TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
TESTO DELLA LEGGE 28 APRILE 2022, N.46
1. La sentenza Corte Cost. n. 120/2018 sull’art. 1475 C.O.M. e le diverse posizioni della dottrina lavoristica in merito alla legge sulla libertà sindacale del personale militare.
Nel 2018, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120 del 20 giugno, ha deciso i giudizi di legittimità costituzionale inerenti all’art. 1475, comma 2, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare, d’ora in poi C.O.M.). Nello specifico, la Consulta – superando propri precedenti orientamenti – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, C.O.M., in quanto prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» invece di prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali» . Si è trattato di un’atipica sentenza sostitutiva da parte della Consulta (.
Nel “Considerato in diritto” di tale pronuncia, la Corte ha stabilito alcuni principi particolarmente rilevanti, qui sinteticamente riassunti: 1. va riconosciuto ai militari il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale (punto 11); 2. le specificità dell’ordinamento militare giustificano l’esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle esigenze di compattezza ed unità degli organismi che compongono l’ordinamento delle Forze Armate ai sensi dell’art. 52, comma 3, Cost. (punto 13.3); 3. la corretta attuazione della disciplina costituzionale della materia e i valori che essa sottende sono di tale rilevanza da rendere incompatibile con la disciplina stessa un riconoscimento non specificamente regolamentato del diritto di associazione sindacale (punto 15).
A prescindere dalle problematiche inerenti la fase transitoria successiva alla sentenza n. 120/2018, di cui pure la Consulta si è occupata (v. i punti 16, 17 e 18 del “Considerato in diritto”), nonché le controversie giudiziali sorte in tale fase tra le nascenti associazioni professionali a carattere sindacale e le diverse Forze Armate o Forze di polizia ad ordinamento militare ( ), la dottrina lavoristica si è interrogata sul contenuto dell’intervento normativo richiesto al legislatore e, in particolare, sui limiti alla libertà sindacale riconosciuta al personale militare ( ).
Sul punto sono state formulate alcune osservazioni critiche in merito alla sentenza della Consulta ed è stato affermato che se si fossero ritenute applicabili tutte le norme già dedicate agli organismi pubblici della rappresentanza militare, le nuove associazioni dei militari avrebbero perso qualunque connotato sindacale e la decisione della Corte costituzionale avrebbe finito per “togliere” esattamente tutto quello che aveva riconosciuto: il divieto, cioè, sarebbe rientrato «dalla finestra sotto altre vesti, dopo essere uscito dalla porta. Precisato ciò, comunque, riuscire a distinguere fra norme applicabili in via analogica o meno ai sindacati di militari non è una operazione semplice». A tale domanda, secondo questo Autore, avrebbe quindi potuto rispondere efficacemente «solo un legislatore attento e capace di assumere anche un atteggiamento critico nei confronti di una decisione che desta alcune perplessità» ( ).
Al riguardo, parte della dottrina ha affermato che il necessario intervento legislativo avrebbe dovuto disegnare il sindacato dei corpi militari con le seguenti caratteristiche: divieto di aderire ad altre associazioni sindacali e conseguente costituzione di sindacati di soli appartenenti ai corpi militari, divieto di esercizio del diritto di sciopero, ma organizzazione e funzionamento delle associazioni sindacali rimesso alla libera autodeterminazione delle singole associazioni, nel rispetto dell’art. 39, comma 1, della Costituzione ( ).
Il medesimo Autore ha successivamente precisato che – sempre in attuazione dell’art. 39, comma 1, della Carta costituzionale – nel dibattito parlamentare non si sarebbe dovuta smarrire la finalità fondamentale del futuro intervento legislativo, vale a dire riunificare la disciplina della rappresentanza sindacale e della contrattazione collettiva a tutela di tutti gli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia (ad ordinamento civile e militare), mutuando, sia pure nelle necessarie specificità, il modello della legislazione sindacale esistente nel pubblico impiego privatizzato ( ).
In modo che si ritiene maggiormente condivisibile, altra parte della dottrina aveva invece rilevato come la Consulta non avesse inteso dare ingresso ad un riconoscimento incondizionato del principio di libertà sindacale alle forze armate e non postulasse affatto l’estensione ai militari del diritto sindacale vigente per i lavoratori pubblici e privati: quindi, nessun semplicistico parallelismo poteva essere ipotizzato tra i modi e le condizioni con cui si è storicamente realizzato il principio di libertà sindacale ed i modi e le condizioni con cui tale principio poteva fare ingresso nell’ordinamento militare, ordinamento la cui assoluta specialità richiedeva invece un necessario adattamento del principio di libertà sindacale in esito ad un doveroso bilanciamento tra valori costituzionali e, prima ancora, tra ordinamenti – quello militare e quello intersindacale – che tali valori innervano. In altri termini, per l’Autrice di tali riflessioni, era perciò necessario tratteggiare la portata di quel nucleo essenziale minimo di prerogative che l’affermazione del principio di libertà sindacale dei militari porta con sé, portata ben delimitata che sicuramente non avrebbe potuto «condurre a confondere le organizzazioni sindacali in generale con le associazioni professionali a carattere sindacale dei militari, così come … a confondere le prerogative di libertà con i diritti sindacali» ( ).
Secondo altra, pure convincente, opinione si può quindi parlare più che di una caducazione del divieto di associazione sindacale, di una sua riscrittura anche se in una veste più soft, nel senso che il diritto di associazione sindacale nell’ordinamento militare è riconosciuto, ma sottoposto a limiti di natura sostanziale e organizzativa ( ).
Anche chi scrive aveva già avuto modo di osservare come il Legislatore non potesse pensare di applicare o trasporre sic et simpliciter l’ordinamento sindacale “compiuto” nell’ordinamento militare senza tener adeguatamente conto dei meccanismi e principi peculiari dell’Amministrazione militare e delle relative necessità anche funzionali ed organizzative, pure tutelate a livello costituzionale dall’art. 52 ( ).
In ogni caso e a prescindere da tali diversi orientamenti della dottrina lavoristica, il Parlamento – in conseguenza del monito della Consulta – ha prontamente avviato l’iter legislativo volto ad approvare «Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo».
Il percorso parlamentare per il varo della legge si è tuttavia rivelato piuttosto lungo e complicato, ma del resto è stato puntualmente osservato che il compito assegnato al legislatore si presentava particolarmente delicato, in quanto la trasposizione a livello normativo generale di “condizioni e limiti” di costituzione delle associazioni stesse imponeva «tutta una serie di puntualizzazioni di carattere giuridico di non lieve momento che, sulla base del tracciato costituzionale, …, diano corpo a soggetti sindacali idonei allo scopo» ( ), tenendo in adeguata considerazione il fatto che l’art. 52, comma 3, della Costituzione, nel riferirsi all’«ordinamento delle Forze armate», riassume la specialità della funzione svolta.
Questo contributo si pone quindi specificamente l’obiettivo di illustrare – anche attraverso la disamina del dibattito parlamentare, nonché delle previgenti disposizioni del C.O.M. – l’iter legislativo che ha portato all’approvazione della L. 28 aprile 2022, n. 46 (contenente appunto «Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo»), di indicarne i punti salienti ed alcuni possibili profili di criticità, tenendo conto pure degli aspetti applicativi connessi alla peculiarità dell’ordinamento militare, nonché conclusivamente di formulare alcune brevi osservazioni in merito al ponderato e prudente bilanciamento tra i valori costituzionali della libertà sindacale di cui all’art. 39 e quelli dell’ordinamento militare di cui all’art. 52 (senza tralasciare i possibili riflessi recati dai principi di imparzialità e neutralità previsti dagli artt. 97 e 98 Cost.).
2.1. L’iter parlamentare che ha portato all’approvazione della L. n. 46/2022.
L’approvazione di una legge sulla libertà sindacale del personale militare ha dato origine a un inevitabile bilanciamento tra parti politiche che difficilmente avrebbero trovato un punto di coesione e di sintesi senza l’intervento della Corte Costituzionale, considerato che la mancata convergenza su un testo condiviso aveva lungamente comportato il rigetto di numerose iniziative legislative in proposito ( ).
