testo integrale con note e bibliografia
1. Il lavoro autonomo: una pagina nuova per il diritto del lavoro
Il lavoro autonomo è giunto da qualche tempo all’attenzione del diritto del lavoro, dopo anni di oblio. Ma le modalità con cui regolarlo, e prima ancora la individuazione dei suoi caratteri e dei confini sia con il lavoro subordinato sia con le attività imprenditoriali, sono ancora incerte e controverse, nell’ordinamento dell’Unione europea come nei diritti degli Stati membri.
Le fonti internazionali ed europee sono state le prime a sancire la necessità che questo tipo di attività venisse riconosciuto come titolare di diritti e come bisognoso di protezione. Sia le principali convenzioni OIL (C-87, C-98, C-154) sia la Decent work agenda del 1999 hanno privilegiato una concezione ampia del lavoro come destinatario dei principi e diritti ivi affermati, secondo quel che si definisce un orientamento universalistico.
I principi della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e dell’European Pillar of social rights sono analogamente riferiti al lavoro senza qualificazioni, cioè “in tutte le sue forme e applicazioni”, come sancisce l’art. 35 della nostra Costituzione .
Queste visioni lungimiranti hanno peraltro trovato non poche difficoltà a tradursi nelle normative degli ordinamenti nazionali, ancora condizionati dalla categoria egemone della subordinazione e quindi concentrati sulla regolazione del lavoro dipendente.
I tentativi di estendere la regolazione al di là dei confini della subordinazione si sono dovuti misurare non solo con le resistenze delle vecchie categorie, ma anche con una realtà come quella del lavoro autonomo caratterizzata da tratti strutturali nuovi ed eterogenei.
Queste attività multiformi si sono rivelate un oggetto sconosciuto e difficile da analizzare per gli operatori della nostra materia, abituati da sempre a regolare rapporti e attività omogenee .
Se dunque i principi sanciti dalle fonti menzionate hanno aperto una pagina nuova per il diritto del lavoro, la loro declinazione in forme di regolazione adeguate ha richiesto una complessa opera di precisazione dei contenuti di questa proteiforme categoria e delle esigenze di protezione delle persone che la compongono.
Entrambe queste analisi e le scelte conseguenti sono ancora incompiute e non hanno raggiunto conclusioni condivise; il che si riflette nella incertezza e nelle divergenze delle decisioni di policy su questioni decisive per il futuro del lavoro autonomo e della sua regolazione.
La dottrina che si è più occupata del tema ha sottolineato l’urgenza di precisare meglio sul piano concettuale i caratteri che contraddistinguono questa macrocategoria, in specie quelli indicativi di debolezza dei soggetti sul mercato del lavoro e quindi del bisogno di protezione o di sostegno, ciò al fine di introdurre indici selettivi (ad es. il carattere personale della prestazione, la dipendenza economica e organizzativa, ecc.) per l’individuazione delle tutele necessarie .
2. Incertezze della regolazione europea (ma applicabilità del diritto antidiscriminatorio)
La questione qui considerata riguardante il diritto dei lavoratori autonomi
di agire e negoziare collettivamente a difesa dei propri interessi è significativa delle incertezze relative alla regolazione di questi rapporti .
Queste incertezze risultano evidenti se si considerano insieme e si confrontano i vari aspetti della regolazione del lavoro autonomo affrontati in questi anni dalle autorità dell’Unione, Commissione e Consiglio e, in una certa misura, anche Corte di Giustizia. Per segnalare la portata di tali incertezze e l’oscillazione delle posizioni assunte dai diversi interventi dell’Unione prendo come esempi significativi le scelte operate, da una parte, nel riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva ai lavoratori autonomi qui discusso e, dall’altra, nella regolazione del lavoro su piattaforma e nel sistema di tutele contro gli atti discriminatori.
