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La Corte di Cassazione, con ordinanza del 7 febbraio 2024, n. 3495, Sez. II, ha ripreso ancora una volta la questione della riserva di legge a favore delle professioni ordinistiche per quanto riguarda le attività di tenuta della contabilità, di elaborazione delle dichiarazioni fiscali e delle buste paga.
Per salvaguardare, infatti, gli interessi di chi fruisce dell’attività dei professionisti, la legge richiede che determinate attività, “per la loro delicatezza, e per l’opportunità che chi le svolge sia sottoposto a controlli, sia nell’accesso sia nello svolgimento della professione ed anche sotto il profilo del rispetto della deontologia nei contatti con i clienti, possano essere svolte solo dai professionisti iscritti in determinati albi. La finalità di prevedere che alcune attività siano riservate ai professionisti iscritti è quindi quella di rafforzare la tutela del privato che si avvale di un professionista, e di garantire indirettamente una maggiore professionalità nella gestione degli aspetti più delicati di ogni attività”.
Così si esprimeva la Corte di Cassazione gia’ nel 2020 (n. 14247/2020). E la recente ordinanza di febbraio 2024 della Cassazione si inserisce, dunque, nel solco di quanto gia’ in precedenza espresso dagli Ermellini (ma anche in sede di merito ): l’ordinanza mette in rilievo quelle che sono le attività riservate ai Consulenti del Lavoro e agli altri professionisti della legge n. 12/79 muovendosi contro l’abusivismo professionale: nel caso di specie si è pronunciata annullando il contratto che legava una s.r.l. al proprio cliente in quanto la s.r.l. svolgeva abusivamente attività tipica - riservata ai consulenti del lavoro e commercialisti, esperti contabili -.

In particolare, le attività svolte erano le seguenti
• compilazione e presentazione delle dichiarazioni fiscali,
• tenuta della contabilità,
• elaborazione delle buste paga,
• presentazione di istanze di annullamento in autotutela in campo fiscale,
• pagamento di imposte,
• elaborazione di studi di settore,
• disbrigo di pratiche presso la CCIA,
• cura dei rapporti previdenziali.