L’iter parlamentare della Legge qui analizzata è stato, peraltro, accompagnato da alcune prese di posizione del Ministero della Difesa e del Consiglio di Stato. Ci si riferisce, in particolare, alla circolare del Ministero della Difesa del 21 settembre 2018 (“Sentenza della Corte costituzionale n. 120/2018. Procedure per la costituzione di associazioni professionali tra militari a carattere sindacale”), che definiva le «condizioni soggettive, oggettive e funzionali» per la realizzazione di un sistema associativo adeguato al comparto militare, e al conseguente parere del Consiglio di Stato, sez. II, del 14 novembre 2018, in cui: 1. si precisava come le associazioni professionali a carattere sindacale dovessero essere circoscritte ai soli militari in servizio attivo ed ausiliari ai fini della salvaguardia del requisito di professionalità di tali associazioni; 2. veniva preclusa ai delegati della Rappresentanza Militare la possibilità di ricoprire incarichi direttivi in seno alle associazioni professionali a carattere sindacale, così da mantenere su due piani distinti fenomeno sindacale e rappresentativo ( ); 3. venivano sollecitate precisazioni in merito alla possibilità di costituire associazioni rivolte a problematiche comuni di specifici gradi, all’estraneità dalle competizioni politiche, al divieto di rieleggibilità. Successivamente, il Ministero della Difesa si esprimeva ulteriormente tramite la circolare del 30 aprile 2019, chiarendo alcuni importanti profili (controllo preventivo, trasparenza e pubblicità, sostenibilità finanziaria) e prevedendo una fase transitoria di convivenza tra associazioni professionali a carattere sindacale ed organismi di rappresentanza.
Il cammino parlamentare che ha condotto all’approvazione della Legge n. 46 del 2022 trae origine, invece, dall’iniziativa legislativa presentata alla Camera dei Deputati il 5 luglio 2018, con la formulazione del testo delle “Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo” (A.C. 875: proposta di legge Corda ed altri), con successivi abbinamenti dell’A.C. 1060 Maria Tripodi e delle proposte di legge C. 1702 Pagani e C. 2330 Ferrari. Il testo veniva esaminato in Aula e approvato in prima lettura il 22 luglio 2020, passando quindi all’esame del Senato della Repubblica e, in particolare, della Commissione Difesa dello stesso in sede referente (A.S. 1893): l’esame in Aula e l’approvazione, con numerose modifiche, giungevano a compimento il 17 novembre 2021. Il provvedimento tornava quindi alla Camera in seconda lettura con l’atto C. 875-B, fino ad arrivare a definitiva approvazione il 20 aprile 2022 e conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il successivo 12 maggio.
Già ad una prima lettura sembra che le «Norme sull’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare» vadano oltre quanto richiesto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 120/2018: la Legge non si limita, infatti, a riconoscere in modo minimale la libertà sindacale (nel rispetto della coerenza, efficienza e coesione del mondo militare), ma viene regolata la stessa attività associativa, specificando altresì rimedi giurisdizionali e criteri attuativi. Diversi sono stati peraltro, nel corso dell’iter legislativo, gli argomenti oggetto di dibattito che hanno visto coinvolti numerosi giuslavoristi, studiosi di altre materie giuridiche, come pure i principali vertici militari e gli esponenti degli Organi di rappresentanza militare, i quali hanno contribuito a chiarire e modellare i pilastri del testo legislativo compiuto.
Approfondendo i principali motivi di confronto, si nota immediatamente il rifiuto della definizione “sindacati militari”, sostituita con quella di «associazioni professionali a carattere sindacale», in una sorta di attenuazione del ruolo innovativo della norma in esame ( ) e probabilmente nell’intento di sottolineare il carattere puramente professionale di tali associazioni, al contrario delle “normali” organizzazioni sindacali che coinvolgono anche ambiti economico-politici, non consoni per neutralità ed imparzialità all’ordinamento militare ( ).
Nella fase antecedente la genesi legislativa, aveva destato perplessità la mancata differenziazione funzionale tra le associazioni rivolte al personale delle Forze armate e quelle per le Forze di polizia ad ordinamento militare ( ). Di rilievo anche i dibattiti sulla possibilità o meno di utilizzare il precedente della Polizia di Stato quale modello di riferimento ( ): come sostenuto da autorevole dottrina, il rischio di attuare una differenziazione normativa netta era quello di ottenere «una disciplina legislativa arretrata, costretta ad inseguire, invece di incamerare, risultati già ottenuti» ( ). Una delle principali problematiche riguardava pure la scelta tra un sistema monista, costituito dalle sole associazioni professionali a carattere sindacale, e uno dualista, che avrebbe visto anche il contributo e la persistenza delle Rappresentanze Militari ( ).
Si chiedevano poi maggiori delucidazioni in merito all’assenso ministeriale, in particolar modo relativamente alla tipologia di controllo, alla sua periodicità e ai requisiti organizzativi richiesti ( ). Permaneva, infatti, l’insoddisfazione di quella parte della dottrina ( ) che riteneva gli obblighi preliminari non necessari (rectius incompatibili con il comma 1 dell’art. 39 Cost.), considerandoli al limite semplici oneri per «una maggiore condivisione di scopi e finalità dell’organizzazione sindacale» ( ).
Riguardo l’attività sindacale stessa, era motivo di interesse l’individuazione delle materie escluse dalla competenza di tali associazioni, la differenziazione tra attività di servizio e attività sindacale, l’elettività delle cariche e la previsione di requisiti di moralità (in ipotesi inseriti in un codice etico).
Si era discusso anche sulle soglie di rappresentatività ( ), eventualmente differenziate per il periodo transitorio, interrogandosi anche sulla modalità di computo (basata o sul numero degli iscritti o sul numero dei voti) e sul livello di negoziazione richiesto ( ). Infine, il dibattito parlamentare si era concentrato anche sull’annosa questione della competenza giurisdizionale per le controversie relative a tali associazioni professionali ( ), vedendo contrapposto chi si poneva a sostegno di un (ritenuto) più imparziale Giudice del lavoro e chi invece spingeva per un (ritenuto) più competente Giudice amministrativo.
2.2. La L. n. 46/2022: il testo definitivo ed i punti di particolare rilievo.
Entrando nel merito del testo di recente emanazione, l’art. 1 – rubricato «Diritto di associazione sindacale» – sostituisce il comma 2 dell’art. 1475 C.O.M. come segue: «In deroga al comma 1, i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare o interforze». Si afferma dunque il carattere professionale dell’associazione e la possibilità di un’organizzazione interforze.
L’articolo prosegue poi sottolineando il regime separato dell’organizzazione sindacale dei militari rispetto l’ordinamento statale: «il diritto di libera organizzazione sindacale, di cui all’articolo 39 della Costituzione, è esercitato dagli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia a ordinamento militare, con esclusione del personale della riserva e in congedo, nel rispetto dei doveri e dei princìpi previsti dall’articolo 52 della Costituzione» ( ).
Viene inoltre fatto divieto di aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale differenti da quelle previste dall’art. 1475 comma 2 C.O.M., così come di aderire contemporaneamente a più associazioni. A partire dalla proposta A.C. 875-B, il personale che non può aderire alle associazioni viene limitato alla categoria degli allievi: dunque gli allievi carabinieri, gli allievi finanzieri, gli allievi delle scuole militari, gli allievi marescialli in ferma, gli allievi ufficiali in ferma prefissata e gli allievi ufficiali delle accademie militari.
L’art. 2 definisce le caratteristiche costitutive delle associazioni professionali: devono dunque essere realizzate sotto forma di associazione, ispirandosi ai «princìpi di democrazia, trasparenza e partecipazione e nel rispetto dei princìpi di coesione interna, neutralità, efficienza e prontezza operativa delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare». Devono dotarsi di uno statuto ispirato a: «a) democraticità dell’organizzazione sindacale ed elettività delle relative cariche, orientate al rafforzamento della partecipazione femminile; b) neutralità ed estraneità alle competizioni politiche e ai partiti e movimenti politici; c) assenza di finalità contrarie ai doveri derivanti dal giuramento prestato dai militari; d) trasparenza del sistema di finanziamento e assenza di scopo di lucro; e) rispetto degli altri requisiti previsti dalla presente legge».
L’art. 3 regola le procedure per la costituzione delle associazioni: viene attribuito al Ministero della Difesa e, per il Corpo della Guardia di Finanza, al Ministero dell’economia e delle finanze, il compito di effettuare un accertamento di coerenza dello statuto rispetto alle norme di legge (entro sessanta giorni dal deposito dello statuto, che deve avvenire entro cinque giorni lavorativi dalla costituzione dell’associazione); viene inoltre precisato che «non sono consentiti, nelle more del predetto procedimento, l’esercizio delle attività sindacali né la raccolta dei contributi sindacali». È inoltre previsto un accertamento periodico dei requisiti di legge, da effettuarsi almeno ogni tre anni; riguardo il diniego del Ministero competente o la successiva perdita dei requisiti, la comunicazione deve essere tempestiva e, soprattutto, motivata: le controversie relative a tale approvazione sono da considerarsi sotto la giurisdizione del giudice amministrativo.
