testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa.
La portata dell’impatto delle nuove tecnologie, tra cui l’utilizzo di algoritmi, big data e controlli digitali , sull’esecuzione della prestazione lavorativa – e, più in generale, sull’organizzazione del lavoro – sta largamente interessando la dottrina e la giurisprudenza degli ultimi anni. A tal proposito, è stato osservato come con la crescita esponenziale del lavoro digitale, problemi già sperimentati in passato siano destinati anch’essi a crescere in modo esponenziale in dimensione e intensità .
La sentenza che si annota riguarda, in particolare, una “fabbrica intelligente” (un’impresa della logistica situata nel nord-est del Paese) in cui l’organizzazione dei processi produttivi è non solo coadiuvata dall’uso di strumenti digitali, bensì in cui l’attività umana è integralmente sostituita da hardware in cui sono installati software dotati di algoritmi altamente sofisticati.
In questo quadro, la sentenza in commento si è trovata ad affrontare la questione degli effetti dell’estrinsecarsi dei poteri datoriali (in specie, direttivo e di controllo) per mezzo di terminali digitali sull’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare formale del contratto di lavoro: essa costituisce, pertanto, un’interessante occasione per riflettere – senza pretese di esaustività in ragione dell’ampiezza e della complessità della materia – sulle “nuove” risposte da fornire alle sfide poste con l’avvento dell’era del digitale.
2. I fatti di causa e le soluzioni fornite dal Tribunale di Padova.
Con distinti ricorsi, successivamente riuniti d’ufficio, i ricorrenti, dipendenti di una cooperativa, in qualità di soci lavoratori, dopo avere lavorato alle dipendenze di altre cooperative, tutte appaltatrici dell’appalto relativo ai servizi di logistica del magazzino di Mestrino, affermavano di avere svolto continuativamente, presso tutti i datori di lavoro, mansioni di carrellista o di pickerista.
In particolare, secondo la ricostruzione fornita dai ricorrenti, tutti i mezzi strumentali utilizzati per lo svolgimento dell’appalto erano in proprietà del committente e le direttive di lavoro erano ricevute direttamente dallo stesso, sia attraverso terminali mobili, gestiti da un software di sua proprietà, i quali dettavano indicazioni sulle singole operazioni da compiere per il prelievo e lo stoccaggio della merce, sia, nel caso di errate informazioni fornite dal sistema, direttamente dal personale del committente.
I lavoratori dovevano registrare tutte le operazioni compiute sui medesimi apparati informatici, di modo che il committente potesse avere un quadro aggiornato della merce presente in magazzino; al contempo tali registrazioni attestavano anche la frequenza e l’oggetto dei singoli atti lavorativi compiuti dai dipendenti della ditta appaltatrice e consentivano, pertanto, un controllo diretto del committente sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli stessi.
Viceversa, in base alla prospettazione dei ricorrenti, la cooperativa, formalmente datrice di lavoro, non svolgeva alcun ruolo di organizzazione del lavoro e di direzione dei suoi dipendenti.
I ricorrenti chiedevano, pertanto, l’accertamento dell’illiceità dei contratti di lavoro intercorsi, formalmente qualificati come appalti, con tutte le società che si erano succedute nel tempo nell’esecuzione dell’appalto, costituendo esse mere intermediatrici di prestazioni lavorative, e, di conseguenza, chiedevano la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze del committente.
La società convenuta si costituiva in giudizio, chiedendo la reiezione delle avverse domande. A tal fine, eccepiva, in via preliminare, per quel che in questa sede rileva, la decadenza ex art. 32 L. 4 novembre 2010, n. 183, in relazione ai periodi di lavoro corrispondenti agli appalti intercorsi con i precedenti datori di lavoro, nonché la prescrizione quinquennale dei crediti. Nel merito, deduceva che i mezzi utilizzati per la movimentazione dei prodotti (transpallet, carrelli, lavapavimenti) erano di proprietà della cooperativa appaltatrice o acquisiti in leasing; riconosceva, tuttavia, che, per quanto riguardava l’attività di scarico e di accettazione, il personale della ditta appaltatrice riceveva talune direttive relative all’organizzazione del lavoro attraverso terminali digitali siti nei locali aziendali. La committente non contestava, in effetti, che il programma informatico, installato nei suddetti terminali digitali, fosse nella sua disponibilità e che i dati ivi immessi, nonché l’algoritmo sulla base del quale venivano trattati, fossero al di fuori della sfera di competenza dell’appaltatore.
