende sequestrate e confiscate e degli strumenti che consentono di salvaguardare i livelli di occupazione e la continuità aziendale.
L’analisi non può che muovere, dunque, dalla normativa antimafia in punto di disciplina degli aspetti relativi ai rapporti di lavoro nelle aziende sottoposte alle misure patrimoniali del sequestro e della confisca, come dettata dal Codice antimafia .
Senonché, malgrado l’imponente opera di codificazione per ricondurre ad unità la precedente produzione legislativa penale, processuale ed amministrativa, si nota subito come nel suddetto corpo normativo il “Lavoro” è il “grande assente” in quanto mancano disposizioni specifiche a tutela dei lavoratori: questi sono considerati alla stregua di “terzi” (art. 52), non diversamente dagli altri titolari di diritti di credito, ed il rapporto di lavoro è ritenuto uno dei tanti “rapporti pendenti”, soggetto alle stesse regole valevoli per gli altri rapporti obbligatori, le cui sorti sono nelle mani dell’amministratore giudiziario che valuta se darvi esecuzione o meno (art. 56).
La descritta condizione giuridica dei lavoratori di aziende sequestrate e confiscate non è sostanzialmente mutata neppure a seguito della riforma al Codice antimafia , alla quale va comunque riconosciuto il pregio di aver posto l’accento, in qualche modo , sull’importanza del lavoro nelle imprese sottoposte alle misure patrimoniali. Sulla scorta di tale input legislativo , sono state, infatti, introdotte specifiche misure di tutela per lavoratori ed imprese, volte a favorire la continuazione delle attività aziendali e la salvaguardia dei livelli occupazionali .
La rilevanza costituzionale del lavoro giustifica senza dubbio una tale conclusione, implicando la necessità di garanzie per i lavoratori nonostante l’alone di generale illegalità che circonda tali aziende, in modo da aiutarne la transizione verso la legalità.
Paradossalmente, passare dalla illegalità alla legalità non è un percorso “indolore” per l’impresa. Nel momento in cui è rilevata dallo Stato con il sequestro e la confisca, l’azienda va incontro ad una serie di svantaggi economici-patrimoniali che rendono problematica la sua stessa sopravvivenza nel mercato, interessando tanto i rapporti commerciali con banche, clienti e fornitori, quanto l’innalzamento dei costi aziendali di gestione, in primis del costo del lavoro . Questo si traduce in una generale difficoltà di proseguire l’attività aziendale in modo economicamente sano dopo l’applicazione della misura preventiva antimafia, la cui influenza negativa comporta una significativa perdita di fiducia degli stakeholder, con il rischio di disperdere risorse e rasentare, come evidenziato da Libera, un vero e proprio «spreco di legalità» .
In tutto ciò, i lavoratori sono tra i soggetti più penalizzati nel processo di transizione verso la legalità. Se, infatti, a causa degli svantaggi conseguenti al sequestro, l’impresa non fosse più in grado di operare economicamente sul mercato, i lavoratori sarebbero esposti al rischio della perdita del posto di lavoro, essendo in pericolo la continuazione stessa dell’attività aziendale.
Nelle azioni di contrasto alla criminalità organizzata, dunque, la riforma del Codice antimafia realizza senz’altro un passo in avanti in direzione dei lavoratori ed esprime un interessante connubio tra il ricollocamento dell’azienda nel circuito della legalità, da un lato, e il bisogno di tutela dei suoi dipendenti, dall’altro. Lungo la medesima scia di apertura ai temi del lavoro, si colloca anche il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che incoraggia l’“armonizzazione”, da tempo attesa, tra tutele ai lavoratori e procedure concorsuali , e con il quale anche l’impianto normativo antimafia va coordinato, nonostante la prevalenza delle specifiche disposizioni e misure previste dal D.lgs. n. 159/2011 .

2. Le tutele dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate.
Passando ad analizzare il quadro delle tutele dei dipendenti, si può notare come il filo conduttore della novella di cui al D.lgs. n. 72/2018 sia quello di delineare un minimo nucleo di garanzie per lavoratori e imprese attraverso gli ammortizzatori sociali per favorire la conservazione dell’occupazione, la regolarizzazione contrattuale e l’emersione del lavoro in nero.
Le prime due disposizioni di tale breve legge vengono in soccorso dei lavoratori di imprese sottoposte a sequestro e confisca, nelle due distinte ipotesi di prosecuzione o ripresa dell’attività ovvero di cessazione del rapporto di lavoro, consentendo l’accesso agli ammortizzatori sociali di sostegno al reddito nei casi in cui non è possibile usufruirne per mancanza delle condizioni di applicabilità o per superamento dei limiti soggettivi e oggettivi .
