- 1) Perché hai scelto di fare il giudice del lavoro?
È stata una scelta avvenuta dopo l’ingresso in magistratura, ma già la mia formazione universitaria era stata caratterizzata da incontri con professori di diritto del lavoro di grande spessore. Luigi Montuschi è stato il mio primo professore universitario, all’epoca insegnava diritto privato a noi matricole della facoltà di giurisprudenza di Bologna. Nel corso del secondo anno ho seguito le lezioni di Federico Mancini e di Giorgio Ghezzi, due giganti del diritto del lavoro, che sapevano affascinare e coinvolgere noi studenti. Tuttavia decisi di laurearmi con una tesi in diritto penale commerciale, con il professor Franco Bricola, altra figura che considero essenziale nella mia formazione culturale prima che giuridica. Poi, nel corso dell’uditorato, uno degli incontri per me decisivi per la mia formazione di giudice, quello con Federico Governatori, pretore del lavoro a Bologna. Una figura per me fondamentale, che mi ha insegnato, ha cercato di insegnarmi, cosa vuol dire fare il giudice del lavoro, ricercare la verità materiale con pazienza e tenacia, accuratezza e sensibilità nella gestione del processo, profondità dell’analisi giuridica; mi ha mostrato cosa vuol dire incarnare il modello costituzionale di giudice: “L’unico padrone a cui dobbiamo obbedienza è la Costituzione”.
Poi è arrivata l’esperienza diretta come pretore del lavoro a Padova e mi ha appassionato confrontarmi in un territorio caratterizzato dal rapido e improvviso sviluppo economico che ha interessato il Nord-Est negli anni 80, trattare questioni in cui le storie individuali si intrecciano a quelle sociali e collettive.. A volte cerco di immaginare cosa penserebbero questi maestri di me, del mio modo di fare il giudice e per me questo confronto ideale è uno stimolo a far meglio.
- 2) C’è (o c’è ancora) una specificità del diritto del lavoro rispetto al diritto civile?
Ricordo che già quando frequentavo le lezioni di Mancini e Ghezzi si discuteva dell’autonomia del diritto del lavoro rispetto al diritto civile. Oggi, Il diritto del lavoro, di fronte ad una legislazione che ha progressivamente eroso, se non smantellato, un apparato di tutela del lavoratore come parte debole del rapporto, sta imparando a dare una nuova declinazione alle categorie del diritto civile, in funzione protettiva e di riequilibrio tra parti disuguali.
Le categorie della frode alla legge e del motivo illecito, tornano a essere essenziali per assicurare la tutela più ampia di fronte a licenziamenti illeciti, così come le clausole generali della correttezza e della buona fede e il recupero della categoria civilistica dell’abuso del diritto acquisiscono una centralità nella valutazione dei comportamenti delle parti nell’esecuzione del rapporto. Del resto, è proprio delle clausole generali richiedere giudizi di valore.
Accanto a questa tendenza colloco la valenza del diritto eurounitario e del diritto antidiscriminatorio, categoria quest’ultima residuale quando ho iniziato questo lavoro, viste anche le difficoltà applicative della disciplina dettata dall’art. 15 dello Statuto, soprattutto in materia di onere della prova
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- 3) Ritieni che nel corso della tua esperienza professionale, sia cambiato il ruolo del giudice de lavoro e comunque il modo con cui i giudici concretamente lo esercitano? In caso di risposta affermativa, quali pensi siano le ragioni (o almeno le principali ragioni) di tale cambiamento e quali ne sono gli effetti?
Il diritto del lavoro è uno dei settori maggiormente interessati dai profondi cambiamenti che hanno interessato la nostra società e da sempre vive in stretta osmosi con le dinamiche sociali ed economiche più rilevanti. Anche il ruolo del giudice, la sua interpretazione del ruolo che la Costituzione gli affida risente profondamente di questi cambiamenti.
Individuo due elementi che più di altri hanno portato a una diversa prospettiva. Anzitutto l’emergere di una logica puramente statistica e quantitativa di misurazione dell’efficienza ha portato progressivamente a diminuire l’attenzione verso la ricostruzione del fatto materiale e della verità sostanziale, che nel diritto del lavoro è fondamentale, tanto da essere alla base dei poteri attribuiti al giudice dell’art. 421 c.p.c.
La mia esperienza come giudice d’appello mi ha fatto constatare come che spesso le cause vengano decise sulla base di un’istruttoria strozzata e incompleta, con un rigore e un’analiticità della valutazione di ammissibilità della prova testimoniale, che contrasta con la necessità di ricostruire spesso vicende che si snodano nel tempo, di delineare i contorni, gli sfondi i contesti essenziali per la comprensione del fatto.
Pesa poi, sul piano culturale e dell’approccio alle questioni il lungo dibattito sull’ampiezza, ritenuta eccessiva, del potere discrezionale del giudice del lavoro, su cui sono state costruite norme che hanno tentato di ridurlo. I messaggi di questo tipo conducono sempre ad un atteggiamento, anche non voluto, di self restraint.
