Testo integrale con note e bibliografia
1. La specialità del rito Fornero.
Con il c.d. rito Fornero per le controversie in materia di licenziamenti individuali assoggettate al regime di tutela reale, il legislatore si prefigurava l’idea di offrire un procedimento sommario, più snello di quello previsto dagli artt. 413 ss. c.p.c. che, di fronte ad esigenze urgenti di sostentamento della persona, potesse consentire di giungere velocemente ad una decisione capace di produrre effetti immediati .
La finalità del procedimento è pertanto quella di ridurre i “tempi del processo per quanto attiene a tali controversie” , attraverso un rito “contraddistinto da caratteristiche di celerità e snellezza”, volto ad assicurare l’immediatezza del risultato attraverso l’accertamento nelle forme sommarie; accertamento che, tuttavia, può condurre a decisioni idonee a divenire definitive .
La maggiore celerità rispetto al rito ordinario lavoristico è quindi giustificata dalla peculiarità della situazione sostanziale protetta, astrattamente riconducibile a quelle previste dall’art. 409 c.p.c., ma caratterizzata da elementi tali da giustificare una trattazione più rapida: l’interesse alla conservazione del posto di lavoro, in tutte le ipotesi in cui maturi il diritto alla reintegra per illegittimità del licenziamento .
V’è da dire che non costituisce di per sé una novità il fatto che per certe situazioni sostanziali si tenda a prevedere un rito differenziato, capace di assicurare una maggiore celerità. D’altra parte, è proprio nel campo del diritto del lavoro che, vista la particolare natura dei diritti soggettivi sottesi al processo, si è introdotto un rito diverso rispetto a quello ordinario, allo scopo di offrire una tutela immediata con un procedimento caratterizzato da oralità e concentrazione . Tali diritti godono, sul piano sostanziale, di una disciplina diversa da quella dei comuni rapporti giuridici che, per essere concretamente attuata, richiede una forma processuale che le si addica, ovvero capace di rendere la tutela riconosciuta in campo sostanziale una tutela effettiva .
Si è reso allora sin da subito evidente che la giustizia del lavoro dovesse essere affidata a regole differenziate, capaci di compensare lo squilibrio tra le parti e idonee a dare attuazione agli speciali diritti riconosciuti sul piano sostanziale al lavoratore; regole, cioè, il cui fine fosse quello di garantire la tutela effettiva del lavoratore .
La previsione di un rito differenziato a favore dei lavoratori, con regole che garantiscano una più celere risoluzione della lite e una decisione quanto più vicina possibile alla verità dei fatti, è scelta in perfetta assonanza con la Costituzione che, lungi dall’escluderli, impone che, ove occorra per una tutela effettiva, si adottino riti differenziati . Anzi, è proprio alla luce del principio di uguaglianza sostanziale che si rende necessario predisporre forme diversificate di tutela, finalizzate ad eliminare, all’interno del processo, squilibri o privilegi presenti a livello sociale ed economico.
Deve però evidenziarsi che, benché la differenziazione di tutela sia in grado di offrire potenzialmente una tutela effettiva, essa non si rende sempre utile e necessaria per realizzare il canone dell’effettività.
Ed invero, la differenziazione della tutela “a tutti i costi” può comportare inconvenienti quali la moltiplicazione di procedimenti con le conseguenti difficoltà correlate alla scelta del rito e alle regole da seguire. Ed è proprio quello che è accaduto con il procedimento per l’impugnativa del licenziamento previsto dall’art. 1 commi 48 ss. l. 28 giugno 2012, n. 92. Procedimento speciale che ha creato non poche difficoltà agli interpreti nella scelta del rito da introdurre in ragione del tipo di domanda, sempre attinente al medesimo rapporto di lavoro, al punto da condurre alcuni giudici di merito a dichiarazioni di inammissibilità della domanda a causa dell’errore sul rito .
La differenziazione ha così, in questo caso, inevitabilmente prodotto l’effetto di moltiplicare i processi con conseguente difficoltà di coordinare i due giudizi pendenti.
Il rito dei licenziamenti si colloca (quale rito speciale) all’interno di un impianto processuale di per sé volto all’immediatezza del risultato ( il modello laburistico): entrambi i riti sono diretti a conseguire rapidamente un risultato di giustizia, seppure con forme e strumenti diversi.
Tale diversità, corrispondente alla peculiarità delle situazioni sostanziali tutelate con il procedimento Fornero, si riflette nella imposizione, per queste ultime controversie, del rito sommario: colui che propone la domanda è obbligato a percorrere la strada della l. 92/2012 e non può ricorrere alla via della cognizione piena degli artt. 413 ss. c.p.c. , con ogni conseguenza possibile in caso di introduzione del giudizio nelle forme sbagliate.
