Testo integrale con note e bibliografia
1. I contributi pubblicati in questo numero della Rivista riprendono gli interventi al webinar del 20 maggio 2022 “La proposta di Direttiva europea sul lavoro tramite piattaforma: potenzialità e limiti nella prospettiva del decent work”, organizzato nell’ambito del Progetto PRIN 2017 - "Working Poor N.E.E.D.S. NEw Equity, Decent work”.
Il webinar ha aggiunto elementi di riflessione al dibattito già avviato nei primi mesi del 2022 da una nutrita serie di iniziative convegnistiche e seminariali che, sia a livello nazionale che internazionale, hanno seguito la presentazione della proposta di Direttiva sul lavoro nelle piattaforme da parte della Commissione europea.
Com’è noto, la proposta fa parte di un “Pacchetto” – il Platform Work Package (PWP) presentato dalla Commissione il 9 dicembre 2021 – che comprende anche una Comunicazione (illustrativa delle finalità dell’intervento) e un Progetto di Comunicazione contenente Linee-guida sul rapporto fra diritto europeo della concorrenza e contrattazione collettiva riguardante i lavoratori autonomi privi di dipendenti (cdd. solo self-employed), fra i quali sono annoverati anche i lavoratori delle piattaforme. Anche quest’ultimo Progetto, nonostante la natura soft dell’atto proposto, costituisce un importante frammento dell’iniziativa, per l’attenzione mostrata verso le istanze di protezione sociale, aggregazione e rappresentanza degli interessi collettivi di categorie di lavoratori autonomi particolarmente deboli, precari e poveri.
2. Comincerei da un paio di considerazioni di contesto.
La prima è che la presentazione del “Pacchetto” chiude un anno di progetti normativi importanti in tema di digitalizzazione dei mercati, dei servizi e del lavoro. Ci sono altre rilevanti iniziative in cantiere: dalle due proposte di legge sui mercati digitali e sui servizi digitali (Digital Markets Act: 15.12.2020, COM 2020 842; Digital Service Act: 15.12. 2020, COM 2020 825) alla corposa proposta di Regolamento sull’Intelligenza Artificiale (21.4.2021, COM 2021 206).
Tutte le iniziative segnalano in maniera evidente l’apertura, a livello europeo, di una nuova e feconda stagione di “costituzionalismo digitale”, nell’idea che la “transizione digitale” per poter essere una just transition (Un’Europa sociale forte per transizioni giuste, 14 gennaio 2020, COM 2020 14) ed avere anche un impatto positivo sui lavoratori, debba essere guidata dal rispetto dei diritti e valori fondamentali dell’Unione, legata, cioè, alle radici etiche e costituzionali dell’ordinamento euro-unitario, come ampiamente si legge nella Relazione di accompagnamento alla Proposta di Regolamento sull’I.A.
La seconda considerazione – prima anticipata – è che gli interventi qui pubblicati si confrontano con riflessioni già in parte sedimentate, in quanto avviate non solo dopo la presentazione del PWP, ma anche nel periodo della sua gestazione; aggiungo che il webinar ha potuto trarre vantaggio da una coincidenza temporale riguardante l’avanzamento del testo proposto dalla Commissione in Parlamento, nell’ambito della “Commissione per l’occupazione e gli affari sociali” (EMPL). L’iniziativa si è infatti svolta a pochi giorni di distanza dalla diffusione di un nuovo testo - la Proposta di Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 3 maggio 2022 (Draft European Parliament Legislative Resolution - PR – PE731.497v01-00 - relatrice E. Gualmini; d’ora in avanti: Proposta di Risoluzione o semplicemente Draft Gualmini) - che è alla base dell’attuale discussione parlamentare all’interno dell’EMPL e che rappresenterà il punto di partenza per l’elaborazione del testo da trasmettere al Consiglio.
Ciò ha reso possibile un confronto – fra la proposta originaria e la Proposta di Risoluzione – che ha consentito di aggiungere ulteriori elementi di valutazione delle soluzioni offerte, dato che il Draft Gualmini suggerisce non pochi emendamenti al testo originario, modificando alcune delle sue più significative opzioni regolative.
3. Per passare dalle considerazioni di contesto al merito, mi limiterò ad alcune sollecitazioni stimolate dai più significativi emendamenti suggeriti da questa nuova bozza; con la premessa che la Proposta di Risoluzione tenta di spostare in avanti l’asticella delle tutele, operando, innanzitutto, una rivisitazione della normativa sul controllo algoritmico e cioè incrementando i diritti legati al cd. algorithm management. Non solo si suggerisce un’applicazione più solida del principio di trasparenza e intellegibilità delle decisioni algoritmiche ma si propone anche una generalizzazione di quel principio, estendendolo al di fuori del mondo delle piattaforme. Tanto è vero che il Draft Gualmini propone anche una modifica del titolo della Direttiva, non più soltanto riferito al miglioramento delle condizioni di lavoro nel platform work ma anche e in generale al lavoro soggetto a sistemi di monitoraggio e decisionali automatizzati.
