testo integrale con note e bibliografia

1. Contratto di lavoro e impresa nel neoistituzionalismo economico

Il quesito che gli organizzatori di questo convegno mi hanno posto è se le recenti trasformazioni dell’impresa e del potere imprenditoriale dovute all’avvento dell’intelligenza artificiale abbiano determinato la perdita del valore denotativo dei criteri dell’inserimento e del coordinamento della prestazione di lavoro nell’impresa. Anticipo subito che, a mio parere, il criterio dell’etero-organizzazione può continuare a svolgere la delicata funzione selettiva delle tutele che il nostro ordinamento gli assegna, contribuendo a ridisegnare i confini dell’area di applicazione delle tutele del lavoro subordinato in coincidenza con i nuovi stemperati confini del potere imprenditoriale. Tale potere non si manifesta più in una stringente eterodirezione dei fattori della produzione; nondimeno, attraverso l’IA ogni attività umana resta inserita e coordinabile con il contesto produttivo aziendale mediante un collegamento, anche a distanza, con il sistema informatico-telematico aziendale.
Procediamo per gradi. In primo luogo, dalla lettura in chiave sistematica dell’art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015 e dell’art. 15 della l. n. 81 del 2017, che fornisce un’interpretazione autentica del significato del requisito del “coordinamento” compatibile con il lavoro autonomo “genuino”, sembra possibile dedurre che il nostro ordinamento continui ad accogliere una logica classificatoria semplificata delle forme di lavoro esistenti che possono essere ricondotte all’area dell’applicazione del lavoro subordinato ovvero a quella del lavoro autonomo sulla base della distinzione tra etero-organizzazione e coordinamento. Mentre l’etero-organizzazione può venire intesa come potere o prerogativa unilaterale del committente/datore di lavoro, il coordinamento, in base all’art. 15, va inteso come attività che viene svolta in via bilaterale dalle parti su di un piano paritario, “di comune accordo”. È, in definitiva, l’esistenza di un potere di organizzazione unilaterale, che ben può combinarsi con significative dosi di autonomia nell’esecuzione della prestazione, il criterio di imputazione delle tutele di diritto del lavoro, la porta di accesso al mondo delle protezioni.
Al fine di provare a dimostrare questa affermazione, è utile esaminare le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro nelle piattaforme digitali nella prospettiva dell’economia dei costi di transazione, riprendendo in questo senso un’acuta osservazione di Pietro Ichino che ha parlato in proposito di rovesciamento o superamento del paradigma coasiano. Secondo l’a. «mentre secondo quel paradigma il contratto di lavoro subordinato consente di sostituire con un solo contratto una serie di contratti innumerevoli, la piattaforma, all’inverso, consente di sostituire con una serie di contratti innumerevoli il contratto di lavoro subordinato, così spezzettando l’attività del prestatore in una miriade di prestazioni contrattuali istantanee o di durata brevissima» .
È noto come nel celebre scritto del 1937 sulla natura dell’impresa Ronald Coase abbia individuato nella “direzione” l’essenza dell’impresa che sorge per risparmiare nei costi di transazione in cui si incorre quando la produzione viene organizzata nel mercato. Secondo Coase l’impresa è costituita da un insieme di relazioni (o di contratti) che nascono quando «la destinazione delle risorse dipende da un imprenditore» . Con l’impresa, ad una molteplicità di contratti di scambio di breve o brevissima durata, che implicano elevati costi di transazione, si sostituisce un unico contratto mediante il quale «il proprietario del fattore, in cambio di una certa remunerazione (che può essere fissa o variabile), accetta di obbedire agli ordini di un imprenditore entro certi limiti (corsivo dell’A.). La sostanza del contratto è che esso stabilisce solamente i limiti dell’autorità dell’imprenditore. Entro questi limiti, egli può quindi dirigere gli altri fattori di produzione» . Coase aveva in mente un concetto di eterodirezione in senso stretto che ricalcava la struttura e il modo di esercizio del potere imprenditoriale all’epoca della grande impresa verticale integrata, che si sostanziava in una direzione stretta dei fattori della produzione.