È interessante notare come l’inadempimento totale o parziale del datore di lavoro agli obblighi in materia di lavoro e legislazione sociale non preclude l’accesso a tali tutele, purché la sussistenza del rapporto lavorativo sia stata accertata dal Giudice: con tale accorgimento, il legislatore sembra voler sollecitare l’emersione del lavoro in nero non contrattualizzato, che altrimenti – per varie ragioni – continuerebbe a rimanere nell’ombra del sommerso, anziché venire alla luce.
D’altro canto, però, sono esclusi dalle misure di sostegno del reddito tutti quei soggetti – anche lavoratori – che abbiano avuto un qualche coinvolgimento nella gestione criminosa dell’azienda . Resta, poi, il problema di accertare – in caso di contenzioso – la concreta partecipazione alla gestione di quei dipendenti esclusi dai benefici, posto che i criteri non sono specificati nel D. lgs. 72/2018, né si rinvengono nel Codice antimafia.
Un’altra importante tutela per i lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate è rappresentata dalla possibilità di chiedere l’intervento del Fondo di Garanzia del TFR, in caso di cessazione del rapporto lavorativo ed insolvenza del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 297/1982. Tale beneficio è accordato anche quando l’impresa datrice è assoggettata alle misure di prevenzione, dovendosi coordinare le norme antimafia con la disciplina del Fondo.
In particolare, il Titolo IV del D. Lgs. n. 159/2011, dall’art. 52 all’art. 65, detta disposizioni per la “tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali”.
Essendo i lavoratori dei “terzi”, sotto il profilo della garanzia del credito di TFR, la loro situazione è riconducibile alla fattispecie dell’art. 52 D. Lgs. n. 159/2011, secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro, a condizione che i crediti non siano strumentali all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, e che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento. Anche in tal caso si pone il problema di accertare – e di dimostrare in sede di eventuale contezioso - la buona fede e l’inconsapevole affidamento del terzo creditore.
Tali diritti di credito sono accertati dal Giudice delegato in sede penale, in base alla speciale procedura prevista dagli artt. 57 ss. del D.lgs. n. 159/2011, tenuto conto che, dopo il sequestro, non è possibile iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni sequestrati e che tutte le procedure esecutive già pendenti sono sospese fino alla conclusione del procedimento di prevenzione (art. 55). I crediti così accertati sono soddisfatti dallo Stato nei limiti del 60% del valore dei beni sequestrati o confiscati al netto delle spese procedurali e di amministrazione giudiziaria (art. 53).
Si tratta, peraltro, di una regolamentazione delle ragioni creditizie dei terzi, anche lavoratori, molto più stringente e rigorosa rispetto ad un accertamento ordinario.
Sul punto, la più recente giurisprudenza del lavoro ha riconosciuto la specialità della disciplina dettata dal Codice antimafia per l’accertamento dei crediti dei terzi anteriori al sequestro, il cui fondamento risiede nell’esigenza di impedire che, sui beni sequestrati, siano fatti valere crediti strumentali all’attività illecita o che ne siano il frutto o il reimpiego . Per tale ragione, laddove sia intervenuta una misura di prevenzione rispetto ad un credito anteriore al sequestro o alla confisca, la competenza va individuata in capo al giudice delegato per il procedimento di prevenzione , con conseguente improcedibilità del ricorso proposto davanti al Giudice del lavoro .
Sebbene il soddisfacimento dei crediti sconti le restrizioni previste dalla normativa antimafia, un discorso a parte può esser fatto per il TFR e ciò in quanto tale credito è assicurato, come detto, dal Fondo di Garanzia dell’INPS anche se i beni del datore di lavoro sono sottoposti a sequestro o a confisca. A conferma di ciò, l’INPS ha chiarito i presupposti e le modalità di intervento del Fondo di Garanzia nelle ipotesi in cui il datore sia sottoposto a misure di prevenzione , richiamando la sussistenza di tutti i presupposti ordinari per l’applicazione del beneficio, ai sensi dell’art. 2 L. n. 297/1982.
Con riferimento al requisito dell’insolvenza datoriale, si richiede, quindi, la consueta prova dell’avvenuta apertura delle procedure concorsuali ovvero, in mancanza, della non assoggettabilità del datore di lavoro alle procedure concorsuali. Con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, gli aspetti relativi alle procedure concorsuali vanno riferiti alle nuove disposizioni vigenti, per cui – tra l’altro – non si parla più di “fallimento”, ma di “liquidazione giudiziale” .
Ciò vale anche per le aziende sequestrate e confiscate in quanto, al di là della terminologia, l’applicazione delle misure di prevenzione è ritenuta compatibile con l’avvio delle procedure concorsuali, nonostante i profili di specialità della normativa antimafia . Si distinguono, infatti, due ipotesi a seconda che la dichiarazione di fallimento sia successiva al sequestro o se invece lo sia il sequestro .