Ma veniamo all’altro significativo emendamento, che riguarda la presunzione legale (relativa) di subordinazione, regolata, com’è noto, dagli artt. 4 e 5 della proposta con l’intenzione di dotare la parte solitamente più debole del rapporto contrattuale di un strumento utile a sostenere la domanda di riconoscimento della subordinazione e dei diritti consequenziali.
Dò per scontata la conoscenza del funzionamento del meccanismo nella proposta originaria, limitandomi a schematizzarne i tratti: (1) presunzione di subordinazione in presenza di “controllo dell’esecuzione” del lavoro; (2) controllo definito come «caratterizzato dalla presenza di almeno due» dei cinque elementi indicati dalle lett. a), b) c) d) e) dell’art. 4, par. 2 ; (3) conseguente innesco della presunzione in presenza di due soli indici; (4) possibilità per la piattaforma che ritenga che il rapporto de quo non sia un «rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore nello Stato membro in questione, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia» di confutare la presunzione.
Ebbene: la Proposta di Risoluzione del Parlamento, pur mantenendo la presunzione, elimina dal corpo della direttiva, e cioè dall’art. 4, la lista degli indici. Se si osserva l’accostamento fra i due testi contenuto nel Draft Gualmini, - nel quale, come di consueto, il raffronto è operato attraverso l’uso di due colonne – si vede come, nella colonna destra, contenente il testo modificato, in corrispondenza dell’art. 4, par. 2, compaia un deciso “deleted”. Gli indici, rimossi dal corpo della Direttiva, vengono retrocessi in uno dei “considerando” (il 25°), nel quale l’elenco viene anche ampliato attraverso un maggior numero di elementi riconducibili all’uso di algoritmi. È indice di subordinazione, per esempio, l’impiego di sistemi di customer rating o di accesso al lavoro sulla base di internal rankings. Ciò lascia intravedere, nella Proposta di Risoluzione del Parlamento, una maggiore curvatura della nozione di subordinazione verso elementi di «subordinazione tecnologica/informativa» - oltre che informatica -, attraverso l’impiego di indici, non solo di supervisione, controllo ed etero-direzione ma anche di soggezione all’uso di algoritmi.
La lista diventa, però, esemplificativa, sia per la collocazione che per le espressioni impiegate all’interno del considerando, nel quale compaiono la dicitura «for instance» e la precisazione che «that list is not exhaustive».
Come lasciava già presagire il testo proposto dalla Commissione, la formulazione della presunzione diventa uno degli snodi più problematici della direttiva e rinvia ad alcune scelte di fondo, sulle quali non è certamente possibile soffermarsi in questa breve introduzione, potendosi, però, segnalare le diverse direzioni verso cui le scelte possono orientarsi.
Se da una parte l’eliminazione degli indici dal testo della direttiva potrà consentire, in sede di trasposizione, di adattare la presunzione ai sistemi nazionali, salvaguardando le definizioni nazionali generali di subordinazione (ogni ordinamento potrebbe far funzionare la presunzione seguendo i propri criteri interni di definizione dell’area protetta, quella dell’employment relationship), la loro soppressione, d’altra parte, comporterà una rinuncia del legislatore europeo ad armonizzare la nozione di lavoratore subordinato delle piattaforme. In assenza di una definizione euro-unitaria, il rinvio ai sistemi nazionali produrrà il rischio opposto a quello temuto da chi già saluta con favore l’eliminazione degli indici dal corpo della Direttiva, paventando il pericolo di una loro cristallizzazione e di un potenziale irrigidimento della nozione di subordinazione. Il rischio è quello di un’eccessiva frammentazione della nozione, con effetti applicativi della presunzione non omogenei negli ordinamenti nazionali.
È allora evidente che l’opzione regolativa è qui molto delicata: certamente sarà necessario scegliere se intervenire, o meno, su quella nozione, senza, tuttavia, demonizzare l’intervento europeo e ritenerlo blasfemo rispetto ai principi che governano l'esercizio delle competenze dell’Unione (e, segnatamente, rispetto al principio di sussidiarietà: art. 5, par. 1, TUE). Nella direttiva, la definizione di lavoratore subordinato delle piattaforme finirebbe per armonizzare la sola nozione di subordinazione nel platform work, introducendo sì, a livello europeo, una nozione unitaria (per l’appunto, euro-unitaria), ma riguardante la sola subordinazione nel platform work; una nozione specifica, dunque, di subordinazione, con ricadute vincolanti per i legislatori nazionali, ma senza pregiudizio per la più generale nozione di lavoratore subordinato, lasciata alla definizione dei singoli Stati.