Su questo ultimo punto la scelta compiuta dalla Direttiva 2000/78, nella interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia il 12 gennaio 2023 (causa C-356/21, JK), è particolarmente netta nel riconoscere l’applicabilità del diritto antidiscriminatorio anche al lavoro autonomo . Sulla base della premessa che riconosce e valorizza l’attività umana come categoria antropologica e non meramente economica, la Corte adotta una nozione ampia del lavoro personale, che prescinde dalla forma giuridica con cui esso è prestato. La decisione JK ne trae la conseguenza, per il caso di specie, che la tutela contro il licenziamento discriminatorio va estesa anche al recesso del committente dal contratto d’opera motivato dall’orientamento sessuale del lavoratore.
Queste posizioni confermano come il diritto antidiscriminatorio si dimostri un terreno particolarmente adatto per stimolare soluzioni innovative in materia di tutela dei diritti personali.
Le posizioni espresse dall’ordinamento europeo non sono però altrettanto univoche nelle altre due materie sopra richiamate, come si vedrà ora.
3. Le tutele dei lavoratori su piattaforma nella proposta di Direttiva europea
La proposta di Direttiva riguardante le condizioni di lavoro dei platform workers mantiene al suo interno orientamenti diversi, a conferma delle incertezze della materia e del carattere compromissorio delle scelte, segnalando uno stato di evoluzione normativa ancora incerta fra tradizione e rinnovamento .
Infatti la proposta della Commissione, da una parte, conferma l’impostazione storica del diritto del lavoro di riconoscere le sue tutele ai rapporti caratterizzati dalla subordinazione, definita, come di consueto nelle indicazioni europee, secondo le normative nazionali. Dall’altra parte, però, la stessa proposta si preoccupa di estendere l’applicabilità dei diritti sociali a nuove fattispecie di lavoro di incerta qualificazione, spesso ritenute autonome dalle giurisprudenze nazionali, attraverso la tecnica della presunzione relativa.
Tale presunzione viene riconosciuta qualora si accerti la presenza nei rapporti in questione di una serie di criteri comunemente attribuiti alla categoria della subordinazione dagli ordinamenti nazionali, incentrati sulla riduzione del grado di libertà e di autodeterminazione del prestatore di lavoro. Si tratta di una soluzione da molti criticata per l’uso di una tecnica come la presunzione di per sé alquanto discutibile , e soprattutto per la rinuncia ad abbandonare la tradizionale visione dicotomica del diritto del lavoro (subordinazione/autonomia), sempre più inadeguata a cogliere le esigenze di tutela del lavoro autonomo.
La stessa proposta sembra riconoscere tale limite quando, nel considerando 7, afferma che le attività su piattaforma stanno evolvendo rapidamente verso nuove forme di business e di lavoro “che sfuggono dai paradigmi esistenti” e che è importante accompagnare tale processo con misure protettive adeguate alle persone che lavorano tramite piattaforma senza riguardo ai rapporti contrattuali.
Questa indicazione, che apre a una visione universalistica delle tutele del lavoro su piattaforma, viene adottata in altra parte della proposta di Direttiva sulla base di analoghe indicazioni dei considerando 23 e 29, secondo cui assicurare una corretta qualificazione dei rapporti in termini di subordinazione non deve impedire il miglioramento delle condizioni dei lavoratori autonomi genuini.
Su questo presupposto le norme della proposta relative agli obblighi di trasparenza della piattaforma e ai diritti di informazione ai lavoratori e alle loro rappresentanze (artt. 6, 7, commi 1-3, 8) prescindono dalla natura del contratto di lavoro e anzi sono ritenute applicabili anche ai lavoratori privi di contratto.
Qui la dicotomia subordinazione/autonomia viene superata e il focus della regolazione si sposta sul lavoratore in quanto persona, come segnala la stessa proposta riferendosi ai soggetti che svolgono il proprio lavoro tramite piattaforma .
Una simile formulazione, adottata anche dalla Legge francese, rende del tutto evanescente la fattispecie di riferimento della normativa, legando la sua applicazione a una semplice situazione di fatto . Al riguardo è da notare che questa rottura degli schemi qualificatori tradizionali viene motivata dalla necessità di difendere questi lavoratori digitali dai possibili arbitri del management algoritmico.
