Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa.
Lo scenario regolativo formatosi in ragione della pandemia, a tutti tristemente nota, è dominato da una serie di documenti dai quali emerge con chiarezza un minimo comune denominatore: l’attenzione per (e la contestuale scommessa sul) capitale umano e le persone.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR); il nuovo alfabeto nelle pubbliche amministrazioni, proclamato qualche mese addietro nelle Linee programmatiche per la pubblica amministrazione, ma pure il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico (firmato con le sigle sindacali), sono tutti documenti che rinviano alla ritrovata centralità della persona del lavoratore all’interno dei nostri apparati.
L’anno 2021 sarà per certo ricordato come l’anno dell’adozione del PNRR nel cui tessuto programmatico si trova la conferma di quanto appena affermato.
Ma il PNRR è anche il documento con il quale il nostro ordine giuridico interno viene proiettato al di là dell’emergenza pandemica rinsaldando un’altra consapevolezza: e cioè che il benessere dei consociati e la possibilità per le imprese che operano nel nostro territorio di fornire beni e servizi di qualità, in grado fronteggiare la competitività internazionale, elevando il livello di efficienza dell’attività produttiva, passa attraverso il ruolo centrale dello Stato e delle sue forme di intervento .
Per un verso quindi si investe sul capitale umano, sulle persone che stanno dentro gli uffici, per altro verso, e non potrebbe essere diversamente, si tiene sempre conto delle persone che stanno fuori dei medesimi, e quindi del benessere sociale.
Proprio rispetto a quest’ultima prospettiva, affinché lo Stato si riappropri di questo speciale compito maieutico, si rende più che mai necessario un apparato amministrativo qualificato, chiamato a riempire di contenuti i nuovi e ambiziosi obiettivi politici.
Naturalmente esistono, nelle nostre amministrazioni, diversi luoghi densi di criticità - come è stato posto in evidenza dalle analisi sul relativo funzionamento e sulla capacità di soddisfare le esigenze avvertite dalla collettività - e questo con particolare riguardo alla efficacia delle azioni dirette a fronteggiare l’emergenza correlata alla diffusione del Covid 19.
Nel novero degli ambiti di criticità sistemica bisognosi di interventi mirati, rispetto ai quali il PNRR non sembra essersi sottratto, va senz’altro ricompresa l’annosa questione delle dirigenze come motore del cambiamento da sempre atteso nei nostri apparati.
Ma andiamo per ordine e proviamo a delineare la strategia di intervento racchiusa nel PNRR.
Nel Piano si comprende subito quale sia il fil rouge che attraversa, annodandole fra loro, tutte le disposizioni del documento in questione, con riguardo ai temi qui trattati. Basti riflettere sull’affermazione giusta la quale “sulle persone si gioca il successo non solo del PNRR, ma di qualsiasi politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese. Il miglioramento dei percorsi di selezione e reclutamento è un passo importante per acquisire le migliori competenze ed è determinante ai fini della formazione, della crescita e della valorizzazione del capitale umano” .
Insomma la persona è posta al centro della riflessione dei progetti di buona amministrazione dichiarati e questa centralità si sviluppa nell’intento annunciato di investire su “formazione, valorizzazione, organizzazione del lavoro, responsabilità”.
Si tratta, come si vede, di dichiarazioni d’intenti estremamente positive, che preludono da qui in avanti, almeno questo è l’auspicio, ad un intervento organico nella direzione di apertura alla persona e ai suoi valori, una volta superata la «sbornia efficientista» degli anni 90 proprio nel senso che «la persona […], appare un «valore» che si insinua nei principi costituzionali divenendo, poi, regola per l’agire pubblico» . Le attese e pretese delle persone, poste sia dentro che fuori gli uffici, orientano azioni e decisioni, come del resto si deduce da tutta la regolazione sopra citata.
