TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1.Premessa: una pandemia globale anche nel coinvolgimento giudiziario; nuovi obblighi e vecchi oneri.

L’avvento improvviso di un virus sconosciuto, il Sars COv-2, ha indotto i Governi e gli organi decisori di tutti i Paesi del mondo ad adottare misure di contrasto della pandemia, che necessariamente hanno inciso su diritti fondamentali, quali la libertà individuale di cura, di movimento, di aggregazione sociale, di culto, di lavoro.
Ed in tutti i Paesi del mondo queste restrizioni sono state sottoposte a controllo giudiziario, con esiti vari .
Detto controllo ha riguardato due distinti aspetti della politica di contrasto: i nuovi obblighi gravanti sui consociati verso lo Stato, muniti di autonoma sanzione amministrativa o penale, e quelli che hanno costituito sviluppo di preesistenti obbligazioni delle parti in un contratto, in particolare nel contratto di lavoro.
Limitando l’analisi della risposta giudiziaria nel nostro Paese, possiamo individuare due fasi: nel primo periodo, che va dall’apparire della pandemia fino alla fine del 2021, di scarsa conoscenza del fenomeno, di gravità e letalità del virus, di generale apprensione, la giurisprudenza, sia ordinaria sia amministrativa, si è distinta per una non scontata compattezza nella difesa della legislazione emergenziale, in una visione group focused, nel solco della giurisprudenza costituzionale sulla dualità dei valori, individuale e collettivo, tutelati dall’art. 32 Cost., su cui vedi amplius par. 5.
L’espressione più argomentata ed autorevole di questo filone è costituita dalla sentenza del Consiglio di Stato cit. infra al par. 8.
Nel secondo periodo, che inizia sul finire del 2021, i dubbi che avevano pervaso la dottrina, prevalentemente orientata, salvo autorevoli eccezioni, verso una gelosa difesa della libertà di scelta individuale, in una prospettiva ego focused, sono tracimati nella giurisprudenza, con due diverse modalità: la prima, di tutto rispetto, perché coerente con il nostro assetto istituzionale, ha veicolato i propri dubbi sulla legittimità di varie disposizioni, e sotto vari profili, verso gli organi preposti a dirimere i dubbi stessi, la Corte costituzionale e la CGUE; la seconda, specie di giudici monocratici ed in sede cautelare, e talvolta inaudita altera parte, di apodittica negazione della legittimità in particolare dell’ obbligo di vaccino, e quindi di disapplicazione delle norme stesse, quasi un recepimento acritico delle posizioni no vax sovrarappresentate nei salotti televisivi.
La giurisprudenza è in genere attenta e ricettiva rispetto ai contributi ed ai suggerimenti della dottrina.
Nella prima fase il dibattito verteva soprattutto sul rapporto tra diritto all’autodeterminazione sanitaria del singolo sancito dall’articolo 32 della costituzione e la responsabilità del datore di lavoro per gli obblighi di prevenzione nei confronti dei dipendenti e dei terzi. Una contraddizione che a qualcuno è sembrata “irrisolvibile” .
Ma un giudice non può dire non liquet; una soluzione la deve comunque trovare nell’ordinamento nel suo complesso . Tre diverse soluzioni proposte dalla dottrina sono sembrate rilevanti ed utili.
Secondo la tesi più innovativa e radicale, in quanto negatoria del coinvolgimento dell’art. 32 Cost. , il titolare di un diritto fondamentale ben può autolimitarsi nel suo esercizio, e farne oggetto di rapporti contrattuali. Fa l’esempio dei contratti di viaggio, di ristorazione, e dello stesso contratto di lavoro, che comporta diversi interventi sulla salute, con le visite di idoneità, le visite ispettive domiciliari etc. La vaccinazione costituisce un requisito della prestazione, come potrebbe essere la patente di guida, che pure richiede accertamenti sanitari, per la mansione di autista; ne consegue che legittimamente il datore di lavoro può pretendere dal dipendente la collaborazione, ex art 20 t.u. sicurezza, ad una misura raccomandata dalle autorità sanitarie.
Nello stesso torno di tempo iniziale altro orientamento lavora nell’ambito dell’art. 32 Cost., e ritiene che la norma attuativa esista già, e vada individuata nella trama degli artt. 15, 20 e 279 t.u. sicurezza . Ed in effetti, a seguito della interiorizzazione al sistema dell’agente biologico SARS-CoV-2, per effetto della legge 159/2020, l’art. 279, che obbliga il datore di lavoro a tenere a disposizione vaccini efficaci, deve essere reinterpretato come comprensivo dei vaccini contro gli agenti biologici comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e non solo di quelli prodotti dal processo produttivo, come ritenuto in precedenza dalla dottrina.
E sempre al t.u. sicurezza si rifà la terza proposta, non per affermare l’ obbligo di vaccino del lavoratore, bensì la facoltà, o meglio il dovere del datore di lavoro di allontanarlo dalla mansione che comporti il rischio di contagiare altri dipendenti o terzi. Questi Autori individuano nell’art. 15 del testo unico sicurezza la norma cardine che, imponendo al datore di lavoro l’obbligo di eliminare il rischio, e non solo attenuarlo, dà inizio ad una sequenza normativamente cadenzata che può culminare, attraverso il giudizio di inidoneità del medico competente, nell’allontanamento del lavoratore, con varie misure, fino al licenziamento. In questo quadro la mancata vaccinazione rileva non come esercizio di libertà oppure comportamento colpevole, ma come dato fattuale che causa inidoneità all’ambiente di lavoro, alla pari ad esempio della mancanza della patente di guida per le mansioni di autista, o di un braccio per il lavoro ad una macchina con doppio comando di sicurezza. Per questo motivo tale impostazione ha carattere generale nel rapporto di lavoro, e travalica le categorie contemplate dall’art. 4 d.l. 44 e successive integrazioni.
E’ questa la via seguita da varie sentenze , che hanno dichiarato la legittimità del provvedimento sospensivo proprio sulla base del giudizio di inidoneità del medico competente.
Ma in questo modo, a nostro sommesso avviso, si ritorna alla vaccinazione come onere contrattuale, anche se con effetti predefiniti per legge.