Tale disposizione è stata criticata in più sedi ( ), in quanto non espressamente prevista dalla sentenza n. 120 del 2018 e quindi considerabile come un semplice strumento di controllo, derogatorio all’art. 39 comma 1 Cost. Il preventivo assenso del Ministero non risultava gradito nemmeno dal COCER Interforze nell’audizione alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati nel febbraio 2019 ( ): in tale sede, si era appunto sottolineato come il mancato riferimento a tale assenso nella sentenza n. 120/2018 non potesse essere considerato sic et simpliciter una giustificazione adeguata al suo inserimento, poiché la Corte non era stata interpellata espressamente in merito; allo stesso tempo, il riferimento alla preventiva registrazione per il diritto di associazione sindacale ex art. 39 comma 2 Cost. costituisce una fattispecie (oltre che inattuata) nettamente differente da un’autorizzazione ministeriale. A sostenere l’inopportunità di una tale autorizzazione interna all’apparato militare stesso, emergono – sempre in sede di audizione parlamentare – i pareri del Professor Giovanni Guzzetta e del Professor Pietro Lambertucci ( ), i quali avevano sottolineato l’incongruenza tra una disposizione costituzionale (l’art. 39) ed una legge ordinaria più restrittiva, così come non sembrava agli stessi altrimenti giustificabile la disparità di trattamento rispetto la libera costituzione dei sindacati ex L. n. 121 del 1981. In particolare, spiccava l’ampio riferimento agli statuti di dette associazioni, i cui requisiti apparivano quantomai sfumati nel contenuto, a cominciare dal principio della “democraticità”. In senso contrario, altre opinioni ( ) avevano rilevato come tale assenso fosse coerente con le peculiarità delle Forze armate e di polizia ad ordinamento militare, in quanto utile per valutare la democraticità, neutralità e trasparenza dell’associazione, e soprattutto che tali requisiti fossero mantenuti nel tempo.
Maggiormente accettato e condiviso ( ) è stato, invece, il divieto di aderire ad altre associazioni differenti da quelle previste dalla Legge, poiché lo stesso limite era stato già previsto esplicitamente dalla Consulta nel 2018. Tuttavia, sono da sottolineare le parole dell’On. Pagani (intervento del 9 aprile 2020 sulla proposta di legge Corda) che, al contrario, promuovevano un maggior legame con le associazioni di natura civile: «il corporativismo dei militari non è affatto positivo ed una maggiore apertura al confronto con le problematiche generali della società italiana, che il dialogo con le rappresentanze degli altri lavoratori e dei pensionati potrebbe favorire, sarebbe, a nostro parere, utile e positivo». Sulla falsa riga di tale opinione, erano inoltre emerse proposte a favore di eventuali convenzioni con associazioni esterne all’Amministrazione di riferimento ( ).
Tornando alla disamina della Legge, l’art. 4 prevede una serie di limiti previsti per le associazioni professionali a carattere sindacale, tra cui il divieto di: «a) assumere la rappresentanza di lavoratori non appartenenti alle Forze armate o alle Forze di polizia a ordinamento militare; b) preannunciare o proclamare lo sciopero, o azioni sostitutive dello stesso, o parteciparvi anche se proclamato da organizzazioni sindacali estranee al personale militare» (così come promuovere manifestazioni pubbliche in uniforme o con armi di servizio); «g) promuovere iniziative di organizzazioni politiche o dare supporto, a qualsiasi titolo, a campagne elettorali afferenti alla vita politica del Paese»; in merito alla denominazione, è vietato il riferimento diretto o indiretto ad organizzazioni politiche o associazioni per cui sia previsto il divieto di adesione. È stato poi aggiunto il divieto di adesione o affiliazione ad associazioni sindacali diverse da quelle costituite dalla Legge in esame, al fine di tutelarne l’autonomia.
Un limite particolarmente rilevante è il divieto di mono-categorialità, contenuto nella lett. d) del sopracitato articolo, al fine di favorire la promozione di interessi plurimi: si vieta infatti di «assumere la rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale, anche se facenti parte della stessa Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare. In ogni caso, la rappresentanza di una singola categoria all’interno di un’associazione professionale a carattere sindacale tra militari non deve superare il limite del 75 per cento dei suoi iscritti». La disposizione si inserisce nel più ampio dibattito ( ) inerente alla questione di un’adeguata rappresentatività di coloro che svolgono incarichi di comando, cui sono riconducibili interessi e doveri inevitabilmente diversi da altri militari. Nei più recenti anni infatti si è guardata con sospetto la commistione tra associazioni professionali e rapporto gerarchico, in quanto il più grande rischio è stato considerato la costituzione di un ulteriore canale e strumento decisionale, in grado di alterare le disposizioni ordinamentali sul dovere di esecuzione dell’ordine o di creare in ipotesi estreme vere e proprie “vendette trasversali” nei confronti dei Comandanti che si oppongano alle richieste riconducibili all’attività sindacale. Al riguardo, parte della dottrina aveva rilevato che «l’assunzione di un ruolo antagonista non si concilierebbe con i doveri che derivano dal rapporto gerarchico e dall’obbedienza, assunti quali presupposti essenziali dell’efficienza militare. A tal fine la difesa erariale aveva evidenziato come la disciplina militare, intesa quale regola fondamentale a fini di coesione e di efficienza delle Forze Armate (art. 2 del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545), verrebbe irrimediabilmente incisa dall’accoglimento della questione di costituzionalità concernente il divieto di sindacalizzazione. L’Avvocatura dello Stato aveva infatti osservato che riconoscere la libertà di associazione professionale tra militari relativizzerebbe i rapporti gerarchici, in quanto nell’ambito delle attività associative rileverebbero competenze diverse da quelle attinenti al servizio, determinando una confusione di ruoli» ( ).
Peraltro, onde evitare incompatibilità difficilmente gestibili, l’art. 8 della L. n. 46/2022 esclude dai soggetti eleggibili, alla lettera d) del comma 2, colui che rivesta le funzioni di Comandante di Corpo, fermi restando i limiti eventualmente previsti dai successivi decreti attuativi per determinati incarichi.
Ci si è chiesti in sede di approvazione se tali limiti non debbano essere considerati un’ingiustificata compressione dei diritti sindacali per i militari che rivestono incarichi di comando ( ). È bene infatti ricordare che, fermo restando il difficile compito di responsabilità, l’Ufficiale non è da considerarsi in modo assoluto quale datore di lavoro, bensì il più delle volte una categoria peculiare del personale militare, da tutelare e da inserire nel dibattito sindacale al pari di ogni altro grado: ciò a prescindere dalla responsabilità attribuitagli nella corresponsione di permessi e distacchi e nell’autorizzazione dell’attività assembleare ex art. 10, comma 2 della L. n. 46/2022. Non a caso, è da sottolineare la proposta in sede di audizioni ( ) di una eventuale previsione di soglie minime di rappresentatività di diverse categorie all’interno della stessa associazione professionale: fermo restando il limite della mono-categorialità e del 75% per la rappresentatività di una sola categoria (art. 4, comma 1, lett. d), è importante evitare vuoti di tutela che comporterebbero inevitabilmente una carenza di compattezza nella compagine militare. D’altro canto, il Sen. Castiello ( ) aveva espresso le sue perplessità con queste parole: «si prevede il divieto di rappresentare in via esclusiva una o più categorie di personale, incidendo sulla libertà dell’organizzazione del sindacato. Non è comprensibile perché un sindacato non possa rappresentare - per esempio - solo gli interessi del ruolo marescialli o dei graduati. È ancora più grave la previsione per la quale la rappresentanza di una singola categoria non debba superare il limite del 75 per cento degli iscritti al sindacato. Ciò, infatti, comporta l'impossibilità di iscrizione da parte del personale, la cui categoria abbia già raggiunto tale percentuale, e implica chiaramente una soppressione della libertà e della volontà di aderire ad uno specifico sindacato».
Si rileva, d’altro canto, che un adeguato bilanciamento tra interessi di categorie professionali diverse permetterebbe di conseguire due obiettivi: ridurre il rischio di una sorta di “lotta di classe” contro le figure di comando, elemento capace di degenerare in uno sfasamento del rapporto gerarchico e della coesione interna; garantire una tutela sindacale riservata anche agli Ufficiali (o comunque al personale impiegato in attività di comando). La previsione di soglie minime di partecipazione, come proposto anche dalla Professoressa Silvia Ciucciovino in sede di audizione ( ), permetterebbe inoltre un equilibrio migliore nella tutela degli interessi collettivi dei militari, così come un’adeguata valutazione delle problematiche e delle garanzie da assicurare ai diversi livelli gerarchici. Nell’audizione in Commissione Difesa del 13 febbraio 2019, il diritto sindacale viene appunto considerato uno strumento utile per la risoluzione di problematiche interne al rapporto gerarchico (quali, per fare un solo esempio, ore di straordinario non retribuite) che altrimenti non troverebbero altra sede di discussione se non le vie legali; un dibattito sindacale, al contrario, consentirebbe un minor dispiego di energie e una maggiore coesione interna del Reparto.
Riprendendo l’esame della Legge, l’art. 5 individua le competenze delle associazioni: «1. Le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari curano la tutela collettiva dei diritti e degli interessi dei propri rappresentati nelle materie di cui al comma 2, garantendo che essi assolvano ai compiti propri delle Forze armate e del Corpo della Guardia di Finanza e che l’adesione alle associazioni non interferisca con il regolare svolgimento dei servizi istituzionali».
