Testo integrale con note e bibliografia
1. Il tema su cui ci viene proposto di intervenire è di bruciante attualità e su di esso si è già scatenata una discussione molto accesa con la for-mazione, almeno all’apparenza, di due partiti contrapposti.
La delicatezza della discussione deriva dal fatto, pressoché ovvio, per cui il retroterra delle opinioni giuridiche è caricato dai tanti pre-giudizi, nel senso letterale di giudizi precostituiti, che tutti noi abbiamo matura-to nel lunghissimo, interminabile anno appena trascorso, sulla pande-mia, sui suoi effetti e sui comportamenti – virtuosi o irresponsabili – dei nostri connazionali.
Per non incorrere in fraintendimenti sulla mia posizione o sul mio pre-giudizio faccio mio il pensiero espresso recentemente da Mi-chele Serra, nella sua rubrica su la Repubblica. Serra risponde così al con-formismo individualista di “quelli che non la bevono”: «l’anno appena trascorso, così duro e insolito, ci ha aiutato a capire che in certi mo-menti bisogna… essere gregge, accettare le fatiche dell’uguaglianza, ammettere di essere legati a doppio filo a un destino collettivo. Per que-sto, soprattutto per questo vaccinarsi è non solo utile. È anche giusto».
Ecco allora che per affrontare il discorso da un punto di vista giuridico, anche per una rubrica che intende fornire una prima lettura degli eventi, occorre sgombrare il campo da quei presupposti/pregiudizi ed accostarsi ad una discussione condotta al lume del diritto che ci go-verna.
Anzitutto proviamo a formulare esattamente il quesito che ci in-teressa: in un contesto ordinamentale nel quale la vaccinazione non è obbligatoria può il datore di lavoro imporla ai propri dipendenti per ra-gioni di sicurezza e, conseguentemente, sanzionare con il licenziamento per giusta causa chi non si adegua a tale disposizione?
I parametri di riferimento per impostare una risposta sono anzi-tutto l’art. 32 Cost. e l’art. 2087 cod. civ.
Il primo, come è noto, al secondo comma, prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Il secondo impegna il datore di lavoro ad «adot-tare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità mora-le del prestatore di lavoro».
Orbene è pacifico che l’art. 2087 non può essere considerato la “disposizione di legge” cui allude la riserva formulata dall’art. 32 Cost., dovendo questa consistere in una normazione ad hoc, specificamente di-retta ad imporre la vaccinazione.
D’altra parte è sì vero che il rispetto dell’obbligo di cui all’art. 2087 impone al datore di conformarsi al criterio della “massima sicurez-za possibile”, ma il rispetto di tale criterio è pur sempre ancorato a dati scientifici dedotti dall’”esperienza e la tecnica”. Sennonché nel nostro caso poco o nulla si sa sul vaccino ed i suoi effetti, ma soprattutto gli scienziati si dividono anche sui mezzi di propagazione del virus. Man-cherebbero quindi quei dati di acquisita “esperienza e tecnica”, che po-trebbero imporre al datore l’adozione di tale misura. Così come il lavo-ratore potrebbe addurre, se non il rispetto della riservatezza, particolari condizioni personali che possono sconsigliare di sottoporsi alla vaccina-zione.
Si dice ancora che, secondo l’art. 20 del d.lgs. 81/2008 (il testo unico in materia di sicurezza sul lavoro), è fatto obbligo allo stesso lavora-tore di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle al-tre persone presenti sul luogo di lavoro. Si tratta però di un precetto che può essere astrattamente invocato rispetto alle misure che impon-gono di indossare la mascherina e/o rispettare il distanziamento o, an-cora, farsi misurare la temperatura all’ingresso dei luoghi di lavoro (mi-sure del resto previste da fonti sovraordinate), ma non per quelle che, come la vaccinazione, incontrano un limite che deriva da una norma co-stituzionale.