Siamo poi stati investiti per almeno due decenni da un’idea che si muove in direzione contraria a quella dell’universalità dei diritti, da una logica del mercato per cui i diritti vanno tutelati non in senso assoluto, ma in quanto compatibili con le esigenze del mercato e dell’economia.
L’altra fondamentale differenza è data dal ruolo sempre più importante del diritto eurounitario e dalla molteplicità delle fonti. Si tratta di un fenomeno legato strettamente al recupero dei principi generali del diritto civile di cui ho parlato prima, perché le fonti sovranazionali si esprimono per principi e richiedono un’interpretazione che lascia spazio ai valori che l’interprete intende perseguire. Sono aspetti che rendono difficile un’idea unitaria della giurisdizione del lavoro.
- 4) Quando, quanto spesso e su quali presupposti eserciti il potere d’ufficio? Quando invece ritieni che al giudice sia precluso integrare ufficiosamente il materiale istruttorio di causa?
Il ricorso ai poteri d’ufficio previsti dall’art. 421 c.p.c. è molto influenzato dal governo del processo, nel senso che laddove il giudice interviene all’inizio del processo per selezionare le questioni in fatto e in diritto rilevanti e indirizza le parti a prendere posizione più precisa, l’uso dei poteri officiosi viene ridimensionato. Personalmente non dimentico che il processo del lavoro è pur sempre improntato al principio dispositivo e che il ricorso ai poteri officiosi deve sempre essere improntato al rispetto del contraddittorio ed a consentire alle parti di articolare difese e nuovi mezzi istruttori conseguenti all’esercizio di questo potere. Tra le possibilità riconosciute dall’art. 421 c.p.c. cerco di utilizzare più frequentemente la sollecitazione alle parti per l’accesso sul luogo del lavoro, anche per svolgere lì l’attività istruttoria; l’ho sempre trovata una modalità del processo particolarmente efficace per comprendere i fatti.
- 5) Come si è configurato, e come attualmente si configura, nel processo del lavoro, il rapporto tra giustizia formale e giustizia sostanziale?
Qual è il rapporto che ritieni debba esistere tra il valore della libertà della giurisprudenza e quello della tendenziale univocità e prevedibilità delle decisioni?
Queste due domande sono strettamente collegate. La giurisdizione del lavoro non si sottrae alle tensioni sul ruolo del giudice nei sistemi contemporanei, caratterizzati da fonti di diverso livello e dal ruolo crescente tanto di una legislazione per principi, soprattutto sul piano sovranazionale, che delle interpretazioni date dalle corti. Questa situazione comporta un ruolo maggiormente incisivo della giurisprudenza, che si fa’ essa stessa creatrice di norme. Già molti autori hanno sottolineato un profondo riavvicinamento tra gli ordinamenti di common law e quelli di civil law, proprio con riferimento al carattere non meramente cognitivo, ma creativo dell’attività interpretativa da parte dei giudici. Non è casuale, ad esempio, il dibattito sviluppatosi negli ultimi anni sull’applicazione anche nel nostro ordinamento del criterio dell’overruling, proprio a fronte dei mutamenti repentini degli orientamenti giurisprudenziali.
Del resto, è stato sottolineato efficacemente come oggi l’oggetto dell’attività interpretativa del giudice non siano solo le norme di legge, ma anche, e forse soprattutto, le sentenze e i precedenti di altri giudici.
Questa situazione ha posto e pone molti autori, richiamo per tutti Luigi Ferrajoli, di fronte al tema del rapporto tra libertà interpretativa della giurisprudenza e principio di legalità, inteso quest’ultimo non come mera affermazione di autorità, ma come principio cardine del garantismo. Ad esempio, sono convinto che il dibattito in corso presso la Corte di Cassazione sull’applicabilità del quarto o quinti comma dell’art. 18 dello Statuto ai licenziamenti disciplinari intimati nei casi in cui il codice disciplinare preveda illeciti a formulazione generica o elastica, si iscriva sul piano culturale proprio su questo terreno.
Sul piano della prevedibilità della decisione, che non è distante da quello appena affrontato ed anzi ne costituisce per molti versi un aspetto, sono convinto che la strada più efficace, nel quadro che ho cercato di delineare, sia quella di un continuo confronto all’interno dell’ufficio giudiziario per giungere a orientamenti condivisi e della diffusione all’esterno dei risultati di questo confronto, per consentire al foro e, in ultima analisi ai cittadini, di conoscere in anticipo gli orientamenti dei giudici di quel territorio. Confronto, trasparenza e dimensione pubblica degli orientamenti possono costituire un punto di equilibrio in un sistema articolato, complesso e difficile da ricondurre a unitarietà come l’attuale.
I giudici devono essere consapevoli del ruolo che l’attuale sistema giuridico multilivello assegna loro e devono responsabilmente accettare la verificabilità pubblica degli orientamenti come forma di controllo democratico previsto dalla Costituzione.
Peraltro, e qui rispondo alla domanda sull’esigenza di assicurare la celerità delle decisioni, questo modo di lavorare, che rifiuta l’atomismo del singolo giudice e l’opacità dei meccanismi decisionali, costituisce una strada per coniugare efficienza e qualità della giurisdizione.