2. La specialità del rito Fornero compatibile con la specialità della tutela cautelare.
Il rito Fornero si è presentato sin da subito come un rito speciale, ma non alternativo a quello ordinario, bensì quale procedimento obbligatorio per tutte le controversie rientranti nell’ambito applicativo della l. 92/2012.
Esclusa perciò in radice la sua compatibilità con gli artt. 413 ss c.p.c., si è posto il problema del suo rapporto con altri procedimenti speciali e, segnatamente, con quello cautelare introdotto con ricorso ex art. 700 c.p.c.
Come noto, è proprio nel campo del diritto del lavoro che si è manifestata la tendenza ad applicare la tutela urgente a carattere anticipatorio, con finalità integralmente satisfattive dei diritti fatti valere dal lavoratore . A cominciare proprio dalle liti in materia di licenziamento nelle quali veniva richiesta la reintegrazione del lavoratore allo scopo di tutelare diritti a contenuto patrimoniale ma con funzione non patrimoniale . Il provvedimento d’urgenza ha così nel tempo acquisito nel campo lavoristico un ruolo tutt’altro che residuale, utilizzato allo scopo di evitare la produzione di un pregiudizio irreparabile a diritti di copertura costituzionale .
Con l’avvento della tutela della l. 92/2012, il diritto alla reintegra può essere chiesto celermente attraverso il procedimento descritto dall’art. 1 comma 48 l. cit. Una reintegra domandata e ottenuta perciò con urgenza (“l’udienza deve essere fissata non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso (…) Il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d'ufficio (…) e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domanda”), ma senza necessità di dimostrare esigenze cautelari.
Il rito Fornero, infatti, è sì caratterizzato da una istruttoria sommaria e deformalizzata ma non perché abbia natura cautelare . Si tratta di una procedura urgente solo nei limiti in cui consente di giungere nel breve ad una decisione potenzialmente idonea a stabilizzarsi sul diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro. Non è invece una urgenza ascrivibile alla tutela cautelare .
In primo luogo, perché non vi è traccia nella l. 92/2012 di periculum in mora, quale presupposto della domanda . Non è poi prescritta l’immediatezza della tutela, intesa tanto come immediata prossimità della proposizione del ricorso giudiziale rispetto alla comminazione dell’illegittimo licenziamento quanto come immediata offerta di giustizia, dal momento che – purchè siano rispettati i termini decadenziali per l’impugnativa giudiziale di cui si dirà infra - la decisione posticipata nel tempo non rischia di provocare la perdita del diritto sostanziale protetto .
Inoltre, non è contemplata la possibilità di una decisione con decreto, diversamente da quanto previsto per il rito cautelare uniforme dall’art. 669 sexies, comma 2, c.p.c., da adottarsi ogni qualvolta non sia possibile la previa convocazione della controparte, senza pregiudicare irrimediabilmente i diritti del ricorrente.
Tutto questo implica che non sempre la richiesta di tutela reale sottende una esigenza cautelare , non diversamente da quanto avveniva prima dell’entrata in vigore del rito Fornero. Ciò che rappresenta una novità è il fatto che oggi, per i rapporti ratione temporis assoggettati al rito Fornero, e fino alla sua definitiva abrogazione secondo quanto previsto nella legge delega 206/2021, la reintegrazione possa essere ottenuta con un accertamento sommario – non cautelare – in modo più celere di quanto il rito ordinario lavoristico non consenta.
Chiarito tale profilo, appare perciò possibile ritenere che, quantomeno in astratto, la tutela cautelare sia compatibile con il rito della l. 92/2012, poiché l’uno e l’altro rispondono a esigenze differenti, ancorché entrambi mirino alla reintegra del lavoratore .
3. I presupposti della tutela in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. per le controversie assoggettate al rito Fornero.
Posta la generale compatibilità tra tutela cautelare e rito Fornero, occorre stabilire a quali condizioni sia concedibile la prima, a fronte di una domanda rientrante nell’ambito applicativo del secondo.
In particolare, deve chiarirsi se la previsione di un procedimento rapido, ma non urgente, che garantisce un tempo di tutela intermedio tra quello offerto dal processo ordinario e quello previsto dall’art. 700 c.p.c., possa aver mutato le condizioni per l’ottenimento di un provvedimento d’urgenza di reintegrazione nel posto di lavoro.
Cominciamo col dire che il diritto del lavoratore alla reintegra non va riconosciuto in via d’urgenza quando la posticipazione nel tempo della decisione non pregiudica il diritto stesso. Cosicchè, ove il ritardo nella risposta di giustizia rispetto ai tempi del procedimento cautelare non arrechi alcun pregiudizio effettivo, il periculum in mora non è rinvenibile.
