TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
La relazione di Orsola Razzolini si apre con una osservazione molto interessante circa la parziale obsolescenza della spiegazione che Ronald Coase diede, ormai quasi cent’anni or sono, della ragion d’essere del contratto di lavoro subordinato: un unico contratto col quale l’imprenditore acquisisce il potere di conformare una prestazione di lavoro ad esigenze aziendali via via mutevoli, risparmiando i notevoli costi di transazione che dovrebbe altrimenti affrontare per ricontrattare giorno per giorno le modalità di esecuzione del lavoro. In tutti i casi in cui la piattaforma digitale consente di reperire la persona disponibile volta per volta, azzerando i costi di transazione, sembrerebbe che effettivamente la ragion d’essere del tipo legale del lavoro subordinato individuata da Ronald Coase, che ha dominato per tutto il secolo scorso, perda la sua ragion d’essere.
Però – ci avverte questa relazione – anche dove la funzione di conformare volta per volta le modalità della prestazione viene svolta “a costo di transazione zero” dalla piattaforma digitale, sempre più estesamente assistita e potenziata dall’intelligenza artificiale, resta di fatto un assoggettamento della prestazione lavorativa a un potere di conformazione esercitato dalla macchina attraverso l’algoritmo. Tanto basta – dice ancora la relazione se ben comprendo – perché anche solo il singolo segmento giornaliero od orario della prestazione possa considerarsi subordinato, e comunque venga assoggettato alla disciplina protettiva tradizionale più intensa.
Restano però aperte due questioni. La prima riguarda la protezione specifica che deve essere predisposta e assicurata a qualsiasi lavoratore che abbia a che fare con un datore di lavoro o committente col quale l’interfaccia sia costituito dalla “macchina intelligente”. L’“alto rischio” a cui fa riferimento il regolamento approvato dal Parlamento europeo non riguarda soltanto l’area della subordinazione o della dipendenza: esso riguarda sia la fase della selezione della persona, sia la fase dell’esecuzione, sia la fase successiva della valutazione e del relativo impatto sulla “reputazione” di ciascun prestatore. Si delinea dunque la necessità di una protezione la cui area di applicazione è onnicomprensiva: riguarderà anche i liberi professionisti.
Un’altra questione è quella che riguarda l’area più ristretta delle persone che lavoreranno interfacciate con il committente attraverso una “macchina intelligente”, ma senza l’interferenza penetrante di cui abbiamo parlato, che consente di qualificare ancora la prestazione, per quanto segmentata, come subordinata. Qui la relazione accenna a un concetto che è destinato, a mio avviso, ad assumere importanza crescente nel futuro prossimo di cui ci hanno dato qualche squarcio gli scienziati dell’IIT: il concetto di “dipendenza economica” (che può riguardare – si osservi – non soltanto la singola persona che presta la sua attività, ma anche la piccola impresa che collabora come appaltatrice o “terzista” con un’unica impresa di dimensioni grandi o medie). L’economia insegna che la condizione di “dipendenza” è determinata da tre fattori: il fatto di collaborare in modo durevole nel tempo; la monocommittenza, ovvero il fatto di collaborare in modo esclusivo o quasi con un unico committente (specializzandosi in relazione alle esigenze di quel committente e ignorando o conoscendo poco il grande mercato circostante); il fatto di svolgere una prestazione di livello tecnico o professionale medio-basso, facilmente sostituibile da parte del committente, soprattutto in un’era in cui i costi di transazione nel mercato tendono ad azzerarsi. Quando ricorrono questi tre fattori (che sono gli stessi sui quali la legge Fornero n. 92/2012 fondava la “doppia presunzione” per l’assoggettamento alla protezione lavoristica) il prestatore si trova strutturalmente in una posizione di debolezza, quindi di “dipendenza economica” nei confronti del committente, anche se la prestazione non è assoggettata ad alcun potere direttivo.
Poiché i costi di transazione perdono importanza, in quest’area non assume rilievo tanto il paradigma di Ronald Coase, quanto piuttosto quello di Frank Knight, che il secolo di vita lo ha compiuto tre anni fa (il riferimento è al suo libro Risk, Uncertainty and Profit del 1921): il contratto di lavoro dipendente come contratto col quale la parte meno propensa al rischio “acquista sicurezza” dalla parte professionalmente più propensa al rischio. In altre parole, assume rilievo il paradigma del contratto di lavoro dipendente come contratto cui l’ordinamento impone un contenuto assicurativo dimensionato secondo uno standard inderogabile: sicurezza contro il rischio di malattia o infortunio, contro il rischio di oscillazione nel rendimento dell’attività e contro le sopravvenienze negative indipendenti dalla volontà delle parti.
Ecco: forse il nostro prossimo futuro potrebbe vedere un diritto del lavoro a cerchi concentrici: con un’area estesa a tutte le persone fisiche, nella quale la protezione dei diritti fondamentali (contro le discriminazioni e le violazioni della sua dignità, integrità psico-fisica e riservatezza) sarà opportunamente declinata in relazione ai rischi dell’interazione con l’IA anche nell’ambito delle collaborazioni autonome; un’area comprendente le collaborazioni autonome personali a carattere continuativo in regime di pluricommittenza (che necessita sicuramente di un ordinamento pensionistico obbligatorio e merita di rientrare nell’area di applicazione del processo del lavoro); un’area comprendente l’insieme di coloro che lavorano in una condizione di dipendenza economica (individuata da una durevole monocommittenza e da un reddito di lavoro non superiore a quello attuale dei quadri), alla quale potrebbe essere estesa la disciplina limitativa del recesso insieme al resto delle protezioni tradizionalmente previste dal diritto del lavoro e sindacale; mentre alla contrattazione collettiva potrebbe essere lasciato il compito di integrare le protezioni generali in relazione alle caratteristiche e all’esigenze dei singoli settori in cui essa si attiva efficacemente.
A tutti, comunque, dovrà essere assicurato il diritto a una formazione efficace lungo tutto l’arco della vita lavorativa, della quale sia controllata la corrispondenza rispetto a quanto richiede un tessuto produttivo in continua rapida evoluzione. È quello che già trent’anni fa Bruno Trentin individuava come “il diritto fondamentale della persona che lavora nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione”; ed è il diritto fondamentale in un mercato del lavoro che sempre più assume il carattere di un mercato transizionale.