Altrettanto discutibile è il richiamo dell’art. 279 del Testo unico, secondo cui, ove il lavoratore sia esposto ad agenti biologici, il datore di lavoro può disporre le più idonee misure sanitarie di protezione, ivi compresa «la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazio-ne». È evidente infatti che in questo caso la vaccinazione è imposta a protezione dello stesso lavoratore esposto ad un rischio che comunque promana dall’ambiente lavorativo.
D’altra parte questa disposizione costituisce la migliore conferma del fatto che solo con una esplicita previsione legislativa si può superare il divieto previsto dall’art. 32 Cost. Con il corollario che, trattandosi di norma di stretta interpretazione, non se ne possono allargare le maglie estendendola a situazioni diverse e non previste.
2. Ciò detto spostiamo ora il focus del discorso sulla posizione del lavoratore e sui suoi obblighi contrattuali. Si può ritenere che non aderi-re alla direttiva del datore possa costituire una violazione di tali obbli-ghi, cioè un inadempimento passibile di licenziamento per giusta causa?
Non dobbiamo dimenticare che la valutazione dell’inadempimento non può essere condotta una volta per tutte ed in astratto, come pretenderebbe chi formula la facile equazione fra il rifiu-to della vaccinazione ed il licenziamento.
Il giudizio sull’inadempimento non può che essere condotto sul piano del singolo rapporto; è un giudizio che va individualizzato.
E qui si entra in quel delicato territorio in cui vengono in conflit-to le obbligazioni contrattuali del lavoratore con la sua vita privata. Bisogna quindi chiedersi – fermo per il lavoratore l’ovvio rispetto delle obbliga-zioni relative alla sua prestazione – fino a che punto il comportamento complessivo incide sulla agibilità della prestazione e la permanenza dell’interesse del creditore di lavoro alla prosecuzione del rapporto.
Basta porsi questo interrogativo per avere una bussola che può orientare la discussione.
Stiamo qui mettendo in campo quegli obblighi che hanno a che fare con l’affidamento che il datore ripone sull’adempimento della presta-zione del lavoratore.
Ora in questa vasta categoria rientrano anzitutto i cc.dd. obblighi preparatori all’adempimento, entro i quali vanno inquadrati i comportamen-ti del lavoratore estranei alla prestazione ma che possono incidere sul rapporto (ad es. il caso di un lavoratore che, mentre è assente per ma-lattia, presti lavoro per altri).
Vi rientrano poi i cosiddetti doveri di protezione, altra categoria fe-condissima, che ci consente di sottoporre a valutazione tutti quegli ina-dempimenti da contatto sociale, posti in essere in occasione di lavoro (pensia-mo al furto sul luogo di lavoro o alla rissa, ma anche alla lesione dell’interesse dell’impresa a non subire pregiudizi sul mercato con danni all’immagine, etc.).
Ed allora se osserviamo la nostra specie alla luce di tali direttive è facile dedurne che la personalizzazione della valutazione dell’inadempimento non può che condurci ad operare importanti distin-zioni fra rapporto e rapporto e fra ambiente ed ambiente. È fin troppo ovvio che i doveri di protezione richiesti ad un dipendente bancario so-no ben diversi da quelli pretesi nei confronti della prestazione di un semplice manovale nell’edilizia.
Ma soprattutto la distinzione appena evocata ci consente di per-sonalizzare gli inadempimenti in relazione ai contesti lavorativi nell’ambito dei quali si verificano.
Ne deve conseguire che legittimamente un ospedale o una casa di cura privata possono pretendere la vaccinazione da medici ed infer-mieri, anche perché sarebbero esposti a responsabilità risarcitoria nei confronti di chi, ricoverato per curarsi, abbia contratto il virus in conse-guenza di un comportamento inadempiente di un dipendente. È eviden-te però che con riferimento a tali specifici rapporti la protezione della salute degli assistiti è proprio l’oggetto della prestazione richiesta agli addetti del settore. In qualche modo – lo dico consapevole della scarsa precisione giuridica dell’espressione – la tutela della salute altrui entra in nella “causa” del contratto.
Infine, una volta che, caso per caso ed in relazione ai diversi “ambienti” lavorativi, si sia considerata esigibile la richiesta di vaccina-zione, resta la questione della sanzione applicabile al comportamento deviante del lavoratore.