Se il sequestro interviene prima del fallimento, in forza dell’art. 55 D.lgs. n. 159/2011 i lavoratori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali e l’accertamento dei crediti anteriori al sequestro è compiuto dal Giudice delegato penale con l’ausilio dell’amministratore giudiziario, secondo la speciale disciplina di cui agli artt. 57 e ss. del D.lgs. n. 159/2011, che si conclude con la formazione di uno stato passivo. In tal caso, i lavoratori possono richiedere l’intervento del Fondo di Garanzia dopo che il credito di TFR sia stato ammesso allo stato passivo esecutivo accertato dal Giudice, ai sensi dell’art. 59 D.lgs. n. 159/2011 e che, nei 30 giorni successivi al deposito, non sia stato oggetto di opposizione o impugnazione.
Invece, se l’azienda sequestrata sia in seguito dichiarata fallita, l’intervento del Fondo di Garanzia è soggetto alle regole ordinarie ai sensi dell’art. 2 L. n. 297/1982 e degli artt. 1 e 2 D.lgs. n. 80/1992, a meno che il fallimento già aperto venga poi chiuso perché è sequestrata l’intera massa fallimentare (art. 67 D.lgs. n. 159/11), sicché in tal caso l’accesso alla tutela del Fondo di Garanzia TFR è possibile secondo le modalità descritte per i datori non assoggettabili a procedure concorsuali.
Tornando alle tutele previste nel D.lgs. n. 72/2018, vi sono, infine, altre misure rivolte principalmente alle imprese che hanno però un impatto anche sui rapporti di lavoro, in quanto favoriscono la prosecuzione delle attività aziendali e, quindi, la conservazione della forza lavoro e il mantenimento dei livelli occupazionali . Pur non riguardando direttamente i lavoratori, tali previsioni rappresentano degli strumenti altrettanto indispensabili per preservare la continuità aziendale dell’impresa sequestrata nella misura in cui intendono tracciare uno spartiacque tra la precedente conduzione imprenditoriale illecita e la nuova gestione aziendale.
3. Promuovere il lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate.
Osservando il quadro delle tutele sopra descritto appare chiaro come i maggiori sforzi legislativi siano più che altro di carattere “conservativo”, volti cioè a difendere i livelli occupazionali e la continuità aziendale , messi a rischio dai cosiddetti «costi della legalità» che, come noto, sono sempre più elevati rispetto ad una «navigazione … in sommersione» . In tal senso le misure del D.lgs. n. 72/2018 sono un mezzo per attutire, nei confronti di lavoratori e imprese, gli effetti di un brusco passaggio da una gestione aziendale criminosa, ma pur sempre operativa, ad una gestione aziendale legalizzata, ma divenuta problematica proprio a causa dell’avvio degli iter di legge.
Se la parola d’ordine è “conservare” per mantenere la vitalità dell’azienda in sofferenza, è però importante – cambiando prospettiva – anche “rilanciare” l’impresa sul mercato in vista del suo completo recupero alla legalità.
Non a caso, l’amministratore giudiziario ha un «ruolo chiave» nelle decisioni relative al risanamento aziendale : a tal fine, oltre alle necessarie competenze manageriali espressamente richieste dalla legge , diventa strategico acquisire il consenso degli interlocutori che gravitano intorno all’azienda sequestrata, nella consapevolezza che il confronto può favorire l’avvio di progetti di risanamento e sviluppo a lungo termine per la sopravvivenza dell’azienda recuperata .
In quest’ottica, l’art. 41-ter del D.lgs. 159/11 prevede la possibilità di istituire dei tavoli provinciali permanenti presso le Prefetture-U.T.G., cui partecipano i principali stakeholders dell’impresa, con il compito, tra l’altro, di promuovere la collaborazione e lo scambio d’informazioni tra amministratori giudiziari, operatori economici del territorio e parti sociali .
Interessante è il coinvolgimento dei sindacati nelle questioni relative alla gestione delle aziende sequestrate e confiscate, mediante la partecipazione ai tavoli permanenti: ciò costituisce una ulteriore garanzia per i lavoratori, delle cui istanze il sindacato può farsi portavoce nei confronti dell’amministratore e dell’autorità giudiziaria, fornendo loro dati utili riguardanti la situazione del mercato del lavoro locale e prendendo parte alle iniziative di gestione aziendale, secondo un modello – quello concertativo – già noto nel sistema di relazioni sindacali .
Non va, infine, trascurato il valore di un concreto e durevole progetto aziendale di risanamento e sviluppo che, una volta terminato l’iter giudiziario, si rivela decisivo per le sorti dell’impresa e per favorire la proficua destinazione dei beni confiscati.
In definitiva, il risanamento dell’impresa può fungere da leva per promuovere il lavoro e l’occupazione nelle aziende sequestrate e confiscate.

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