testo integrale con note e bibliografia
Parallelamente alla produzione legislativa volta a regolamentare le garanzie per i lavoratori impiegati negli appalti si è assistito negli ultimi anni ad una elaborazione giurisprudenziale chiaramente orientata nel segno di estendere tali garanzie, ed in particolare il principio di solidarietà del committente di cui all’art. 29 D.lgs. 276/2003, a contratti diversi dall’appalto tecnicamente inteso, comunque riconducibili a fenomeni di decentramento produttivo.
Tale tendenza ha avuto come linea guida quella di tutelare i lavoratori nell’ambito di fenomeni di esternalizzazione che possano avere una potenziale incidenza negativa sulle condizioni di lavoro, sia in termini di sicurezza, che di orario di lavoro e di trattamento retributivo, fino a giungere anche a casi di sfruttamento dei lavoratori.
Tuttavia, gli interventi giurisprudenziali e anche normativi si sono caratterizzati per una eccessiva frammentazione e mancanza di organicità, che ha generato una situazione di incertezza che rischia di ripercuotersi negativamente sia sulle scelte strategiche e organizzative delle imprese, sia sugli stessi lavoratori. Un ruolo non secondario in materia ha svolto il contratto di subfornitura.
2. Il contratto di subfornitura è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 18.6.1998 n. 192, cui è seguito un annoso dibattito dottrinale incentratosi sul fatto che il Legislatore abbia voluto introdurre un nuovo tipo contrattuale, oppure semplicemente una “normativa di protezione” , che dovrebbe comunque essere integrata dalle norme che regolano altri tipi contrattuali (appalto, contratto d’opera, somministrazione, compravendita) cui la singola fattispecie sia riconducibile.
La giurisprudenza non ha ancora risolto tale contrasto interpretativo, nonostante l’intervento della Corte costituzionale, la quale con la sentenza del 6 dicembre 2017, n. 254, si è limitata a pronunciarsi sul tema dell’applicabilità al contratto di sub-fornitura dell’art. 29, comma 2, D.Lgs 276/2003 (a prescindere dal fatto che il contratto di subfornitura sia da considerarsi un sottotipo del contratto di appalto oppure sia a ciò equiparabile in termini di interpretazione analogica), affermando che «La norma denunciata è interpretabile – e va correttamente interpretata – in modo costituzionalmente adeguato e coerente agli evocati parametri di riferimento: nel senso, appunto, che il committente è obbligato in solido (anche) con il subfornitore relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi. Ciò in quanto la ratio dell’introduzione della responsabilità solidale del committente non giustifica una esclusione (che si porrebbe, altrimenti, in contrasto con il precetto dell’art. 3 Cost.) della predisposta garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura una attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli del decentramento. In tal senso venendo anche in rilievo la considerazione che le esigenze di tutela dei dipendenti dell’impresa subfornitrice, in ragione della strutturale debolezza del loro datore di lavoro, sarebbero da considerare ancora più intense e imprescindibili che non nel caso di un “normale” appalto».
In questo senso si riscontra la sentenza con cui la Corte d’Appello di Brescia ha evidenziato come la disciplina prevista dal comma 2 dell’art. 29 D.Lgs. n. 276/2003 sia estensibile anche nel caso di un contratto diverso dall’appalto come la subfornitura nel quale si riscontra una situazione di dipendenza economica nel rapporto commerciale.
3. Allo stesso modo, si pone la questione dell’applicabilità dell’articolo 29, comma 2, in presenza di un contratto di trasporto.
A tal proposito, la complessità del rapporto contrattuale e la sovrapposizione di normative specifiche creano ulteriori incertezze interpretative, complicando la gestione del rischio e della responsabilità per le imprese coinvolte. In particolare, i contratti di trasporto rappresentano un settore in cui le dinamiche di subfornitura e outsourcing sono particolarmente diffuse, aggravando così le difficoltà di individuazione delle responsabilità.
