1. La sicurezza sul lavoro nella legge 81 del 2017.
La legge n. 81 del 2017 dedica poche disposizioni alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
L’art. 22, la cui rubrica reca il titolo “sicurezza sul lavoro”, prevede: “1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. 2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali”.
L’art. 18, comma 2, stabilisce inoltre che “Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa” e l’art. 19, comma 1, affida all’accordo tra le parti il compito di individuare “i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Infine, l’art. 23 disciplina l’assicurazione obbligatoria per gli infortuni e le malattie professionali.
Il problema di individuare l’esatto contenuto del debito di sicurezza del datore di lavoro nei confronti del lavoratore agile si pone, ovviamente, solo per quella parte di prestazione da eseguire all’esterno dei locali aziendali, “senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18, comma 1), non essendovi dubbi sulla applicabilità della normativa di sicurezza per il lavoro svolgo nei luoghi aziendali.
Gli interrogativi che la legge n. 81 del 2017 pone all’interprete sono, essenzialmente, due.
Il primo è di natura prettamente esegetica ed è legato alla non chiara previsione normativa in punto di sicurezza sul lavoro.
Il secondo è connesso alla difficoltà pratica di concepire un obbligo di sicurezza, e la conseguente responsabilità datoriale, rispetto ad un’attività lavorativa eseguita in un luogo che sfugge al controllo del datore medesimo e addirittura senza “una postazione fissa” e senza “precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” (art. 22, comma 1).
2. L’operatività del T.U. sulla sicurezza.
Sotto il primo profilo, deve rilevarsi come l’art. 22, comma 1, cit., se pure ribadisce l’obbligo che grava sul datore di lavoro di garantire la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile, tuttavia sembrerebbe limitare tale obbligo, poiché prosegue stabilendo che “a tal fine (il datore di lavoro) consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”.
Si è opportunamente paventato il rischio di una lettura della disciplina in esame che, facendo leva sul dato letterale, potesse considerare il debito di sicurezza del datore di lavoro, quanto alla prestazione svolta al di fuori dei locali aziendali, adeguatamente assolto attraverso la consegna annuale dell’informativa scritta, al lavoratore e al rappresentante per la sicurezza.
Rischio aggravato dalla mancanza, nella legge n. 81 del 2017, di un esplicito richiamo al decreto legislativo n. 81 del 2008, c.d. T.U. sulla sicurezza sul lavoro, e dalla leggerezza con cui il legisaltore sembra avere “affidato all’accordo tra le parti del contratto di lavoro, senza nulla aggiungere, alcuni aspetti fondamentali per la salute e la sicurezza del lavoratore agile, come i tempi di riposo e le modalità della disconnessione” .
La legge effettivamente appresta una disciplina riduttiva e ambigua in punto di sicurezza e proprio la scarsa chiarezza del testo normativo è, probabilmente, alla base delle previsioni di alcuni contratti collettivi aziendali che sembrano considerare l’informativa scritta quale misura esaustiva dell’obbligo di sicurezza a carico della parte datoriale.
E’ invece necessario analizzare l’art. 22 e le altre disposizioni della legge del 2017 in un’ottica sistematica, che tenga conto del tessuto normativo esistente in tema di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e, prima ancora, di come il diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose, a prescindere dalle qualificazioni giuridiche dei singoli lavori, costituisca uno dei diritti fondamentali, riconosciuto dalla nostra Carta Costituzionale (artt. 2, 32, 36, comma 2, 41, comma 2), dall’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali UE, da plurime direttive europee, dalle convenzioni e raccomandazioni dell’Oil.
Tale percorso di interpretazione sistematica è necessario per evitare il rischio che si realizzi un inammissibile trasferimento sul lavoratore agile dell’obbligo di prevenzione e protezione di se stesso.
Anzitutto, non pare possa dubitarsi della applicabilità al lavoro agile, che comunque rientra nella categoria del lavoro subordinato, non solo della norma cd. di chiusura di cui all’art. 2087 cod. civ., ma della disciplina dettata dal d.lgs. n. 81 del 2008, che, alla luce delle direttive già recepite, tra cui la direttiva quadro n. 89/391/CE, ha adottato una visione universalistica della sicurezza sul lavoro, a cominciare dalle definizioni, tutte incentrate sulla organizzazione del lavoro, di cui il datore di lavoro ha la responsabilità (art. 2, lett. b), e nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, a prescindere “dalla tipologia contrattuale” e dal luogo di esecuzione della prestazione (art. 2, lett. a).