2. L’infezione da Covid 19 come infortunio sul lavoro. Le misure di prevenzione; i protocolli condivisi.

Nel primo periodo, quando il vaccino era ancora di là da venire, e si temeva per i tempi della sua ricerca, le misure adottate hanno riguardato essenzialmente la riduzione dei contatti interpersonali attraverso cui si realizza il contagio: distanziamento sociale, mascherine, ed altri dispositivi di protezione individuale.
In questa fase si segnalano tre pronunce: il Tribunale di Venezia, con sentenza 4 giugno 2021 n. 387, ha ritenuto legittima la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 3 giorni a carico di un dipendente con mansioni di operatore ecologico per rifiuto nell’uso della mascherina; il Tribunale di Trento, con sentenza dell’ 8 luglio 2021, ha dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare di una maestra d’asilo per rifiuto reiterato nell’uso del medesimo dispositivo di protezione individuale; lo stesso Tribunale, con sentenza 21 gennaio 2021 , aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da una impresa di pulizie ad una propria dipendente che si era recata per le ferie nella terra di origine (Albania), pur consapevole che al rientro si sarebbe dovuta sottoporre ad un periodo di 14 giorni di isolamento fiduciario, che non gli avrebbe consentito di riprendere il lavoro.
E queste pronunce appaiono coerenti con la giurisprudenza di legittimità, la quale ha confermato la doppia conforme di merito che aveva dichiarato legittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore per reiterato rifiuto di indossare il dispositivo di protezione individuale, nella specie occhiali di protezione .
Siamo, come si vede, nell’ambito delle obbligazioni nel rapporto di lavoro.
In tale ambito è fondamentale il tema delle condizioni di sicurezza.
Il virus SARS-CoV-2 è un agente biologico a carattere pandemico, che affligge come tale la generalità della popolazione, privo di una specificità lavorativa. Sulla base della nozione primigenia di rischio specifico proprio esso andrebbe escluso dalla tutela infortunistica sul lavoro pubblica, secondo la dicotomia dell’ art. 2 t.u. 1124/1965, il quale, seguendo la impostazione del r.d. 1765/1935 ha distinto: le infezioni a carattere endemico, come la malaria, sono escluse dalla tutela perché affliggono la generalità della popolazione, senza una specificità lavorativa; le infezioni tipiche di un ambiente lavorativo, come il carbonchio, sono incluse nella tutela.
Senonché da allora molta acqua è passata sotto i ponti, fino ad arrivare all’attuale nozione di occasione di lavoro, che comprende tutte le situazioni in cui il lavoratore si trovi per obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro.
La infezione da coronavirus è a carattere diffusivo e pandemico; interessa, come detto, tutta la popolazione, ma non si può negare che il rischio di contrarla è molto maggiore per determinati operatori, quali quelli sanitari, ma anche per tutti gli altri lavoratori soggetti ad una aggregazione sociale interna, con altri colleghi, o esterna, con gli utenti, come i cassieri, banconisti, etc.
E su questa ricognizione fattuale è basata la circolare Inail 13/2020 , che disegna una mappa presuntiva molto ampia di lavorazioni soggette a contagio, e che quindi rientrano nella tutela.
La qualificazione della infezione da coronavirus come infortunio sul lavoro, non è dunque una scelta del legislatore emergenziale, ma discende necessariamente dalla nozione di causa violenta acquisita da molti decenni, che comprende nella causa violenta anche quella virulenta, e conseguentemente qualifica tali eventi come infortunio, e non malattia professionale .
Su questo quadro sistemico è intervenuto l’art. 42, comma 2, d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020 n. 27, il quale dispone che nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all'INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell'infortunato.
Su tale base testuale la dottrina prevalente ritiene il carattere confermativo della disposizione , ma è stato in contrario osservato che mentre per il passato le infezioni da agente biologico erano limitate ad un rischio specifico in circoscritto ambiente infetto, come il carbonchio o l’epatite virale, l’art. 42 costituisce una norma innovativa in quanto ha inserito nella tutela infortunistica in modo franco e diretto un’infezione pandemica, superando così la dicotomia originaria dell’art. 2 t.u. 1124 dalla quale tutta l’elaborazione era partita .
E quest’ultima prospettiva è confortata dalla direttiva della Commissione del 3 giugno 2020 n. 739, recepita in Italia dall’art. 4 d.l. 125/2020, conv. in l. 27.11.2020 n. 159, la quale ha integrato, inserendovi il SARS-CoV-2, la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/54/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro. Questa direttiva vincola tutti i Paesi dell’Unione europea a considerare il SARS-CoV-2 come un agente patogeno proprio dei luoghi di lavoro, e quindi come un rischio specifico proprio. Questo inserimento costituisce anche il miglior argomento a favore di quella dottrina che interpreta l’art. 279 testo unico sicurezza come inclusivo del rischio biologico ambientale, e non solo di quello originato dal processo produttivo.
In ogni caso l’intervento legislativo è quanto mai opportuno, sia perché elide ogni dubbio avanzato dalle categorie interessate e dai media , sia perché istituisce un fondamento nuovo per la tutela generalizzata di questa pandemia .
C’è però una grande differenza tra il riconoscimento del contagio in occasione di lavoro ai fini della tutela previdenziale e la prova della responsabilità del datore di lavoro a fini risarcitori: per la prima basta la prova presuntiva, e cioè la plausibilità del contagio in occasione di lavoro; per l’affermazione della responsabilità penale e civile del datore di lavoro occorre la prova positiva del nesso causale e della colpa .
Il Governo, per rispondere all’ allarme del mondo produttivo, che temeva che dalla qualificazione come infortunio ex art. 42 derivasse automaticamente la responsabilità del datore di lavoro, ha prima promosso i protocolli condivisi tra le parti sociali sulle misure prevenzionali, e poi li ha consacrati con l’art. 29 bis legge 5 giugno 2020 n. 40, inserita in sede di conversione del d.l. 8 aprile 2020 n. 23, il quale recita: “1. Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Questa disposizione significa diverse cose: se si verifica un contagio in azienda, il datore di lavoro è esente da responsabilità se ha rispettato diligentemente le prescrizioni dei protocolli, mentre risponde del danno differenziale verso il dipendente contagiato e dei danni verso i terzi se non lo ha fatto; ma significa altresì che egli può pretendere l’osservanza di tali misure dal dipendente e sanzionarlo disciplinarmente in caso di rifiuto, fino al licenziamento disciplinare in caso di rifiuto reiterato .
Essa ha formato oggetto di opposte interpretazioni. Secondo alcuni, ponendosi come fonte di diritto allo stesso livello dell’art. 2087, inciderebbe sulla sua portata, nel senso di espungerne tutta la parte precettiva relativa alle misure suggerite dalla esperienza e dalla tecnica, e di circoscrivere le misure di prevenzione a quelle sole catalogate nei protocolli, che sarebbero modificabili solo da protocolli successivi, con una sorta di rinvio sostanziale dall’art. 2087 a queste misure pattizie. E siccome l’art. 29 bis fa riferimento al protocollo del 24 aprile 2020 e successive modifiche ed integrazioni, con ciò stesso abbraccia anche il successivo protocollo del 6 aprile 2021, che non menziona il vaccino, ormai disponibile, e che pertanto il datore di lavoro non potrebbe pretendere dai lavoratori.
Secondo altri, l’art. 29 bis ha una funzione di certificazione di quali siano le misure di sicurezza esigibili al tempo della redazione dei protocolli, e non potrebbe precludere l’adozione di misure indicate dalle autorità sanitarie nelle more dell’aggiornamento dei protocolli, o in aggiunta ad essi.
Questa seconda interpretazione ci sembra ora avvalorata dall’art. 1, comma 2, d.l. 6 agosto 2021 n. 111, convertito in legge 24 settembre 2021 n. 133, il quale definisce le principali misure dei protocolli passati (dispositivi di protezione delle vie respiratorie, distanziamento, misura della temperatura) come misure minime di sicurezza. Significativo anche il protocollo del 14 agosto 2021 condiviso tra Ministero Istruzione e principali sigle sindacali del personale scolastico, che inserisce nello schema dell’art. 29 bis le prescrizioni del d.l. 111, e cioè l’esibizione di un documento che attesta l’avvenuta vaccinazione.
Ci sembra ancora che, quale che sia la finalità rassicuratoria dell’art. 29 bis ed il carattere vincolante di un atto pattizio e compromissorio quali i protocolli, la sua portata sarebbe limitata alle misure suggerite dalla scienza, e non può incidere sull’obbligo di osservanza, ex art. 2087, delle misure codificate, quale l’art. 279 t.u. sicurezza che prevede l’obbligo di somministrazione del vaccino.

3. Arriva il vaccino; le successive ondate di soggetti obbligati.

Il d.l. 1 marzo 2021 n. 44, convertito in l. 28 maggio 2021 n. 76, all’ art. 4 ha sancito l’obbligo di vaccinazione degli esercenti le professioni sanitarie e degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, farmacie, parafarmacie e studi professionali.
Con successivi provvedimenti il Governo ha esteso l’ obbligo di vaccino ad ulteriori categorie professionali e fasce di età, con decorrenze e scadenze dell’ obbligo differenziate, inseriti tutti nella trama dell’art. 4 del d.l. 44/2021:
-art. 4-bis, inserito dall’art. 2 del d.l. 10 settembre 2021 n. 122, abrogato dalla legge 133/2021, ma le cui disposizioni sono state sussunte nella legge stessa come art. 2-bis; art. 4-bis del seguente tenore: “dal 10 ottobre 2021 (e fino al 31-12-2022: art. 8 d.l. 24/2022) l’obbligo vaccinale previsto dall’art. 4, comma 1, si applica altresì a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa nelle strutture di cui all’art. 1-bis (e cioè le strutture residenziali, socio-assistenziali, sociosanitarie e hospice; non sono menzionate in questa sede le strutture sanitarie), incluse le strutture semiresidenziali e le strutture che, a qualsiasi titolo, ospitano persone in situazione di fragilità”;
-art. 4-ter, inserito dall’art. 2 d.l. 26 novembre 2021 n. 172, conv. in legge 21 gennaio 2022 n. 3, per il personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge 124/2007 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica), delle strutture di cui all'art. 8-ter del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (che riguarda le strutture sanitarie autorizzate), ad esclusione di quello che svolge attività lavorativa con contratti esterni;
-art. 4-ter.1, inserito dall’art. 8, comma 4, d.l. 24 marzo 2022 n. 24, conv. In l. 19 maggio 2022 n. 52: per il personale altresì degli istituti penitenziari, delle università, delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori, nonché dei Corpi forestali delle regioni a statuto speciale;
-art. 4-ter.2, inserito dall’art. 8, comma 4, d.l. 24/2022 cit.: per il personale docente ed educativo della scuola, dal 15 dicembre 2021 al 15 giugno 2022;
-art. 4-quater, inserito dall’art. 1 del d.l. 7 gennaio 2022 n. 1, conv. in legge 4 marzo 2022 n. 18, impone un obbligo generalizzato in ragione dell’età per tutti i cittadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché per gli stranieri iscritti al SSN, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età, indipendentemente dalla condizione lavorativa o meno.
Infine il citato d.l. 24 marzo 2022 n. 24 è intervenuto a modulare gli obblighi esistenti in ragione dell’andamento epidemiologico e della gravità del contagio; in particolare ha previsto, al comma 3 dell’art. 4-ter.2, che l’atto di accertamento dell’inadempimento impone al dirigente scolastico di utilizzare il docente inadempiente in attività di supporto alla istituzione scolastica.

4. La giurisprudenza costituzionale sull’ obbligo di vaccino.

Prima di addentrarsi nell’analisi della giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, è opportuno premettere i principi enunciati dalla Corte costituzionale sull’obbligo di vaccino, in sede di interpretazione dell’art. 32 Cost., passaggio necessario per valutare la coerenza con tale insegnamento dei provvedimenti giudiziari che si esporranno ai par. 7 e 8.
Possiamo individuare nel costante ed univoco insegnamento della Corte tre tematiche:
-la natura duale dell’art. 32, che tutela insieme il diritto individuale e l’interesse collettivo;
-l’evoluzione delle tecniche di protezione della salute collettiva dalla dimensione dell’ obbligo a quello della raccomandazione;
-la discrezionalità del legislatore nelle misure da adottare e la responsabilità dello Stato per le conseguenze delle misure adottate, sia come obbligo, sia come raccomandazione.
Fin dal 1990 , la Corte ha precisato che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della cost. se il trattamento sia diretto a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute, in quando diritto fondamentale”.
Successivamente, con la sent. 218/1994, in materia di accertamenti sanitari diretti a verificare l’esistenza o meno di HIV, la Consulta affermò che la tutela della salute implica anche il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. E questo orientamento è stato confermato con le sentenze Corte cost. 9 maggio 2013 n. 85 sul caso Ilva ; e, sul tema specifico delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate, le sentt. 23 giugno 2020 n.118, 18 gennaio 2018 n. 5, 14 dicembre 2017 n. 268, 26 aprile 2012 n. 107.
E poiché spesso si fa appello alla natura di diritto fondamentale del diritto alla salute, per contestare i provvedimenti impositivi, è opportuno ricordare che la giurisprudenza costituzionale ha spiegato che diritto fondamentale non significa diritto preminente, e pertanto il diritto individuale alla libertà di cura deve essere bilanciato con la tutela della salute pubblica, nell’ambito di quella responsabilità sociale di cui è intrisa la nostra Carta costituzionale, a partire dall’art. 2.
Sulla seconda tematica, sempre la Corte costituzionale ha ricordato che vi è oggi, in tutto il mondo occidentale, una più spiccata sensibilità per i diritti di autodeterminazione individuale anche in campo sanitario che ha portato a prediligere politiche vaccinali basate sulla sensibilizzazione e sulla raccomandazione; ma ove lo strumento della persuasione risulti carente sul piano dell’efficacia, il ricorso alla dimensione dell’obbligo è costituzionalmente legittimo . Ne risulta una dimensione puramente opportunistica nella scelta dell’uno o dell’altro strumento, identici nella funzione, con la conseguenza che identica è la responsabilità indennitaria dello Stato in caso di eventi avversi, come da legge 210/1992 (da cui risulta per tabulas la possibilità di eventi avversi per qualsiasi vaccino) estesa dalla Corte costituzionale anche ai vaccini semplicemente raccomandati, come è sicuramente quello contro il Covid 19 in esame.
Ma deriva altresì, a nostro avviso, la responsabilità individuale per mancata osservanza della raccomandazione in caso di contagio .
Sulla terza tematica possiamo solo riassumere in termini essenziali il pensiero della Corte, rinviando alle trattazioni specialistiche ogni approfondimento:
-compete al legislatore valutare la diversità delle situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da disciplinare;
-tale discrezionalità trova un limite nel rispetto dell’art. 3 Cost., che vieta le discriminazioni fondate su sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali ; in osservanza di tale limite la Corte ha dichiarato ad es. la illegittimità di alcune norme che escludevano il diritto all’assegno di maternità ed a quello di natalità per i cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato a fini lavorativi ;
-ulteriore limite è costituito dalla manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disposizione, che deve però essere valutata dalla Corte costituzionale, e non dal singolo giudice ordinario o amministrativo, neppure in sede cautelare; la Corte ha fatto applicazione di tale criterio ad es. per dichiarare la illegittimità costituzionale di norme che non applicavano il criterio di proporzionalità alle sanzioni amministrative, le quali condividono con le sanzioni penali il carattere sanzionatorio .
-infine per quanto riguarda più da vicino la pandemia, “l’eccezionalità della situazione creata dal rapido diffondersi della pandemia da Covid 19 ha creato una inedita condizione di grave pericolo per la salute pubblica, costituendo essa un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, che nell'immediato ha chiamato in causa, altresì, la solidarietà economica e sociale a cui ciascuno è tenuto nell'esercizio dei propri diritti. In questa eccezionale situazione, la discrezionalità del legislatore nel disegnare misure di contrasto della pandemia, bilanciando la tutela di interessi e diritti in gioco, è più ampia che in condizioni ordinarie, per cui il dovere di solidarietà sociale, nella sua dimensione orizzontale, può anche portare, in circostanze particolari, al temporaneo sacrificio di alcuni, a beneficio di altri maggiormente esposti, selezionati inizialmente sulla base di un criterio a maglie larghe .
Per quanto riguarda infine il rapporto tra obbligo e raccomandazione, si è già detto.