Già alla fine degli anni novanta, Marcello Pedrazzoli osservava come il saggio di Coase fornisse una spiegazione a contrario delle ragioni alla base della rinascita del lavoro autonomo, funzionalmente destinato ad un modello d’impresa più flessibile e leggera che non ha bisogno di esercitare direttamente il comando, ma alla quale, per realizzare in modo efficiente il proprio programma produttivo, è sufficiente il duraturo coordinamento o, meglio, «auto-coordinamento» del prestatore d’opera alla propria organizzazione .
Come osservato da Pietro Ichino, quest’affermazione è ancor più valida oggi, nel contesto dell’economia delle piattaforme. La rivoluzione tecnologica mette sotto gli occhi di tutti una novità assoluta. Da un lato, quando la piattaforma è utilizzata come strumento di intermediazione, essa azzera i costi di transazione per le imprese che ad essa fanno ricorso. Quando invece la piattaforma fornisce un servizio e si pone come committente/datore di lavoro nei confronti dei prestatori di lavoro, l’organizzazione dell’attività economica cambia. Non solo (o non tanto) l’impresa non ha più bisogno del “comando” per garantire l’integrazione del fattore lavoro nel processo produttivo, ma non ha più bisogno di acquisire preventivamente la disponibilità del lavoratore a lavorare quando gli viene chiesto. L’impresa stipula una molteplicità di contratti di lavoro autonomo riservandosi la facoltà di richiedere la prestazione pattuita quando ve ne sarà necessità e garantendo al prestatore d’opera la facoltà di rifiutarla. Un simile modello organizzativo regge perché l’offerta è rivolta, attraverso lo strumento digitale, ad una miriade di destinatari così che l’imprenditore può ragionevolmente scommettere sul fatto che qualcuno disponibile a lavorare in quella fascia oraria, in quel giorno e soprattutto a quel prezzo ci sarà. E’ venuta meno la necessità dell’imprenditore di assicurarsi preventivamente, attraverso la previsione per contratto dell’obbligo di obbedienza, la disponibilità continuativa e permanente del lavoratore al lavoro, asse portante dell’impresa fordista.
Ma la direzione e la gerarchia sono davvero venute meno? L’economia dei costi di transazione e il neoistituzionalismo economico offrono interessanti spunti in questo senso. Il Premio Nobel Oliver Williamson arricchì la teoria dei costi di transazione individuando ulteriori fattori che influenzano la scelta di organizzare la produzione attraverso un meccanismo di governance diverso da quello dei prezzi di mercato: la natura specifica e idiosincratica degli investimenti effettuati in una relazione (asset-specificity); l’incertezza e la frequenza dello scambio fra le parti. In presenza di questi fattori, il mercato e il contratto di vendita ad esecuzione istantanea sono degli strumenti di governance dell’attività economica inefficienti; più efficiente è ricorrere ad un contratto di durata – il contratto c.d. relazionale di Macneil – caratterizzato dall’incompletezza del regolamento contrattuale, al fine di consentire alle parti maggiore flessibilità nell’aggiustamento dei termini dello scambio, a seconda del mutare delle circostanze del rapporto . Non è un caso che lo studio del contratto di durata anche alla luce della teoria dei contratti relazionali sia oggi tornato al centro della riflessione civilistica che insiste sul problema della disciplina delle sopravvenienze e sul necessario inserimento degli obblighi di rinegoziazione .
A Williamson dobbiamo la spiegazione in chiave neoistituzionalistica di come non solo il contratto di lavoro subordinato ma qualsiasi contratto commerciale di durata sia uno strumento per creare forme di autorità privata intermedie fra mercato e gerarchia. Individuare negli accordi contrattuali incompleti e di durata delle strutture private di governance è ciò che contraddistingue il filone del neoistituzionalismo economico, inaugurato da Coase e Williamson, dal filone del contrattualismo economico, che avrà eguale fortuna ma che nega siano «elementi essenziali del concetto d’impresa o della sua efficienza l’“autorità”, la “direzione” o la “sanzione”» . Per i neoistituzionalisti la direzione e l’autorità continuano a costituire l’essenza dell’impresa anche quand’essa assuma forme ibride, tra mercato e gerarchia, appoggiandosi su contratti diversi da quello di lavoro subordinato in senso stretto. È evidente – per rispondere ad un’obiezione sollevata durante il convegno – che l’impresa non ha avuto bisogno di Coase, Williamson, Alchian e Demsetz per essere creata dall’imprenditore; tuttavia, questi autori hanno avuto il merito di spiegarne il funzionamento interno in un’epoca in cui gli studi economici si concentravano sul mercato e l’impresa rappresentava una black box .