L’interesse pubblico, il vincolo di scopo, posto a valle dell’azione amministrativa, si apre dunque a valori che esulano dall’efficienza in senso stretto. Del resto, come hanno osservato gli studiosi di diritto amministrativo qualche anno fa, «se l’amministrazione è efficiente nel creare condizioni per il pieno sviluppo della capacità di ciascun essere umano, allora quell’efficienza ha un senso, altrimenti è inutile o addirittura dannosa: la storia del secolo appena terminato ci insegna che l’efficienza burocratica può anche essere messa al servizio dello sterminio, anziché della promozione, dell’uomo» .
Nel PNRR si legge ancora che “la mancanza di una gestione “per competenze” riduce spesso la programmazione a una mera pianificazione di sostituzione del personale che cessa dal servizio. L’assenza di una comune tassonomia di descrittori delle professionalità presenti e necessarie non rende, inoltre, possibile una comparazione tra diverse amministrazioni, anche appartenenti alle medesime tipologie, né un agevole accesso alla mobilità. […] In ultimo, si assiste spesso all’inadeguatezza dei sistemi di gestione delle risorse umane che, nei confronti dei dipendenti più capaci e motivati, difettano di strumenti in grado di tenerne alta la motivazione e valorizzarne efficacemente l’apporto” .
È evidente la consapevolezza che non sia più possibile sprecare energie con riguardo all’organizzazione virtuosa del capitale umano che lavora nelle nostre PA, e questo con particolare riguardo alle figure dirigenziali, per forza di cose motore, da sempre, degli auspicati ammodernamenti della macchina amministrativa italiana.
Insomma occorre un vero progetto organizzativo.
In una fase storica in cui “il sostenibile” diventa la finalità trasversale sottesa ad ogni intervento in ambito pubblico, e non solo, ecco che pare opportuno cominciare a ragionare pure della “dirigenza sostenibile”; in modo da superare le resistenze a rimodellare i fattori organizzativi proprio in questo punto strategico del sistema ed evitare di disperdere energie inutili alla ricerca di sofisticate e complesse soluzioni organizzative.
Questo spiega la traiettoria ben delineata nel PNRR laddove si afferma di voler “sviluppare all’interno della PA un capitale umano di assoluta eccellenza, finanziando un forte piano di attrazione, selezione, assunzione, retention e valutazione del talento, rinnovando i meccanismi di carriera attuali (verticali e orizzontali)” .
Nell’ottica degli autori del PNRR è importante provare a mettere a sistema le risorse disponibili capitalizzando le competenze, anzi rilanciandole, aprendosi ad approcci di riqualificazione ed evitando di depauperare il patrimonio di competenze e risorse (umane) già in possesso delle PA. Naturalmente ferma restando la complementare strategia volta ad affiancare allo strumento tradizionale del concorso altre metodologie di reclutamento, come l’avvio di programmi dedicati ad alti profili o la conclusione di accordi con Università, centri di alta formazione e ordini professionali per favorire la selezione e l’assunzione rapida dei migliori profili specialistici, o, ancora la selezione di un gruppo di esperti multidisciplinari a sostegno dell’implementazione delle riforme tratteggiate nel PNRR medesimo .
Il PNRR delinea, pertanto, la fisionomia, “che verrà”, del dirigente pubblico sostenibile, ponendo attenzione e cura non solo alla rinnovata fase dell’accesso, ma anche a quella delle attività di upskilling e reskilling con particolare attenzione alla possibilità di ricevere formazione specifica sulla “competenza manageriale” .
2. Le strategie del PNRR per evitare la dispersione delle risorse (umane).
Posta la premessa appena enunciata, pare del tutto logica la conseguenza racchiusa nel PNRR, e cioè l’“[…] l’esigenza di allestire una nuova strumentazione che fornisca alle amministrazioni la capacità di pianificazione strategica delle risorse umane”.
Il processo elaborato nel PNRR prevede una serie di obiettivi organizzativi ed in particolare che si prendano le mosse dai descrittori di competenze (incluse le soft skills) e ancora che vengano definiti i profili professionali quale “parametro di riferimento per le politiche di assunzione”. A ciò va aggiunta la proiezione al miglioramento della coerenza tra competenze e sviluppo di carriera e l’attivazione di percorsi formativi differenziati per target di riferimento, altamente qualificati e certificati all’interno di un sistema di accreditamento - e individuati a partire dall’effettiva rilevazione dei gap di competenze rispetto ad ambiti strategici comuni a tutti i dipendenti o specifici e professionalizzanti - tra cui interventi formativi persino “sui temi dell’etica pubblica”.