Proprio perché espressione di una nozione globale di sicurezza sul lavoro, il citato Testo Unico è applicabile ben oltre i confini del rapporto di lavoro subordinato descritto dall’art. 2094 cod. civ. Ad esempio, ai rapporti di lavoro cd. etero-organizzato, cioè ai “rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche attraverso piattaforme anche digitali”, a cui l’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, quindi anche lo statuto protettivo di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, come sembra doversi ritenere in mancanza di qualsiasi criterio selettivo delle tutele applicabili ; inoltre, al rapporto tra il committente che utilizza la piattaforma digitale e i lavoratori autonomi che “svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore […], attraverso piattaforme anche digitali”, i cd. riders, in base all’espressa previsione dell’art. 47 septies, comma 3, introdotto nel medesimo d.lgs. n. 81 del 2015 dal d.l. n. 101 del 2019, conv. con modif. nella l. n. 128 del 2019 .
D’altra parte, come è stato opportunamente sottolineato, “l’emersione dei nuovi lavori, sempre più sganciati dal rilievo di uno stabile luogo fisico, induce a […] modulare la tutela tenendo conto che […] l’organizzazione nel cui ambito il lavoratore svolge la propria attività assume sempre più una dimensione/accezione non necessariamente reificata, dovendo essere intesa soprattutto come l’insieme delle regole mediante le quali si realizza il progetto produttivo del datore di lavoro o del committente, e non più solo come entità fisica corrispondente ad un luogo” , come dimostra il fenomeno della gig economy, in cui l’organizzazione datoriale coincide con una piattaforma digitale.
Ferma quindi la necessità di coordinare le disposizioni in materia di sicurezza di cui alla legge n. 81 del 2017 con il T.U. del 2008, dovendosi escludere ogni carattere di specialità delle prime, occorre piuttosto domandarsi se il lavoro agile possa essere ricondotto nell’ambito della previsione di cui al comma 10 dell’art. 3, del d.lgs. n. 81 del 2008, che disciplina il lavoro “a distanza” (“lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico”), come fattispecie generale comprensiva del telelavoro, svolto sia nelle pubbliche amministrazioni (D.P.R. n. 70 del 1999) e sia in ambito privatistico (Accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16 luglio 2002 recepito nel nostro ordinamento con l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2004).
L’art. 3, comma 10 cit. sancisce l’applicabilità ai lavoratori, che svolgono attività continuativa a distanza, delle disposizioni di cui al titolo VII (artt. 172 e ss.), contenente specifiche misure di protezione legate all’uso dei videoterminali. Prevede, tra l’altro, che “Al fine di verificare la corretta attuazione della normativa in materia di tutela della salute e sicurezza da parte del lavoratore a distanza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e le autorità competenti hanno accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi, dovendo tale accesso essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio”. La disposizione in esame impone, ancora, al datore di lavoro “l'adozione di misure dirette a prevenire l'isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all'azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell'azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali”.
Una parte della dottrina ha ritenuto applicabile al lavoro agile la disciplina sul lavoro a distanza dettata dal T.U., sebbene quest’ultimo presupponga una prestazione continuativa all’esterno dei locali aziendali, interpretando la “continuità” come sistematicità o regolarità, quindi astrattamente concepibile anche in caso di prestazione esterna svolta in alternanza a periodi di lavoro nella sede aziendale .
Altri autori hanno escluso una simile possibilità, in ragione della peculiarità del lavoro agile, che non comporta una totale dislocazione, al di fuori dei locali aziendali, della postazione di lavoro .
Pur potendosi ipotizzare, in via interpretativa, una applicazione della normativa dettata sul lavoro a distanza opportunamente calibrata e proporzionata, specie quanto ai rischi configurabili, alle caratteristiche del lavoro agile, è certamente auspicabile un intervento legislativo che, in un’ottica di necessaria sistematicità, coerente alla rapida evoluzione delle forme di lavoro nell’impresa sempre più smaterializzata, individui e risolva le esigenze regolative delle prestazioni di lavoro che si svolgono in spazi sottratti al diretto controllo datoriale o, più esattamente, in spazi che non nascono come luoghi di lavoro ma che tali diventano perché ivi viene svolta, in concreto e in modo anche transeunte, l’attività lavorativa.
