TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Trib. Velletri, Ordinanza del 14.12.2021

Trib. Velletri, decreto del 22.11.2021

1. Il dibattito dottrinale sugli effetti della mancata vaccinazione nei rapporti di lavoro
Successivamente all’avvio della campagna vaccinale, nel gennaio 2021, si è aperto in dottrina un vivace dibattito sugli effetti della mancata vaccinazione nei rapporti di lavoro.
In particolare, la prima questione affrontata dalla dottrina concerne la configurabilità o meno di un obbligo vaccinale in virtù delle norme che regolamentano il contratto di lavoro.
Alcuni autori si sono espressi per la configurabilità di un simile obbligo richiamando sia le disposizioni generali in materia di sicurezza sul lavoro (l’art. 2087 c.c. per il datore di lavoro e l’art. 20, D.Lgs. n. 81/2008 per il lavoratore ) sia la specifica disciplina concernente il rischio di esposizione a particolari agenti biologici (l’art. 279, D.Lgs. 81/2008 ).
L’obbligatorietà del vaccino è per altra dottrina configurabile solo ove l’infezione da Covid costituisca un rischio specifico dell’attività lavorativa o, sempre in relazione alle mansioni espletate, la vaccinazione possa costituire un dovere di protezione integrante gli obblighi gravanti sul lavoratore .
Altri autori ritengono invece che, data la riserva di legge prevista dall’art. 32, Cost. per i trattamenti sanitari obbligatori, la vaccinazione non possa costituire un obbligo per il lavoratore bensì un onere per l’espletamento delle proprie mansioni, onere sempre discendente dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro .
Infine, l’orientamento maggioritario ha ritenuto che la riserva di legge sancita dall’art. 32, Cost. richieda una norma ad hoc rendendo così inconfigurabile, in virtù della mera disciplina sulla sicurezza del lavoro, tanto un obbligo quanto un onere vaccinale per il lavoratore .
La seconda questione affrontata nel dibattito dottrinale de quo concerne proprio le conseguenze della mancata vaccinazione sul rapporto di lavoro.
Nulla quaestio per gli autori che ritengono configurabile, in generale o in specifici contesti lavorativi, un obbligo o un onere vaccinale cui consegue, naturalmente, la facoltà datoriale di sospendere dal servizio (senza alcun trattamento retributivo) i lavoratori che rifiutino immotivatamente la vaccinazione disquisendosi solo sulla configurabilità o meno di una responsabilità disciplinare.
La facoltà di sospensione del rapporto di lavoro è altresì riconosciuta dall’opposto orientamento che, pur affermando il diritto del lavoratore di non sottoporsi (per qualsiasi ragione, comprese le proprie convinzioni personali) a vaccinazione, ritiene legittimo il rifiuto della prestazione ove incompatibile con le esigenze di sicurezza del lavoro sì da rendere il lavoratore inidoneo alla mansione .
Altro orientamento, del tutto minoritario, nega detta facoltà di sospensione rilevando come l’insussistenza di un obbligo vaccinale ne precluda pure la valutazione ai fini dell’idoneità alla mansione e come il datore di lavoro non possa nemmeno accedere, per ragioni di privacy, ai dati concernenti la vaccinazione .