Con riguardo al quomodo del raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi, il PNRR scommette sulla revisione dei percorsi di carriera nelle PA, proprio per introdurre, tra amministrazioni, virtuosi elementi di mobilità sia orizzontale che verticale, per favorire gli avanzamenti di carriera dei più meritevoli e capaci nonché differenziare maggiormente i percorsi manageriali.
Il PNRR prova, in buona sostanza, a superare il tradizionale approccio nella pianificazione dei fabbisogni, promuovendo un modus gerendi che muove dalla mappatura delle competenze presenti in ciascuna pubblica amministrazione, per poi determinare i susseguenti assetti organizzativi.
Insomma si riparte dai “talenti” già in possesso dei nostri apparati e si prova a rilanciarli con una salutare apertura alla razionalizzazione e al superamento degli sprechi di risorse umane. Tutte le organizzazioni, come si sa, e non fanno eccezione quelle pubbliche, richiedono abilità e competenze diverse in ragione delle (e specularmente alle) diverse funzioni cui si intende assolvere e che possono naturalmente richiedere expertise ben precise.
Ignorare questo aspetto può determinare dispersione di risorse (umane) e operazioni scomposte, prive cioè di quel progetto organizzativo che pare essere l’unica chiave per il successo del complessivo ripensamento sistemico .
3. Uno sguardo sul modello.
La strategia declinata nel PNRR prende le mosse dalla fase dell’accesso alla funzione dirigenziale.
In questo punto del sistema, da sempre cosi strategico, il progetto pare, per un verso, assai chiaro e coerente con l’idea, più sopra prospettata, della “sostenibilità” e capitalizzazione delle risorse umane, già presenti nei nostro apparati, e, per altro verso, specularmente aperto alla contaminazione con professionalità di eterogenea provenienza .
Come si legge nell’art. 3 comma 3 bis del dl 80/2021 , infatti, non trovano più applicazione le percentuali di cui al comma 5bis dell’art. 19 d.lgs 165/2001, limitative della possibilità di conferire incarichi di funzioni dirigenziali anche a dirigenti non appartenenti ai ruoli previsti nell’art.23 del medesimo decreto.
In generale appare recuperata l’idea, per la verità già presente in nuce nella contrattualizzazione del lavoro pubblico degli anni 1997-98 , dell’inaugurazione di un mercato fluido delle dirigenze, idea che la riforma Renzi-Madia, poi cassata dalla nota sentenza della Corte Costituzionale, aveva provato a rilanciare .
La previsioni cui si fa cenno traducono in norma i percorsi lungo i quali tanto il PNRR quanto le Linee programmatiche, sopra citate, intendevano incardinare i meccanismi di selezione e reclutamento delle persone, proprio per avviare un complessivo ripensamento organizzativo . Questo sia per velocizzazione le procedure sia per introdurre una modalità di selezione delle professionalità migliori e più idonee alle esigenze delle amministrazioni, in vista della realizzazione degli ambiziosi obiettivi previsti dal PNRR medesimo .
Volendo provare a dare una lettura complessiva del modello, si può dire che si è scelto di abbandonare il tradizionale concorso centralizzato a favore di un percorso più snello che richiede, per un verso, il ricorso alla, ormai imprescindibile, digitalizzazione nella selezione e, per altro verso, una specifica attenzione alle trasparenza nonché alle esigenze e ai fabbisogni delle singole amministrazioni centrali e locali, anche mutuando modelli all’avanguardia delle organizzazioni internazionali e facendo confluire gli stessi sul portale unico del reclutamento; portale che si avvia a diventare la struttura tecnologica dei concorsi e delle singole prove concorsuali.