Il Giudice ha, inizialmente, esaminato le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla resistente, ritenendole entrambe infondate. In particolare, quanto all’eccezione di decadenza, ex art. 32 L. 183/2010, il Giudice ha rilevato che la stessa non tenesse conto della circostanza che il rapporto di lavoro di cui si chiedeva l’accertamento era proseguito in capo a diversi appaltatori, senza che fosse stata allegata una soluzione di continuità o una variazione organizzativa delle modalità della prestazione; di modo che il termine di decadenza non era decorso, cominciando a decorrere dalla cessazione del rapporto con l’utilizzatore (cfr., art. 39 del D.Lgs. n. 81/2015 in materia di somministrazione). La giurisprudenza della Cassazione ha ripetutamente affermato che il termine di decadenza dell’art. 32, comma 4, lett. d), della legge n. 183 del 2010 non trova applicazione nel caso di azione tendente alla costituzione o all’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro nei confronti di un datore di lavoro “occulto”, diverso da quello formalmente apparente, laddove non vi siano atti formali da impugnare riconducibili al primo (Cass. n. 24437/2022; Cass. n. 30490/2021; Cass. n. 14131/2020); è stato in particolare precisato che la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, lett. d), della L. n. 183 del 2010, non trova applicazione nelle ipotesi di richiesta di costituzione o di accertamento di un rapporto di lavoro, ormai risolto, in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto, nelle quali manchi un provvedimento in forma scritta o un atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto stesso (Cass. n. 40652/2021) . Quanto all’eccezione di prescrizione quinquennale, ex art. 2948 cod. civ., il Giudice ha osservato che, in conformità al recente arresto della Corte di Cassazione , la stessa non tenesse conto del diverso operare della medesima dopo l’entrata in vigore della L. 92/2012, a seguito della quale nessun rapporto di lavoro è assistito con certezza ex ante dalla tutela reale avverso i licenziamenti illegittimi, dipendendo la scelta tra tale tutela e quella indennitaria dall’accertamento ex post della natura del licenziamento e dalla tipologia di vizio; venendo così meno la condizione di certezza della tutela cui, per giurisprudenza costituzionale, era ancorata la decorrenza della prescrizione in corso di rapporto .
In relazione al merito delle domande formulate dai ricorrenti, il Giudice ha osservato che, al fine della decisione della causa, bisognava appurare chi effettivamente esercitasse il potere di direzione sui lavoratori dell’appaltatore. Il Giudice, supportato da una consulenza tecnica per la ricostruzione delle fasi di lavoro, ha accertato che i lavoratori dell’appaltatore ricevevano le istruzioni su dove stoccare la merce attraverso un terminale informatico; l’operatore interagiva esclusivamente con il sistema informatico, dalla ricerca del punto ove si trovava la merce alla collocazione della stessa presso una porta di uscita; il lavoratore riceveva indicazioni della corsia e dello stallo ove recarsi per prelevare i colli mediante un transpallet dotato di una cuffia e di un microfono.
Il Giudice ha, altresì, rilevato che lo strumento più efficace di controllo sui tempi di lavoro, quello delle registrazioni informatiche, certamente più pervasivo del controllo visivo di un preposto, era nella disponibilità non del datore di lavoro, bensì della committente.
Le attribuzioni dell’appaltatore erano essenzialmente relegate alla gestione amministrativa dei rapporti di lavoro (ovverosia la formazione delle squadre e il numero delle operazioni, la sorveglianza sanitaria, la fornitura di DPI, ferie, permessi, retribuzioni); attività ritenute dal Giudicante non sufficienti a contrassegnare l’esercizio del potere direttivo, in quanto a monte dello svolgimento della stessa prestazione lavorativa.
Sulla scorta delle caratteristiche dell’appalto riscontrate in giudizio, il Giudice, richiamando il contenuto dell’art. 29, co. 1, del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, ha pertanto concluso per la non genuinità dell’appalto e per il riconoscimento del rapporto di lavoro alle dipendenze del committente, affermando che ricorre un difetto di organizzazione, quando un fattore decisivo, quale quello costituito dall’hardware e dal software di un sistema informatico, sia governato dal committente.