2. Le sospensioni dal lavoro disposte per ragioni di sicurezza e relative pronunce
Il dibattito è presto sfociato nelle aule di giustizia .
Già prima dell’introduzione dell’obbligo vaccinale (cfr. successivo paragrafo), i datori di lavoro operanti nei contesti più esposti alla diffusione del contagio, come quelli dei servizi sanitari ed assistenziali, hanno disposto il collocamento in ferie e la sospensione dal servizio del personale non vaccinato per esigenze di sicurezza dei lavoratori e degli utenti.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimo tale modus operandi in quanto conforme alla citata disciplina sulla sicurezza del lavoro.
Nei casi in cui la sospensione del rapporto di lavoro era stata disposta in assenza di un giudizio di inidoneità del medico competente, i giudici hanno comunque richiamato le norme generali in materia di sicurezza sul lavoro (art. 2087 c.c. e/o art. 20, D.Lgs. n. 81/2008) e la disciplina speciale sul rischio di esposizione ad agenti biologici, come integrata dall’art. 4, D.L. n. 125/2020 in attuazione della Direttiva UE 2020/739 .
A fortiori, nei casi in cui la sospensione era conseguente ad un giudizio di inidoneità del medico competente ovvero al rifiuto di sottoporsi alla relativa visita, la giurisprudenza ha ritenuto il provvedimento datoriale imposto, e non solo consentito, dalla citata disciplina in materia di sicurezza .
In tali pronunce, tutte concernenti operatori sociosanitari dipendenti da residenze per anziani, i giudici hanno poi escluso il diritto ad una diversa collocazione lavorativa sia alla luce delle deduzioni datoriale circa l’insussistenza di mansioni non comportanti rischi di diffusione del virus sia per l’omessa allegazione da parte dei lavoratori di diverse e specifiche mansioni utili .

3. L’introduzione dell’obbligo vaccinale per determinate categorie di lavoratori
Constatata una non trascurabile “esitazione vaccinale” proprio nei settori a più elevato rischio di contagio e diffusione del virus, il legislatore, con l’art. 4, D.L. n. 44/2021, ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario .
La norma, al dichiarato «fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza», prevede per tali lavoratori l’obbligo di sottoporsi a vaccinazione precisando che «la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati» (cfr. art. 4, comma 1, D.L. n. 44/2021).
Il legislatore ha quindi previsto, all’esito della procedura di accertamento dell’inosservanza di tale obbligo , l’adibizione «ove possibile» a mansioni, anche inferiori (e «con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate»), che «non implicano rischi di diffusione del contagio» e, in caso di indisponibilità di mansioni alternative, la sospensione dal rapporto di lavoro e da ogni trattamento economico sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale (cfr. art. 4, commi 8-9, D.L. n. 44/2021).
Sospensione dal servizio che non è invece prevista per i lavoratori impossibilitati (per motivi di salute) alla vaccinazione ai quali è comunque garantita l’adibizione ad altre mansioni, «anche diverse» ma «senza decurtazione della retribuzione», tali da «evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2» (cfr. art. 4, comma 10, D.L. n. 44/2021).
La procedura di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e le relative conseguenze sono state modificate dal D.L. n. 172/2021 che ha semplificato e velocizzato l’iter ed ha previsto l’adibizione a diverse mansioni solo per i lavoratori esentati dall’obbligo vaccinale (cfr. art. 4, commi 5 e 7, D.L. n. 44/2021).
Il periodo di sospensione dal servizio, sempre correlato all’adempimento dell’obbligo vaccinale, è stato prorogato da tale decreto sino al 15 giugno 2022 (cfr. art. 4, comma 5, D.L. n. 44/2021).
Con tale decreto ed altri, anteriori e successivi, il legislatore ha poi esteso l’obbligo vaccinale ad altre categorie professionali (cfr. artt. 4 bis e 4 ter, D.L. n. 44/2021) sempre prevedendo la sospensione del rapporto di lavoro (e relativa retribuzione) sino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale con esclusione dell’onere di adibizione ad altre mansioni (cfr. art. 4 bis, comma 4 ed art. 4 ter, comma 3, D.L. n. 44/2021).
Nei suoi primi commenti, la dottrina si è espressa per la legittimità costituzionale dell’art. 4, D.L. n. 44/2021 ritenendo l’obbligo vaccinale sancito per il personale sanitario e sociosanitario conforme ai principi sanciti dalla Consulta nella materia de qua .