In particolare, il contratto di trasporto – come noto – è un contratto tipico, disciplinato dagli art. 1678 e ss. c.c., che prevede in particolare una diversa forma di responsabilità solidale del committente con il vettore, disciplinata dall’art. 83-bis del D.L. 112/08 (convertito in L. n. 113/2008), seppur attenuata sia nei termini di decadenza (un anno), sia per quanto riguarda la possibilità di escludere la responsabilità solidale per i trattamenti retributivi e contributivi dei dipendenti per il committente che abbia acquisto l’attestazione del vettore riguardo alla regolarità dei versamenti.
A tal proposito, l’Ispettorato Nazionale del lavoro , si è espresso nel senso che la responsabilità solidale di cui all’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2002 non si estende alle tipologie contrattuali dotate di uno specifico meccanismo di responsabilità solidale (citando peraltro esplicitamente il contratto di trasporto).
Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria , ha elaborato la figura del contratto di appalto di servizi di trasporto che, appunto, pur avendo oggetto servizi di trasporto, in considerazione della molteplicità e ripetitività dei trasporti e della pattuizione di un compenso unitario, viene di fatto ricompreso nella categoria dei contratti di appalto, al fine dell’applicazione del principio della solidarietà del committente di cui all’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003.
Tale elaborazione è stata fortemente criticata in dottrina, in quanto è stato rilevato che la previsione di una molteplicità di servizi, seppure resi in modo predeterminato e continuativo, non sia idonea ex se a mutare la causa del contratto, e che pertanto il contratto di trasporto potrebbe sconfinare in un contratto di appalto soltanto ove siano dedotte prestazioni aggiuntive rispetto alle attività di trasferimento di cose o persone .
Ciononostante, si registrano ancora recentemente delle sentenze della giurisprudenza di merito che confermano tale orientamento. In particolare, la sentenza del Tribunale di Milano n. 3143 del 19 giugno 2024 offre una panoramica dettagliata su questi aspetti, affrontando la questione della qualificazione del contratto come contratto di trasporto piuttosto che di appalto di servizi di trasporto. In linea con la pronuncia del Tribunale di Bologna del 30 novembre 2023 , il Tribunale di Milano ha confermato che un contratto di trasporto può essere distinto da un appalto di servizi di trasporto in base agli elementi organizzativi e alla continuità delle prestazioni.
Nel caso specifico, la sentenza del Tribunale di Milano ha sottolineato che la responsabilità solidale del committente prevista dall’articolo 29, comma 2, del D.Lgs. 276/03 non si applica ai contratti di trasporto, a meno che non siano presenti caratteristiche tipiche degli appalti di servizi, come una pianificazione complessiva e continuativa delle prestazioni.
Allo stesso modo, la sentenza della Corte di Appello di Torino del 27 maggio 2024 ha riaffermato che, per configurare un appalto di servizi di trasporto, è necessario che le parti abbiano predisposto una disciplina complessiva e un corrispettivo unitario, con un'organizzazione idonea da parte del trasportatore, volta a realizzare un risultato complessivo rispondente alle esigenze del committente.
Pertanto, nonostante la disciplina tipizzata del contatto di trasporto ed in particolare del regime di solidarietà di cui all’art. 83 bis del D.L. 112/08, la giurisprudenza ha confermato la propensione per assoggettare anche tali rapporti alla disciplina della responsabilità solidale tipica dell’appalto.
4.- I servizi di logistica
Il trasporto delle merci o delle persone può essere ricompreso in un assetto più articolato, che comprenda ulteriori servizi tra loro differenti, quali l’approvvigionamento di materie prime, il loro trasferimento nei magazzini, la loro lavorazione e confezionamento, fino alla distribuzione del prodotto finito sul mercato. Si configura in tal caso un contratto di logistica.
Tale fattispecie contrattuale, si presta a varie interpretazioni anche con riferimento alla riconducibilità della stessa nell’ambito della categoria del contratto di appalto, con le conseguenti ripercussione anche con riferimento, in particolare, al tema della responsabilità solidale del committente.
Da un punto di vista normativo, pur in assenza di una normativa specifica, si registra l’intervento legislativo che ha portato all’introduzione dell’art. 1677 bis c.c., che ha previsto che: ““se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”.