4. Le (incerte) prospettive dell’azione sindacale dei lavoratori autonomi
Lo stato dei lavoratori autonomi nell’ordinamento europeo appare analogamente incerto e non privo di contraddizioni nella questione riguardante il loro diritto di contrattazione collettiva, come danno atto vari interventi del seminario torinese qui raccolti e pubblicati.
In realtà tale questione ha assunto finora un ruolo marginale, rispetto ai temi sopra considerati, nel dibattito sull’estensione dei diritti sociali ai lavoratori autonomi . Questa scarsa rilevanza è probabilmente motivata (anche) dallo scarso interesse dei sindacati per questa platea di lavoratori, non compensato finora da iniziative di azione collettiva nuove e organizzate al di fuori delle tradizionali organizzazioni.
Eppure il deterioramento delle condizioni economiche e di reddito di questi lavoratori, ampiamente documentato dalle ricerche , acuisce il loro bisogno di protezione, che non riceve (ancora) risposta sufficiente da parte dei legislatori nazionali.
Ci sono dunque presupposti oggettivi perché si manifesti anche fra i lavoratori autonomi la spinta ad aggregarsi in vista di azioni collettive per la tutela dei loro interessi professionali. Sennonché le informazioni disponibili segnalano che i tentativi di organizzazione e di azione collettiva di questi lavoratori sono ancora allo stato iniziale. Agli ostacoli strutturali dovuti alla loro debolezza sul mercato e alla dispersione propria delle loro attività, che ne rende difficile l’organizzazione, si accompagnano fattori soggettivi quali gli orientamenti legati alla specifica identità professionale, più che a comuni interessi di categoria, e l’estraneità (se non l’ostilità) verso i sindacati poco attenti alle loro istanze .
Maggiori possibilità di successo, ma anche qui circoscritte a professioni specifiche, si sono registrate nei paesi con tradizioni di craft unionism, che hanno puntato sulla identità di mestiere per singoli gruppi, oltre che sulla messa a disposizione di servizi utili per la loro attività professionale .
In Italia l’impegno organizzativo dei sindacati ha avuto qualche esito positivo nel coinvolgere gruppi come i rider operanti in un settore molto esposto all’attenzione pubblica e anche per questo oggetto di sostegno legislativo, sia pure con norme di incerta efficacia . Le debolezze dell’azione sindacale nei confronti del mondo del lavoro autonomo contribuiscono a spiegare il ritardo con cui la questione del diritto alla contrattazione collettiva si è imposta alla considerazione del diritto europeo.
In realtà il motivo non è solo questo, ma si lega alla rilevanza centrale attribuita al principio della libertà di concorrenza fin dalla prima costruzione della Comunità europea. Non a caso un simile ritardo e le difficoltà incontrate nel riconoscimento del diritto di negoziare ai lavoratori autonomi non trovano riscontro nelle convenzioni dell’OIL né in molti ordinamenti nazionali europei, che hanno sancito la titolarità di tale diritto anche in capo a questi lavoratori .
5. Il principio europeo di concorrenza come limite ai diritti sociali e le deroghe per la contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi
La centralità del principio di concorrenza, più volte ribadita dalla Corte di giustizia, ha condizionato non solo in questo caso l’operatività dei diritti sociali, a cominciare dal diritto di sciopero a seguito delle note decisioni Viking e Laval.
Il contrasto fra le logiche del diritto del lavoro e quelle del diritto della concorrenza, messo in evidenza da García Muñoz , ha condizionato anche la trattazione della questione in esame.
È per questo che le decisioni della Corte di Giustizia, dal caso Albany (C-67/96) in poi, hanno impostato la questione del riconoscimento della contrattazione collettiva in termini di deroga ai principi della concorrenza e non in termini di diritti dei lavoratori. Gli orientamenti più recenti analizzati nel seminario, dalla sentenza FNV Kunsten (C-413/13) alle linee guida della Commissione (queste più chiaramente), hanno fornito indicazioni utili per estendere l’ammissibilità della contrattazione collettiva a “prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di … lavoratori”, e che quindi non rientrano nell’ambito di applicazione delle restrizioni dell’art. 101 TFUE .