3. Considerazioni conclusive.
La sentenza in esame affronta una tematica tradizionale della disciplina giuslavoristica, vale a dire la verifica dei criteri discretivi tra appalto genuino e interposizione illecita di manodopera. In conformità a un consolidato indirizzo giurisprudenziale , il Giudice padovano ha accertato se, nel caso sottoposto alla sua attenzione, all’appaltatore fosse stata affidata la realizzazione di un risultato in sé autonomo, da conseguire attraverso una effettiva e autonoma organizzazione del lavoro, con reale assoggettamento al potere direttivo e di controllo sui propri dipendenti, impiego di propri mezzi e assunzione da parte sua del rischio d’impresa. In mancanza di prova dei suddetti presupposti, il Giudice ha pertanto riscontrato un contratto di appalto fittizio che mascherava una interposizione illecita di manodopera.
La sentenza in commento assume particolare rilevanza nella misura in cui il Giudice si è dovuto confrontare con un’organizzazione del lavoro e della produzione profondamente digitalizzata. Il sistema produttivo descritto sopra era, infatti, altamente informatizzato, in cui era il software che dialogava direttamente con l’operatore. In sostanza, nell’esecuzione del lavoro, tra la funzione di organizzazione della logistica e l’intervento esecutivo, non vi era altra mediazione umana. In considerazione delle sopra riferite caratteristiche dell’appalto, al fine di verificare se nella fattispecie sottoposta al suo esame si fosse realizzata un’ipotesi di intermediazione illecita di prestazioni lavorative, il Decidente ha eliminato mentalmente i responsabili della cooperativa appaltatrice (il datore di lavoro), accertando che il processo produttivo non subiva alcuna alterazione, in quanto l’attività dei lavoratori era essenzialmente governata da un programma informatico, nella disponibilità del committente, “che dice al lavoratore cosa deve essere spostato, dove si trova e dove deve essere portato” . Il residuo intervento umano sull’atto lavorativo, operato dall’appaltatore, non aveva, dunque, alcuna effettiva incidenza sull’esplicarsi dei poteri datoriali (in specie, direttivo e di controllo) .
In ragione della peculiare organizzazione produttiva oggetto della sentenza in commento, va riconosciuto al Decidente di avere tenuto debitamente in considerazione, nell’apprezzamento della fattispecie posta alla sua attenzione, l’impatto dell’evoluzione tecnologica, la quale ha reso in molti settori obsoleta la relazione tra superiore e subordinato e, persino, la verifica, secondo i canoni tradizionali, dell’esercizio del potere direttivo e di controllo, rimettendo alle macchine di guidare interamente il processo produttivo.
La sentenza in esame pone, pertanto, l’interprete di fronte una realtà imprenditoriale in cui l’intervento umano è essenzialmente limitato alla fase della programmazione dell’algoritmo che gestisce il software – e a sopperire a eventuali malfunzionamenti del sistema informatico – e in cui la prestazione lavorativa è interamente eterodiretta e organizzata da remoto attraverso apparati software e hardware. Il ricorso su larga scala all’intelligenza artificiale nella organizzazione del lavoro e della produzione non è, dunque, argomento di studio di uno scenario venturo o di un futuro distopico. Il settore della logistica (ultra)digitalizzata ci dimostra, in realtà, che già oggi le fabbriche “intelligenti” sono una realtà ampiamente diffusa nel tessuto produttivo italiano, soprattutto nei territori del Paese più industrializzati (nel caso esaminato dalla sentenza in commento, un’impresa situata nel cuore produttivo del Veneto).
L’incessante rivoluzione digitale va, dunque, governata e accompagnata, sia a livello nazionale , sia a livello sovranazionale , piuttosto che rincorsa a fatica . I sistemi informatici “intelligenti” sono, infatti, in grado di attuare un controllo pervasivo sulla prestazione lavorativa, con ogni consequenziale effetto anche sull’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro; trattare una mole imponente di dati personali (anche particolari, già sensibili, ex art. 9 del Reg. UE 2016/679) e, finanche, dirigere, indirizzare e conformare la stessa prestazione lavorativa.
Se la spinta verso il digitale va vista con favore, in un’ottica di maggiore produttività e competitività, la stessa solleva, tuttavia, anche alcune preoccupazioni e perplessità sull’adeguatezza del quadro normativo vigente in materia di diritti dei lavoratori, sia a livello europeo che, soprattutto, a livello nazionale. È, dunque, compito degli operatori del diritto non trascurare l’impatto delle nuove tecnologie sull’atteggiarsi del rapporto datore di lavoro-lavoratore, al fine di non alimentare ulteriori paure e pregiudizi su un futuro fortemente segnato dall’innovazione tecnologica o, finanche, di scongiurare un annichilimento dei lavoratori “umani” in favore di datori “digitali”.