5. E quella delle Corti Europee e di altre Corti Supreme.

La Repubblica Ceca ha una normativa sull’ obbligo di vaccino analoga a quella italiana, in quanto prevede nove vaccini obbligatori per i minori di anni 16, la cui inosservanza è sanzionata con una multa per i genitori renitenti e con il divieto per i minori di essere ammessi alla scuola materna.
Tale disciplina è stata devoluta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto asseritamente lesiva dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
La Corte, nella sua composizione a grande camera, ha risposto con la sentenza Vavřička dell’8 aprile 2021 , affermando il principio che gli Stati hanno l’obbligo di porre l’interesse superiore del bambino, ed anche dei bambini come categoria, al centro di tutte le decisioni che riguardano la loro salute ed il loro sviluppo. Per quanto riguarda l’immunizzazione, l’obiettivo deve essere quello di garantire che ogni bambino sia protetto contro le malattie gravi; per coloro che non possono ricevere questo trattamento la protezione risiede nella copertura indiretta derivante dall’immunità di gregge. Ha concluso che le misure denunciate dai ricorrenti, condanna al pagamento di un’ammenda e mancata ammissione alla scuola materna per non aver vaccinato i figli, valutate nel contesto del sistema nazionale, sono ragionevolmente proporzionate agli scopi legittimi perseguiti dallo stato ceco.
Pertanto tale pronuncia nutre il dovere di solidarietà sociale di cui agli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione di un ulteriore specifico argomento: la vaccinazione raccomandata, spontanea e generalizzata dei soggetti sani quale misura di protezione dei soggetti fragili che non possono vaccinarsi.
La stessa Corte, adita da 672 vigili del fuoco francesi a tempo pieno e volontari che richiedevano in via cautelare la sospensione dell’ obbligo di green pass previsto dalla legge 2021-1040 del 5 agosto 2021 dello Stato francese, ha rigettato, con decisione del 24 agosto 2021, il ricorso per difetto di urgenza a norma dell’art. 39 del regolamento della Corte.
Si può ricordare che la Francia ha adottato, con legge del 21 luglio 2021, l’onere di green pass per varie attività, con modalità analoghe a quelle del nostro Paese.
Il Conseil Constitutionel francese, che, a differenza del nostro sistema, ha un ruolo di verifica della legittimità costituzionale di una legge prima della sua promulgazione, a norma dell’art. 61 della Costituzione vigente del 4 ottobre 1958, ha validato il 5 agosto la legge del 21 luglio 2021 citata sull’onere di green pass.
Il Tribunale dell’Unione europea, con ordinanza presidenziale resa il 29 ottobre 2021, in causa T-527/21 R ha respinto il ricorso contro il passaporto vaccinale europeo.
Ulteriori pronunce di Corti Supreme di tutto il mondo sono reperibili sul sito di Covi19Litigation.org citato a nota 1.