Anche a voler ritenere che la definizione incida sulla nozione generale di subordinazione e a voler, pertanto, tener conto delle obiezioni mosse da quanti ritengono che il legislatore europeo non possa intervenire, in generale, su quella nozione, può aggiungersi che il rispetto delle competenze degli Stati membri e del principio di sussidiarietà – argomento eretto a difesa della necessaria astensione del legislatore europeo da una definizione generale di lavoratore subordinato – è garantito anche dall’esercizio di competenze di supporto, dato che l’Unione può sempre intervenire «se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri» e possono, invece, più efficacemente raggiunti a livello di Unione (art. 5, par. 3, TUE) e che proprio in materia sociale «l'Unione sostiene e completa l'azione degli Stati membri» (153, par. 1, TUE).
4. Altre due sollecitazioni – anche queste derivanti dal raffronto fra i due testi - riguardano il management algoritmico e, cioè, le disposizioni del Capo III, che, com’è noto, declinano uno “statuto di diritti” che va oltre la subordinazione. Come già da più parti rilevato, si tratta di uno “statuto” che presenta debolezze e lacune e che, proprio per questo, meriterebbe di essere irrobustito e integrato, come infatti suggerisce la Proposta di Risoluzione.
Almeno due sembrano, al riguardo, i punti più delicati.
Il primo, già accennato, riguarda l’estensione di queste disposizioni ad imprese che utilizzano algoritmi e che, però, non sono digital labour platforms.
Si ricorda che sistemi decisionali a base algoritmica sono ampiamente diffusi in settori produttivi tradizionali, come la logistica, il commercio, la manifattura. Ciò suggerisce di adottare un approccio più ampio nella disciplina degli algoritmi al servizio delle organizzazioni produttive e dei poteri datoriali, prescindendo dal tipo di impresa che li utilizza e, cioè, non limitando la normativa di tutela del lavoro ai prestatori di attività legate alle piattaforme.
L’altro punto riguarda i diritti collettivi di informazione/consultazione e di contrattazione collettiva, che appaiono scarsamente tutelati dalla proposta della Commissione. Mentre è apprezzabile l’articolazione dei diritti individuali di informazione nella disposizione di apertura del Capo III (l’art. 6), carenti, per diversi profili, sono le disposizioni sui diritti di informazione e consultazione collettivi.
Questi ultimi - previsti dall’art. 9 (che li riconosce in relazione alle decisioni che riguardano «l’introduzione o modifiche sostanziali nell’uso dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati»), da una parte si applicano al solo lavoro subordinato, dall’altra non supportano la contrattazione collettiva e la partecipazione strategica delle rappresentanze dei lavoratori nella gestione delle piattaforme.
Anche nell’ambito del lavoro subordinato, la proposta della Commissione non arriva a riconoscere ai rappresentanti dei lavoratori, per esempio, il diritto di richiedere e ottenere interventi correttivi sui sistemi automatizzati; un diritto che, laddove esercitato, potrebbe, certo, generare una intromissione nell’organizzazione dell’impresa-piattaforma (dato che l’algoritmo è un mezzo immateriale dell’organizzazione), ma costituire, al tempo stesso, un buon esempio di prassi partecipative, spingendo le tutele oltre il riconoscimento del semplice diritto individuale al riesame (ed eventualmente alla rettifica) delle decisioni (previsto dall’art. 8).
Ebbene, per tali profili, la Proposta di risoluzione tenta di passare da una prospettiva basata su diritti prevalentemente individuali ad un approccio regolativo di maggiore valorizzazione della dimensione collettiva, suggerendo, innanzitutto, di estendere oltre il perimetro della subordinazione i diritti di informazione e consultazione contemplati dall’art. 9, attraverso una generalizzazione del rinvio contenuto nell’art. 10 alle disposizioni precedenti (nel testo proposto della Commissione il rinvio contempla, invece, alcune esclusioni).
Gli emendamenti suggeriti dalla Proposta di risoluzione tentano, inoltre, di sostenere la contrattazione collettiva preventiva sulle condizioni di funzionamento dei sistemi decisionali automatizzati, proponendo di sottoporre questi ultimi al filtro delle previsioni di legge e/o di contratto collettivo (art. 6, par. 2).
Resta da chiedersi se gli euro-deputati, soprattutto i più conservatori, aderiranno alle nuove proposte, replicando il clima positivo, di forte sostegno istituzionale, che aveva accompagnato la Relazione d'iniziativa adottata dal Parlamento a larghissima maggioranza nell’autunno che ha preceduto la presentazione del PWP (Risoluzione del Parlamento europeo del 16 settembre 2021 su condizioni di lavoro eque, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme); o se, al contrario, l’ulteriore slancio di tutela finirà per essere contenuto nei limiti della proposta originaria o di un più drastico ridimensionamento del progetto legislativo.