L’articolo prosegue con l’elencazione delle materie di competenza delle associazioni professionali a carattere sindacale, un intervento innovativo ma soggetto a successivi sviluppi e integrazioni, di carattere legislativo (v. infra il § 2.3) e anche di carattere interpretativo: si fa riferimento ai «contenuti del rapporto di impiego del personale militare, indicati agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, nonché all’articolo 46, comma 2, del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95, come modificato dal comma 5 del presente articolo» («Disciplina dei trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate»), all’assistenza fiscale e consulenza in materia previdenziale, alle provvidenze per gli infortuni subiti e le infermità contratte in servizio e per causa di servizio, alle pari opportunità, alle prerogative sindacali sulle misure di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, alle attività culturali e ricreative. Su tali materie le associazioni possono presentare osservazioni e proposte ai Ministeri competenti, essere ascoltate dalle Commissioni parlamentari e chiedere di essere ricevute dai Ministri competenti e dagli organi di vertice delle Forze Armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, secondo quanto stabilito dal comma 4.
Il comma 3 prevede, invece, le ipotesi di esclusione di competenza, che ricalcano quelle già previste per la Rappresentanza Militare dall’art. 1478, comma 7, C.O.M.: «è comunque esclusa dalla competenza … la trattazione di materie afferenti all’ordinamento militare, all’addestramento, alle operazioni, al settore logistico-operativo, al rapporto gerarchico-funzionale nonché all’impiego del personale in servizio». Con le esclusioni previste della Legge in esame, si privano quindi le associazioni della competenza su questioni attinenti all’impiego del personale, evidenziando una presumibile voluta genericità nella definizione delle argomentazioni inquadrabili in tale categoria.
Si è qui di fronte a quello che il Professor Giovanni Guzzetta ( ) ha definito come un “doppio elenco” di competenze: ovvero quelle vietate alle associazioni professionali a carattere sindacale e quelle concesse. Le prime sono contenute nell’art. 5 comma 3 della Legge in esame e, come detto, ricalcano i limiti già previsti per le Rappresentanze Militari ex art. 1478, comma 7 C.O.M. (ordinamento militare, addestramento, operazioni, settore logistico-operativo, rapporto gerarchico-funzionale, impiego del personale in servizio); le seconde sono invece inserite in un corposo elenco, ricomprendente le materie afferenti ai contenuti del rapporto di impiego del personale militare, all’assistenza fiscale e alla consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali dei propri iscritti, all’attività lavorativa di coloro che cessano dal servizio militare, agli infortuni sul lavoro, alle pari opportunità, alla salute e sicurezza del personale, agli spazi e attività culturali, assistenziali e ricreative. La presenza di un doppio elenco comporta inevitabilmente il rischio di sovrapposizione di materie che si possono inserire in una zona grigia, tra il consentito ed il non vietato, o nei casi più controversi, tra il consentito ed il proibito: si pensi per esempio allo sfumato confine tra «rapporto di impiego» (comma 2) e «impiego del personale» (comma 3). Questo aspetto di incertezza, criticato dai vertici delle varie Amministrazioni militari, richiede inevitabilmente un costante approfondimento per non incorrere in un’inconsapevole violazione di confini argomentativi. Allo stesso tempo, secondo autorevole dottrina lavoristica ( ), risulta macchinoso muoversi negli strumenti negoziali riconosciuti all’associazione professionale a carattere sindacale: laddove si parla infatti di “sindacato” è inevitabile riconoscere un potere contrattuale, che tuttavia viene, nel corso dell’approvazione della Legge, ridotto ad un’interlocuzione negoziale in cui appare difficile comprendere quanto effettivamente sia suscettibile di contrattualizzazione, soprattutto in merito all’impiego del personale.
Seguono poi disposizioni relative alle articolazioni periferiche delle associazioni e alle relative competenze, che tra l’altro prevedono la verifica del rispetto e applicazione della contrattazione nazionale, interloquendo con l’amministrazione di riferimento, e – per le articolazioni periferiche delle associazioni riconosciute rappresentative a livello nazionale ex art. 13 (v. infra) – il confronto con le articolazioni di ciascuna amministrazione militare a livello areale (e comunque non inferiore al livello regionale) con riguardo a tematiche di competenza sindacale aventi esclusiva rilevanza locale, ma senza alcun ruolo negoziale (art. 6, comma 2, lett. c) e comma 3).
Norme sul finanziamento trasparente delle associazioni, attuabile solo con i contributi degli iscritti «e con le attività di assistenza fiscale e consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali a favore dei propri iscritti», sono contemplate dall’art. 7 della L. n. 46/2022, ove si prevede anche l’obbligo di rendere conoscibili al pubblico i bilanci (comma 5) e si demanda al Ministro competente l’emanazione di un decreto per regolare le modalità di versamento delle trattenute sulla retribuzione in base alle deleghe rilasciate dai militari (comma 4) ( ).
L’art. 8 disciplina le cariche direttive, esclusivamente elettive e rispettose del principio di pari opportunità. Il comma 4 limita la durata delle cariche in esame, al fine di non creare “militari sindacalisti per professione”: pertanto «la durata delle cariche … è di quattro anni e non può essere frazionata. Non è consentita la rielezione per più di due mandati consecutivi. Coloro che hanno ricoperto per due mandati consecutivi le cariche … sono nuovamente rieleggibili trascorsi tre anni dalla scadenza del secondo mandato». Il comma 5 pone anche un limite al distacco sindacale, che sospende il rapporto di impiego: «nessun militare può essere posto in distacco sindacale per più di cinque volte». Al fine di evidenziare l’importanza di un adeguato bilanciamento tra attività sindacale e consapevolezza dell’azione nel servizio, è utile menzionare l’audizione del 19 marzo 2019, ove si rifletteva sulla possibilità di predisporre un periodo minimo di attività di servizio (cinque o sei anni) per poter svolgere, con maggiore esperienza delle dinamiche dell’amministrazione di riferimento, le funzioni sindacali: la proposta è stata effettivamente recepita, essendo stato previsto un minimo di cinque anni di servizio per l’eleggibilità (art. 8, comma 1). È stata invece accantonata la proposta del disegno di legge Corda che prevedeva il dovere di consegna ad ogni militare, all’atto dell’arruolamento o alla presa di servizio presso un nuovo reparto, dell’elenco dei nominativi e dei recapiti dei delegati della competente rappresentanza unitaria di base.
Allo stesso tempo, sono previsti specifici obblighi formativi in modo da consentire una diffusa conoscenza nella materia sindacale e poter favorire una sorta di rotazione del personale munito di incarichi rappresentativi. Così, al fine di far acquisire consapevolezza al militare non solo sui propri doveri, ma anche sui propri diritti, nonché per mantenere vivo l’interesse per l’evoluzione delle associazioni professionali a carattere sindacale, la proposta di legge n. 875 prevedeva l’inserimento della materia «elementi di diritto del lavoro e di diritto sindacale in ambito militare» negli ordinamenti didattici delle scuole di formazione, di base e delle Accademie militari. L’idea era stata particolarmente apprezzata tanto dai rappresentanti delle nascenti associazioni ( ) (che sottolineavano l’importanza di una formazione sindacale rivolta soprattutto alle Accademie militari, al fine di consentire un pacifico inserimento delle associazioni all’interno della linea gerarchica), tanto dai vertici delle Amministrazioni militari ( ), alcuni dei quali avevano proposto di integrare il già valorizzato studio del diritto sindacale negli istituti di formazione con discipline ad hoc ed incontri periodici con le associazioni professionali. La Legge del 2022 mette nero su bianco tale obbligo formativo nell’art. 15 comma 3, traducendolo direttamente dall’originaria proposta di legge Corda. Alla diffusione della sensibilità per il diritto in ambito sindacale sono riconducibili anche gli specifici obblighi di informazione previsti per le associazioni professionali, indicati dai rispettivi statuti.
Viene poi ulteriormente dettagliata l’attività sindacale, che può esser svolta ordinariamente fuori dal servizio da parte dei rappresentanti delle associazioni (art. 9, comma 1). È prevista, per le associazioni riconosciute rappresentative a livello nazionale ex art. 13 (v. infra), la possibilità di fruire di un locale comune dell’Amministrazione nella sede centrale (o comunque non inferiore al livello regionale) da adibire ad ufficio (art. 9, comma 2). Vengono ulteriormente disciplinate le disposizioni in tema di distacchi e permessi sindacali retribuiti e non retribuiti (art. 9, commi 3 e seguenti, nei quali si rinvia alle procedure di contrattazione e a ulteriori interventi governativi delegati ai fini del coordinamento normativo, su cui v. infra il § 2.3, ed all’emanazione del regolamento di attuazione della medesima L. n. 46). Al riguardo, l’art. 16, comma 4 della L. n. 46 – cui esplicitamente rinvia l’art. 9, comma 5 – stabilisce che «con decreto adottato dal Ministro per la pubblica amministrazione, sentiti i Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze, nell’ambito delle rispettive competenze, e le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, è determinato … il contingente dei distacchi e dei permessi sindacali per ciascuna Forza armata e Forza di polizia a ordinamento militare, da ripartire tra le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari con criterio proporzionale»: una disposizione che sembra da un lato restringere la portata dell’attività sindacale (delegando all’esecutivo il compito di meglio specificare un dettato quanto mai vago), dall’altro muoversi in un tentativo di evitare uno spasmodico ed eccessivo ricorso ad assenze dal servizio che possano risultare pregiudizievoli per i fini istituzionali.