6. La platea degli obbligati; interpretazione letterale e interpretazione funzionale.

La nostra storia è piena di leggi che hanno imposto un obbligo di vaccino senza provocare nel passato emozioni di massa.
L’ultima, in ordine di tempo, prima della pandemia, è il d.l. 7 giugno 2017 n. 73, conv. in l. 31 luglio 2017 n. 119, c.d. legge Lorenzin, che ha portato da 4 a 10 le vaccinazioni obbligatorie, e le ha poste come condizione di accesso agli asili nidi e alla scuola dell’infanzia, e disponendo altre misure per assicurarne l’effettività.
Ed è piena altresì di trattamenti sanitari funzionali al rapporto di lavoro e previdenziale.
Si possono ricordare le norme che consentono all’Inail di imporre all’infortunato di sottoporsi alle cure mediche e chirurgiche che ritenga necessarie (art. 87 t.u.), o anche solo utili (art. 89, comma 3), per il suo miglioramento ; l’art. 136 dello stesso t.u., per il quale, nel caso di inabilità permanente al lavoro in conseguenza di malattia professionale, se il grado dell'inabilità può essere ridotto con l'abbandono definitivo o temporaneo della specie di lavorazione per effetto e nell'esercizio della quale la malattia fu contratta, e il prestatore d'opera non intende cessare dalla lavorazione, la rendita è commisurata a quel minor grado di inabilità presumibile al quale il prestatore d'opera sarebbe ridotto con l'abbandono definitivo o temporaneo della lavorazione predetta; le norme sugli accertamenti medici preliminari alle prestazioni, ed in sede di revisione; gli artt. 157, 160, 162 sulle visite mediche preassuntive ed in corso di rapporto, comprensive di radiografia, per i lavoratori esposti a rischio silicotigeno; i prelievi ematici per i saldatori esposti a piombo, senza che queste misure invasive, che possono comportare la previa assunzione di sostanze e reagenti vari, estranei all’organismo umano alla pari dei vaccini, abbiano suscitato significative perplessità giuridiche e ritrosie mediche ; gli accertamenti medico-legali sullo stato di validità ai fini delle prestazioni della invalidità pensionabile e della invalidità civile; la previsione generale dell’ art. 41 t.u. 81, il quale, affidando al medico competente la sorveglianza sanitaria, obbligatoria per l’agente biologico catalogato, demanda alla sua scienza e coscienza la scelta delle misure, anche invasive, da adottare.
Nell’ambito della responsabilità sociale che informa l’art. 32 Cost., si devono considerare anche le disposizioni che si sono succedute in tema di sorveglianza sanitaria eccezionale per i lavoratori c.d. fragili, cioè quelli maggiormente esposti a rischio di contagio in ragione dell’età o di altre cause, come la immunodepressione o altre patologie oncologiche e comunque di comorbilità, che reclamano una maggiore attenzione da parte dei lavoratori sani, a norma dell’art. 20 t.u. 81, nel prevenire il rischio di contagio a loro danno (ad iniziare dall’art. 83 del d.l. 19 maggio 2020 n. 34; da ultimo art. 6 d.l. 23 luglio 2021 n. 105 che ha prorogato tale regime fino al 31.12.2021).
Quando, nel corso della pandemia da Covid 19, finalmente è stato scoperto il vaccino, il legislatore, per le ragioni spiegate al par. 5, non ha fatto ricorso, come in passato, ad un obbligo di vaccino generalizzato, che sarebbe stata la misura più radicale ed egualitaria, ma ha adottato il metodo della c.d. vaccinazione selettiva, procedendo per piccoli passi, ed in modo parcellare, frammentario, e, se si vuole, anche in parte contraddittorio, seguendo l’andamento della pandemia, i suggerimenti delle autorità sanitarie comunitarie e nazionali, quelli delle commissioni di esperti all’uopo nominate, ed anche le pressioni e le ritrosie dell’opinione pubblica, cercando di limitare le restrizioni.
Il primo provvedimento che ha imposto un obbligo di vaccino è stato l’art. 4 del d.l. 44, il quale, nel testo originario, recita: “comma 1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 . . ., al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.
Comma 6. Decorsi i termini di cui al comma 5 (relativi all’accertamento della mancata vaccinazione), l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 “.
La disposizione contiene pertanto entrambi i criteri fissati dall’art. 12 preleggi per la sua interpretazione ai fini di individuare la platea degli obbligati: quello letterale (“Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”: gli esercenti la professione sanitaria… che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie etc. ), e quello teleologico o funzionale (“e dalla intenzione del legislatore.”: al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura ed assistenza) .
Il primo problema interpretativo che si è posto è quello della platea degli obbligati.
La lettera della legge indica specifiche categorie professionali come obbligate.
Autorevole dottrina ha tuttavia osservato che la ratio dell’intervento legislativo impone di includere tutti coloro che operano nelle sedi menzionate, come il personale amministrativo operante all’interno della struttura, la segretaria e l’assistente dello studio professionale, gli addetti alla reception, alle pulizie o alla sorveglianza, di solito dipendenti di ditte esterne; e così pure gli addetti alla consegna e ritiro materiali (“contatti interpersonali o in qualsiasi altro modo”). In base al criterio funzionale del contenimento del contagio che ispira l’intervento legislativo, non avrebbe senso obbligare i dipendenti, e lasciare liberi tutti gli altri che a vario titolo circolano per gli ospedali per motivi lavorativi .
Nella stessa ottica il Tribunale di Cagliari, con ordinanza 18 marzo 2022 , ha applicato l’art. 4-bis della legge 76/2021, inserito dalla legge 24 settembre 2021 n. 133 (che estende l’ obbligo di vaccino a tutti i soggetti, anche esterni, che svolgono a qualsiasi titolo la propria attività nelle strutture, che a qualsiasi titolo ospitano persone in situazioni di fragilità), alla dipendente di una impresa privata addetta in appalto dal Comune a lavori di accudienza presso il domicilio privato di persone fragili, con interpretazione letterale quanto al soggetto “a qualsiasi titolo” e funzionale nell’estendere il precetto al domicilio privato. Anche il Tribunale Roma 28 luglio 2021, citato a par. 7, ha dichiarato legittima la sospensione di dipendente di RSA non avente la qualifica di personale sanitario. E così pure la ordinanza del Consiglio per la Giustizia amministrativa della Regione Sicilia citato a par. 10 che, nel rimettere alla Corte costituzionale la questione dell’ obbligo di vaccino, non dubita che la norma comprenda anche gli studenti in tirocinio presso un ospedale.
La interpretazione teleologica può valicare la lettera della legge e condurre ad una interpretazione estensiva. La dottrina fa l’esempio del termine “cittadini”, contenuto nell’art. 3 della Cost. (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”), che in questo caso va inteso nel senso di “uomini e donne” .
Ed è significativo che la ordinanza 9 aprile 2021 del commissario straordinario per la campagna vaccinale nazionale, immediatamente successiva al decreto legge, ponga sullo stesso piano il personale sanitario e tutti coloro che operano in presenza presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private.
Tuttavia la interpretazione funzionale è un’arma a doppio taglio, e deve fare i conti con altri criteri interpretativi, come quello sistematico.
In nome della interpretazione funzionale, il TAR Lombardia, con ord. 26 aprile 2022, ha accolto la domanda cautelare di un medico veterinario, che pure costituisce personale sanitario, in quanto a contatto con “pazienti animali” e non con persone; ha disposto accertamenti presso il Ministero della salute sul rischio di trasmissione del virus dall’uomo ad animale e viceversa; ha sospeso il provvedimento dell’Ordine di sospensione del medico veterinario nella parte in cui non limita la sospensione alle attività che comportino contatti interpersonali. La decisione lascia perplessi, perché il dialogo del medico veterinario non è diretto con l’animale, ma normalmente con il suo padrone, e quindi il rapporto interpersonale è insito nella sua attività.
Con lo stesso criterio il Tribunale di Ivrea, sent. 1 luglio 2022, ha affermato che l’ obbligo di vaccino non si applica ai dipendenti di strutture sanitarie, aventi qualifica di personale sanitario, se adibiti a mansioni amministrative, in quanto rilevano le mansioni di fatto espletate e non la qualifica professionale.
In senso contrario si era però pronunciato il Tribunale di Genova, 6 ottobre 2021, che ha respinto il ricorso cautelare di un tecnico sanitario di laboratorio avverso il provvedimento di sospensione, che allegava la mancanza di rapporti interpersonali. Il Tribunale ha rilevato che la ricorrente opera in un laboratorio inserito in un ospedale, da qualificare struttura sanitaria ai sensi dell’art. 4 d.l. 44. In punto di diritto ha rilevato che il comma 6 del medesimo art. 4 d.l. 44 impone l’ obbligo di vaccino per le prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o “comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione da contagio da Sars”. Ed in effetti è difficile immaginare una mansione all’interno di una struttura sanitaria che non implichi, in qualche misura, anche nel percorso dall’ingresso al proprio posto di lavoro, incontri personali e rischio di contagio.
Ma forse in questi casi non si tratta tanto di interpretazione funzionale, bensì di verifica delle condizioni di fatto che la sorreggono, se cioè sia così vero che il veterinario o la psicologa (sulla quale vedi TAR Lombardia, ordinanza 30 marzo 2022 n. 42 cit. a par. 10) lavorino nel vuoto assoluto, senza alcun tipo di contatto con i propri utenti.
Il criterio funzionale in ogni caso va integrato con quello sistematico: ad es. la legge 24 settembre 2021 n. 133, citata supra al par. 3, ha esteso l’obbligo vaccinale a tutti soggetti, anche esterni, che svolgono a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa nelle strutture residenziali, socio assistenziali e socio sanitarie, senza menzionare le strutture sanitarie; al contrario l’art. 2 d.l. 172/2021 cit. al par. 3, relativo all’ambito scolastico, ha escluso dall’ obbligo di vaccino il personale che svolge attività lavorativa con contratti esterni. Il legislatore è quindi ben consapevole del problema, ha fatto le sue scelte, ed ha articolato l’ obbligo di vaccino in maniera analitica, complessa e mutevole, seguendo i ben noti criteri epidemiologici ed i problemi gestionali, facendo così uso della propria discrezionalità con quegli ampi margini riconosciutigli, nel caso specifico della pandemia, dalla sentenza della Corte costituzionale 213/2021 cit. a nota 28. Ed allora, nonostante tutta la simpatia per la razionalità del criterio funzionale, si deve forse convenire con quella dottrina che, nell’imminenza della pubblicazione del d.l. 44, affermò che il legislatore ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit , e quindi per tutti gli altri lavoratori diversi dal personale specificamente indicata dalla legge rimarrebbe intatta, al tempo, la libertà di rifiutare il vaccino .
Appare molto più irrazionale, arbitrario ed estraneo alla funzione giurisdizionale, disarticolare il disegno gestionale del legislatore con interventi giudiziari che a volte sembrano ispirati solo da una valutazione personale dei fatti e dei rimedi difforme da quella operata dal legislatore.
E un problema di interpretazione si pone anche per comporre la diversità di effetti della mancata vaccinazione nel diritto comune e nel diritto emergenziale.
E’ stato rilevano l’effetto paradossale per il quale per i sanitari per i quali è espressamente sancito l’obbligo di vaccino la conseguenza peggiore è la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per un tempo determinato, mentre per gli altri lavoratori la concatenazione normativa che parte dall’articolo 15 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 potrebbe portare al licenziamento per inidoneità alla mansione .
La soluzione non è semplice. Probabilmente la risposta va cercata nel ruolo integrativo dell’interprete, secondo l’insegnamento di un grande Maestro del diritto e della giurisprudenza di legittimità . Di qui l’ imprescindibile opera dell’interprete, e la sua responsabilità, nel dare coerenza al sistema normativo nel suo complesso, a ciò delegato dall’art. 12 delle preleggi. Nel caso di specie, ritenere che l’inidoneità alla mansione dichiarata dal medico competente abbia gli stessi limiti temporali dei casi di violazione dell’ obbligo di vaccino.

7. Il tempo delle certezze; la giurisprudenza civile.

Come accennato al par. 1, nella prima fase della pandemia abbiamo assistito ad una straordinaria compattezza della giurisprudenza nell’ attribuire rilevanza preminente all’interesse pubblico, e quindi a sostegno della legislazione emergenziale, in particolare per quanto riguarda l’ obbligo di vaccino.
Alcune pronunce coprono periodi anteriori al d.l. 1 aprile 2021 n. 44, o personale ritenuto non rientrante in tale testo legislativo; postulano perciò un fondamento giustificativo dell’obbligo diverso da quello del d.l. 44, che richiama le posizioni della dottrina cennata al par. 1.
-il primo a pronunciarsi è stato il tribunale di Belluno, con ordinanza del 19 marzo 2021 n. 12, che ha respinto il ricorso ex art. 700 di due infermieri, operatori sanitari, ed otto operatori socio sanitari posti in ferie retribuite dal datore di lavoro per aver rifiutato di vaccinarsi. La ordinanza è importante, non solo perché anticipatrice del successivo intervento legislativo, ma anche per il suo contenuto motivazionale, esaustivo nella stringatezza. La ordinanza infatti non collega le rationes decidendi alla specificità delle mansioni degli operatori sanitari, ma al fatto che i ricorrenti siano impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro, così istituendo, a nostro avviso, un collegamento inespresso con quella nozione ampia di rischio di contagio disegnata nella circolare Inail 13/2020, ed anche alla nozione di rischio di contagio assunta nel d.l. 44/2021 (“attraverso i contatti interpersonali o in qualsiasi altro modo”);
-ordinanza del medesimo Tribunale 6 maggio 2021 n. 328 che ha respinto, in composizione collegiale, il reclamo avverso la ordinanza del 19 marzo precedente, dichiarando in particolare manifestamente infondata la eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. 44, per preteso contrasto con l’art. 32 Cost.;
-ordinanza del Tribunale di Modena 19 maggio 2021 , in analoga situazione di fatto (fisioterapista in residenza per anziani sospesa dal lavoro per rifiuto vaccino) e con analoghe motivazioni;
- ordinanza Tribunale Verona del 24 maggio 2021 : adito dalla dipendente con qualifica di OSS-operatore socio sanitario di una RSA, con circa 60 ospiti, età media 80 anni, posta in aspettativa non retribuita, perché renitente al vaccino anti-covid, per ottenere la reintegra in via cautelare nelle mansioni svolte, respinge la domanda. Motivazione: l’interesse prevalente nella comparazione delle tutele è quello degli assistiti, come statuito già dall’ordinanza del tribunale di Belluno 328/2021; nelle more del giudizio è entrato in vigore il d.l. 1° aprile 2021 n. 44, il cui art. 4 pone l’obbligo di vaccinazione a carico specificamente degli OSS operanti nelle strutture socioassistenziali; le critiche della ricorrente all’efficacia del vaccino sono infondate alla luce del documento dell’ISS dalla stessa prodotto.
Il provvedimento del Tribunale di Verona è di estremo interesse, per almeno tre motivi:
-perché, come cennato, copre anche il periodo anteriore al d.l. 44, per il quale dunque deve ricercarsi un diverso fondamento giustificativo dell’obbligo, o meglio onere, di vaccinarsi;
-perché dà rilievo alla conoscenza diretta da parte del datore di lavoro del rifiuto del vaccino, al di fuori delle procedure previste dal d.l. 44, le quali non costituiscono quindi condizioni di legittimità della conoscenza e del provvedimento ;
-perché richiama il precedente dell’ordinanza del tribunale di Belluno, la quale motiva non sul rischio specifico degli operatori sanitari, ma su quello di qualsiasi lavoratore che possa venire in contatto con colleghi e con terzi;
-ordinanza Tribunale di Roma 28.7.2021, che ha dichiarato legittima la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della dipendente di una RSA per rifiuto del vaccino. Anche questa ordinanza si segnala, perché: la dipendente non rientrerebbe nella previsione del d.l. 44 in quanto non riveste la qualifica di personale sanitario o di interesse sanitario; essa è comunque in contatto con ricoverati “fragili”; il provvedimento è basato sul giudizio del medico competente di inidoneità alla mansione; per tale motivo non riveste carattere disciplinare.
-sentenza Tribunale Milano 16 settembre 2021 n. 2135, sulla domanda di riammissione in servizio di una dipendente di cooperativa operante presso una RSA, sospesa dal servizio a decorrere dal 9 febbraio 2021 perché renitente al vaccino anti covid. Il Tribunale ha affermato l’obbligo del datore di lavoro di assicurare la massima sicurezza sul lavoro anche dagli agenti biologici esterni, quale il Sars-Cov-2, incluso dalla direttiva UE 739/2920 tra gli agenti biologici dai quali è obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro; ha richiamato i precedenti giurisprudenziali specifici, prestandovi adesione; ha tuttavia accolto il ricorso per mancata prova, a carico del datore di lavoro, della impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni, e, dopo il 1° aprile 2021, per mancata osservanza delle procedure ivi previste per la conoscenza del rifiuto. Ha comunque precisato che dalla pronuncia non deriva il diritto della lavoratrice di rientrare nei luoghi di lavoro precedenti.
- Tribunale di Venezia, ordinanza 11 aprile 2022 n. 1020, ha dichiarato inammissibile e comunque infondato il ricorso collettivo cautelare proposto da 44 persone ultracinquantenni diretto a sentir dichiarare insussistente l’ obbligo di vaccino previsto dall’art. 1 del d.l. 7 gennaio 2022 n. 1 per tale classe di età.
-della ordinanza 18 marzo 2022 del Tribunale di Cagliari si è già detto al par. precedente; della ordinanza del Tribunale di Genova 6 ottobre 2021 al par. 6.
Ulteriori pronunce, tutte nello stesso segno della legittimità della sospensione per rifiuto del vaccino: Tribunale di Terni, di Ivrea, di Treviso, Bolzano, sono segnalate dalla stampa generalista.