Poste le premesse sulla normativa applicabile, anche se con qualche incertezza in ordine alla riconducibilità del lavoro agile nello spettro di cui all’art. 3 comma 10 cit., occorre ora domandarsi quali siano i rischi specifici del lavoro svolto in modalità agile.
La legge n. 81 del 2017 fa espresso riferimento solo ai rischi connessi alla sicurezza e al buon funzionamento degli strumenti tecnologici forniti dal datore di lavoro, attribuendo a quest’ultimo la relativa responsabilità (art. 18, comma 2).
Sulle attrezzature fornite al lavoratore, il d.lgs. n. 81 del 2008, agli artt. 70-73, detta una disciplina generale, espressamente richiamata dall’art. 3, comma 10, sul lavoro a distanza.
In base alla complessiva disciplina applicabile, può ritenersi che il datore di lavoro, anche al fine di predisporre i necessari dispositivi di protezione individuale (di cui agli artt. 74-79, capo II, titolo III, del T.U.), dovrà mettere a disposizioni dei dipendenti, che lavorano in modalità agile, attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza e predisporre un’adeguata formazione e informazione degli stessi.
Ma i pericoli per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori che derivano dallo svolgimento della prestazione in luogo diverso da quello aziendale, e spesso in ambiente domestico, sono molti altri. Si tratta di pericoli che non sono unicamente legati all’affaticamento della vista, alla postura non corretta, alla scarsa illuminazione, alle pause, ma anche a fattori causali nuovi, strettamente dipendenti dalle specifiche modalità, spaziali e temporali, di esecuzione della prestazione e che l’esperimento forzoso del lavoro agile in epoca pandemica, per la verità con caratteristiche derogatorie rispetto alla legge n. 81 del 2017, ha fatto emergere in tutta la loro complessità.
I rischi per la salute e la sicurezza nel lavoro agile, ovviamente calibrati in relazione alla maggiore o minore durata dello stesso rispetto al lavoro intra moenia, sono per lo più correlati all’esecuzione della prestazione in luoghi non progettati per un utilizzo lavorativo, con tutte le disfunzioni e interferenze che ciò provoca, non solo per la scarsa attenzione all’ergonomia ma, prevalentemente, per la perdita della dimensione collettiva e sociale, quindi di isolamento. Inoltre, qualora la prestazione sia resa in ambienti domestici, come l’abitazione privata, i rischi in esame sono collegati alla dilatazione dei tempi di lavoro, alla difficile autogestione dei ritmi e delle pause di lavoro, all’offuscamento dei confini tra vita privata e vita professionale.
Si è descritto l’ambiente lavorativo collocato fuori dai locali aziendali come luogo “a basso tasso di fisicità e ad alto grado di porosità” .
È un ambiente “a basso tasso di fisicità” perché “virtuale o, meglio digitale, fatto di connettività diffusa e postazioni di lavoro informatiche, con caselle di posta elettronica, piattaforme, intranet aziendale, servizi cloud, social network, sistemi virtuali di archiviazione dei documenti […] una dimensione di lavoro senza spazio né tempo, illimitatamente accessibile…” . È, in secondo luogo, un ambiente “ad alto grado di porosità” perché “la postazione di lavoro viene fisicamente trasferita in una sede non meglio precisata, suscettibile di coincidere e confondersi, a volte pericolosamente, con gli spazi pubblici e privati di vita del lavoratore. Si assiste, nello specifico, a una commistione di strumenti e attrezzature, a un mix di luoghi e relazioni, professionali e personali, assai sfidante, per i problemi di difficile -gestione dei confini- che vi si accompagnano” .
Si realizza, in qualche misura, un effetto paradossale per cui il lavoro in modalità agile, o a distanza in senso lato, che la stessa legge prospetta come misura volta ad “agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (art. 18, comma 1), e che più volte è invocato quale risorsa e opportunità per l’equilibrio tra la vita familiare e l’attività professionale (v. Direttiva 2019/1158/UE), può recare in sé un fattore di rischio, per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori, direttamente connesso alla concreta difficoltà di quella conciliazione, specie per coloro su cui gravano i compiti di cura (nel caso italiano, prevalentemente le lavoratrici), in un contesto sociale, ed anche normativo, in cui l’obiettivo della pari distribuzione dei compiti di genitorialità è ancora lontano da realizzarsi.
