testo integrale con note e bibliografia
Il PNRR è fondamentale per la stima del pil e quindi per la tenuta dei conti pubblici.
Ultimamente le stime della crescita del PIL sono sempre poco accurate e devono spesso essere riviste in maniera drastica. Fortunatamente da ultimo le stime sono state riviste al rialzo, per esempio Confindustria ha rivisto la stima del PIL 2024 da +0.5% a +0.9%. Ma non sempre la direzione delle revisioni deve essere al rialzo.
Le ragioni per cui i modelli congiunturali hanno perso precisione possono essere diverse: le variazioni del PIL post-covid effettivamente sono state molto più ampie del normale; alcuni indicatori dell'andamento del PIL come i consumi elettrici hanno perso significato e da quando c'è stato il boom di prezzi vi sono state delle riduzionidei consumi a parità di produzione; infine i consumi (che sono larga parte del PIL) hanno cambiato stagionalità e molto spesso adesso si spendepiù per le vacanze estive (spalmate su diversi mesi) che per il Natale.
In questo quadro c’è una sola certezza: che il PIL dei prossimi anni (stimato a un buon 1% sia nel 2025 che nel 2026) dipende dall’esecuzione integrale del PNRR. Da questo punto di vista la rimodulazione del PNRR da parte del governo Meloni, avendo spostato le spese del PNRR nel 2025 e 2026 ha aiutato a migliorare le stime di crescita dei prossimi due anni. D’altro lato si è creato un paradosso: tutti dicono che la crescita dipende dal PNRR ma siccome idettagli della rimodulazione sono fumosi e l’esecuzione è ancora incerta, nessuno si arrischia più a dire quanto esattamente della crescita dipende dal PNRR. Ci si affida però comunque alla condizione che il PNRR sia eseguito per intero.
Viva il PNRR dunque. Ma alla tavola 2.4 del DEF leggiamo che gran parte delle stime di crescita attribuite al PNRR sono attribuite non tanto agli investimenti ma alle riforme e che, tra le riforme, la riforma delle politiche attive del lavoro (che si chiama GOL: garanzia occupabilità e lavoro) vale ben 1.5% su un totale cumulato di crescita del +3.3% al 2026. La riforma del mercato del lavoro contribuisce con la quota di gran lunga maggiore (quasi la metà), quella della pubblica amministrazione lo 0,9%, quella della giustizia lo 0,4%, quella della concorrenza e degli appalti solo lo 0.1%.
Evidentemente neanche il governo confida troppo nell’esecuzione della riforma della concorrenza.
Diventa allora cruciale capire come sta andando la riforma del mercato del lavoro e se davvero plausibilmente potrà essere responsabile di quasi la metà della crescita complessiva da qui al 2026. Intendiamoci, può benissimo essere, e tutti ce l'auguriamo, che l'occupazione continui ad andare molto bene e che quindi contribuisca in buona misura alla crescita. Ma il fatto che l'occupazione vada bene può essere anche del tutto indipendente dal successo
della riforma del mercato dellavoro. In altre parole le stime del Def attribuiscono alla riforma del mercato dellavoro quel che in realtà è indipendente dalla riforma. Da un certo punto di vista sarebbe un bene perché la riforma GOL del PNRR, per quanto se ne sa, non sta andando molto bene.
La riforma GOL è fatta sostanzialmente di 2 obiettivi: un primo obiettivo di presa in carico di 3 milioni di disoccupati entro il 2026, di cui 800mila in formazione. La riforma del lavoro inoltre riguarda anche la dotazione sia umana che materiale dei centri dell'impiego che effettivamente è molto migliorata da 8000 a15000 persone. Per creare davvero quell’ 1.5% di crescita la riforma deve davvero migliorare le competenze dei lavoratori.
Gli obiettivi di presa in carico dei disoccupati sono largamente di tipo amministrativo e in quanto tali difficilmente possono contribuire alla crescita, tanto è vero che in sede di rendiconto la Commissione europea ha fatto notare che la presa in carico amministrativa non significa fornire dei servizi utili al disoccupato (come l’orientamento al lavoro).
Fortunatamente per il raggiungimento dell'obiettivo vale anche l'occupazione e quindi da quel punto di vista siamo salvi: anche se i lavoratori hanno trovato un'occupazione indipendentemente dai centri dell'impiego, l’occupazione conta come raggiungimento del target PNRR. Anche l'obiettivo di formazione come tale difficilmente può essere davvero responsabile dell'aumento della crescita. Gli operatori privati non stanno collaborando a fornire formazione ai disoccupati e preferiscono fare somministrazione o ricerca e selezione di personale che sono molto più remunerativi; d'altra parte la formazione che noi siamo abituati a fornire è di tipo molto semplice mentre invece una formazione mirata e su commissione sarebbe quella che davvero potrebbe aumentare la crescita.
Questa è la situazione per quanto riguardale riforme.