Già nelle linee programmatiche si coglie la forte volontà di creare “[..] una banca dati dei fabbisogni, delle competenze e profili del personale, che sia collegata al portale e che consenta di meglio gestire i processi di selezione, ma anche di qualificazione e riqualificazione delle persone e di mobilità interna ed esterna alla PA” cui fa da pendant la previsione di “percorsi ad hoc destinati a selezionare i migliori laureati, i profili con le più alte qualifiche (dottorati, ecc.), nonché a favorire, anche attraverso modelli di mobilità innovativi, l’accesso da parte di persone che lavorano nel privato più qualificato, in organizzazioni internazionali, in università straniere o presso soggetti pubblici e privati all’estero”.
Senza dimenticare che la ratio della complessiva operazione può essere agevolmente colta pure laddove si afferma che occorre creare “meccanismi di selezione specifici volti a ricercare sul mercato le migliori professionalità tecniche da mettere a disposizione delle amministrazioni per la realizzazione degli investimenti previsti dal PNRR, con l’obiettivo di costituire cluster di persone e/o società di servizi con spiccate competenze specialistiche”; e questo anche tramite “modalità innovative che consentano di acquisire le migliori competenze esistenti, in collaborazione con università, ordini professionali e settore privato”.
Con riguardo specifico alle modalità di accesso relative alla dirigenza, il dl 80/2021 pare coerente con la traiettoria sin qui descritta. L’art. 28bis come modificato dal decreto medesimo, per un verso configura l’accesso alla qualifica di dirigente di prima fascia nelle amministrazioni statali, disponendo che avvenga, per il 50 per cento dei posti disponibili , con le modalità dell’interpello (di cui al comma 3bis) e, per altro verso, impone alle amministrazioni di pubblicizzare entro la fine di ogni anno, e per il triennio successivo, il numero dei posti che si rendono vacanti per il collocamento in quiescenza del personale dirigenziale di ruolo di prima fascia e la programmazione relativa a quelli da coprire mediante concorso.
L’aspetto sistemico tutto nuovo è racchiuso nel comma successivo nel quale è previsto che “Nei casi in cui le amministrazioni valutino che la posizione da ricoprire richieda specifica esperienza, peculiare professionalità e attitudini manageriali e qualora le ordinarie procedure di interpello non abbiano dato esito soddisfacente, l'attribuzione dell'incarico può avvenire attraverso il coinvolgimento di primarie società di selezione di personale dirigenziale e la successiva valutazione delle candidature proposte da parte di una commissione indipendente composta anche da membri esterni[…].
In quest’ultimo caso non si applicano i limiti percentuali di cui all’articolo 19, comma 6, e gli incarichi sono conferiti con contratti di diritto privato a tempo determinato e hanno una durata non superiore ai tre anni.
Si tratta di una previsione che chiaramente apre le porte all’accesso dall’esterno - sia pure per incarichi che non avranno, come si è appena detto, durata superiore ai tre anni - incrinando il sistema di carriera tutto interno sinora implementato nel nostro ordinamento.
Sembra essere stato accolto un modello basato su modalità più flessibili e variegate di accesso alle posizioni dirigenziali, in ragione delle posizioni che si rendano di volta in volta disponibili, e questo con un chiaro richiamo alle logiche del settore privato .
È prevedibile tuttavia che queste disposizioni possano determinare criticità applicative, posto che la ponderazione, affidata alle amministrazioni, di elementi come l’esperienza, la professionalità e le attitudini manageriali, quali precondizioni per decidere di rivolgersi a società di selezione di personale dirigenziale, potrebbe apparire foriera di valutazioni poco oggettive, se non addirittura strumentali.
4. Quale dirigenza per le nostre amministrazioni.
Sin qui sono state declinate le novità in tema di modalità di accesso agli incarichi di (e alla) funzione dirigenziale, a seguito dell’adozione del PNRR e del susseguente dl 80/2021, resta da domandarsi, rispetto alla funzione dirigenziale che verrà, quali siano le caratteristiche nuove - e se ve ne siano davvero - che i redattori del PNRR avevano in mente e che il dl 80/2021 ha provato, in conseguenza, a realizzare.