L’art. 10 regola il diritto di assemblea, che può esser svolta fuori dal servizio (o durante l’orario di servizio nel limite di dieci ore annue individuali) e con l’uso dell’uniforme nei locali messi a disposizione dall’amministrazione (senza l’uso dell’uniforme in luoghi aperti al pubblico). L’ordine del giorno deve essere comunicato in anticipo, deve vertere su materie di competenza delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari ed è richiesto uno spirito cooperativo da parte dei comandanti, poiché «le modalità di tempo e di luogo per lo svolgimento delle riunioni sono concordate con i comandanti al fine di renderle compatibili con le esigenze di servizio» (comma 3).
La disposizione è tanto più interessante se si considera che una delle prime difficoltà riscontrate già a partire dalla Rappresentanza Militare è stata la conciliabilità dell’azione sindacale con le esigenze di servizio. La norma ha perso l’assunto previsto dal disegno di legge n. 2330, laddove si faceva riferimento anche al requisito di «non interferire con il regolare svolgimento delle attività istituzionali».
L’art. 13 prevede specifici requisiti di rappresentatività per individuare le associazioni legittimate alla contrattazione e all’esercizio dei diritti sindacali: «1. Le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono considerate rappresentative a livello nazionale, ai fini delle attività e delle competenze specificamente individuate dalla presente legge, quando raggiungono un numero di iscritti almeno pari al 4 per cento della forza effettiva complessiva della Forza armata o della Forza di polizia a ordinamento militare. Qualora l’associazione professionale a carattere sindacale sia invece costituita da militari appartenenti a due o più Forze armate o Forze di polizia a ordinamento militare, la stessa dovrà avere una rappresentatività non inferiore al 3 per cento della forza effettiva in ragione della singola Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare, rilevata al 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui si renda necessario determinare la rappresentatività delle associazioni medesime». Unico criterio a cui si dà rilievo ai fini della consistenza associativa è quello dell’adesione, che deve corrispondere ad un contributo sindacale di una certa entità, in una misura non inferiore allo 0,5 per cento dello stipendio. Si chiarisce inoltre che per la forza effettiva misurata per la consistenza associativa non si considera il personale che, ai sensi di legge, non può aderire a tali associazioni; sono, inoltre, ridotte in via transitoria le soglie di rappresentatività previste: di due punti percentuali per i primi tre anni dall’entrata in vigore della Legge e di uno per i successivi quattro anni.
Con riferimento alle procedure di contrattazione, l’art. 11 della L. n. 46 attribuisce appunto alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari riconosciute rappresentative a livello nazionale i poteri negoziali al fine della contrattazione nazionale di comparto. Le procedure che disciplinano i contenuti del rapporto di impiego del personale militare si concludono con l’emanazione di distinti decreti del Presidente della Repubblica concernenti, rispettivamente, il personale delle Forze armate e il personale delle Forze di polizia a ordinamento militare. Tali decreti sono emanati a seguito a seguito di accordi sindacali stipulati da delegazioni composte: a) per la parte pubblica dal Ministro per la pubblica amministrazione, che la presiede, e dai Ministri della difesa e dell’economia e delle finanze, alla quale partecipano il Capo di stato maggiore della difesa, accompagnato dai Capi di stato maggiore delle Forze armate, per l’accordo concernente il personale delle Forze armate, e i Comandanti generali dell’Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, per l’accordo concernente il personale delle Forze di polizia a ordinamento militare; b) per la parte sindacale da rappresentanti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari rappresentative del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, individuate con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione secondo i criteri stabiliti dal suddetto art. 13 (le delegazioni delle organizzazioni sindacali sono composte dai rappresentanti di ciascuna organizzazione sindacale).
Per quanto attiene agli obblighi informativi, si prevede che le amministrazioni militari del Ministero della difesa e del Ministero dell’economia e delle finanze comunichino alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari riconosciute rappresentative a livello nazionale il contenuto delle circolari e delle direttive da emanare con riferimento alle materie di loro competenza (art. 12).
L’art. 14 prevede poi specifiche tutele e diritti per i militari che ricoprono cariche elettive nelle associazioni rappresentative a livello nazionale: relativamente alla libertà di espressione, i rappresentanti delle associazioni «non sono perseguibili in via disciplinare per le opinioni espresse nello svolgimento dei compiti connessi con l’esercizio delle loro funzioni, fatti salvi i limiti della correttezza formale e i doveri derivanti dal giuramento prestato, dal grado, dal senso di responsabilità e dal contegno da tenere, anche fuori del servizio, a salvaguardia del prestigio istituzionale» (lett. a); possono manifestare il loro pensiero in ogni sede e su tutte le questioni non soggette a segreto professionale, nei limiti di legge e nelle materie di loro competenza, su cui possono anche inviare comunicazioni scritte ad altro personale militare (lett. d ed e).
In merito alla libertà di critica e di manifestazione del pensiero, risulta dunque doveroso un discrimine tra critica costruttiva e le fattispecie configurabili quali attività sediziose. Il reato principale di tale categoria è individuato nell’ordinamento militare dall’art. 182 del codice penale militare di pace, rubricato «Attività sediziosa», in base al quale «il militare, che svolge un’attività diretta a suscitare in altri militari il malcontento per la prestazione del servizio alle armi o per l’adempimento di servizi speciali, è punito con la reclusione militare fino a due anni»: riguardo la legittimità costituzionale di tale dettato, la Consulta si è già pronunciata ( ), dichiarando che non possono essere incriminate le semplici critiche, per quanto aspre, alle istituzioni ed all’ordinamento militare, mentre devono considerarsi perseguibili evidenti segnali di ostilità o ribellione contro le stesse, causa inevitabile di disgregazione dell’unità dell’apparato militare. Sulla stessa scia, l’art. 183 del c.p.m.p. punisce la pubblica diffusione di manifestazioni o grida sediziose. Ad una prima valutazione, sembra pertanto potersi ritenere incluso nella ratio della L. n. 46/2022 il diritto a critiche nei confronti dell’Istituzione idonee a migliorare le condizioni lavorative dei militari.
Riguardo il dettato dell’art. 184 c.p.m.p., avente ad oggetto la raccolta di sottoscrizioni per rimostranze e la libertà di adunanza, viene in tale sede punita la condotta del militare che raccolga o aderisca a sottoscrizioni per una collettiva rimostranza o protesta in cose di servizio militare o attinenti alla disciplina, così come colui che promuove arbitrariamente un’adunanza di militari (o vi partecipa); fa da corollario alla disposizione l’articolo seguente, che si oppone al rilascio arbitrario di dichiarazioni o attestazioni concernenti cose o persone militari. Riguardo la legittimità costituzionale dell’art. 184 c.p.m.p., con riferimento agli artt. 17 e 21 Cost., la Consulta ha rigettato la questione ( ) in quanto non esiste un principio costituzionale che autorizzi i militari a riunirsi senza previa autorizzazione dell’Autorità militare, né dovrebbero considerarsi limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero la valutazione di oggetto e modalità di riunione, poiché è di preminente interesse l’integrità dell’Istituzione militare di volta in volta attenzionata.
D’altra parte, sono da ricordare anche i limiti alla libertà di critica previsti dall’ordinamento internazionale: la libertà d’espressione sindacale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo trova tutela anzitutto con riferimento all’art. 10 CEDU, che riconosce ad ogni persona il diritto alla libertà d’espressione e specifica che «tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera»; tuttavia, al paragrafo 2 si prevede che «l’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario». Allo stesso tempo, l’art. 11 CEDU prevede il diritto di ogni persona alla libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi, ma non vieta che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di questi diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o delle amministrazioni dello Stato.
Di fronte alle eventuali perplessità sulla definizione tra quanto consentito e quanto proibito, è utile sottolineare la prospettiva di un rinnovo dell’assetto disciplinare militare, oggi contemplata dall’art. 16 della Legge n. 46 del 2022, ove si prevede una novellazione delle disposizioni vigenti entro diciotto mesi ( ) dall’entrata in vigore della Legge, conferendo al riguardo specifica delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi volti al coordinamento normativo.