Gli stessi orientamenti riconoscono inoltre che un prestatore di servizi, qualora non determini in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma dipenda interamente dal suo committente, perde la qualità di operatore economico indipendente e quindi di impresa, cosicché non risulta più soggetto alle regole sulla concorrenza .
Queste aperture alla contrattazione dei lavoratori rimangono all’interno della logica tradizionale del diritto della concorrenza e dipendono dalla soluzione di due questioni chiave, cioè dall’accertamento di quali lavoratori autonomi siano in situazione comparabile a quella dei dipendenti e dalle condizioni per le quali gli stessi lavoratori non siano considerabili come impresari: come emerge dai contributi già citati, ambedue le questioni comportano non poche incertezze interpretative.
Tanto più che gli orientamenti della Commissione, nel tentativo di individuare i soggetti sottratti alle regole della concorrenza e quindi beneficiari del diritto alla contrattazione collettiva, indicano una serie di fattispecie variamente circostanziate, ma non tutte ben definite, con parziali sovrapposizioni e con (inevitabili) lacune colmate da indicazioni residuali, neppure queste esaustive. Oltretutto si tratta di tre diverse tipologie individuate con tecniche qualificatorie eterogenee: la dipendenza economica, nota a molti ordinamenti europei ma non per questo dai confini ben definiti e condivisi; il lavorare side by side, che rinvia a un dato organizzativo anch’ esso divenuto incerto; lo svolgere la prestazione tramite piattaforme digitali. Questi ultimi due criteri non configurano una precisa fattispecie connotata da elementi giuridici, ma si riferiscono a indicazioni meramente fattuali. Una simile scelta conferma la scarsa utilità di moltiplicare categorie e sottocategorie in una materia così fluida e, in generale, segnala l’evanescenza del concetto stesso di fattispecie giuridica .
A parte questa conferma, la criticità principale delle linee guida della Commissione sta nel fatto che, restando “nell’ombra dell’art. 101 TFUE”, le possibilità di riconoscere ai lavoratori autonomi il diritto alla contrattazione in deroga ai principi della concorrenza rimangono inevitabilmente limitate. D’ altra parte la consapevolezza della difficoltà di superare la logica del diritto della concorrenza, che è ancora alla base del progetto europeo, ha suggerito alla Corte di giustizia e alla dottrina di cercare qualche forma di riconciliazione fra la logica del diritto della concorrenza e quella del diritto del lavoro.
In tal senso si è sostenuto, dall’ avvocato generale del caso FNV Kunsten, che anche il principio di concorrenza persegue l’obiettivo socialmente rilevante di correggere le asimmetrie di potere e di combattere il social dumping, contribuendo in tal modo a contrastare gli abusi di potere e indirettamente a migliorare la distribuzione della ricchezza. In base a tale premessa, riconoscere ai lavoratori autonomi il diritto di negoziare collettivamente contribuirebbe a prevenire la concorrenza al ribasso sulla remunerazione e sulle condizioni di lavoro.
Nella medesima linea di considerazioni si è osservato che il criterio del potere di mercato, e dei limiti al suo abuso, cui si riferiscono i testi europei, costituisce un terreno promettente per far convergere il diritto della concorrenza e il diritto del lavoro verso obiettivi sociali comuni .
Le proposte qui riprese sono utili a far compiere progressi ai diritti dei lavoratori autonomi lungo la strada percorsa dalla Corte di giustizia e dalle linee guida della Commissione. Del resto, come osservano gli stessi autori, le indicazioni europee sono lungi da offrire una soluzione sistematica ai problemi dei diritti sociali di questi lavoratori, ed è probabile che precisazioni successive saranno necessarie, con un dialogo ulteriore fra le due prospettive e gli operatori delle stesse, per arrivare a soluzioni più soddisfacenti .
6. Convergenze possibili o logiche diverse fra diritto del lavoro e diritto della concorrenza
Non posso non rilevare che le tendenze evolutive di molti ordinamenti nazionali relativamente ai diritti sociali dei lavoratori autonomi forniscono indicazioni non solo complementari ma anche correttive della soluzione adottata dalle fonti europee.