2. Il valore selettivo dell’etero-organizzazione e la rilevanza della dipendenza economica

Passando all’analisi giuridica, un primo quesito è se i contratti conclusi tra i lavoratori e le piattaforme digitali siano riconducibili alla categoria dei contratti di durata in senso tecnico. Non essendoci una disponibilità continuativa del debitore, la durata non può dirsi in tali casi un connotato intrinseco della prestazione. In altri termini, non siamo in presenza di un adempimento continuativo né di una prestazione illimitatamente divisibile ratione temporis .
Inoltre, la (formale) libertà che ha il lavoratore di scegliere il se e il quando della prestazione, che una recente sentenza del Tribunale di Milano ha definito come “libertà genetica” , è un tratto che può facilmente favorire letture volte a negare la natura contrattualmente unitaria del fenomeno che verrebbe frammentato in una pluralità di contratti d’opera ad esecuzione istantanea (o quasi), che sorgerebbero ogni qualvolta il lavoratore aderisca alla proposta del committente e renda la prestazione.
Sotto questo profilo, l’insegnamento di Giorgio Oppo conserva tutt’oggi la sua attualità. Secondo Oppo per l’esistenza di un negozio unico è decisiva l’unità della causa, ravvisando nella causa non la somma dei momenti causali delle singole prestazioni isolatamente considerate, ma nella soddisfazione continuativa dell’interesse del creditore al quale esse si indirizzano . E’, in altri termini, la valutazione di come si atteggia l’interesse del creditore a consentire la considerazione unitaria della fattispecie in svolgimento . Sempre Oppo chiarisce poi come il fatto che sia necessaria una richiesta del creditore specifica affinché la prestazione venga effettuata (richiesta che, nel caso dei riders, può essere rifiutata) non incida sull’unitarietà della fattispecie negoziale. Le richieste non sono proposte contrattuali ma richieste di esecuzione. «E’ una manifestazione di volontà diretta alla esecuzione, non alla conclusione del contratto» . L’esecuzione della prestazione è condizionata ad una richiesta e il debitore può rifiutarla (entro i limiti contrattualmente definiti); tuttavia, essa continua a poter essere ricondotta al contratto iniziale, funzionale alla soddisfazione di un interesse duraturo del creditore, l’interesse alla programmazione, all’organizzazione e allo svolgimento dell’attività economica.
Come osservato da Pietro Ichino, l’estensione temporale della prestazione, la sua continuità in senso tecnico, non è in ogni caso un indice del suo carattere subordinato. Si tratta di un requisito necessario ma non sufficiente. Pietro Ichino individuava nell’etero-organizzazione o nell’etero-coordinamento spazio-temporale della prestazione il tratto distintivo della subordinazione. «Nel lavoro autonomo» scriveva l’a. «è di regola il programma contrattato dalle parti a determinare le modalità del coordinamento, mentre nel rapporto di lavoro subordinato la distribuzione e articolazione nel tempo dell’attività lavorativa è di regola in larga misura soggetta (per contratto) al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro» .
Mi sembra che questa considerazione sia valida ancor’oggi. In base all’art. 15 l. n. 81 del 2017, il coordinamento compatibile con il lavoro autonomo deve essere concordato dalle parti ex ante, non è un potere unilaterale del committente. In questo la somiglianza tra la tecnica impiegata dall’art. 15 e la precedente disciplina del lavoro a progetto che imponeva alle parti di identificare subito, ex ante, per iscritto, il progetto, programma o fase a cui la prestazione d’opera era destinata . Tale tecnica è chiaramente rivolta a ridurre il problema dell’incompletezza contrattuale a cui spesso si associa l’insorgere di poteri unilaterali in capo al contraente più forte.
Per contro, l’etero-organizzazione, che determina l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, altro non è se non l’esercizio unilaterale del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro/imprenditore. E’ evidente che il rider, una volta risposto affermativamente alla richiesta di prestazione, soggiace al penetrante coordinamento spazio-temporale unilaterale della piattaforma, che non è affatto venuto meno ma anzi è contrattualmente previsto. Si tratta di un potere di organizzazione di cui non si può peraltro cogliere appieno la portata se si adotta la prospettiva atomistica del singolo contratto. Per definizione il potere di organizzazione «investe anche i profili inerenti al fatto che la prestazione lavorativa deve svolgersi insieme ad altri lavoratori» . Ed è questo che accade quando la piattaforma richiede l’esecuzione della prestazione ad una pluralità di lavoratori, soggetti a coordinamento spazio-temporale ed etero-organizzazione, rifiutando le disponibilità manifestate dai singoli rider una volta raggiunto il numero sufficiente a soddisfare il proprio bisogno organizzativo.
