Testo integrale con note e bibliografia
1. Il presente contributo non intende offrire un esame approfondito dell’esperienza della Mitbestimmung tedesca, che, d’altro canto, è oggetto di attenzione ininterrotta, anche nel nostro Paese, sin quasi dai suoi esordi, situati nel clima effervescente della ricostruzione postbellica . In questa sede ci si limiterà a toccare fugacemente tre punti, di particolare interesse nella fase attuale in cui il dibattito sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese si sta risvegliando nel nostro Paese.
Anzitutto, ci si soffermerà sulle ragioni dell’eccezionalità tedesca in questa materia, radicata nella storia, nella società e nell’economia della Germania, ma, per certi versi, anche frutto di una certa casualità. Quindi, si procederà ad abbozzare i due pilastri della Mitbestimmung, ovvero la betriebliche Mitbestimmung (cogestione d’azienda) e la unternehmerische Mitbestimmung (cogestione d’impresa o societaria), concentrandosi, ovviamente, sulle caratteristiche principali. Il contributo si concluderà con una valutazione critica dell’esperienza tedesca, che ne evidenzi punti di forza e debolezza, senza indulgere in facili entusiasmi o manichee demonizzazioni.
2. Con riguardo alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, non vi sono dubbi che la Germania abbia raggiunto vette ineguagliate nel panorama europeo e mondiale. Le ragioni di questa peculiare situazione tedesca sono molteplici. Qualcuno ha scomodato le modalità con le quali è stata realizzata l’industrializzazione in Germania, nell’ambito di una stretta alleanza, perseguita dal Bismarck, tra i baroni della Ruhr e gli Junker prussiani, ove l’elemento culturalmente egemone era rappresentato da questi ultimi, che si caratterizzavano per una visione feudale e corporativa dei rapporti nella società e nelle imprese . In altri termini, la visione dell’impresa come comunità di produttori al servizio della nazione avrebbe favorito l’emergere delle strutture cogestionali.
La realtà pare più complessa. Per certi versi, l’eccezionalità tedesca è anche frutto del caso. I consigli d’azienda (Betriebsräte) vengono introdotti già alla fine dell’‘800 per contrastare il radicarsi del movimento sindacale (e socialista) nelle imprese: all’inizio, infatti, sono costituiti su iniziativa datoriale, pur nel rispetto delle blande prerogative stabilite dalla legge . Tuttavia, all’esito della rivoluzione di novembre, nella Costituzione di Weimar i consigli d’azienda diventano il fondamento di un progetto di democratizzazione dell’economia condiviso dai socialdemocratici, che, attraverso consigli partecipati dalle forze produttive a livello territoriale (Bezirkswirtschaftsräte), sale dalle fabbriche fino al Reich (Reichswirtschaftsrat) (art. 165) . Di questo ambizioso piano verrà realizzato soltanto il primo snodo, con la storica legge sui consigli d’azienda del 1920 (Betriebsrätegesetz) . Peraltro, il movimento sindacale mostra una spiccata diffidenza sia nei confronti di questo provvedimento normativo, sia nei confronti della legge postbellica del 1952 sull’ordinamento aziendale (Betriebsverfassungsgesetz), che amplia e rafforza i diritti di partecipazione dei consigli d’azienda. Nel sindacato è forte il timore che tale rappresentanza dei lavoratori possa essere strumentalizzata per limitare l’attività sindacale sui luoghi di lavoro. Con il tempo, tuttavia, il sindacato si impossessa dell’istituto e impara a sfruttare tutti i punti di forza della cogestione, creando importanti sinergie con la contrattazione collettiva . Nel 1972, quando la coalizione tra socialdemocratici e liberali riscrive il Betriebsverfassungsgesetz, questo processo si è ormai completato, e il sindacato si batte per attribuire ai consigli d’azienda nuovi e più robusti diritti di codecisione.
Il caso, per certi versi, porta anche alla nascita della cogestione societaria, forse l’istituto più emblematico del modello tedesco della Mitbestimmung. La legge del 1951 sulla cogestione nel settore carbosiderurgico (Montan-Mitbestimmung) legifica un’esperienza precedente, concordata fra sindacati e proprietari delle grandi imprese di questo settore, per evitarne lo smembramento e la statalizzazione da parte delle potenze occupanti la Germania Occidentale nell’immediato secondo dopoguerra (Francia, Regno Unito e Stati Uniti) . Mediante l’ingresso di rappresentanti dei sindacati nei consigli di sorveglianza delle società del settore carbosiderurgico, i proprietari intendevano dimostrare agli Alleati il carattere democratico di tali imprese ed evitarne la nazionalizzazione. Quest’ultima opzione era fortemente sostenuta da una parte della coalizione occupante, che voleva così stroncare alla radice ogni possibilità di riarmo tedesco: occorre, infatti, ricordare che proprio i grandi Konzerne del carbone e dell’acciaio avevano costituito la spina dorsale del militarismo hitleriano.