Tale norma, da un lato, ha ricondotto espressamente il contratto di logistica nell’alveo del contratto di appalto e, dall’altro lato, ha previsto espressamente che le attività di trasferimento di cose rimangano regolate dalle norme sul trasporto.
Tuttavia, sotto il profilo del regime di responsabilità applicabile sono state avanzate diverse interpretazioni.
In particolare, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha affermato in una propria nota che la fattispecie dovrebbe comunque essere assoggettata al vincolo solidale di cui all’art. 29, comma 2, D .Lgs 276/2003, in quanto, in caso contrario, si verrebbe a creare una irragionevole riduzione di tutela per il lavoratore impegnato nelle sole attività di trasferimento di cose, rispetto agli altri dipendenti del medesimo datore di lavoro.
Tale interpretazione è stata criticata in dottrina , in quanto il richiamo ad un’interpretazione costituzionalmente orientata operato dal Ministero, da un alto contrasterebbe con il dato letterale della norma e, dall’atro lato, non terrebbe conto che il lavoratori coinvolti nelle (sole) attività di trasferimento dei beni, sottoposte alla disciplina sul trasporto, godrebbero comunque del sistema, ancorché meno garantista, di cui all’art. 83 bis D.L. 112/2008, mentre il richiamo ad un’irragionevole disparità di trattamento potrebbe avvalorato solo a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale della norma.
Pertanto, si deve ritenere che, in assenza di pronunce giurisprudenziali (che ad oggi non constano) il tema rimanga tuttora alquanto controverso e controvertibile.
5. – Alcune riflessioni conclusive
Appare quindi evidente come attorno alle esternalizzazioni si sia aperto un margine di incertezza difficilmente compatibile con la necessità di certezza richiesta dal mondo dell’impresa. Le aziende, infatti, operano in un contesto dove la previsione e la gestione dei rischi sono fondamentali per garantire la continuità operativa e la sostenibilità economica. Tuttavia, la frammentazione normativa e le diverse interpretazioni giurisprudenziali rendono complesso per le imprese orientarsi e pianificare le proprie strategie di esternalizzazione. Tale incertezza non solo complica la gestione dei rischi ma può anche aumentare i costi operativi e limitare la competitività delle imprese sul mercato.
La giurisprudenza, con le sue interpretazioni evolutive, sembra procedere verso un allargamento delle tutele a favore dei lavoratori impiegati in contesti di esternalizzazione, riconoscendo la necessità di una protezione rafforzata per i soggetti economicamente più deboli. Tuttavia, questa evoluzione normativa non sempre è accompagnata da una chiara e univoca applicazione pratica, il che genera un clima di incertezza e potenziali contenziosi. Le interpretazioni giurisprudenziali, pur essendo orientate a garantire una maggiore protezione dei lavoratori, spesso lasciano margini di ambiguità che possono essere sfruttati in contenziosi legali, aumentando così l’incertezza per le imprese.
In definitiva, per conciliare l'esigenza di tutela dei lavoratori con quella di certezza del diritto per le imprese, sarebbe auspicabile un intervento normativo che chiarisca in maniera definitiva l'ambito di applicazione delle norme sulla responsabilità solidale, tenendo conto delle diverse tipologie contrattuali e delle specificità dei settori coinvolti. Questo contribuirebbe a creare un quadro regolatorio più stabile e prevedibile, favorendo sia la protezione dei lavoratori che la competitività delle imprese. Un intervento legislativo chiaro e coerente potrebbe ridurre significativamente i margini di incertezza, permettendo alle imprese di pianificare con maggiore sicurezza le loro operazioni e strategie di esternalizzazione, senza il timore di incorrere in responsabilità impreviste.
In questo contesto, è cruciale un dialogo costante tra le istituzioni legislative e le realtà imprenditoriali, al fine di costruire una normativa che risponda efficacemente alle esigenze di entrambe le parti. Solo attraverso un quadro normativo chiaro e condiviso, infatti, sarà possibile garantire un equilibrio tra la necessità di protezione dei lavoratori e la sostenibilità economica delle imprese, promuovendo un ambiente di lavoro equo e competitivo.