Sembra opportuno interrogarsi se sia stata tratteggiata una nuova fisionomia per le dirigenze pubbliche, o se, piuttosto, si tratti di una mera operazione di maquillage di aspetti già noti o presenti nei progetti normativi che si sono succeduti nell’ultimo ventennio.
In effetti, si ravvisano margini per potere sostenere che, forse, c’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria ed anche per osservare come le novità siano strettamente correlate con l’investimento che si intende fare sulle metodologie programmatiche di nuovo conio e l’aspetto sistemico della valutazione. Nell’economia di questo scritto non è possibile trattare approfonditamente la questione, si proverà, pertanto a evidenziare solo alcuni aspetti significativi.
È possibile cogliere qualche concreta novità almeno sotto due profili: a) l’impegno manageriale richiesto; b) la costruzione delle competenze necessarie a questo fine.
a) Il bisogno viepiù emergente non pare più quello (o almeno non soltanto quello) di corrispondere alle tradizionali richieste di efficienza, efficacia ed economicità nell’agire pubblico, cui poi, in verità, si è aggiunta la pressante richiesta di etica comportamentale, ma pure quello di favorire il management che punta sull’“empowerment”, per dirla con la letteratura economista, ovvero sul potenziamento delle capacità delle persone.
La pandemia ancora in corso ci ha insegnato molte cose, ha rivitalizzato, se si vuole, l’attenzione per approcci come “l’alleanza” fra amministrazione e amministrati, al posto dell’inutile antagonismo, ma anche per approcci di virtuosa collaborazione fra i membri di un team, all’interno dei luoghi di lavoro pubblici, e infine una salutare e autentica attenzione (almeno sulla carta) per la “persona” del lavoratore all’interno dei nostri apparati. L’emergenza pandemica è stata, se si vuole, il vero grimaldello per avviare un piano di “resilienza” a partire, questa volta, dalla “forza delle persone” dalla loro “abilità di superare le avversità, di affrontare i fattori di rischio” .
È proprio questo l’aspetto tutto nuovo che si intravede nella fisionomia della dirigenza tratteggiata nel PNRR ma pure nel dl 80/2021, e in generale di tutta la regolazione intervenuta in una fase storica inevitabilmente condizionata dalla tragica esperienza della diffusione del covid-19.
La dirigenza del periodo post pandemico non è solo la dirigenza chiamata a superare la dimensione dell’amministrazione difensiva, e quindi esortata ad agire, a scommettersi – come si è sempre fatto, in verità, - ma è soprattutto la dirigenza che deve aprirsi al management umanistico e anche capace di valorizzare l’approccio proattivo nella gestione, considerando valori che vanno ben al di là della mera ricerca dell’efficienza dell’agire pubblico.
Proprio questo è il vero tratto nuovo segnato dalla regolazione emergenziale e post emergenziale. La quasi ossessiva attenzione per la persona del lavoratore - anzi del capitale umano - è figlia dell’esperienza maturata nei mesi più critici degli ultimi due anni e del ricorso massivo al lavoro agile con le ben note ricadute organizzative, sulle quali non è qui possibile soffermarsi .
Del resto, il buon esito di una riforma non dipende tanto da un disegno intelligente o da una progettazione dall’altro sostenuta da leggi e decreti; al contrario, il successo è determinato dal sensemaking che emerge nel vissuto degli attori.
Si tratta di quei processi, cioè, che si caratterizzano nella reazione a momenti critici e a situazioni inattese, in cui il vedere violate le proprie aspettative fa avvertire segnali che chiamano all’azione e alla riorganizzazione .
Questo appare più che mai vero dopo la scossa tellurica segnata dalla pandemia.
Il dirigente-manager “che verrà” deve possedere l’abilità di influenzare e determinare un’adesione volontaria (libera) delle persone ad un progetto, in modo da rilanciarne la motivazione, cercare di costruire un ambiente di lavoro davvero attraente, deve avere fiducia nei propri collaboratori e impegnarsi davvero per quel benessere organizzativo previsto, nel lontano 2010, come finalità da garantire negli apparati pubblici ma confinato sostanzialmente in rapsodici interventi affidati per lo più alla buona volontà delle amministrazioni più virtuose.