4. L’orientamento della giurisprudenza, amministrativa e ordinaria
L’introduzione dell’obbligo vaccinale ha determinato, quale “reazione avversa”, l’incremento del contenzioso.
In primis, si è pronunciata la giurisprudenza amministrativa adita per l’annullamento di provvedimenti di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale.
Con un orientamento unanime i Tribunali Amministrativi Regionali hanno respinto i ricorsi ritenendo manifestamente infondati i profili di illegittimità costituzionale paventati dai ricorrenti .
Tale orientamento ha avuto l’avallo del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 7045/2021, ha puntualmente confutato tanto le argomentazioni di “ordine scientifico” sulla presunta mancanza di efficacia o sicurezza dei vaccini tanto quelle di “ordine giuridico” afferenti alla pretesa violazione degli artt. 3 e 52, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e dell’art. 8, CEDU nonché degli artt. 1, 2, 3, 4, 9, 32, 33, 35 e 36, Cost. .
In particolare, con specifico riferimento alla lamentata violazione del diritto al lavoro, il Consiglio di Stato ha ritenuto la censura manifestamente infondata rilevando come la norma, nel qualificare la vaccinazione requisito essenziale per l’esercizio della professione sanitaria, risponda sia ad «un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro» sia «al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività». Interesse della collettività che, «nelle attuali condizioni epidemiologiche», il Consiglio di Stato ha ritenuto «sicuramente prevalente … sul diritto al lavoro» .
Con un orientamento altrettanto uniforme, la giurisprudenza ordinaria ha respinto i ricorsi promossi da personale sanitario o sociosanitario sospeso dal servizio in virtù dell’art. 4, D.L. n. 44/2021.
Al di là di alcune pronunce concernenti profili procedurali , la giurisprudenza ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai lavoratori essenzialmente rilevando come il diritto alla salute dei soggetti fragili e, più in generale, l’interesse alla salute della collettività debbano ritenersi prevalenti rispetto alla libertà di non sottoporsi a vaccinazione del personale sanitario e socio-sanitario, libertà peraltro riconosciuta dalla norma de qua che, in caso di omessa vaccinazione, semplicemente dispone la temporanea sospensione dal servizio .
La giurisprudenza ha altresì rilevato come la sospensione dal servizio del personale non vaccinato sia rispondente alla disciplina in materia di sicurezza sul lavoro e, quindi, volta a tutelare la sua stessa salute .
In ordine all’adibizione ad altre mansioni il personale non vaccinato (per libera scelta), ove vigente ratione temporis, la giurisprudenza ha ritenuto che non comporti alcun onere datoriale di apportare modifiche al proprio assetto organizzativo e che, in sede di ricollocazione, debba essere accordata priorità al personale esentato dalla vaccinazione per motivi di salute .