L’Ordinanza aggiunge che “Con specifico riguardo all’attività riservata ai consulenti del lavoro, precedenti di questa Corte (Cass. pen. n. 26294/2021) hanno specificamente ricordato “che in linea di principio le mansioni di amministrazione della busta paga, dei rapporti con enti previdenziali, ed in genere della contrattualistica di lavoro, sono rimesse al datore di lavoro che deve occuparsene personalmente o per mezzo di propri dipendenti e sotto la propria responsabilità. Attesa la sempre maggiore complessità di detti adempimenti, è stato opportunamente previsto in alternativa, ex art. 1 comma 1, legge n. 12/1979, che il datore di lavoro possa delegare tali incombenze ad un consulente del lavoro abilitato, iscritto nel relativo albo professionale nonché ad altre figure professionali (professionisti iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali)”.
In argomento è intervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, per precisare che le attività di carattere complesso e articolato nelle quali si estrinseca uno sforzo di carattere intellettuale implicante l’acclarato possesso di specifiche cognizioni lavoristico-previdenziali, che non si esaurisce nel mero compimento di operazioni materiali di calcolo (come quelle svolte dai centri di elaborazione dati, sulle quali fa leva il controricorso), ricadono nella generale - e residuale - categoria degli “adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale”, per i quali opera la riserva dell’iscrizione agli albi professionali di cui all’articolo 1 della L. n. 12 del 1979. Tra queste, l’“adeguamento delle buste paga a seguito di eventuali variazioni retributive e normative”, l’“assolvimento degli adempimenti presso gli enti pubblici territorialmente competenti coinvolti nella gestione dei rapporti di lavoro”, l’“attività di consulenza per l’amministrazione del personale”, con particolare riguardo a quelle da fornire “in occasione di eventuali accertamenti ispettivi” (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 103/2015).
In materia di abusivismo nazionale va ricordata anche l’annosa vicenda che ha riguardato i CED – Centri elaborazione dati – rispetto ai quali, se pure non recente, ancora una volta c’è stata una condanna, da parte del Tribunale di Torino (ordinanza 20 marzo 2019) .
La vicenda ha riguardato un soggetto che e’ stato sospeso dall'esercizio della professione a seguito di procedimento dinanzi al Consiglio di disciplina, per aver esercitato abusivamente la professione concedendo le proprie credenziali informatiche e deleghe ad un CED, consentendo a quest'ultimo di compiere un'attività che la Legge n.12/79 riserva in via esclusiva ai Consulenti del Lavoro. Costui ha presentato ricorso, poi rigettato. Il soggetto in questione ha tenuto una condotta meritevole di censura in quanto ha affidato in modo improvvido a soggetti estranei lo svolgimento di attività proprie del Consulente del lavoro (riserva di legge), violando cosi’ il proprio mandato e il codice deontologico e pregiudicando il decoro e la dignità della professione di Consulente del Lavoro.
Ancora una volta preme ribadire che i CED non possono che svolgere mera attività di imputazione dati, di calcolo e di stampa, nei limiti fissati dalla legge n. 12/79.
Tornando alla recente ordinanza, che ha avuto ampia eco sulla stampa nazionale, va anche sottolineato come essa gratifichi enormemente l’azione di contrasto all’abusivismo professionale. Infatti, l’ordinanza merita attenzione per (almeno) i seguenti passaggi oltre a quanto gia’ indicato in apertura
Anche in questa occasione, come gia’ in passato, la Corte si e’ occupata del discrimine tra attività riservate alle c.d. professioni protette e attività c.d. libere, per le quali riprende vigore il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione.
Ora, gli Ermellini hanno ritenuto di dovere aderire al più recente orientamento che, superando quello tradizionale, secondo il quale gli atti inclusi nella "protezione" penale accordata dall'ordinamento erano ritenuti solo quelli attribuiti in via esclusiva a una determinata professione, a fare data da Cass. pen. Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, aveva invece opinato nel senso che, ai fini della norma incriminatrice in esame, assumessero rilevanza tutti gli atti comunque "caratteristici" di una data professione, ricomprendendosi fra gli stessi, oltre agli atti ad essa attribuiti in via esclusiva, anche quelli che la sentenza definisce "relativamente liberi", nel senso che chiunque può compierli a titolo occasionale e gratuito, ma il cui compimento (strumentalmente connesso alla professione) resta invece "riservato" se avvenga in modo continuativo, stabile, organizzato e remunerato, in un modo cioè che ne costituisca di fatto esercizio, creando tutte le apparenze (organizzazione, remunerazione, ecc.) del loro compimento da parte di soggetto munito del titolo abilitante.
La condotta "abituale" ritenuta punibile in tale ricostruzione deve essere posta in essere con le oggettive apparenze di un legittimo esercizio professionale, perché solo a questa condizione, in presenza di atti non riservati per se stessi, si viola appunto il principio della generale riserva riferita alla professione in quanto tale, con correlativo tradimento dell'affidamento dei terzi.
Ne consegue che quando tali apparenze mancano, sia per difetto di abitualità, organizzazione o remunerazione, sia perché il soggetto agente espliciti in modo inequivoco che egli non è munito di quella specifica abilitazione e opera in forza di altri titoli o per esperienza personale comunque acquisita, si è fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 348 c.p.

Meritevole e’, infine, ricordare anche in questa sede l’incessante lavoro che svolge la Commissione Legalità e abusivismo del CPO milanese e la sottoscrizione, nel 2023, del Protocollo di intesa per la legalità, la vigilanza ed il contrasto all’abusivismo professionale con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, in occasione dell’incontro tra i coordinatori delle Consulte Regionali dei Presidenti dei CPO e i Direttori Territoriali dell’INL. Protocollo che è stato sottoscritto anche tra il CPO di Milano e l’Ispettorato del Lavoro di Milano. Obiettivo dell’Accordo è quello di diffondere i principi di correttezza, efficienza e trasparenza grazie a iniziative condivise, volte a prevenire e contrastare irregolarità nel mercato del lavoro, compreso l’esercizio abusivo della professione di Consulente del Lavoro. Quello che va sottolineato ancora una volta è che l’ordinamento giuridico, nella persona dei collegi giudicanti e del Ministero del lavoro, riconosce inequivocabilmente il ruolo di garante pubblico ai Consulenti del Lavoro i quali si fanno portatori di alti valori morali e intellettuali, sono espressione di garanzia di tutela degli interessi generali. Tutti gli operatori del mercato devono riconoscere e fare propria la consapevolezza che lo Stato ha riservato in via esclusiva alla categoria dei Consulenti la competenza nelle materie indicate afferenti alla gestione dei rapporti di lavoro. Adempimenti che non si possono ridurre mai a mere attività di calcolo in quanto il consulente del lavoro è professionista che gestisce “il capitale umano” entrando in contatto con la sfera personalissima dei lavoratori.

 

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