Se, dunque, alcuni capisaldi della cogestione tedesca sono stati posti quasi per una fortunata coincidenza di eventi, è però anche vero che questi istituti hanno trovato un humus particolarmente favorevole nell’economia e nella società tedesche. Il famoso “modello renano” è scolpito nella frase del giurista tedesco Walter Rathenau negli anni ‘20, secondo il quale la società di navigazione, i cui azionisti si lamentavano dei dividendi troppo esigui, non esiste per «distribuire dividendi a lorsignori, ma per far andare i battelli sul Reno». E’ chiaro che il concetto di interesse dell’impresa (Unternehmensinteresse) che sta dietro a questa frase è particolarmente sintonico con istituti del diritto del lavoro e del diritto commerciale che consentono l’espressione del punto di vista dei principali stakeholder dell’impresa, ovvero i lavoratori .
3. Il primo pilastro della cogestione tedesca, la betriebliche Mitbestimmung, è imperniato sulla dialettica tra il consiglio d’azienda e la direzione aziendale. Il Betriebsrat non è un organismo sindacale, bensì di rappresentanza generale dei lavoratori dell’unità produttiva: le liste per la sua elezione possono essere presentate anche da gruppi di lavoratori, non soltanto da organizzazioni sindacali. La sua elezione è prevista ogni quattro anni in tutte le unità produttive con almeno 5 dipendenti. Se in azienda non esiste alcun Betriebsrat, la procedura per la sua costituzione può essere avviata su iniziativa dei lavoratori stessi o del sindacato: se, tuttavia, nessuno attiva tale procedura, l’unità produttiva rimarrà priva di Betriebsrat .
Il Betriebsrat gode di importanti diritti di informazione e consultazione, che abbracciano tutte le più importanti vicende dell’unità produttiva. Ma ciò che veramente distingue il consiglio d’azienda da consimili organismi di altri Paesi, come i comités de empresa spagnoli o i comités sociaux et économiques francesi, sono i diritti di codecisione. Su questioni importanti in materia sociale e del personale il datore di lavoro non può decidere unilateralmente, ma deve negoziare con il consiglio d’azienda, per raggiungere un’intesa, che viene formalizzata in una pattuizione aziendale (Betriebsvereinbarung), con efficacia generalizzata per tutti i lavoratori. Se l’intesa non è raggiunta, interviene un organismo arbitrale imparziale (Einigungsstelle), che decide al posto delle parti, ispirandosi al bene dei lavoratori e dell’azienda secondo equità (nach billigem Ermessen). L’impugnazione di tale decisione da parte del consiglio d’azienda o del datore è possibile soltanto nel termine di decadenza di due settimane, e avviene assai di rado, stante l’ampia discrezionalità di cui gode l’organismo arbitrale grazie al riferimento della legge all’equità.
Le materie oggetto dei diritti di codecisione sono cruciali per la vita dell’azienda, e sono andate crescendo nel corso delle numerose riforme della legge sull’ordinamento aziendale. Abbracciano, in via esemplificativa: il regolamento d’azienda e il codice disciplinare; le modalità di erogazione della retribuzione e i principi di determinazione della retribuzione variabile; aspetti della salute e sicurezza sul lavoro non regolati dalla legge; gli strumenti di controllo tecnologico dei lavoratori; l’aumento e la riduzione collettiva dell’orario di lavoro; i criteri utilizzati per le assunzioni, gli inquadramenti, i licenziamenti, anche quando siano il frutto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale .
Il secondo pilastro della Mitbestimmung tedesca, la cogestione d’impresa o societaria, è imperniata sulla presenza di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) delle società di capitali tedesche . Nel modello duale di corporate governance vigente in Germania, il consiglio di sorveglianza è un organo fondamentale, in quanto nomina e revoca il consiglio di gestione (Vorstand) e ne supervisiona l’operato, di fatto presiedendo alla determinazione delle linee strategiche della società. I rappresentanti dei lavoratori siedono in quest’organo con parità di diritti e doveri rispetto agli altri componenti, nominati dall’assemblea degli azionisti.
In Germania esistono tre modelli di cogestione societaria, che si sono stratificati nel tempo. Il primo è quello vigente nel settore carbosiderurgico, nelle imprese con più di 1000 dipendenti, già menzionato: contenuto nel Montan-Mitbestimmungsgesetz del 1951, garantisce ancora oggi il maggior livello di influenza ai rappresentanti dei lavoratori. Infatti, il consiglio di sorveglianza delle società del settore carbosiderurgico assoggettate al regime cogestionale è composto di un numero dispari di membri. Gli azionisti e i rappresentanti dei lavoratori nominano un egual numero di componenti di loro pertinenza, mentre l’ulteriore componente, che deve rivestire carattere di imparzialità, è scelto con una complessa procedura volta a salvaguardare la sua equidistanza rispetto agli interessi degli azionisti e dei lavoratori.