8. E quella amministrativa.

Per la giurisprudenza amministrativa il punto di riferimento è costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato 20 ottobre 2021 n. 7045 , per l’autorità di vertice da cui promana; per la profondità, ampiezza ed esaustività della motivazione, che copre tutto l’arco delle tesi contrarie al vaccino; per la ricchezza delle fonti documentarie ed i riferimenti costituzionali e culturali che la sorreggono; perché infine capostipite di una serie di sentenze dello stesso organo di vertice con essa coerenti. E benché le sentenze del Consiglio di Stato non siano provviste, come quelle della Cassazione, di una funzione nomofilattica esterna, e benché la funzione nomofilattica interna sia riservata alle decisioni della Adunanza plenaria, tuttavia il peso intrinseco delle argomentazioni, ed il valore della prevedibilità delle decisioni giudiziarie, sempre più riconosciuto e richiesto, dovrebbe indurre i giudici di prima istanza a discostarsi dai principi enunciati dall’organo di vertice solo motivando adeguatamente l’eventuale dissenso, e non ribadendo argomenti già sconfessati dall’organo di vertice, senza confutarli.
La fattispecie: diversi esercenti professioni sanitarie ed operatori sanitari della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia avevano fatto ricorso davanti al TAR della stessa Regione contro gli atti delle Aziende sanitarie friulane conseguenti al loro rifiuto di vaccinazione. Il TAR aveva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo e cumulativo contro i provvedimenti di ASL distinte. Il Consiglio di Stato ha da una parte dichiarato ammissibile il ricorso collettivo e cumulativo, con identità di censure, avverso distinti provvedimenti adottati in esecuzione dell’art. 4 d.l. 44/2021, dall’altra ha respinto nel merito le doglianze dei sanitari, confutando analiticamente i dieci motivi di ricorso.
Questi si possono raggruppare in argomenti giuridici (la interpretazione dell’art. 32 Cost.) ed argomenti fattuali (sicurezza ed efficacia del vaccino, il suo preteso carattere sperimentale, i rimedi alternativi).
Con la prima censura i ricorrenti avevano dedotto il contrasto dell’art. 4 d.l. 44 con il diritto dell’Unione, costituito dall’art. 3 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, secondo cui “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica”, e dell’art. 52 della stessa Carta che ammette limitazioni dei diritti dell’individuo solo nella misura consentita dal principio di proporzionalità, che la legge italiana non rispetterebbe; nonché con l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, citando al riguardo la famosa Raccomandazione del Consiglio d’Europa 27 gennaio 2021 n. 2361; chiedevano pertanto che il giudice disapplichi la normativa nazionale e dichiari illegittimi i provvedimenti amministrativi su di essa basati.
Il Consiglio di Stato risponde correggendo la interpretazione distorta, perché unilaterale, delle norme invocate, ricorda la sentenza Vavřička sulla legittimità dell’obbligo di vaccino; conclude, con parole severe, che la legge non è mai diritto degli invulnerabili a danno dei più vulnerabili, e che sarebbe “un macabro paradosso” se i pazienti malati o anziani contraessero il virus, con effetti letali per essi, proprio nella struttura deputata alla loro cura, e per causa del personale deputato alla loro cura, refrattario alla vaccinazione.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 32 Cost., la Corte ricorda la giurisprudenza costituzionale sul bilanciamento dei diritti fondamentali e ricorda, in punto di fatto, che nessun vaccino è a rischio zero (come dimostrato, potremmo aggiungere, dalla nostra legge 210/1992 sugli obblighi indennitari dello Stato per gli effetti avversi di qualsiasi vaccinazione obbligatoria), e che nel caso del vaccino anti covid il sistema di farmacovigilanza ha accertato 120 casi di effetti negativi, di gravità diversa, per ogni 100.000 dosi, e cioè un bilancio rischi-benefici decisamente favorevole alla vaccinazione.
Quanto ai sospetti sulla validità, efficacia e pericolosità del vaccino, la Corte ricorda i pareri e la documentazione delle autorità sanitarie internazionali e nazionali e della comunità scientifica, che costituiscono i punti di riferimento in una società strutturata (e di chi altri sennò). Potremmo aggiungere che non si può definire sperimentale un vaccino somministrato ad un campione di alcuni miliardi di persone nel mondo, con esiti monitorati e di pubblico dominio, riscontrabili da qualsiasi tardivo emulo di san Tommaso.
Quanto al diritto di scelta di cure alternative, la Corte afferma che il legislatore, obbligato dall’art. 32 ad intervenire in materia di diritto pubblico alla salute, non può affidarsi ad un preteso soggettivismo curativo, vittima a volte di “credenze irrazionali, e perciò indimostrabili e, al tempo stesso, infalsificabili” .
Quanto infine alla censura che la sospensione dal lavoro, conseguenza del rifiuto del vaccino, confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, sul quale è fondata la nostra Repubblica (art. 1 Cost.), afferma che il diritto alla salute pubblica prevale su quello individuale al lavoro, a parte che l’art. 4 in questione prevede un sistema graduale che consente, in date circostanze di fatto, di conservare la possibilità di lavorare in mansioni diverse.
Ed a questo autorevole precedente si rifanno espressamente i vari provvedimenti successivi del Consiglio di Stato sull’ obbligo di vaccino :
-sentenza 28 febbraio 2022 n. 1376. La sentenza, nel ribadire gli argomenti della precedente sentenza 7045, anche alla luce dei motivi di ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo (menzionati al par. 5) riproposti con il ricorso amministrativo, respinge i dubbi sulla affidabilità del vaccino con le parole del rapporto AIFA relativo all’osservazione del periodo 27.12.2020-26.12.2021, secondo cui “nel caso specifico di questi vaccini, nessuna Autorità Regolatoria a livello globale ha concesso deroghe significative alle varie fasi della sperimentazione richieste dalla normativa per tutti i farmaci e vaccini. Va infatti sottolineato con estrema chiarezza che nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico (test di qualità, valutazione dell’efficacia e del profilo di sicurezza) dei vaccini è stata omessa e il numero dei pazienti coinvolti negli studi clinici è lo stesso di vaccini sviluppati con tempistiche standard. Lo sviluppo clinico in tempi molto rapidi è stato possibile grazie a grandi investimenti economici e di know-how, che hanno permesso alle aziende farmaceutiche e alle istituzioni accademiche e di ricerca pubblica di affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato (decine di migliaia) di partecipanti. Alla rapida disponibilità dei vaccini anti-Covid-19, inoltre, ha contribuito in maniera rilevante la celerità del processo autorizzativo dei prodotti da parte di tutte le Autorità Regolatorie. A livello dell’EMA, in particolare, si è ricorsi allo strumento della revisione ciclica (rolling review), che ha permesso di valutare i dati contestualmente alla loro raccolta, con la conseguente compressione dei tempi burocratici di autorizzazione. Analogamente, l’AIFA, che direttamente partecipa alle valutazioni di procedure centralizzate europee, ha accelerato il processo di ratifica dell’approvazione EMA per rendere questi medicinali velocemente disponibili nel nostro Paese (entro 24 ore dalla autorizzazione dell’EMA)” (pag. 10).
Quanto alla pretesa discriminazione tra sanitario esentato dall’ obbligo di vaccino per ragioni mediche, che può svolgere la professione in contatto con i pazienti, e non vaccinato per scelta personale insindacabile cui è proibito, si può ricordare che per le persone che abbiano controindicazioni mediche al vaccino, a norma dell’art. 4, comma 2, il comma 10 dispone una disciplina speciale, dando il giusto rilievo al fatto che la mancata vaccinazione dipende da fattori estranei alla loro volontà: i libero professionisti continuano a svolgere liberamente la propria attività, adottando le misure di prevenzione igienico sanitarie indicate in un protocollo emanato dal Ministro della salute, di concerto con giustizia, lavoro, politiche sociali; gli altri lavoratori continuano a percepire la retribuzione precedente (è evidente l’influsso dell’art. 42 del testo unico sicurezza), e sono adibiti a mansioni anche diverse in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Quell’ ”anche” significa che potrebbero continuare a svolgere le mansioni precedenti, adottando le misure di prevenzione, diverse dal vaccino, atte a ridurre il rischio di contagio. con conservazione del trattamento retributivo. Questa possibilità per i soggetti del comma 2 di continuare a lavorare, nonostante la mancata vaccinazione, non deve essere vista come una incongruenza del sistema, bensì come un segnale dell’approccio pragmatico e non ideologico del legislatore al problema della salute pubblica: ove possibile, il vaccino, quale misura risolutiva per eliminare il rischio di contagio o la gravità delle sue conseguenze, come dimostrato dall’incontrovertibile esperienza clinica, epidemiologica e storica; ove il vaccino non sia possibile, per controindicazioni non dipendenti dalla mera volontà potestativa del soggetto, altre misure meno efficaci, che comunque riducono il rischio di contagio .