Deve cogliere “la mappa emotiva“ dei propri collaboratori e sviluppare questo dato prezioso per trasformarlo in interventi mirati sui singoli che possono tradursi, per esempio, in corsi di formazione, cambi di mansione, o, più banalmente, nell’assecondare la necessità di un confronto costruttivo.
Il luogo naturalmente preposto all’effettività sistemica, anche per tutti questi aspetti, resta l’ambito della valutazione ed il suo strumentario. Solo che è necessario davvero cominciare a ricorrere ad una valutazione autentica e autenticamente proiettata alla implementazione di quel circuito virtuoso “autonomia – responsabilità- valutazione” posto al centro della contrattualizzazione degli anni 90 .
Questo appare particolarmente vero in ragione della migrazione al Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO), disposta dall’art. 6 del dl 80/2021. Si tratta, come si sa, del progetto di riduzione ad unità di tutta la programmazione relativa alla gestione delle risorse umane, all’organizzazione dei dipendenti nei vari uffici, alla loro formazione e alle modalità di prevenzione della corruzione . L’obiettivo è quello della massima semplificazione, che supera la pianificazione frammentata e spesso priva di una visione d’insieme.
Ogni amministrazione sarà chiamata, quindi, a predisporre un unico PIAO, contenente sezioni specifiche, una delle quali dedicata alle performance attese, che racchiuderà pure la programmazione degli obiettivi nonché, più in generale, gli indicatori di performance.
Le linee guida di accompagnamento al PIAO, nel riaffermare e rilanciare le logiche del performance management , hanno, poi, precisato quali saranno i contenuti auspicabili nella progettazione dei risultati attesi per il futuro, posto che questi dovranno contemplare sia obiettivi di “valore pubblico” (e cioè il benessere di chi sta fuori degli apparati), che obiettivi di “performance” (sintonizzati pure sul benessere di chi sta all’interno degli apparati ). Come ho avuto modo di sostenere in passato, nell’economia della buona amministrazione, non è importante solo “cosa” si raggiunge (l’impatto sulla collettività degli utenti ovvero l’outcome volendo usare il linguaggio degli studiosi di organizzazione), ma anche il “come” lo si raggiunge, e cioè secondo quali strategie micro organizzative e gestionali, e cioè con quale attenzione ai propri collaboratori e in quale clima organizzativo.
Il sistema si avvia, insomma, a grandi passi, verso una regia programmatoria in grado di superare la frammentarietà nella regolazione d’amministrazione e, a valle del modello, in grado pure, attraverso idonei strumenti di monitoraggio e valutazione, di rendere effettiva la produzione di valore pubblico, nei termini più sopra descritti.
b) Quanto al secondo dei due profili sopra enunciati, se, per un verso, è vero che vanno premiati quei leader che sono in grado di sentire la temperatura dei propri collaboratori, con stili di leadership risonanti – capaci cioè di coinvolgere il capitale umano intorno ai progetti dell’organizzazione (o i propri), rendendoli desiderabili e condivisi, in grado soprattutto di creare quel benessere organizzativo che poi è pre-condizione per il benessere sociale - è altrettanto vero, per altro verso, come sia indispensabile offrire gli strumenti e le competenze necessari a questo specifico fine.
Perché maturi una vera cultura manageriale, almeno nella maniera auspicata nel PNRR, è indispensabile investire su alcuni presupposti che ne rendano possibile l’inverarsi. Sembra, cioè, opportuno implementare quel “mix composito” di abilità di cui ci ha parlato, qualche anno fa, la dottrina e che annovera “la valorizzazione delle competenze e il riconoscimento del potenziale” di ciascuno.
Sotto questo aspetto, sembra strategica l’iniziativa - ancora una volta ricavabile dal PNRR - di voler investire sulla formazione specifica delle dirigenze, e di voler creare delle “Learning Communities tematiche per la condivisione di best practices e la risoluzione di concreti casi di amministrazione” . Si tratta, come si vede, di una delle modalità annunciate per attuare le azioni di upskilling e reskilling di cui si è più sopra detto .