Le ragioni che sono alla base della tendenza estensiva delle tutele e dei diritti in senso universalistico, pur con diverse modulazioni, non sono fondate solo sulla necessità di correggere le disparità di potere dei soggetti interessati sul mercato, ma si riconducono a principi diversi e più ampi.
Il fondamento costituzionale della tensione universalistica del diritto del lavoro sancita dall’ art. 35 consiste nel valore del lavoro non solo come strumento di sostentamento materiale, ma come espressione della persona e della dignità umana . Questo principio deve orientare la scelta dei diritti e delle protezioni necessarie a rispondere ai diversi bisogni delle persone che lavorano, e a rimediare alle loro debolezze sul mercato.
Analogamente la sanzione costituzionale dei diritti collettivi di associazione, di contrattazione e di sciopero non corrisponde solo alla necessità di garantire ai lavoratori la possibilità di autotutela nei confronti delle imprese e del mercato, ma è anche uno strumento essenziale per promuovere la loro partecipazione alla vita sociale ed economica, e in generale per dare voce al lavoro organizzato nell’arena civile e nel dibattito democratico, in vista del perseguimento dell’eguaglianza di cui all’art. 3, comma 2, Cost.
In linea con questa concezione costituzionale dei diritti collettivi la Corte costituzionale e la dottrina italiane hanno sempre avallato un’interpretazione ampia del diritto di sciopero come strumento non solo di pressione economica contro le imprese, ma anche di lotta per le riforme sociali: per questo, anzi, si è attribuito allo sciopero la natura di diritto della persona .
Come si vede i principi fondanti del diritto del lavoro sono diversi ed eterogenei rispetto alle logiche della concorrenza e i tentativi di farli convergere, per quanto finalizzati a utili compromessi, si rivelano limitativi, oltre che forzati.
La scelta di fondo, come segnala la Confederazione europea dei sindacati (ETUC) commentando negativamente le linee guida della Commissione, è fra considerare il diritto di contrattazione un diritto universale della persona che lavora a prescindere dal suo status contrattuale, ovvero, come ritiene la Commissione europea, un diritto funzionale a riequilibrare le disparità di mercato e quindi condizionato da tale obiettivo .
Per questi motivi il diritto del lavoro, nei rapporti con il diritto della concorrenza, non può che ribadire i propri principi: nel caso in questione affermando la contrattazione collettiva come diritto fondamentale, applicabile anche ai lavoratori autonomi.
In quanto tale il diritto può venire limitato solo se le restrizioni sono giustificate e proporzionate, in ogni caso non tali da negarne il nucleo essenziale; e il suo ambito personale di applicazione va interpretato in senso ampio.
La conseguenza da trarre, come afferma Miranda Boto , è di rovesciare la relazione risultante dalle fonti europee, stabilendo che la contrattazione collettiva è la regola e la concorrenza l’eccezione.
Certo la strada per affermare questa concezione è appena iniziata. Continuare l’opera necessaria per migliorare la definizione degli ambiti e degli spazi dei diritti collettivi, come di quelli individuali, dei lavoratori autonomi richiederà l’impegno attivo non solo delle istituzioni europee e nazionali, ma anche degli attori sociali, a cominciare dagli stessi lavoratori autonomi e dalle loro associazioni.
Gli ostacoli da affrontare per rendere effettivo il diritto alla contrattazione collettiva di questi lavoratori sono molteplici.
Analogamente complesse sono le questioni pratiche che le loro nascenti forme organizzative dovranno risolvere, attinenti alle forme della rappresentanza, ai livelli e ai contenuti della contrattazione , e le scelte di questi nuovi soggetti delle relazioni collettive non potranno riprodurre semplicemente i modelli seguiti per il lavoro dipendente, essi stessi peraltro da adeguare alle nuove realtà economiche e sociali.
Per questo sarà importante monitorare le pratiche innovative che si stanno manifestando nelle prime organizzazioni del lavoro autonomo, diffonderle in un confronto aperto con i sindacati dei lavoratori dipendenti per verificare le possibilità di mutual learning, di convergenze e di alleanze operative.