-ordinanza collegiale 4 febbraio 2022 n. 583, ha affermato che l’obbligo vaccinale per il personale sanitario trova la sua ratio nella prevalenza accordata alla tutela della salute pubblica e, in particolare, degli utenti della sanità pubblica e privata. Le misure contestate dagli appellanti si inseriscono nel quadro di una strategia generale di contrasto alla pandemia e non risultano essere sproporzionate né discriminatorie, né lesive dei diritti fondamentali dei destinatari. Il diritto all’autodeterminazione di quanti abbiano deciso di non vaccinarsi è da ritenersi recessivo rispetto alla tutela di beni supremi quale è la salute pubblica, specie in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione, ove adottato, non ha funzione sanzionatoria e non pregiudica in alcun modo il rapporto di lavoro. Il tutto naturalmente condito da riferimenti alla ben nota giurisprudenza costituzionale sull’art. 32 ed alle fonti sovranazionali.
-decreto monocratico del Consiglio di Stato 28 gennaio 2022 n. 416 ha respinto l’appello avverso la ordinanza cautelare del TAR Lazio 131/2022 che aveva respinto la domanda di personale scolastico contrario al vaccino.
Pertinenti al tema sono anche:
-Consiglio di Stato sentenza 20 dicembre 2021 n. 8454: per le esenzioni vaccinali previste dall’art. 4, comma 2, d.l. 44 il medico di medicina generale che certifica il pericolo di un proprio paziente deve indicare la specifica patologia di cui soffre l’interessato.
-Consiglio di Stato 17 settembre 2021 n. 5130 ha respinto l’appello avverso l’ordinanza cautelare del TAR Lazio 4281/2021 che aveva respinto l’istanza di sospensione del DPCM 17 giugno 2021 sul green pass.
-Consiglio di Stato decreto 19 gennaio 2022 n. 207, che ha sospeso in via monocratica la sentenza del Tar Lazio che aveva accolto il ricorso proposto da alcuni medici avverso le Linee guida dell’Aifa e la circolare del Ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” aggiornata al 26 aprile 2021, per la gestione domiciliare dei pazienti con infezione da Covid-19 . Il decreto ha chiarito che la circolare del Ministero della Salute “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2” aggiornata al 26 aprile 2021 non ha natura vincolante ai fini delle scelte terapeutiche dei medici di medicina generale, per la cura domiciliare dei pazienti Covid-19; il documento contiene, spesso con testuali affermazioni, “raccomandazioni” e non “prescrizioni”, cioè indica comportamenti che, secondo la vasta letteratura scientifica ivi allegata in bibliografia, sembrano rappresentare le migliori pratiche, pur con l’ammissione della continua evoluzione in atto. Di conseguenza non emerge alcun vincolo circa l’esercizio del diritto-dovere del medico di medicina generale di scegliere in scienza e coscienza la terapia migliore, laddove i dati contenuti nella circolare sono semmai parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello anche internazionale. Ne consegue che la sospensione della circolare, lungi da far “riappropriare” i Medici di medicina generale della loro funzione e delle loro inattaccabili e inattaccate prerogative di scelta terapeutica (che l’atto non intacca), determinerebbe semmai il venir meno di un documento riassuntivo delle “migliori pratiche” che scienza ed esperienza, in costante evoluzione, hanno sinora individuato, e detti medici ben potranno, nello spirito costruttivo della circolazione e diffusione delle informazioni scientifico mediche, considerare come raccomandabili, salvo scelte che motivatamente, appunto in scienza e coscienza, vogliano effettuare, sotto la propria responsabilità (come è la regola), in casi in cui la raccomandazione non sia ritenuta la via ottimale per la cura del paziente.
-Cons. Stato, Sez. III, decr. 1 dicembre 2021, n. 6401 che ha respinto l’istanza cautelare d’appello di alcuni sanitari contro il decreto del TAR Abruzzo ad essi sfavorevole, ribadendo, con parole dure, gli obblighi di cura dei sanitari verso i propri pazienti.
Le decisioni di prima istanza seguono in grande prevalenza le statuizioni del Consiglio di Stato:
-TAR Puglia, sez. II Lecce, decreto 5 agosto 2021 n. 480: premesso che il d.l. 44 appartiene alla categoria delle leggi-provvedimento, qualifica la comunicazione di sospensione come atto meramente ricognitivo di un effetto già verificatosi ex lege, e nonostante ciò autonomamente impugnabile quale unico mezzo per introdurre un giudizio sulla costituzionalità della legge-provvedimento; ciò premesso, ha respinto il ricorso perché il diritto dell’individuo è “decisamente recessivo” rispetto all’interesse pubblico.
-TAR Lazio, decreto 24 agosto 2021 n. 4453, ha dichiarato inammissibile il ricorso del sindacato ANIEF contro il d.l. 111 sul green pass per gli insegnanti in quanto atto legislativo eccedente la giurisdizione amministrativa.
-sempre il TAR Lazio, con i successivi decreti gemelli 4531 e 4532 del 2 settembre 2021, nei quali venivano impugnati atti amministrativi del Ministero dell’Istruzione attuativi del green pass, è entrato nel merito delle questioni, affermando, nell’ordine, che il diritto alla salute non ha valenza assoluta né può essere inteso come intangibile, in quanto deve essere correlato e contemperato con gli altri fondamentali, essenziali e poziori interessi pubblici quali quello attinente alla salute pubblica; in ogni caso il predetto diritto è riconosciuto dal legislatore il quale prevede in via alternativa la produzione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-Cov 2;
tale possibilità costituisce una facoltà rispettosa del diritto del docente a non sottoporsi a vaccinazione ed è stata prevista nell’esclusivo interesse di quest’ultimo, e, conseguentemente non appare irrazionale che il costo del tampone venga a gravare sul docente che voglia beneficiare di tale alternativa.
- TAR Sardegna, ordinanza 14 settembre 2021, ha respinto il ricorso di 173 operatori sanitari che si dolevano della sospensione del rapporto in quanto non vaccinati.
- TAR Friuli Giulia 10 settembre 2021 n. 262, ha respinto il ricorso di una operatrice sanitaria volto all’annullamento del provvedimento di sospensione per mancata vaccinazione emesso dalla ASL di cui è dipendente, con motivazione particolarmente articolata ed approfondita, sui soliti temi: bilanciamento degli interessi operato dall’art. 32 nella interpretazione della Corte costituzionale; irrilevanza della “alluvionale quantità di documenti, della più varia natura”, prodotto dalla ricorrente, a fronte delle informazioni ufficiali, veicolate dalle competenti autorità pubbliche; “l’equiparazione dei vaccini a farmaci sperimentali è frutto di una interpretazione forzata e ideologicamente condizionata della normativa europea”.
-TAR Calabria, sez. Catanzaro, con ordinanza collegiale 13 gennaio 2022 n. 7, giudicando sulla domanda di annullamento della delibera del Consiglio Direttivo dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Catanzaro che aveva disposto la sospensione di un infermiere non vaccinato, dichiarata preliminarmente la propria giurisdizione, perché il ricorso non riguarda un atto di gestione del rapporto di lavoro intercorrente tra il ricorrente e l’Azienda Ospedaliera, ma ha ad oggetto il provvedimento, di carattere autoritativo benché vincolato, di sospensione dall’Albo degli Infermieri (in conformità a Cons. Stato, Sez. III, ord. 23 dicembre 2021, n. 6796; TAR Friuli Venezia Giulia, 13 settembre 2021, n. 276, citato al par. 14); nel merito ha respinto la domanda motivando che: l’ obbligo di vaccino è conforme a Costituzione, secondo la più autorevole giurisprudenza sin qui pronunciatasi; è coerente con i migliori approdi conoscitivi cui è pervenuta la comunità scientifica; costituisce espressione del principio di solidarietà sociale; non avendo il ricorrente dedotto la sussistenza di elementi ostativi alla sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria, non sussiste il pericolo di un danno grave e irreparabile; egli, infatti, potrà agevolmente rimuovere gli effetti negativi dell’atto impugnato sottoponendosi alla vaccinazione anti Covid-19, così adempiendo a un preciso obbligo derivante dalla legge e, ancor prima dal giuramento professionale; infine che nel bilanciamento tra gli interessi in gioco, quello del ricorrente all’esercizio dell’attività sanitaria e alla correlativa percezione della remunerazione in violazione dell’obbligo vaccinale è destinato a soccombere a fronte delle pressanti esigenze di tutela della salute pubblica e, soprattutto della salute di chi si rivolga al personale sanitario.

9. La tutela dei minori.

Il Tribunale di Monza, adito ex art. 709 ter c.p.c. dalla madre di un quindicenne favorevole alla vaccinazione, ha risolto il contrasto con il padre no vax, con decreto 22 luglio 2021 n. 3686, autorizzando la madre alla somministrazione, anche in assenza del consenso dell’altro genitore; ha motivato affermando che la comunità scientifica sia nazionale sia internazionale ha riconosciuto l’efficacia del vaccino con un rapporto rischi-benefici nel quale i benefici sono superiori ai rischi in tutte le fasce di età.
Identica soluzione e motivazione in tutte le decisioni note di tutti i Tribunali competenti per le questioni familiari, quali Milano (decreti 2/13 settembre 2021, 7 ottobre 2021, 3 novembre 2021), Venezia, Roma .
E questa valutazione unitaria dell’interesse del minore costituisce, a nostro sommesso avviso, la cartina di tornasole di quale sia la scelta corretta in tema di vaccinazione in assenza dei pregiudizi ideologici degli adulti.
Rimane senza tutela il minore che desideri vaccinarsi, contro la volontà contraria di entrambi i genitori no vax; lacuna grave perché la vaccinazione, pur non obbligatoria, è particolarmente raccomandata per i minori, per il grave effetto negativo che deriva al loro sviluppo psico sociale dall’isolamento .