Si torna, per certi versi, a quanto già osservava Coase: l’impresa non si fonda su un singolo contratto (quello di lavoro) ma su di un fascio di contratti. Considerare un singolo contratto (il contratto di lavoro subordinato) come l’archetipo dell’impresa e dell’organizzazione rischia di risultare a tratti fuorviante.
Nel contesto descritto, l’art. 2 appare cogliere una novità importante dei nuovi modi di integrazione del lavoro nell’impresa: la fattispecie viene costruita intorno al requisito dell’etero-organizzazione prescindendo da quello della “dipendenza” che, viceversa, caratterizza la subordinazione classica (art. 2094 c.c.). Non importa l’assenza di un obbligo di lavorare in senso stretto in capo al lavoratore; dalla sussistenza nel caso concreto dei requisiti della continuità, della personalità almeno prevalente e dell’etero-organizzazione scaturirà comunque il diritto al rimedio, vale a dire l’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato.
Si supera così per via legale uno dei principali ostacoli in cui si sono imbattuti quasi tutti i sistemi giuridici contemporanei quando hanno tentato di ricondurre la prestazione dei rider all’interno dell’area del lavoro subordinato: vale a dire l’assenza di un obbligo di lavorare e di una disponibilità continuativa del lavoratore a rispondere alle richieste del datore di lavoro . D’altra parte, la maggiore flessibilità che la tecnologia offrirà in futuro ai lavoratori – e l’esempio dei rider è in questo senso infelice e certamente non paradigmatico – non dovrà significare per forza la loro esclusione dal mondo delle protezioni, né il loro confinamento in un tertium genus che storicamente porta ad un livellamento verso il basso non certo verso l’alto delle tutele . Flessibilità e tutele possono e devono andare di pari passo non escludersi a vicenda.
Ciò non toglie naturalmente che siano più che leciti e possibili tentativi dottrinali (come quello proposto da Pietro Ichino) di sostituire il vecchio concetto di dipendenza con uno nuovo, maggiormente ancorato ad indici di fatto (come la monocommittenza) denotativi di una condizione di debolezza socio-economica nel mercato .
In particolare, il concetto di dipendenza economica può avere molta importanza ai fini della regolazione del mercato del lavoro e del diritto della concorrenza. La dipendenza economica può essere infatti un sintomo di uno squilibrio di poteri socio-economici che giustifica il ricorso ai c.d. diritti di eguaglianza sociale come il contratto collettivo e lo sciopero, ampliando l’area di applicazione della cosiddetta labour exemption (v. le Linee guida della Commissione europea). Ma ancora, il diritto della concorrenza potrebbe intervenire vietando, ad esempio, l’imposizione di clausole di esclusiva single homing e rendendo possibile ai riders il cosiddetto multihoming mediante il quale non solo i riders ma le stesse piattaforme vengono messe tra loro in concorrenza. Questo proprio al fine di evitare che si creino situazioni di dipendenza economica prima che giuridica dei lavoratori.
Il concetto di dipendenza economica denota inoltra una particolare esposizione al rischio del lavoratore e può servire a giustificare, anche sulla base della nota teoria di Knight, la previsione di tutele particolari di carattere generale e a contenuto “assicurativo” quali la tutela della salute e della sicurezza e quella pensionistica. In effetti, è difficilmente dubitabile che la ratio di alcune protezioni di stampo welferistico non sia da individuarsi tanto nell’assoggettamento o meno del lavoratore ai poteri dell’imprenditore, quanto nella sua difficoltà a sopportare da solo alcune sopravvenienze negative: difficoltà che si accresce quando il suo reddito dipenda per intero o in gran parte da un unico rapporto .