Si può invece ritenere che vi siano ragioni di urgenza tutte le volte in cui la concessione della misura cautelare di reintegra costituisca l’unica soluzione per evitare la produzione di un pregiudizio imminente ed irreparabile.
Tale valutazione deve essere operata caso per caso, non potendosi stabilire aprioristicamente quale possa essere l’effettiva latitudine del pregiudizio tale da giustificare l’emissione di un provvedimento di urgenza.
Per ottenere una tutela ex art. 700 c.p.c. il lavoratore dovrà allora dimostrare di essere di fronte a un rischio di pregiudizio produttivo di un danno irreparabile che non possa trovare ristoro all’esito del procedimento Fornero.
Alla luce di tale generale parametro di giudizio, non potrà costituire condizione per l’ottenimento della misura cautelare la semplice allegazione della perdita della retribuzione, ancorché avente natura alimentare. Tale pregiudizio conseguente al licenziamento, infatti, non ha le caratteristiche dell’imminenza e della irreparabilità previste dall’art.700 c.p.c., vieppiù considerato che il rito Fornero offre una alternativa e (potenzialmente) rapida soluzione alla perdita del diritto .
Qualora però il venir meno della fonte di reddito incida su diritti essenziali del lavoratore, quali il diritto ad una esistenza libera e dignitosa, il diritto alla salute, il diritto all’immagine, diritti per i quali occorra un immediato soddisfacimento a pena di subire un danno irreversibile agli stessi, allora la domanda cautelare merita accoglimento. Solo essa, infatti, quale misura residuale, è in grado di offrire una tutela al ricorrente; diversamente correndosi il rischio che, con il procedimento sommario della l. 92/2012, la concessione della tutela abbia luogo troppo tardi, quando ormai il pregiudizio ai diritti essenziali della persona si è irrimediabilmente prodotto.
Il periculum in mora dovrà essere quindi valutato con maggior rigore, non potendo ricorrere in qualsiasi violazione dei diritti del lavoratore ma solo quando tale lesione incida su posizioni giuridiche soggettive a contenuto non patrimoniale e di rango costituzionale e sia insuscettibile di ristoro per equivalente .
Questo implica che il ricorrente, oltre al fumus boni iuris relativo alla illegittimità del licenziamento, sarà onerato di provare in concreto le condizioni personali o familiari che giustifichino l’emissione di una misura urgente.
E così, ad esempio, è stato ritenuto sussistente il periculum in mora in una fattispecie nella quale erano state dimostrate le difficoltà economiche del lavoratore il quale risultava essere soggetto gravemente inabile, genitore monoreddito separato e affidatario di tre figli di cui due minori e uno in condizioni di handicap e versante in gravi condizioni . Di contro, è stato ritenuto non imminente e irreparabile il pregiudizio subito da un prestatore illegittimamente licenziato, il quale, a fronte della perdita della retribuzione, aveva già ottenuto la liquidazione del TFR e beneficiava della presenza di un altro reddito familiare
4. L’efficacia impeditiva della decadenza ex art. 6 l. 604/1966 e la scelta tra ricorso Fornero e ricorso cautelare.
In ipotesi di licenziamento, dopo l’entrata in vigore del c.d. collegato lavoro, l. 183/2010, ai sensi dell’art. 6, comma 2, l. 604/1966, è imposta al lavoratore che lamenti l’illegittimità dei provvedimenti datoriali dapprima l’impugnativa stragiudiziale dell’atto, entro sessanta giorni dalla sua comunicazione, e poi, sempre a pena di decadenza, l’impugnativa giudiziale nei successivi centottanta giorni. Il secondo termine di decadenza può essere impedito oltre che dal deposito del ricorso presso il tribunale competente, anche dalla proposizione della domanda arbitrale o dell’istanza di conciliazione.
La norma tuttavia non precisa quale sia il “ricorso” al quale deve ricollegarsi l’effetto impeditivo della decadenza, sicché, in assenza di un dato normativo chiaro, la giurisprudenza di legittimità ha finora adottato una soluzione restrittiva degli atti capaci di garantire la conservazione di efficacia dell’impugnativa stragiudiziale del licenziamento . Tale soluzione posa prevalentemente sull’idea che i provvedimenti cautelari, quand’anche anticipatori, siano sempre instabili; cosicché se scopo della disciplina introdotta dalla l. 183/2010 è quella di provocare in tempi ristretti una pronuncia di merito sulla legittimità del licenziamento , sarebbero completamente vanificate le ragioni della riforma da una interpretazione volta a ritenere impedita la decadenza anche da un ricorso – quale quello dell’art. 700 c.p.c. - destinato a restare provvisorio sine die. In altri termini, per la Cassazione una volta proposta tempestivamente la domanda cautelare, la legittimità del provvedimento datoriale resterebbe incerta fino alla decorrenza del termine ordinario di prescrizione, non essendovi più alcun termine per l’instaurazione del giudizio di merito (anche quando sommario), l’unico in grado di accertare la bontà dell’atto di licenziamento. Con la conseguenza che solo la domanda introdotta con il rito Fornero (o quella introdotta con il ricorso ex art. 414 c.p.c. per le impugnative non assoggettate al regime della tutela reale) sarebbe idonea a produrre l’effetto impeditivo della decadenza e a garantire la conservazione di efficacia dell’impugnazione stragiudiziale dell’atto di recesso.