10. I primi dubbi: le ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale ed alla Corte di giustizia dell’Unione europea; la questione dell’assegno alimentare.

II Tribunale Padova, con ordinanza 7 dicembre 2021, in fattispecie di infermiera professionale in servizio presso reparto ospedaliero, già contagiata e guarita da Covid 19, renitente al vaccino, ha rivolto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea su 7 quesiti: 1. Se l’autorizzazione condizionata emessa su parere favorevole EMA in relazione ai vaccini in commercio possa essere considerata valida alla luce dell’art. 4, Regolamento n. 507/2006 ; 2. se possa ritenersi sussistente una deroga all’ obbligo di vaccino valida nei confronti di quegli operatori sanitari guariti dal Covid 19 e, pertanto, divenuti immuni; 3. se, in ragione della condizionalità dell’autorizzazione dei vaccini, i sanitari obbligati possano opporsi alla inoculazione fintantoché non sarà accertato che non vi siano controindicazioni e che i benefici siano superiori a quelli degli altri farmaci anti-covid oggi in commercio; 4. se sia legittima la sospensione dal posto di lavoro senza diritto alla retribuzione per il sanitario non vaccinato, o se sia necessario prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie, in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità; 5. se la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore debba avvenire nel rispetto del contradditorio e quando ciò non avvenga, se ai sensi dell’art. 41 della Carta di Nizza si configuri il diritto al risarcimento danni; 6. se alla luce del regolamento 953/21, che vieta qualsiasi discriminazione tra il vaccinato ed il non vaccinato, sia legittima una disciplina nazionale che consente al sanitario esentato dall’ obbligo di vaccino di poter esercitare la propria attività anche in contatto con il paziente, mentre il non vaccinato per scelta è automaticamente sospeso; 7. se infine sia compatibile con il richiamato reg. 953/21 la disciplina di uno stato membro che imponga il vaccino anti-covid a sanitari provenienti da altri stati membri e presenti in Italia .
A seguire il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con ordinanza 22 marzo 2022 n. 351, ha investito la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 d.l. 44/2021, nella fattispecie di uno studente del terzo anno del corso di laurea infermieristica, che avrebbe dovuto partecipare al tirocinio formativo all’interno di strutture sanitarie, e per tale motivo soggetto all’ obbligo di vaccino, con motivazioni attinenti sostanzialmente alla pericolosità del vaccino stesso.
A sua volta la sezione lavoro del Tribunale di Catania, con ordinanza 14 marzo 2022 , ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, d.l. 44/2021, nella parte in cui non prevede un assegno alimentare per il periodo di sospensione, in un fattispecie di infermieri soggetti all’ obbligo di vaccino e renitenti allo stesso.
Negli stessi termini il TAR Lombardia, con ordinanza 16 giugno 2022 n. 1397 ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità dell’articolo 4, comma 5, del Dl 44/2021, anche qui per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità.
In precedenza lo stesso TAR Lombardia, con la ordinanza 30 marzo 2022 n. 42, aveva rimesso alla Corte la questione di costituzionalità dell’articolo 4, comma 4, del Dl 44/2021, nella fattispecie di una psicologa libero professionista, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, ritenendo fattibile una soluzione “più mite”, tipo il divieto di intrattenere contatti di prossimità con il paziente. Inoltre, ha bloccato alcuni provvedimenti degli Ordini professionali che dichiaravano la sospensione, abilitando quindi i sanitari ricorrenti, non vaccinati, a riprendere l’attività professionale, valutando il requisito del fumus boni juris con un giudizio prognostico circa l’esito del giudizio di costituzionalità.

11. La seconda fase: i no vax conquistano i (alcuni) Tribunali.

Il Tribunale di Firenze, con ordinanza 6 luglio 2022 in sede cautelare, inaudita altera parte, accoglie il ricorso e per l’effetto sospende il provvedimento dell’Ordine degli psicologi della Toscana che vieta alla ricorrente di esercitare la professione di psicologa, argomentando: lo scopo dell’ obbligo di vaccino di cui all’art. 4 d.l. 44/2021, cioè di impedire la malattia ed assicurare condizioni di sicurezza in ambito sanitario è irraggiungibile, come risulta dagli stessi rapporti di AIFA e degli istituiti di vigilanza europei, che attestano il dilagare ed il prevalere numerico delle infezioni e decessi proprio tra i soggetti vaccinati con tre dosi; che l’art. 32, comma 2, Cost. non è in radice applicabile per la mancanza di benefici della collettività; che detto articolo, all’interno della carta costituzionale “personacentrica”, dopo l’esperienza del nazi-fascismo, non consente di sacrificare il singolo individuo per un interesse collettivo vero o supposto; che l’ obbligo di vaccino viola ictu oculi gli articoli 4, 32, 36 cost.; il trattamento iniettivo ha già causato eventi avversi gravi e morte.
Che dire di una motivazione siffatta? Solo che considera la risoluzione 2361/2021 del Consiglio d’Europea citata al par. 8, priva di valore vincolante, come un atto proprio di organi dell’Unione Europea.
Il Tribunale di Sassari, in sede cautelare, con provvedimento del 9 giugno 2022 n. 386, ordina al datore di lavoro resistente di far riprendere immediatamente il lavoro alla ricorrente, a condizione che ella si sottoponga a proprie spese a test molecolare, oppure al test antigienico da eseguire in laboratorio, oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, ogni 72 ore nel primo caso ed ogni 48 nel secondo. Come percorso motivazionale, il Tribunale premette e cita la giurisprudenza costituzionale sulla duplicità di valori ed interessi tutelati dall’art. 32 cost., ma valuta che in rapporto alla funzione di tutela della salute collettiva lo strumento della vaccinazione prescelto appare irragionevole, perché questa non elide il rischio di contrarre il virus SARS-CoV-2 né tanto meno di trasmetterlo ai soggetti terzi. Effettua una valutazione prognostica circa l’esito del giudizio di costituzionalità che si dovesse proporre in sede di merito e lo risolve nel senso della illegittimità. Conclude, sostituendosi al legislatore, alla Corte costituzionale ed alla comunità scientifica, che il tampone è meglio del vaccino.
Quello che colpisce di questi provvedimenti è l’assolutezza astratta delle loro affermazioni, senza nessuna considerazione per il criterio probabilistico, che guida tutta l’azione di contrasto alla pandemia, nonché l’approccio dell’Inail nella valutazione della occasione di lavoro ed il riconoscimento dell’infortunio professionale da covid. Nessuno pretende che il vaccino garantisca al 100% la immunità e la non propagazione del virus; è però certo scientificamente ed epidemiologicamente che lo riduce grandemente, e riduce la gravità degli esiti, e questo ci basta in questo mondo terreno e imperfetto.

12. Quando sono i ricorrenti a voler essere vaccinati.

Non sempre i ricorrenti si oppongono all’ obbligo di vaccino. Nel caso esaminato da TAR Catania 13 febbraio 2021 n. 102 un gruppo di persone che avevano ricevuto la prima dose indebitamente, in quanto non rientranti nelle categorie prioritarie previste dal piano strategico nazionale, impugnavano in via cautelare il provvedimento emesso dall’Assessorato della salute della Regione Sicilia in data 21 gennaio 2021 che vietava in tal caso la seconda dose, chiedendo viceversa di riceverla.
Il TAR ha rigettato il ricorso, ritenendo che il bilanciamento degli interessi generali impone il regolare proseguimento della campagna vaccinale secondo i piani prestabiliti.

13. Quarantena e comporto di malattia.

L’art. 42, comma 2, d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. in l. 24 aprile 2020 n. 27 estende le prestazioni temporanee Inail al periodo di quarantena o di residenza domiciliare. Ora per la quarantena ne esistono due tipi (art. 1, commi 6 e 7 d.l. 16 maggio 2020 n. 33): quella successiva all’accertamento di positività e quella precauzionale, per coloro che vengono allontanati dal lavoro a fini preventivi, avendo avuto contatti stretti con casi confermati di soggetti positivi al virus.
La disposizione si colloca in un trend evolutivo che parte dall’art. 68 t.u. 1124, il quale riconosce la indennità di temporanea per i lavoratori che a seguito di infortunio sul lavoro o malattia professionale sono nella impossibilità fisica di eseguire la prestazione ed attraversa altre norme dello stesso t.u. ed arresti giurisprudenziali che parificano alla impossibilità fisica:
- i periodi nei quali l’assicurato, anche dopo la costituzione della rendita di inabilità, si sottoponga a speciali cure mediche e chirurgiche ritenute utili per la restaurazione della capacità lavorativa (in tal caso, durante il periodo delle cure e fin quando l’infortunato non possa attendere al proprio lavoro, l’Istituto integra la rendita di inabilità fino alla misura massima dell’indennità per inabilità temporanea assoluta: art. 89 t.u. 1124);
— i lavoratori affetti da silicosi o asbestosi che per l’esecuzione delle cure o degli accertamenti diagnostici siano obbligati ad astenersi dal lavoro godono di un assegno giornaliero nella misura corrispondente all’indennità per inabilità temporanea assoluta (art. 148, comma 3);
-la giurisprudenza ha assimilato a tali ipotesi quelle determinate da esigenze terapeutico-preventive, come nel caso di un lavoratore affetto da c.d. saturnismo preclinico o subclinico che necessiti di astenersi dal lavoro per abbassare la soglia di concentrazione tossica nell’organismo .
In questo quadro può essere collocata l’astensione dal lavoro per ordine dell’autorità nell’interesse della collettività, e pertanto inserire nella tutela Inail la quarantena precauzionale, anche quando all’esito di essa non dovesse risultare l’infezione. Ed in questi termini si è espresso l’Inail con la circ. 20 maggio 2020 n. 22.
In conformità a questi principi, il Tribunale di Asti, con sentenza 5 gennaio 2022 n. 441, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto con inclusione nel relativo computo della quarantena da Covid 19 contratto in occasione di lavoro. Il Tribunale ha rilevato che l’art. 26, comma 1, d.l 18/2020, nella versione vigente ratione temporis al tempo dei fatti, statuisce che il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare con sorveglianza attiva. . . non è computabile ai fini del periodo di comporto. Il Tribunale ha osservato altresì che si tratta di disposizioni ripetutamente modificate alla luce dell’evoluzione epidemiologica, e pertanto vanno prese nel loro valore imperativo al momento dei fatti.