Per quanto riguarda invece gli investimenti, invece, tutto ruota attorno alla revisione del ministro Fitto che si può leggere in 2 modi: il primo modo è che avrebbe migliorato le possibilità di riuscita del piano e cancellato o finanziato fuori dal PNRR i progetti più a rischio; il secondo modo è che, invece, avendo fatto perdere più di un anno alle amministrazioni, avrebbe ulteriormente compromesso le capacità di esecuzione del piano che già indubbiamente erano messe a dura prova.
Pur avendo pochi dati a disposizione perché il sistema di monitoraggio REGIS funziona notoriamente con molto ritardo, il ministro F itto ha insistito sulla revisione del piano che finalmente ha visto la luce in ottobre dopo un anno intero di attesa . Una cosa sicura è che quella revisione ha tagliato circa 10 miliardi di progetti, la maggior parte dei quali riguardantii
comuni per sostituirli con progetti destinati alle imprese per più di 22 miliardi tra nuove misure pnrr e r0eower EU (tra queste ultime ci sono 6 miliardi per industria 5.0) che
sicuramente ha fatto molto arrabbiare i comuni. Al danno si è aggiunta la beffa perché il ministro Giorgetti ha imposto il taglio dei trasferimentidi parte corrente ai comuni in
proporzione ai fondi stanziati per il PNRR. Un vero e proprio disincentivo per i comuni a portare a termine il PNRR: i comuni si sono sempre lamentati che il completamento di qualunque investimento avrebbe comportato maggiori spese correnti, ora addirittura si esplicita che ci saranno minori, invece che maggiori, trasferimenti.
I dieci miliardi di definanziamento ai comuni sono difatto stati compensati dai finanziamenti che erano per essi pervisti prima dell’arrivo del PNRR.
Ciò ha però creato la necessità di trovare la copertura per i nuovi progetti del PNRR e Repower EU, a detta del ministro di più rapida implementazione. Poiché l’operazione doveva essere fatta senza aggravio per le finanze pubbliche, si è provveduto a definanziare altri programmi fuori dal PNRR. Tra questi, alcune voci di rilievo riguardano 4,5 miliardi del Piano nazionale complementare, tra cui spiccano 1,2 miliardi tolti alla messa in sicurezza degli ospedali, i quasi 3 miliardidi contributi ordinari agli investimenti comunali e i 5 miliardi dei residui deifondidi coesione 2021-2027.
Il ministro non dice tuttavia in modo puntuale, all’interno delle voci di spesa, quali sono i singoli progetti specifici cancellati e quali sono invece quelli mantenuti. Si coprono in principio tutti i progetti, del resto, era impossibile da decidere perché, ora che lo decidi, tra mille polemiche, magarilo devi cambiare se qualcuno non ce la fa. La strategia rischia di essere doppiamente sbagliata: prima perché per mesii comuni erano in attesa della revisione del PNRR, adesso
perché, avendofinanziato tutti i progetti ma non avendo detto quali sono dentro e quali sono fuoridal PNRR, i comuni potranno prendersi tempo sperando di essere fuoridal PNRR: più tempo e meno grane di rendicontazione. È vero che formalmente sono tutti tenuti agli stessi target, ma chi ci crede…una volta che sarai fuoridal PNRR sarai privo di quei vincoli.
Nell’ottica della complementarità fra le diverse fontidifinanziamento europee, l’utilizzo dei fondi europei per la coesione a copertura delle misure escluse dal Pnrr consentirebbe la loro realizzazione in un orizzonte temporale più ampio e permetterebbe di evitare il ricorso a risorse nazionali, cha abbiamo visto difatto implicano il definanziamento dialtre misure se non si vuole incrementare il debito. Tuttavia, sebbene il Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) sembri avere potenzialmente disponibilità finanziaria, la normativa attuale ne riserva l’80 per cento alle regioni meridionali, mentre la quota di competenza del Mezzogiorno relativa alle misure definanziate si ferma al 47 per cento. Non ci sarebbero abbastanza risorse da allocare al Centro-Nord per coprire la sua quota di competenza.
Oltre a queste difficoltà istituzionali e tecniche oggettive, ilministro Fitto ha difatto accentrato a sé la programmazione deifondi europei ordinari. La programmazione deifondi europei ordinari tocca didiritto alle regioni, accentrando a sé il potere di decidere la destinazione di queifondi in virtù delfatto che devono essere coordinati con il PNRR, Fitto ha fatto arrabbiare le regioni a cui ultimamente il consiglio di stato ha dato ragione almeno per quanto riguarda la Campania. Anche i ministeri sicuramente non sono contenti di dover rendere conto al ministro della loro programmazione deifondi. Se comunque i soldi c’erano per finanziare tutto, non si capisce perché perdere più di un anno per la revisione. Il danno più grande di questa revisione rischia di essere il perenne litigio istituzionale solo parzialmente coperto dalla consonanza di maggioranza tra regioni e governo.