La valorizzazione del requisito dell’etero-organizzazione non è, infine, incompatibile con i tentativi compiuti dalla dottrina giuslavoristica che, sin dagli anni novanta, ragiona su un sistema di protezioni a cerchi concentrici o costruito lungo un continuum e il cui nucleo essenziale sarebbe costituito dalla nozione minima generale onnicomprensiva di lavoro prevalentemente personale, il lavoro sans phrase , che dovrebbe essere corredato di tutele minime generalissime come quella antidiscriminatoria. Ma bisogna evitare di subire troppo la fascinazione del tertium genus, delle nuove fattispecie o dei rimedi senza le fattispecie: proposte interpretative dietro le quali rischiano di celarsi operazioni di vera e propria sottrazione delle protezioni a coloro che invece ne avrebbero pieno diritto. Di qui la necessità di chiedersi dinanzi ai lavori nuovi, in prima battuta, se non sia possibile e necessario – come in fondo è stato ritenuto nel 2015 – ammodernare la nozione di subordinazione, intesa come campo di applicazione delle protezioni, al fine di includervi coloro che, a causa di interpretazioni eccessivamente restrittive e conservatrici della giurisprudenza, rischierebbero di restarne ingiustamente privi.
Alcune note finali. L’art. 2, co. 2 introduce varie eccezioni. In particolare, alla lettera a, si prevede la possibilità di non applicare il comma 1 alle collaborazioni per le quali «accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore». Di recente va segnalato l’accordo siglato da Assogrocery e Nidil (Cgil) che esclude tout-court l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato ai c.d. shoppers il cui rapporto di lavoro viene qualificato aprioristicamente come “lavoro autonomo”. Personalmente, sono favorevole ad un utilizzo dell’art. 2, co. 2 ai fini di una rimodulazione delle tutele ad opera della contrattazione collettiva nazionale qualificata; ma il rinvio legislativo non può essere utilizzato dalle parti sociali, anche qualificate (come la Nidil), per escludere radicalmente l’applicazione di qualsiasi tutela. Si tratterà quindi di comprendere i limiti del rinvio della legge alla contrattazione collettiva nazionale. Ad esempio, nell’accordo in questione non vi è traccia alcuna di quali sarebbero le «particolari esigenze organizzative e produttive del settore» che renderebbero impossibile l’applicazione di qualsiasi tutela del lavoro subordinato. Le parti sociali non hanno soddisfatto neppure minimamente a quell’obbligo di giustificazione e/o motivazione che la legge impone. Vale inoltre pur sempre il principio di ragionevolezza che costituisce un argine invalicabile rispetto ad operazioni negoziali di sottrazione integrale ed arbitraria dei rapporti che presentino le caratteristiche dell’art. 2, co. 1 alla disciplina del lavoro subordinato. Va da sé che qui si torna alla riflessione sul principio di indisponibilità del tipo che oggi va riletto e attualizzato come indisponibilità delle tutele che compongono quella che Massimo D’Antona chiamava la «garanzia di istituto».

3. Il contributo della Direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali, capo I

Sotto quest’ultimo profilo un contributo può venire anche dalla Direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali che, ripercorrendo la giurisprudenza della Corte di giustizia, al considerando 29 ricorda come «la qualificazione di lavoratore autonomo ai sensi del diritto nazionale non esclude che una persona debba essere qualificata come lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione, se la sua indipendenza è solamente fittizia e nasconde in tal modo un rapporto di lavoro». Evidente è il riferimento alla giurisprudenza Lawrie-Blum e Kunsten. In particolare, è utile ricordare che se in Lawrie-Blum la Corte accoglie un concetto piuttosto tradizionale di lavoratore subordinato, sostanzialmente incentrato sul criterio dell’eterodirezione, in Kunsten, dove il problema era stabilire i confini della exemption del contratto collettivo dall’applicazione del diritto della concorrenza (c.d. labour exemption), la Corte sembra attribuire rilevanza, tra gli altri, al criterio della etero-organizzazione. Nel diritto della concorrenza, infatti, la distinzione tra lavoratore e impresa dipende non tanto dall’assoggettamento della prestazione di lavoro al potere direttivo ma dal modo di agire nel mercato: l’impresa opera come soggetto indipendente, in grado di sopportare i rischi del suo agire economico; il lavoratore opera come soggetto stabilmente integrato nell’impresa altrui, «formando con essa un’unità economica» (c.d. single entity test) .