L’art. 14 entra poi anche nel merito del trasferimento, poiché i militari che ricoprono cariche elettive nelle associazioni professionali a carattere sindacale riconosciute rappresentative a livello nazionale: «b) non possono essere trasferiti a un’altra sede o a un altro reparto ovvero essere sostituiti nell’incarico ricoperto al momento dell’elezione, se non previa intesa con l’associazione professionale a carattere sindacale tra militari alla quale appartengono, salvi i casi di incompatibilità ambientale o di esigenza di trasferimento dovuta alla necessità di assolvere i previsti obblighi di comando e le attribuzioni specifiche di servizio e … anche per dichiarazione dello stato di emergenza; c) non possono essere impiegati in territorio estero singolarmente, fatte salve le esigenze delle unità di appartenenza». La prima perplessità riscontrabile in tale assunto è sicuramente la vincolatività più o meno stringente dell’intesa con l’associazione professionale di riferimento: secondo i più ( ) tale parere è infatti da considerarsi come non vincolante, onde evitare di incorrere in fattispecie che facciano venir meno il rispetto degli obblighi istituzionali (si pensi, per esempio, al militare che si impegni nello svolgere un ruolo all’interno dell’associazione professionale, anche per più mandati, al fine di conservare la permanenza in una determinata sede). È, peraltro, ovviamente sotteso a tale disposizione il divieto di trasferimento a scopo “punitivo” per comportamenti tenuti o dichiarazioni rilasciate nell’esercizio delle funzioni sindacali.
Allo stesso tempo, risulta di dubbia interpretazione la deroga prevista per «i casi di incompatibilità ambientale»: al riguardo, è parsa evidente ( ) la necessità di una più completa definizione per mezzo dei successivi decreti attuativi, al fine di non dover ricorrere ad un generale canone ermeneutico dei principi generali. D’altra parte, il criterio guida dovrebbe esser quello della neutralità e della proporzionalità: ossia, la scelta del trasferimento dovrebbe calibrare tanto le esigenze del personale all’esplicazione del proprio mandato, tanto le necessità di servizio. Oltretutto, specifiche deroghe dovrebbero esser contenute nei decreti attuativi per determinati impieghi di personale (si pensi al personale impegnato in attività di navigazione), che comporterebbero inevitabilmente situazioni di incompatibilità con l’attività sindacale. Al riguardo, l’art. 9, comma 15 della Legge n. 46/2022 prevede che la specifica delega al Governo comprenda anche la disciplina delle «particolari limitazioni all’esercizio dell’attività di carattere sindacale da parte del personale impiegato in attività operativa, addestrativa, formativa ed esercitativa, anche fuori del territorio nazionale, inquadrato in contingenti o a bordo di unità navali ovvero distaccato individualmente, secondo il seguente principio e criterio direttivo: consentire l’esercizio e la tutela dei diritti sindacali del personale militare salvaguardando le preminenti esigenze di funzionalità, sicurezza e prontezza operativa correlate alle specifiche operazioni militari».
In tema di giurisdizione per la risoluzione delle controversie afferenti l’àmbito disciplinato dalla Legge in esame, l’art. 17 attribuisce la competenza al giudice amministrativo, «anche quando la condotta antisindacale incide sulle prerogative dell’associazione professionale a carattere sindacale tra militari». Originariamente, la proposta di legge prevedeva che – in deroga all’articolo 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ( ) e dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori – le controversie in materia sindacale andassero devolute al giudice amministrativo, mentre la condotta antisindacale dovesse essere considerata di piena competenza del giudice del lavoro di primo grado del luogo in cui fosse posto in essere il comportamento denunciato. Al contrario, la proposta di legge dell’On. Pagani n. 1702 inseriva nel progetto di riforma del C.O.M. l’art. 1475-vicies, che prevedeva la sola competenza del giudice amministrativo.
A favore della giurisdizione ordinaria sembravano deporre diversi elementi giuridici e normativi: oltre agli articoli già sopra menzionati, si pensi all’abrogazione, grazie alla L. n. 83/2000, dei commi 6 e 7 dell’art. 28, che devolvevano le controversie per condotta antisindacale dei dipendenti pubblici al giudice amministrativo. Va peraltro rilevato che l’art. 133 del codice del processo amministrativo annovera invece, tra i casi di esclusiva giurisdizione del giudice amministrativo, i rapporti del personale in regime di diritto pubblico, senza far alcun riferimento specifico alle controversie sindacali.
Al riguardo, in sede referente l’On. Aresta si era pronunciato in senso contrario alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto ciò avrebbe portato pregiudizi quali «l’impossibilità di ammettere tutti i mezzi di prova che sono consentiti nel rito ordinario» ( ), oltre a comportare un aggravio in termini di oneri e tempistiche processuali. Il problema della giurisdizione è evidente anche nel confronto con la Polizia ad ordinamento civile, in quanto non sembra risultare giustificato il differente trattamento delle medesime condotte antisindacali, di competenza amministrativa per il solo personale con le stellette. Numerosi esperti di diritto del lavoro avevano condiviso le perplessità in merito ad una giurisdizione amministrativa riservata alle sole controversie sindacali dei militari, considerando la competenza del giudice del lavoro anche per il settore pubblico non contrattualizzato (come emerso dall’audizione del Professor Lambertucci del 20 marzo 2019). Sull’altro versante, alcuni parlamentari (vedasi l’intervento dell’On. Ferrari ( )), giustificavano il ricorso al giudice amministrativo quale espressione delle peculiarità dell’ordinamento militare, nonché quale figura maggiormente idonea a valutare le casistiche dell’Amministrazione militare.
Il legislatore ha preferito, infine, orientarsi verso la competenza del giudice amministrativo, previo eventuale tentativo di conciliazione davanti commissioni appositamente costituite (art. 18, L. n. 46). Tale scelta è stata infatti considerata utile al mantenimento della coesione interna e della prontezza operativa dell’apparato militare, in ragione della maggiore expertise dei tribunali amministrativi in materia di rapporto di impiego del personale militare, della loro minore parcellizzazione sul territorio rispetto alle sezioni di lavoro del tribunale civile, nonché all’unica sede, il Consiglio di Stato, competente a decidere sull’eventuale impugnazione. D’altra parte, nel corso della fase consultiva, il Professor Giovanni Maria Flick ( ) aveva precisato la necessaria connessione tra il contesto militare e la giurisdizione amministrativa, escludendo l’alterazione delle libertà di azioni sindacali.
L’articolo 19, relativo ad abrogazioni e norme transitorie, ha inoltre posto fine all’ipotesi di un sistema dualistico: è disposto infatti che le norme sulla rappresentanza militare vengano abrogate al momento dell’entrata in vigore del decreto del Governo per il coordinamento normativo delle disposizioni del D.Lgs. n. 195/1995, del D.Lgs. n. 95/2017 e del C.O.M. (v. infra il § 2.3). Si specifica inoltre, al comma 3, che «le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, che alla data di entrata in vigore della presente legge abbiano già conseguito l’assenso del Ministro competente, si adeguano ai contenuti e alle prescrizioni della presente legge entro novanta giorni dalla medesima data di entrata in vigore. Decorso tale termine, il Ministro competente effettua sulle predette associazioni i controlli previsti dall’articolo 3».
Riguardo il tramonto della Rappresentanza militare, già il disegno di legge n. 2330 (On. Ferrari) aveva stabilito il limite di novanta giorni di attività dall’entrata in vigore della legge per l’espletamento di sole funzioni amministrative (art. 18), prevedendo tuttavia un limite di sei mesi dall’emanazione dei decreti attuativi di modifica al C.O.M. prima di procedere alla completa eliminazione delle Rappresentanze (art. 16).
I più immediati (e vaghi) termini per l’interruzione di tale forma di Rappresentanza pongono inevitabilmente alcune perplessità. È da sottolineare, infatti, il complesso “passaggio di consegne” nella tutela collettiva degli interessi dei militari: pur rendendosi necessario il superamento della Rappresentanza Militare, è infatti indubbia la funzione propositiva ( ) ed integrativa costantemente svolta dalla stessa, funzione che però deve confluire nel sistema delle associazioni professionali a carattere sindacale. Si deve, peraltro, considerare che le Rappresentanze hanno avuto un ruolo centrale anche nelle discussioni parlamentari per l’approvazione della Legge sulle associazioni professionali: un aspetto anche questo dibattuto tra coloro che ritenevano l’ingerenza e l’intervento di tali Rappresentanze eccessivi e chi invece sottolineava criticamente lo scarso valore riconosciuto alle audizioni delle stesse ( ).