14. Profili di giurisdizione.

Altre pronunce del giudice amministrativo riguardano problemi di giurisdizione a conoscere delle doglianze circa il provvedimento di sospensione per mancata vaccinazione sia dei sanitari in regime di libera professione sia dei dipendenti pubblici contrattualizzati, soggetti all’ obbligo di vaccino in forza delle disposizioni riportate al par. 3, in particolare per la mancata previsione e corresponsione degli assegni alimentari previsti, proprio per il caso di sospensione, dall’art. 82 dello statuto dei dipendenti pubblici l. 3/1957 ed altresì, per gli insegnanti, dall’art. 500 d.lgs. 297/1994 .
Si tratta di un contenzioso ad esaurimento, sia perché il d.l. 24 marzo 2022 n. 24, come riportato al par. 3, non prevede più per il personale docente ed educativo la sospensione del rapporto come effetto della inosservanza dell’ obbligo di vaccino, sia perché stanno venendo a scadenza i termini temporali dell’ obbligo di vaccino.
Per il periodo di rilevanza della questione, si deve notare che vi è contrasto nella giurisprudenza amministrativa, a seconda che l’accento si ponga sulla spendita di poteri amministrativi oppure sulla appartenenza dell’atto alla gestione del rapporto contrattualizzato .
Secondo il Consiglio di Stato, sez. III, ord. 22 dicembre 2021 n. 6791, 23 dicembre 2021 n. 6796 e 4 febbraio 2022 n. 583, il procedimento diretto ad accertare, mediante l’esercizio di un potere discrezionale ed autoritativo, se il personale sanitario, iscritto in un ordine professionale, abbia ricevuto il vaccino, sarebbe espressione dell’esercizio di un potere di carattere eminentemente pubblicistico, e questo trascinerebbe con sé anche la giurisdizione del giudice amministrativo sull’atto di sospensione, in quanto atto consequenziale e vincolato.
Nello stesso senso si è espresso il TAR Friuli Venezia Giulia con la sentenza 262/2021 citata al par. 8.
Viceversa per diversi Tribunali regionali il provvedimento di sospensione appartiene al giudice ordinario, in quanto atto inerente al rapporto di lavoro privatizzato.
In questo senso si sono espressi :
- TAR Sicilia, sez. I, 31 gennaio 2022 n. 284;
- TAR Toscana, sentenza del 26 novembre 2021 n. 1565, passata in giudicato il 6 maggio 2022, in fattispecie di sanitario che impugnava l’atto con cui l’Ordine di appartenenza aveva comunicato la sospensione dalla professione per mancata vaccinazione. Il Tribunale ha rilevato che la questione controversa concerne la tutela di una posizione di diritto soggettivo a fronte della quale non è configurabile alcun esercizio di potere autoritativo o discrezionale da parte dell'ente resistente, e la legge n. 56 del 1989 "Ordinamento della professione di psicologo” stabilisce espressamente che: "Le deliberazioni del consiglio dell'ordine nonché i risultati elettorali possono essere impugnati, con ricorso al tribunale competente per territorio, dagli interessati o dal procuratore della Repubblica presso il tribunale stesso", rimettendo dunque alla cognizione al Tribunale ordinario competente per territorio le impugnazioni avverso le delibere del Consiglio dell'Ordine.
- TAR Toscana, ordinanza sez. II, 7 marzo 2022 n. 294, in fattispecie relativa a personale del comparto scuola e 11 aprile 2022 n. 493;
-TAR Veneto, ord. 20 gennaio 2022 n. 141 e 142, 26 gennaio 2022 n. 168, 31 gennaio 2022 183, 186, 188 e 189; 2 febbraio 2022 n. 207; 14 febbraio 2022 n. 290.
Riassumendo, con la sentenza 290/2022 citata da ultimo, gli argomenti in favore della giurisdizione del giudice ordinario, gli snodi argomentativi sono: a) è vero che l’imposizione dell’obbligo vaccinale nei confronti dei sanitari è strumentale alla soddisfazione di due interessi pubblici, quello alla tutela della salute collettiva, da un lato, e quello al mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’esercizio delle prestazioni “sanitarie”, tuttavia il legislatore ha declinato le conseguenze dell’inosservanza di tale imposizione non mediante la previsione di “sanzioni” (amministrative, disciplinari, penali) ma solo con effetti sul rapporto; b) ne consegue che il datore di lavoro pubblico non ha un potere autoritativo di irrogazione di alcuna sanzione; l’inadempimento è meramente “fotografato” da quest’ultima mediante l’atto di accertamento, la sospensione della professione costituisce conseguenza ex lege, non intermediata dall’esercizio di un potere autoritativo dell’Amministrazione sanitaria; all’Azienda sanitaria non è stato attribuito alcun potere pubblico autoritativo o comunque dispositivo delle situazioni giuridiche medesime, di modo da poter giustificare la giurisdizione del Giudice Amministrativo; c) ne consegue che rispetto all’atto di accertamento dell’Azienda sanitaria la situazione giuridica del sanitario non è qualificabile in termini di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo; d) la contestazione dell’accertamento di inadempimento non si risolve nell’impugnativa di un provvedimento o atto amministrativo costituente esercizio di potere, ma nella richiesta di verificare l’effettiva situazione di fatto e diritto sottostante al fine di escludere l’effetto sospensivo ovvero l’insussistenza o la non coercibilità dell’obbligo vaccinale; e) in senso contrario, non può essere valorizzato il fatto che l’art. 4, d.l. n. 44 del 2021, preveda una serie di atti e termini da rispettare: più precisamente, non può ritenersi né che tale sequenza sia necessariamente qualificabile in termini di procedimento amministrativo, né che, comunque, il semplice rispetto di una “procedura” da parte dell’Amministrazione costituisca elemento di per sé dirimente per ritenere sussistente l’attribuzione di potere pubblico e, ancor prima, che una sequenza di atti e termini comporti automaticamente la qualificazione in termini di “procedimento amministrativo” ai sensi della l. n. 241 del 1990, come comprovato dal fatto che vi sono fattispecie procedimentalizzate e, nonostante questo, sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario (come nel caso delle sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del codice della strada, ai sensi degli artt. 203 e 204 D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285).
Infine la Cassazione a Sezioni unite, con ordinanza del 29 settembre scorso n. 28429/2022, ha risolto il conflitto negativo di giurisdizione a conoscere delle doglianze di un fisioterapista libero professionista, sospeso dal proprio Ordine professionale dall’esercizio della professione sanitaria per mancata vaccinazione, sollevato dal Tar Marche dopo che il tribunale di Ancona aveva rifiutato la propria giurisdizione in favore di quella del giudice amministrativo. Le Sezioni unite hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario sulla base dei seguenti essenziali passaggi motivazionali: la giurisdizione si determina sulla base del petitum sostanziale, costituito nella specie dalla pretesa del proprio diritto ad esercitare l’attività libero professionale; la sospensione costituisce una conseguenza ex lege della mancata vaccinazione e non l’oggetto di un provvedimento autoritativo discrezionale; in mancanza di discrezionalità si verte nel campo dei diritti soggettivi devoluti al giudice ordinario.

15. Decesso da Covid 19 e assicurazioni private.

Le associazioni di categoria delle professioni sanitarie sono solite stipulare, in esecuzione di appositi accordi collettivi, delle polizze assicurative con private compagnie per i rischi di infortunio professionale e non professionale. Il caso di morte in conseguenza di infortunio è contemplato, con clausola tralaticia nelle polizze delle diverse compagnie, se la causa è fortuita, violenta ed esterna.
E’ sorta questione se in tale previsione rientri anche il decesso da Covid 19; la soluzione dipende dalla risposta al quesito se l’infezione da Covid 19 vada considerata infortunio o malattia.
Lo stesso problema si pone per le polizze individuali, stipulate al di fuori della adesione ad uno schema collettivo.
La risposta della giurisprudenza, per ora di merito in primo grado, è stata nettamente prevalente, ma non unanime, nel senso della qualificazione infortunistica.
Il tribunale di Pesaro ha dato risposta negativa, negando l’indennizzo di polizza agli eredi di medico deceduto a seguito di contagio da Covid 19 a causa del servizio, essenzialmente con due argomenti: a) la nozione di causa violenta elaborata dalla giurisprudenza per le assicurazioni obbligatorie non è applicabile al contratto di assicurazione privata, dove invece trovano applicazione i criteri interpretativi dell’articolo 1362 c.c. (senza però spiegare perché la comune volontà delle parti dovrebbe essere difforme dalla nozione giuridica di causa violenta); b) in questo campo vale il comune sentire sociale che considera il Covid 19 come malattia.
Di contrario avviso più tribunali , i quali adducono argomenti che a noi sembrano più fondati giuridicamente che non il sentire popolare. In particolare il Tribunale di Trento argomenta:
-la giurisprudenza di legittimità comprende nella nozione di causa violenta anche la causa virulenta, e gli agenti biologici in genere, in quanto soggetti aggressivi esterni ;
-tale nozione, elaborata in tema di assicurazione obbligatoria, corrisponde alla costante dottrina medico legale a partire da anni lontani, anche in tema di assicurazioni private;
-la formula con cui i contratti di assicurazione privata definiscono l’infortunio è identica a quella del testo unico 1124 per l’ assicurazione obbligatoria.
In tal modo risulta una nozione unitaria di causa violenta sia nell’assicurazione obbligatoria infortuni sia nelle assicurazioni private.
Il Tribunale Torino aggiunge: Le clausole contrattuali, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall'assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 cod. civ., e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all'assicuratore medesimo. Nella stessa direzione il Tribunale Vercelli osserva che l’articolo 22 del contratto intercorso tra le parti detta i criteri di interpretazione del medesimo, stabilendo che “verrà data la interpretazione più estensiva e più favorevole all’assicurato su quanto contemplato dalle condizioni tutte di polizza”; ed in questa norma pattizia individua l‘anello di congiunzione con l’art. 42 del decreto-legge 18/2020 che qualifica la infezione da covid 19 come infortunio.

 

 

 

 

 

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