Con tutte le ricadute che la distorsione appena descritta produce, sia in termini di stress lavoro correlato (art. 28, d.lgs. n. 81 del 2008), per le disfunzioni organizzative che si vengono a creare sui due piani, quello lavorativo e quello familiare, con dilatazione degli orari di lavoro e riposi insufficienti; sia in termini di conseguenze discriminatorie riguardo al genere, per gli inevitabili riflessi sulla produttività e sulle prospettive di sviluppo professionale e di carriera.
La legge n. 81 del 2017 non sembra cogliere questa complessità ed anzi presenta il lavoro agile come strumento conciliativo in sé, ma “così facendo, trascura […] il fatto che l’agilità corre, al contrario, sul sottile crinale che separa il work-life balance, implicante l’idea di un equilibrio corretto tra lavoro e vita privata, dal work-life blending, evocativo di una commistione non proprio sana tra mondo privato e professionale. Da questo punto di vista il tema della -gestione dei confini- assurge a parte essenziale della valutazione dei rischi da lavoro agile” .
Acquista quindi rilievo specifico, nel lavoro agile, la dimensione del tempo, dell’orario di lavoro e dei riposi, anche allo scopo di impedire la commistione tra momenti di vita privata e professionale, dovendosi rilevare la inadeguatezza della previsione contenuta nel comma 1 dell’art. 18, là dove descrive una prestazione sganciata da “precisi vincoli di orario” e da eseguire “entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale”. Una simile previsione risulta, peraltro, non compatibile con il complessivo sistema di tutele predisposto dal nostro legislatore, in conformità al diritto dell’Unione , dovendosi ritenere che, almeno in linea generale, anche per il lavoro svolto in modalità agile “sussiste l’obbligo di instaurare un sistema obiettivo, affidabile e accessibile, che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro” , a protezione della salute del lavoratore. Con tale obbligo dovranno necessariamente coordinarsi le previsioni, in sede di accordo individuale (o collettivo), sui “tempi di riposo” e sulle “misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (art. 19, comma 1), nell’ottica di tutela della salute delle lavoratrici e dei lavoratori dal rischio di un lavoro che finisca per confondersi con la vita, senza più limiti di luogo e di tempo .
3. Il potere di controllo datoriale al di fuori dei locali aziendali.
Una volta riconosciuto che anche il lavoro agile è attratto nel focus della disciplina generale dettata dal d.lgs. 81 del 2008, la difficoltà pratica di una tutela svincolata dal controllo su uno specifico luogo di lavoro non può costituire motivo per emarginare o ridurre gli spazi di tutela, dovendo unicamente l’interprete sforzarsi di adattare le disposizioni sulla tutela della salute e sicurezza alle concrete caratteristiche del lavoro agile.
Anche in tal caso, graverà sul datore di lavoro l’obbligo di adottare le misure di prevenzione e, tra queste, anzitutto, lo strumento della valutazione dei rischi, quale tassello indispensabile per l’adempimento dell’obbligo di formazione e informazione, quest’ultimo espressamente richiamato dalla legge 81 del 2017, nonché l’obbligo di sorveglianza sanitaria. Non può esservi, infatti, alcuna utile attività di formazione e informazione in favore del lavoratore se non all’esito di una analisi e una valutazione dei rischi generali e specifici dell’ambiente in cui il medesimo lavorerà.
Il datore di lavoro, anche in relazione all’attività di lavoro agile, dovrà raccogliere tutti gli elementi e i dati necessari per procedere alla valutazione “globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori” (art. 2, lett. q) e art. 28, d.lgs. 81 del 2008), riconducibili alla particolare modalità di svolgimento della prestazione, e tra questi dei rischi causati dallo stress lavoro correlato, dalla dilatazione dei tempi di lavoro e dall’insufficienza dei riposi, dalla condizione di isolamento rispetto ai colleghi e dalle difficoltà di conciliazione tra vita familiare e vita professionale, in un’ottica che tenga conto anche delle specifiche implicazioni in termini di differenze di genere.
Al fine di consentire una adeguata valutazione dei rischi, nonché del livello di sicurezza dei dati e della idoneità del collegamento, potrà essere valorizzato l’accordo individuale, attraverso una predeterminazione in esso del luogo di lavoro o, almeno, delle caratteristiche che lo stesso deve possedere, e dei meccanismi di preventiva comunicazione al datore di lavoro del luogo prescelto.