In conclusione, il considerando 29 potrebbe essere invocato al fine di escludere che l’eventuale intervento derogatorio della contrattazione collettiva nazionale possa valere a privare il lavoratore etero-organizzato che abbia le caratteristiche del worker, in base alla giurisprudenza ricordata della Corte di giustizia, delle tutele pur minime che il diritto dell’Unione europea gli riconosce. Una sorta di indisponibilità della nozione di worker a livello unionale che deriva direttamente dal principio del primato e dell’effet utile.
Va comunque detto che il capo I della Direttiva, probabilmente meno interessante del capo II, è uscito piuttosto indebolito dall’intenso negoziato tra Stati che si è svolto nel febbraio scorso e che è culminato nell’approvazione finale del testo l’8 marzo 2024. In particolare, sono scomparsi tutti gli indici che avrebbero dovuto far scattare la presunzione relativa di subordinazione, sulla falsa riga della legge spagnola. L’art. 4 propone un principio in materia di qualificazione e interpretazione del contratto di lavoro che in Italia come pure in Francia e in Spagna è da tempo acquisito; vale a dire il principio per cui nel giudizio di qualificazione dei rapporti di lavoro come subordinati o autonomi le concrete modalità di svolgimento del rapporto prevalgono sul nomen iuris. Se nei paesi dell’Europa continentale il principio è ovvio, in quelli a tradizione anglosassone lo è molto meno. La giurisprudenza inglese, ad esempio, soltanto alla fine degli anni dieci del XXI secolo ha iniziato a mettere in discussione la parole evidence rule con il noto caso Protectacoat vs Szilagyi . Al considerando 28 la Direttiva ribadisce l’importanza del principio del «primato dei fatti» con il quale si intende sottolineare che il giudizio di qualificazione del rapporto si deve basare principalmente sui «fatti relativi all’effettiva esecuzione del lavoro, compresa la sua retribuzione, e non sulla descrizione del rapporto che danno le parti».
L’art. 5 riguarda la presunzione legale di subordinazione che scatta in presenza di indici di fatto denotativi dell’esistenza di un potere di controllo e di direzione. Nella formulazione precedente, la norma conteneva una prima elencazione di alcuni di questi indici tra i quali quello della limitazione, anche mediante sanzioni, della effettiva libertà del lavoratore di organizzare il lavoro e di accettare o rifiutare incarichi. Un concetto dunque tradizionale di subordinazione caratterizzato da eterodirezione e dipendenza. Nella nuova versione gli indici scompaiono (dovranno essere formulati dagli stati membri) ma è evidente il riferimento al concetto più ristretto di subordinazione incentrato sul requisito della eterodirezione, fatto proprio dalla giurisprudenza Lawrie Blum, in luogo di quello più ampio di etero-organizzazione valorizzato in Kunsten. Resta inoltre ferma la possibilità per la piattaforma di dimostrare comunque l’autonomia, la libertà dei riders di organizzare il proprio lavoro e di accettare o rifiutare incarichi, ad esempio l’assenza di quella che gli inglesi chiamano mutuality of obligation o della dipendenza in Italia (dove comunque resterà applicabile l’art. 2). Si è in presenza non di un’inversione in senso tecnico dell’onere della prova ma di un alleggerimento o agevolazione probatoria la cui effettiva portata dipenderà da come gli stati membri ne elaboreranno gli indici denotativi.
La disposizione non sembra dunque particolarmente innovativa laddove non scalfisce il concetto più tradizionale di subordinazione esistente in molti Stati membri. Sotto questo profilo, la legislazione italiana, con le novità introdotte nel 2015 e poi nel 2019, può dirsi un passo avanti rispetto a quella unionale sul terreno della qualificazione dei rapporti di lavoro. Va tuttavia segnalato, anzitutto, il rigetto del tertium genus. La Direttiva mantiene un’impostazione dicotomica e spinge per la riconduzione dei lavoratori tramite piattaforma digitale nell’area della subordinazione (v. anche il considerando 29). Inoltre, vi è un’interessante apertura verso le azioni collettive laddove si prevede che i lavoratori ma anche i loro rappresentanti (seppure conformemente alle prassi nazionali) debbano poter avviare procedimenti rivolti alla corretta determinazione della situazione occupazionale. Le iniziative giudiziali potranno dunque essere più agevolmente portate avanti dai lavoratori e ciò finirà per riversare sulle piattaforme un complesso onere probatorio, obbligandole così ad una maggiore trasparenza sui modi di organizzazione del lavoro.