Il secondo modello, detto della “cogestione di 1/3”, era originariamente disciplinato nel Betriebsverfassungsgesetz del 1952 e costituiva l’archetipo di generale applicazione. Oggi, invece, regolato dal Drittelbeteiligungsgesetz del 2004, è vigente solo nelle società di capitali con un numero di dipendenti compreso tra 500 e 2000 lavoratori (tra 500 e 1000 nel settore carbosiderurgico). Qui gli esponenti dei lavoratori raggiungono la quota di 1/3 dei consiglieri, mentre i restanti 2/3 sono nominati dall’assemblea degli azionisti.
Il terzo modello, introdotto dal Mitbestimmungsgesetz del 1976 dopo un lungo dibattito, innescato dalla relazione della Commissione Biedenkopf, è ora quello di generale applicazione in tutte le società di capitali tedesche con più di 2000 dipendenti. Benché prima facie dia l’impressione dell’agognata parità tra capitale e lavoro nel consiglio di sorveglianza, esso garantisce in realtà una leggera prevalenza ai rappresentanti degli azionisti. Infatti, benché l’Aufsichtsrat conti un numero pari di membri e sia pariteticamente composto, con la metà dei consiglieri nominati dall’assemblea e l’altra metà eletta dai lavoratori, anche su liste sindacali, ai componenti di nomina assembleare è attribuita una leggera prevalenza. Infatti, in caso di stallo decisionale, è sempre garantito il voto doppio al Presidente dell’organo, che non può mai essere eletto contro il volere degli azionisti (e, quindi, di norma è vicino alle loro posizioni).
4. Qualche valutazione conclusiva sull’esperienza tedesca.
Partendo dalla cogestione d’azienda, si è già detto di come essa sia stata sospettata in passato di depotenziare la contrattazione collettiva e di fomentare l’aziendalizzazione dei rapporti di lavoro, benché, per lo più, i sindacati siano riusciti ad appropriarsi dei consigli d’azienda e a instaurare con essi proficue sinergie. Ad ogni modo, il rischio non è totalmente scongiurato, anche perché il sindacato in Germania perde iscritti ormai da almeno due decenni, e il tasso di sindacalizzazione è piuttosto basso, attestandosi ormai sulla metà di quello italiano .
Inoltre, come si è già accennato, se nessuno prende l’iniziativa per la costituzione del Betriebsrat, quest’ultimo non può venire a esistenza, poiché nessun obbligo di istituirlo è posto in capo al datore di lavoro (come accade, invece, in Francia per il Comité social et économique e nei Paesi Bassi per l’ondernemingsraad ). In effetti, i consigli d’azienda esistono soprattutto nelle imprese medio-grandi e nell’industria, mentre sono quasi assenti in quelle più piccole e nel terziario avanzato. E dove non c’è il consiglio d’azienda, l’attività d’impresa si svolge come se la legge sull’ordinamento aziendale non esistesse: in altri termini, nelle aziende prive di Betriebsrat la cogestione non esiste.
Quanto alla unternehmerische Mitbestimmung, in passato gli imprenditori hanno chiesto a gran voce la generalizzazione della cd. cogestione di 1/3, mentre i sindacati, dal canto loro, si battono per la generalizzazione del modello “carbosiderurgico”, che è quello storicamente più prossimo all’aspirazione sindacale alla parità tra capitale e lavoro. Oggi, tuttavia, il problema più rilevante è quello della fuga dalla cogestione societaria, che può essere attuata utilizzando lo schema della società europea o adottando la forma societaria di uno Stato dell’Unione europea in cui non è prevista la cogestione . Il governo attualmente in carica ha promesso di chiudere queste possibilità di elusione , ma al momento non vi sono disegni di legge in via di elaborazione.
Ma la domanda sicuramente più intrigante è quella relativa all’efficienza economica della cogestione: qui le ricerche empiriche sono state numerosissime, anche se i risultati cui giungono non sono mai totalmente incontrovertibili. Ad ogni modo, quanto meno per il sistema economico tedesco, che, non va dimenticato, è imperniato sulla media e grande impresa con produzione diversificata di qualità , la cogestione sembra aver favorito un buon compromesso tra miglioramento delle condizioni di lavoro e redditività dell’impresa societaria, favorendo una visione di lungo termine del management . E per un Paese che, come tutti quelli dell’UE, deve affrontare la sfida della sostenibilità sociale nell’ambito della transizione ecologica e digitale, non è cosa di poco conto.
Quanto all’esportabilità del modello, non bisogna nutrire troppe speranze: come si è cercato di mostrare, si tratta di un sistema così peculiare e radicato nella storia e nella tradizione di relazioni industriali della Germania , che una sua introduzione acritica nel nostro Paese rischierebbe di arrecare soltanto danni, senza apportare i vantaggi sperati. Paiono, invece, ormai maturi i tempi per sperimentare nel nostro Paese meccanismi cogestionali che tengano conto delle caratteristiche del nostro tessuto economico e di relazioni sindacali, cercando di replicare gli effetti benefici che la Mitbestimmung ha prodotto in Germania. Ma la prospettazione di soluzioni concrete va oltre l’obiettivo di queste brevi note.