Il licenziamento, come si sa, presuppone o un “notevole inadem-pimento degli obblighi contrattuali” (giustificato motivo soggettivo) o, addirittura, una “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvi-soria, del rapporto” (giusta causa).
Anche nelle situazioni appena descritte non è detto che la più corretta reazione datoriale debba essere considerato il licenziamento.
Intanto potrebbe esservi per il datore l’opzione di adibire il lavo-ratore, che abbia scelto di non vaccinarsi, a posizioni compatibili (o me-no incompatibili) con tale scelta, in attuazione del suo potere direttivo, un potere oggi dalle maglie assai più larghe in conseguenza della riforma renziana che ha modificato l’art. 13 dello statuto dei lavoratori (e per esso l’art. 2103 cod. civ.).
Residuerebbe infine la possibilità di configurare il comportamen-to del lavoratore come un oggettivo impedimento alla prestazione di la-voro, in ragione di una impossibilità sopravvenuta. Anche se riguardata la questione in questa luce il licenziamento potrebbe non essere una con-seguenza automatica.
Come si sa in casi del genere (pensiamo alla carcerazione preven-tiva del lavoratore o, per le situazioni di impossibilità regolamentata, al comporto per malattia) ci collochiamo non nella sfera della impossibilità totale, perché l’agibilità del contratto di lavoro non è radicalmente com-promessa, ma in quella della impossibilità parziale ratione temporis (art. 1464 cod. civ.) o temporanea (art. 1256, 2°co. cod. civ.): l’inquadramento nell’una o nell’altra categoria dipende per così dire dal gusto costruttivo dell’interprete.
Prescindo nel presente intervento dal prendere posizione sullo strumento tecnico che il datore dovrebbe adoperare per sancire la rottu-ra del vincolo. Come è ben noto se si opta per l’impossibilità parziale lo strumento è quello del recesso, mentre se si inquadra la specie entro l’impossibilità temporanea il punto di caduta è la risoluzione ipso iure.
Conta piuttosto ricordare che sia l’una che l’altra ipotesi di im-possibilità non abilitano il contraente adempiente ad una rottura imme-diata del vincolo negoziale, ma attribuiscono al datore-creditore il pote-re di risolvere il contratto solo quando non è più rinvenibile un «apprez-zabile interesse» all’adempimento parziale (o temporaneo) dell’altra par-te.
Ed in situazioni del genere la giurisprudenza, per calcolare il tempo necessario per il venir meno di tale interesse, fa riferimento ad un complesso di parametri come la collocazione del lavoratore nell’ambito del processo produttivo, le mansioni e la qualifica (un lavo-ratore più qualificato sarà meno facilmente sostituibile), la dimensione dell’impresa, etc. I nostri giudici tendono così a scivolare sul terreno delle ragioni oggettive, descritte dall’art. 3 della l. 604/66, prendendo in considerazione le conseguenze disorganizzative del comportamento del lavoratore sull’assetto dell’impresa.
Resta fermo comunque che, così facendo, la giurisprudenza ope-ra un adeguato bilanciamento fra l’interesse del datore alla cessazione del rapporto e quello del lavoratore alla conservazione del posto e ritie-ne che alla scelta di licenziare si possa giungere solo dopo un certo pe-riodo di tempo. Nel frattempo il rapporto di lavoro si trova quindi in una situazione di sospensione fino al momento in cui venga a cessare l’impedimento o si esaurisce l’interesse datoriale all’adempimento par-ziale.
Come si vede dalla rapida ricognizione effettuata la soluzione del problema non è affatto né semplice né immediata, ma è sottoposta ad una lunga serie di valutazioni intermedie che mettono in discussione sia il potere di imporre la vaccinazione che quello di disporre necessaria-mente il licenziamento all’inadempiente.
Certo, in una situazione di tale incertezza e su una materia così delicata, sarebbe auspicabile che intervenisse il legislatore, ma la politica purtroppo latita…