5. La (sconcertante) ordinanza del Tribunale di Velletri
In tale scenario si colloca l’ordinanza in commento.
Il Tribunale di Velletri, chiamato a pronunciarsi su un provvedimento di sospensione dal servizio adottato da un’azienda sanitaria nei confronti di un’infermiera non vaccinata, dopo aver disposto la reintegra in servizio con un decreto inaudita altera parte , ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. disponendo la revoca del provvedimento di sospensione ed ordinando all’amministrazione di affidare alla lavoratrice «compiti compatibili per il tipo o per le modalità di svolgimento con l'esigenza di tutelare la salute pubblica e adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza».
In particolare, invocando il principio dell’interpretazione costituzionalmente orientata il giudice ha ritenuto che «non in tutti i casi la prestazione degli operatori di interesse sanitario non vaccinati è vietata, ma solo laddove quest'ultima inciderebbe sulla salute pubblica e su adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza».
Con ciò il Tribunale ha evidentemente ignorato il tenore letterale della norma nella versione vigente alla data di adozione dell’ordinanza.
A differenza della originaria formulazione , l’art. 4, comma 5, D.L. n. 44/2021, come modificato dal D.L. n. 172/2021, in caso di omessa vaccinazione prevede la «sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie».
La volontà del legislatore è pertanto inequivocabile nel sancire il divieto di esercizio delle professioni sanitarie in termini generali ed astratti senza facoltà alcuna di valutazione contraria correlata alle peculiarità del caso concreto.
Divieto che, a prescindere da ogni considerazione circa la sua conformità o meno ai principi costituzionali, preclude al giudice ordinario l’adozione di un provvedimento, come quello de quo, di revoca del provvedimento di sospensione dal servizio.
Preclusione che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Velletri, non può essere superata in virtù del principio di interpretazione costituzionalmente orientata che, come affermato dalla Consulta, non è percorribile quando detta interpretazione conforme sia incompatibile con il tenore letterale della norma .
Il giudice ha inoltre ritenuto che la sospensione non fosse nemmeno preclusa dalla mancata previsione, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 172/2021, dell’onere di ricollocamento rilevando che la precedente formulazione della norma era «superflua», trattandosi di un principio generale del diritto del lavoro, per cui il legislatore non avrebbe «ripetuto una formulazione inutile» e che l’omissione sarebbe comunque superabile estendendo, sempre in virtù del principio di interpretazione costituzionalmente orientata, ai lavorator non vaccinati per libera scelta l’onere di ricollocazione previsto per i lavoratori esentati dalla vaccinazione.
Al di là di ogni considerazione di merito, l’argomentazione è nuovamente fallace nel metodo.
Il tenore letterale della norma e, soprattutto, le diverse formulazioni susseguitesi nel tempo escludono categoricamente la percorribilità dell’interpretazione conforme prospettata dal Tribunale.
Con il D.L. n. 172/2021 il legislatore ha infatti inteso distinguere la posizione dei lavoratori esentati dalla vaccinazione, per i quali ha confermato l’onere di adibizione a diverse mansioni, da quella dei lavoratori non vaccinati, per i quali ha invece disposto la sospensione dal servizio senza alcun onere di adibizione ad altre mansioni.
A prescindere da ogni disquisizione circa la superfluità della norma sull’adibizione ad altre mansioni rispetto ad un “principio generale” del diritto del lavoro, la volontà del legislatore è inequivocabile nel senso di superare l’originaria versione della norma ed escludere l’onere di ricollocazione del personale non vaccinato.
Ciò che nuovamente precludeva l’adozione del provvedimento de quo imponendo al giudice, in conformità ai principi espressi dalla Consulta circa i limiti dell’interpretazione conforme, di valutare eventuali profili di incostituzionalità e, in caso di ritenuta loro non manifesta infondatezza, di sollevare la relativa questione di legittimità costituzionalità innanzi all’(unico) organo competente.
Il giudice, così sostanzialmente “riscritta” la norma, ne ha poi fornito un’erronea applicazione.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto che, in virtù del proprio consistente organico, l’azienda sanitaria potesse «agevolmente assegnare alla ricorrente compiti anche di natura amministrativa».
Alla luce di tale rilievo, nonché di generiche quanto teoriche considerazioni circa scoperture di organico ed esigenze sostitutive , il giudice ha escluso ogni rilievo al provvedimento adottato dalla commissione interna circa la non ricollocabilità del personale non vaccinato concludendo che «un'azienda con migliaia di dipendenti, non può non essere in grado di ricollocare la netta minoranza non vaccinata».
Conclusione che sarebbe stata erronea pure nella vigenza dell’originaria formulazione della norma che, come rilevato, prevedeva l’adibizione a diverse mansioni solo «ove possibile» .
Peraltro, nel riferimento a mansioni di natura amministrativa il Tribunale non si è nemmeno curato di valutare la fattibilità di una simile ricollocazione alla luce della formazione, delle competenze e dell’esperienza professionale della ricorrente.
L’omissione non è certo casuale.
Ove avesse effettuato una simile valutazione, il Tribunale avrebbe presumibilmente escluso una “agevole” ricollocazione considerando che la formazione, le competenze e l’esperienza professionale di un’infermiera sono pressoché incompatibili e, comunque, inadeguate per lo svolgimento di compiti di natura amministrativa, per di più in un’amministrazione delle dimensioni e della complessità dell’azienda convenuta.
Come prevedibile, l’ordinanza in commento è stata riformata in sede di reclamo .
Pur non potendo configurarsi, quanto meno formalmente, un eccesso di potere giurisdizionale , l’ordinanza de qua dovrebbe indurre ad una riflessione non tanto sui limiti dell’interpretazione costituzionalmente orientata, che pure sono qui ampiamente superati, quanto sulla capacità del giudice, nell’ermeneutica giuridica, di controllare la propria «precomprensione» .

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