Tuttavia, occorre osservare che il provvedimento cautelare, non diversamente dall’ordinanza sommaria che conclude la prima fase Fornero, ha contenuto decisorio, nel senso che incide su diritti soggettivi, ancorché non espresso da un accertamento pieno . Si tratta però di una decisione che non è idonea a stabilizzarsi e a produrre gli effetti dell’art. 2909 c.c. Il che tuttavia non esclude una qualche stabilizzazione della realtà sostanziale sulla quale la misura incide, quale effetto del comportamento delle parti che si astengano dal compiere atti che sono incompatibili con il contenuto della misura.
In altri termini, sebbene non sia imposto alcun vincolo temporale alla instaurazione del giudizio di merito a seguito dell’emanazione di un provvedimento anticipatorio, per cui il processo a cognizione piena sul diritto potrebbe essere introdotto anche a distanza di molto tempo dalla concessione della misura, è difficile immaginare che un giudizio avente ad oggetto il diritto già deciso in fase cautelare possa poi essere promosso dopo molti anni. Per tutto il tempo intercorrente tra l’emissione della misura e il giudizio di merito, infatti, il provvedimento cautelare produce effetti, e perciò sarebbe intollerabile, per chi tali effetti subisce, eseguire la misura senza porla in discussione in un giudizio a cognizione piena o eventualmente nel corso delle contestazioni in sede di attuazione della misura.
Il provvedimento cautelare a strumentalità attenuata acquista così una forma di stabilità in fatto che, sebbene lontana e diversa da quella tipica della cosa giudicata dell’art. 2909 c.c., è comunque capace di offrire un grado di certezza alla regolamentazione dei rapporti giuridici in esso contenuta. Le misure dell’art. 669 octies c.p.c. offrono una anticipazione della tutela di merito, relativamente stabile - indipendentemente dalla cognizione piena - perché capace di soddisfare in modo potenzialmente stabile il diritto soggettivo. D’altra parte, seppure non esiste una scadenza per l’instaurazione del merito, è verosimile che la parte che intenda confermare il contenuto dell’ordinanza, per attribuirle efficacia di giudicato, avrà interesse a conseguire tale accertamento nel breve termine, potendo altrimenti già godere (sine die) degli effetti positivi della tutela ottenuta. Dall’altra parte, il datore di lavoro che subisce la misura, se vorrà farne caducare gli effetti e quindi conseguire certezza sulla legittimità dei propri atti, avrà l’onere di promuovere lui stesso il giudizio di merito.
In sintesi, quindi, il provvedimento d’urgenza pur nascendo provvisorio , ovvero con una efficacia limitata nel tempo in vista dell’emanazione di altro provvedimento giurisdizionale , è destinato a stabilizzarsi sul piano fattuale ogni volta che le parti non assumano nel breve termine comportamenti contrastanti con il contenuto della misura, ovvero, restando inerti, non dimostrino di voler sostituire il provvedimento provvisorio con uno definitivo.
Sotto questo punto di vista, quindi, non può dirsi che attribuire al ricorso cautelare funzione impeditiva della decadenza dall’azione giudiziale di impugnativa dell’atto datoriale sia incompatibile con la volontà del legislatore di conseguire rapidamente l’emersione del contenzioso e finanche una decisione destinata in fatto a stabilizzarsi.
A tale conclusione è giunta la Corte costituzionale che, prendendo atto del diritto vivente sul tema, ha propeso per una dichiarazione di incostituzionalità della norma coinvolta, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione stragiudiziale del provvedimento datoriale sia inefficace se non seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, oltre che dal ricorso ex art. 414 c.p.c., dal ricorso sommario ex art. 1 comma 48 l. 92/2012, e dai tentativi di conciliazione e arbitrato, anche dal ricorso cautelare ante causam ai sensi dell’art. 700 c.p.c.
Sotto tale profilo, pertanto, e sempre che vi siano i presupposti per la concessione della misura cautelare , il ricorso dell’art. 700 c.p.c non offre un minor grado di tutela rispetto al ricorso Fornero, impedendo entrambi la decadenza del diritto.