4. Etero-organizzazione e lavoro agile

Vorrei concludere con qualche breve considerazione sullo smartworking o lavoro agile che è pacificamente considerato lavoro subordinato. Ancora una volta partirei dalla domanda di fondo, vale a dire se davvero l’inserimento e il coordinamento della prestazione dell’impresa abbiano perso valore distintivo. Anche in questo caso la risposta è, a mio parere, negativa.
Non v’è dubbio che, da sempre, la subordinazione sia stata considerata compatibile con una larga autonomia nell’esecuzione della prestazione di lavoro. Basti pensare al personale direttivo a cui è sempre stata riconosciuta, entro certi limiti, un’auto-organizzazione e un ruolo attivo nella collaborazione al processo produttivo. Per questo la giurisprudenza ha nel tempo elaborato il concetto di subordinazione attenuata. Interessante in questo senso anche il caso del lavoro a domicilio, esempio di “subordinazione in deroga”.
A differenza di quando venne adottata la legge sul lavoro a domicilio (l. n. 877 del 1973), oggi la rivoluzione tecnologica ha reso possibile un esercizio del potere direttivo, seppure in forma attenuata, al di fuori dei confini spazio-temporali dell’impresa. Se vogliamo il caso del lavoro agile, come già quello del lavoro a domicilio, rappresenta l’inverso di quello delle collaborazioni: la dipendenza c’è, nel senso che vi è una sicura disponibilità del lavoratore al lavoro; ma l’eterodirezione è attenuata per definizione, concordata ex ante dalle parti nei suoi tratti generali al fine di consentire al lavoratore una conciliazione effettiva tra vita e lavoro.
L’eterodirezione/etero-organizzazione è attenuata ma, almeno a parere di chi scrive, mai assente. Muta la combinazione «tra lavoro concretamente etero-organizzato e la quantità di lavoro autonomamente adattata dal lavoratore subordinato alle esigenze dell’organizzazione» , ma il potere unilaterale di etero-organizzazione continua a rimanere centrale.
Nel contesto del lavoro agile il dibattito sulla illimitata divisibilità ratione temporis della prestazione come caratteristica necessaria o meno della subordinazione ritrova la sua attualità. Nel lavoro agile “puro”, per obiettivi, la prestazione non è più illimitatamente divisibile ratione temporis poiché nel contratto sono in effetti dedotti singoli opera. Il tempo non è dunque più l’unità di misura del lavoro, sebbene resti la necessità assoluta di garantire i tempi di riposo e il rispetto dell’orario massimo attraverso strumenti quali il diritto di disconnessione . Ma vi sono prestazioni di lavoro svolte attraverso la modalità agile che restano illimitatamente divisibili ratione temporis; ciò per la natura della prestazione (si pensi al caso del centralinista) ovvero per la scarsa capacità del datore di lavoro di individuare degli obiettivi. In questo caso non è possibile o è molto difficile identificare gli opera dedotta; il tempo resta l’unità di misura del lavoro e non sembra trovare giustificazione la mancata corresponsione dello straordinario.
In conclusione, a me sembra che l’IA non abbia o non stia modificando tanto l’essenza dell’impresa, intesa come attività di direzione e coordinamento, quanto le relazioni umane al suo interno, a partire dal modo di esercizio dei poteri datoriali sino alle competenze richieste al lavoratore che necessiteranno di continuo aggiornamento con la conseguenza che assumerà importanza centrale il diritto alla formazione , che è la necessaria contropartita dell’oggetto più ampio e flessibile della prestazioni di lavoro e che è stato lasciato troppo sullo sfondo dal nuovo art. 2103 c.c. Molto chiari in questo senso gli esempi portati dagli ingegneri. L’IA inciderà sulla motivazione e sull’engagement, sulla professionalità, sul benessere lavorativo, sul modo di esercizio dei poteri datoriali. Ma l’intelligenza artificiale non sembra – almeno per il momento – destinata alla creazione di organizzazioni realmente paritarie determinando la scomparsa della gerarchia, della divisione dei compiti e delle responsabilità e la conseguente perdita del valore selettivo dei requisiti dell’eterodirezione, etero-organizzazione e coordinamento .

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