Resta in capo al datore di lavoro anche un dovere di vigilanza e di controllo, sia pure temperato dalla estraneità del luogo alla sede aziendale, ma non per questo solo formale o inefficace, dovendosi ritenere che il datore possa, per il tramite degli organi di controllo preposti o dei rappresentanti dei lavoratori (A.S.L., R.L.S., R.S.U., R.S.A.), svolgere ove necessario un sopralluogo, al pari di quanto previsto per il lavoro a distanza (art. 3, comma 10, d.lgs. 81 del 2008), con le cautele imposte dal rispetto della privacy nel caso di lavoro svolto nel domicilio del dipendente. Deve inoltre riconoscersi che il datore potrà negare il consenso al lavoro agile qualora non abbia prova della idoneità dei luoghi privati di lavoro prescelti e non siano disponibili valide alternative (es. luoghi di coworking, hub aziendali).
In tale contesto, l’obbligo di cooperazione che la legge pone a carico del lavoratore, in sintonia con le previsioni del T.U. (art. 20) non dovrà intendersi come limitato all’attuazione delle misure di protezione predisposte dal datore, ma dovrà comprendere anche la comunicazione di tutti gli elementi informativi necessari a consentire la corretta valutazione dei rischi ad opera del datore di lavoro medesimo.
4. La tutela contro gli infortuni e le malattie professionali.
L’art. 23 della legge n. 8 del 2017 estende ai lavoratori agili la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, come riconosciuta alla generalità dei lavoratori. I rischi tutelati sono, ovviamente, quelli ulteriori rispetto al lavoro intra moenia, connessi alla prestazione resa all’esterno dei locali aziendali, e alle attività prodromiche o accessorie della stessa, essendo l’obbligo assicurativo subordinato ai requisiti oggettivi (svolgimento di lavorazioni rischiose) e soggettivi (caratteristiche delle persone assicura¬te), previsti dal D.P.R. n. 1124 del 1965, come precisato dalla circolare Inail n. 48 del 2017.
La tutela assicurativa ruota attorno al requisito della “occasione di lavoro”, rivelatore di una diretta connessione tra l’evento lesivo e la prestazione lavorativa. Tale requisito è stato interpretato estensivamente dalla giurisprudenza, come tale da comprendere tutti i fatti inerenti all'ambiente di lavoro, alle macchine, alle persone, al comportamento colposo dello stesso lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione, ivi compresi gli spostamenti spaziali funzionali alla stessa, con l'unico limite del “rischio elettivo”.
Le peculiarità del lavoro svolto in modalità agile, sia per la elasticità delle previsioni sulla scelta del luogo della prestazione e sulla preventiva comunicazione al datore e sia per la possibile sovrapposizione o coincidenza dei luoghi di lavoro con quelli di vita privata e familiare, richiederanno un notevole impegno interpretativo, attento a non comprimere gli spazi di tutela, senza tuttavia sacrificare oltre misura il concetto di occasione di lavoro.
Analoghe riflessioni valgono per la disciplina dettata dalla legge n. 81 del 2017 riguardo all’infortunio in itinere. In tal caso la tutela assicurativa concerne gli infortuni “occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, […] quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza».
La disposizione si differenzia da quella dettata dall’art. 2, comma 3, del D.P.R. cit., in quanto introduce, con effetti limitativi della tutela in esame, la possibilità di un sindacato, in termini di ragionevolezza, sulla scelta del luogo della prestazione.
Non solo, ma attraverso tale sindacato dovrebbe verificarsi, inoltre, la funzionalizzazione della scelta del luogo della prestazione rispetto alle “esigenze connesse alla prestazione” medesima, oppure alle necessità conciliative vita-lavoro, bypassando il ruolo dell’accordo individuale sul punto e, a monte, la stessa previsione normativa che, in teoria, consente una prestazione “senza precisi vincoli di luogo” (art. 18, comma 1).
Esiste cioè una esigenza, che dovrà essere affrontata in sede applicativa, di rendere conciliabili le maglie larghe delle disposizioni sul lavoro agile con i vincoli necessariamente più rigorosi della tutela assicurativa, tenendo presente che, secondo la ratio ed anche la lettera della legge in esame, la finalità conciliativa costituisce il substrato della previsione normativa e il punto di partenza dell’accordo tra le parti del sinallagma lavorativo.