Sull’opinione di chi sosteneva la possibilità di utilizzare entrambi i sistemi rappresentativi, ha prevalso tuttavia la tesi di quanti ritenevano che ciò avrebbe danneggiato gli elevati standard di efficienza operativa delle organizzazioni militari, comportando oltretutto un rilevante impatto connesso alla necessità di assicurare confronti a livello tanto centrale quanto periferico, con un conseguente appesantimento ed una sottrazione del numero di militari impiegati nel servizio molto più elevata. Tuttavia, da più parti è stato sollevato il problema del rischio di un vuoto di rappresentanza tanto nel periodo transitorio quanto nella fase di costituzione delle associazioni professionali e della misura della loro rappresentatività e si è espresso l’auspicio un corretto coordinamento tra le nascenti associazioni e le Rappresentanze Militari, al fine di non creare periodi di transizione in cui i militari non siano adeguatamente tutelati. Il rischio è, appunto, quello di perdere i risultati finora raggiunti dagli Organi di Rappresentanza, ferme restando le problematiche connesse a tali Organi. Anche la Professoressa Ciucciovino, durante la sua già citata audizione alla Commissione Difesa del Senato, ha analizzato con attenzione la problematica del periodo transitorio, sottolineando come sarebbe opportuna l’attesa di una delegazione perfettamente formata e rappresentativa degli interessi dei militari, prima della completa abrogazione dell’istituto della Rappresentanza Militare.
Allo stesso tempo, il coordinamento si ritiene non debba consistere in un pedissequo trasferimento di personale dalle Rappresentanze alle associazioni professionali: proprio in virtù dei problemi riscontrati nei precedenti sistemi rappresentativi, si prevede coordinamento, ma non prosecuzione di un sistema lungamente criticato, la cui ripetizione non consentirebbe un effettivo rinnovamento nell’apparato della garanzia dei diritti sindacali dei militari, oltre a paventare il rischio dell’instaurazione del “militare sindacalista”, limitazione di pluralismo dialettico in seno alle associazioni professionali a carattere sindacale e possibile onere per l’Amministrazione (in termini di assenza dal servizio).
Ci si chiede, infine, quali possano essere le alternative agli Organi di Rappresentanza Militare (COBAR) specificatamente previste per gli istituti di formazione, così come agli istituti peculiari previsti per i militari in congedo, in quanto gli stessi rappresentano comunque categorie di personale che in ragione della recente Legge vedrebbero venir meno un riconoscimento dei propri interessi, in una quantomai singolare situazione di reformatio in peius.
2.3. Gli interventi successivi all’entrata in vigore della L. n. 46: il Decreto del Ministro della Difesa del 26 luglio 2022 e il D.Lgs. n. 206/2022 sulle procedure di contrattazione e l’istituzione delle aree negoziali per i dirigenti.
Come rilevato anche supra al § 2.2., il processo di implementazione dell’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare non può ritenersi concluso con l’entrata in vigore della L. n. 46.
Infatti, l’art. 16 della medesima L. n. 46 contempla al suo interno norme di delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi volti al coordinamento normativo con il C.O.M., nonché con il D.Lgs. n. 195/1995 recante procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate e l’art. 46, D.Lgs. n. 95/2017 inerente alla disciplina dei trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: a) abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che disciplinano gli istituti della rappresentanza militare; b) novellazione del C.O.M., al fine di inserirvi le disposizioni della L. n. 46; c) modificazioni e integrazioni normative necessarie per il coordinamento delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti con le norme della L. n. 46; d) semplificazione e maggiore efficienza delle procedure di contrattazione del comparto sicurezza e difesa, attraverso la previsione di un primo livello di negoziazione nel quale regolare gli aspetti comuni a tutte le Forze armate e le Forze di polizia a ordinamento militare, nonché di un secondo livello attraverso cui regolare gli aspetti più caratteristici delle singole Forze armate e Forze di polizia a ordinamento militare, ivi compresa la distribuzione della retribuzione accessoria e di produttività; e) istituzione di un’area negoziale per il personale dirigente delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nel rispetto del principio di equiordinazione con le Forze di polizia a ordinamento civile e dei vincoli previsti dal suddetto art. 46 del D.Lgs. n. 95/2017.
Inoltre il già citato art. 7, comma 4 della L. n. 46 demandava al Ministro competente l’emanazione di un decreto per regolare le modalità di versamento delle trattenute sulla retribuzione in base alle deleghe rilasciate dai militari A tale ultimo riguardo, il Decreto del Ministro della Difesa in data 26 luglio 2022 ha previsto puntualmente le “Modalità di versamento alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari delle trattenute sindacali mensili sulla retribuzione operate dall’amministrazione in base alle deleghe rilasciate dai rispettivi iscritti”: oltre ad aspetti di carattere operativo, il decreto ha ribadito che «ai sensi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 4, della legge, è ammessa un’unica delega su una singola retribuzione o trattamento pensionistico. Una nuova delega riferita ad altra associazione, sulla medesima retribuzione o trattamento pensionistico produce effetti previa revoca di quella precedente».
Più recentemente – in attuazione dell’art. 16, comma 1, lett. d) ed e) della L. n. 46 – è stato emanato il D.Lgs. 25 novembre 2022, n. 206 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 10 del 13 gennaio 2023) recante «Disposizioni di adeguamento delle procedure di contrattazione per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare, nonché per l’istituzione delle relative aree negoziali per i dirigenti».
Come rilevato nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo sottoposto ai pareri delle competenti Commissioni di Camera e Senato, l’art. 1 di tale decreto legislativo introduce, per il personale delle Forze armate e per il personale delle Forze di polizia a ordinamento militare, istituti e procedure di contrattazione secondo modelli analoghi a quelli in vigore per il personale delle Forze di polizia a ordinamento civile.
L’art. 1, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 206/2022 interviene sull’art. 2 del D.Lgs. n. 195/1995, definendo la composizione della delegazione di parte pubblica e di quella sindacale ai fini della stipulazione di accordi sindacali conformemente a quanto previsto dall’art. 11, comma 3 della L. n. 46. In particolare, la delegazione di parte sindacale per il personale delle Forze armate e per il personale delle Forze di polizia a ordinamento militare è composta dai rappresentanti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari riconosciute rappresentative individuate ai sensi dell’art. 13 della L. n. 46.
Le disposizioni dell’art. 1, comma 1, lett. b) e c) del D.Lgs. n. 206/2022 integrano invece rispettivamente l’art. 4 e l’art. 5 del D.Lgs. n. 195/1995 inserendo tra le materie oggetto di contrattazione per le Forze di polizia a ordinamento militare e per le Forze armate il contingente massimo dei distacchi autorizzabili, il numero massimo annuo dei permessi retribuiti per i rappresentanti delle associazioni rappresentative, la misura dei permessi e delle aspettative sindacali non retribuiti che possono essere concessi ai rappresentanti sindacali. Ne risulta che sono oggetto di contrattazione: a) il trattamento economico fondamentale e accessorio; b) il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari; c) la durata massima dell’orario di lavoro settimanale; d) le licenze; e) l’aspettativa per motivi privati e per infermità; f) i permessi brevi per esigenze personali; f-bis) il contingente massimo dei distacchi autorizzabili, il numero massimo annuo dei permessi retribuiti per i rappresentanti delle associazioni rappresentative, la misura dei permessi e delle aspettative sindacali non retribuiti che possono essere concessi ai rappresentanti sindacali; g) il trattamento economico di missione, di trasferimento e di lavoro straordinario; h) i criteri di massima per l’aggiornamento professionale ai fini dei servizi di polizia; i) i criteri per l’istituzione di organi di verifica della qualità e salubrità dei servizi di mensa e degli spacci, per lo sviluppo delle attività di protezione sociale e di benessere del personale, ivi compresi l’elevazione e l’aggiornamento culturale del medesimo, nonché per la gestione degli enti di assistenza del personale; l) l’istituzione dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.
L’art. 1, comma 1, lett. d) del D.Lgs. n. 206/2022 prevede modifiche ed integrazioni all’art. 7 del D.Lgs. n. 195/1995 nei seguenti termini: la sostituzione degli organi della Rappresentanza militare con le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari; la sostituzione degli schemi di provvedimento riferiti al “sistema della concertazione” con gli accordi sindacali; l’inserimento dei commi 3-ter e 3-quinquies, che disciplinano lo svolgimento delle trattative sindacali attraverso due livelli di negoziazione, riferiti, il primo, agli aspetti comuni alle Forze di polizia a ordinamento militare e alle Forze Armate, il secondo, agli aspetti più caratteristici delle singole Forze di polizia a ordinamento militare e delle singole Forze Armate, compresa la distribuzione della retribuzione accessoria e di produttività.
L’art. 2, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 206/2022 modifica invece l’art. 46 del D.Lgs. 95/2017 e prevede l’istituzione delle aree negoziali, limitate agli istituti normativi in materia di rapporto di lavoro e ai trattamenti accessori, per i dirigenti delle Forze di polizia a ordinamento militare e per i dirigenti delle Forze armate. La lett. c) dell’art. 2, comma 1, definisce la composizione della delegazione di parte pubblica e di quella sindacale ai fini della stipulazione di accordi sindacali relativi ai dirigenti. In particolare, la delegazione di parte sindacale per i dirigenti delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare è composta dai rappresentanti di livello dirigenziale delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari rappresentative a livello nazionale anche del personale dirigente individuate secondo i criteri dell’art. 13 della L. n. 46.
La relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo sottoposto ai pareri delle competenti Commissioni di Camera e Senato ha, peraltro, chiarito che non sono state esercitate invece le restanti deleghe per motivi ostativi di carattere tecnico-giuridico: in particolare, «le deleghe di cui alla lettera a) e alle connesse lettere b) e c) dell’articolo 16 presuppongono che il neo introdotto sistema delle associazioni sindacali risulti avviato in maniera compiuta, attraverso il riconoscimento della rappresentatività a livello nazionale. Il legislatore, infatti, all’articolo 19, comma 2, della legge ha previsto la prosecuzione del mandato dei delegati della rappresentanza militare anche oltre la data di entrata in vigore della legge, fino all’entrata in vigore del primo decreto del Ministro per la pubblica amministrazione di cui all’articolo 11, comma 3, lettera b), della legge, al fine di consentire la partecipazione alle procedure di concertazione, se in corso. Al momento, quindi, non è possibile attuare il coordinamento normativo abrogando la rappresentanza militare e la legge n. 46 del 2022. Il mancato esercizio delle deleghe comunque non pregiudica l’esercizio della libertà sindacale, poiché la stessa risulta garantita dalla permanenza in vigore della predetta legge; la delega di cui all’articolo 9, commi 15 e 16, relativo al decreto legislativo riguardante le limitazioni all’esercizio dell’attività sindacale in attività operativa, addestrativa, formativa e esercitativa, prevede che debbano essere sentite le associazioni rappresentative a livello nazionale ai sensi dell'articolo 13 della legge. Considerato il breve lasso di tempo, nessuna delle 5 associazioni sinora iscritte all’albo del Ministero della difesa ha raggiunto le percentuali minime di iscritti per essere riconosciuta rappresentativa da parte del competente Ministro per la Pubblica Amministrazione».
Anche alla luce di tali ultime osservazioni è evidente che la disciplina dell’esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare necessiterà nei prossimi mesi di rilevanti ed ulteriori interventi di modifica, integrazione e novellazione.
3. Il bilanciamento tra la libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. e l’ordinamento militare di cui all’art. 52 Cost.
La Legge n. 46 del 28 aprile 2022 e i successivi interventi normativi rappresentano un nuovo inizio per la tutela degli interessi dei militari, legittimando uno strumento dai contorni ancora non del tutto precisati. L’ultimo diaframma per l’inserimento dell’apparato militare nel contesto delle libertà costituzionali e per la realizzazione della piena compatibilità dell’ordinamento delle Forze armate con lo spirito democratico della Repubblica (ex art. 52 Cost.) è stato superato dal riconoscimento di una speciale forma di espressione sindacale (ex art. 39 Cost.) per il personale munito di stellette, in linea con un processo di democratizzazione che coinvolge da qualche anno progressivamente l’Europa e gli scenari internazionali.
Di fronte a tale rilevante mutamento si pone con forza la questione di come raggiungere – dal punto dell’interpretazione della novella legislativa, come pure da quello delle ricadute pratiche dell’applicazione della L. n. 46/2022 – il punto di bilanciamento tra i principi e le regole dell’ordinamento militare e le dinamiche di azione, rivendicazione e di tutela tipiche del mondo sindacale.
Al riguardo, si deve ritenere in termini generali che restrizioni ai diritti anche sindacali del cittadino-militare possano legittimamente derivare dai princìpi organizzativi che ineriscono alla struttura del singolo Corpo, qualificando in modo necessario il rapporto di impiego nel comparto sicurezza/difesa (gerarchia, obbedienza, prontezza, coerenza interna e compattezza) ed evidenziando la necessità di fissare ponderati e proporzionali limiti nell’esercizio di alcuni di questi diritti ( ).
Emblematico dell’importanza di tale bilanciamento è, del resto, già l’art. 1465 («Diritti riconosciuti dalla Costituzione») C.O.M., in base al cui comma 1 «ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali».
In questo senso, e per tornare ad un argomento già affrontato supra, basti pensare alla necessaria rivalutazione e riconsiderazione – rispetto al punto di approdo raggiunto in ambito “civile” – dei limiti e confini della libertà d’espressione e del diritto di critica sindacale in ambito militare ( ), anche ai fini del loro esercizio legittimo ovvero, viceversa, della sussistenza dei presupposti per ipotesi sanzionabili ai sensi della disciplina militare di cui agli artt. 1346 ( ) e seguenti del C.O.M. ( ), laddove emergano possibili violazioni dei doveri di fedeltà di cui all’art. 1348 C.O.M. e di quelli attinenti al giuramento e al contegno militare di cui agli artt. 712 e 732 del D.P.R. n. 90/2010 («Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare»), come pure al senso di responsabilità di cui all’art. 717 ( ).
E, per fare un altro esempio, è necessario si ponga attenzione ad un appropriato contemperamento tra le tutele dei militari che ricoprono cariche elettive nelle associazioni professionali riconosciute rappresentative a livello nazionale e il potere dell’amministrazione di trasferimento dei militari, necessario e funzionale ad una ordinaria ed efficiente organizzazione delle Forze Armate e di Polizia: l’interpretazione dell’art. 14, comma 1, lett. b) della L. n. 46/2022 comporta in sostanza la definizione del giusto equilibrio tra la guarentigia sindacale e il trasferimento d’autorità e, quindi, le esigenze di servizio. Ciò implica conseguenze rilevanti non solo con riferimento alla questione teorica del bilanciamento tra i valori costituzionali di cui agli artt. 39 e 52 Cost., ma assume un’immediata rilevanza e dei risvolti senza precedenti anche dal punto di vista pratico-operativo, organizzativo e di impiego del personale. Pure sotto questo profilo, l’equilibrata ponderazione della dialettica “ordinamento militare-ordinamento sindacale” impone l’auspicabile raggiungimento nel più breve tempo possibile di orientamenti interpretativi e quindi applicativi condivisi, chiari e definiti, che non lascino spazio ad incertezze e alle conseguenti prevedibili controversie giudiziarie (peraltro già manifestatesi sul punto in modo piuttosto rilevante nel periodo successivo alla sentenza n. 120/2018 e prima dell’approvazione della L. n. 46/2022).
Di particolare importanza sarà anche la definizione di un’adeguata tutela degli interessi di tutte le categorie di personale e, al contempo, il riconoscimento delle varie esigenze, onde evitare la retrocessione ad un sistema rappresentativo gerarchico come quello ormai in via di superamento della Rappresentanza Militare.
Oltremodo, è auspicabile che i decreti legislativi scaturenti dall’art. 16 della L. n. 46 ai fini del coordinamento normativo, nonché le necessarie modifiche alle norme dell’ordinamento militare e l’adozione del regolamento di attuazione della legge, contribuiscano in concreto a chiarire (almeno parzialmente) quelle zone d’ombra evidenziate anche nei paragrafi precedenti. Se infatti è vero che spesso è la normativa di dettaglio a fare la differenza in termini di qualità del processo di applicazione di una legge, tale affermazione pare ancor più convincente nel momento in cui si tratta di tradurre in termini materiali i risultati della difficile operazione di bilanciamento tra libertà sindacale e ordinamento militare.
È, quindi, fondamentale un monitoraggio continuo dell’efficacia della L. n. 46, nonché una valutazione sui suoi successivi sviluppi, che evidenzieranno gli scostamenti più ingestibili tra l’attività sindacale e la realtà militare.
La struttura amministrativa del settore della difesa e sicurezza italiana è infatti in continua evoluzione, ed il benessere del personale non può che rappresentare lo strumento centrale per assicurare lo svolgimento efficiente e sereno dell’attività istituzionale. Per mezzo delle associazioni professionali a carattere sindacale sembra potersi realizzare pienamente l’inserimento dello spirito democratico nell’organizzazione militare: il sacro dovere di difesa della Patria non pare, infatti, elidere una consapevolezza nella tutela degli interessi collettivi dei militari; il sistema democratico e quello militare si muovono di pari passo, consentendo un miglioramento nella valorizzazione del personale, una maggiore garanzia per lo stesso ed una più consapevole partecipazione alla realtà democratica dello Stato.
L’aspetto più pregnante sarà il non farsi travolgere dal timore di una modifica del sistema comunicativo interno, ma, anziché chiudersi ad una naturale evoluzione della professione militare, permettere (nei modi di volta in volta ritenuti opportuni ed equilibrati) l’insediamento della novità sindacale nella realtà operativa, valorizzandola in ogni categoria e promuovendo soluzioni efficaci per arricchire l’Amministrazione in divisa.
Siamo dunque ormai lontani da quanto affermato da un poeta contemporaneo, per cui «nessuna libertà mai potrà essere raccontata da un militare» ( ). In una delicata attività di bilanciamento tra la difesa della Patria e l’esercizio della libertà di organizzazione sindacale, si fa strada un nuovo approccio organizzativo sotteso all’Amministrazione militare, nell’ottica della piena valorizzazione della persona-soldato in tutte le sue potenzialità.