testo integrale con note e bibliografia
1. Due preliminari rilievi a proposito di contratti pubblici e tutele dei lavoratori
Allorquando ci si occupa degli “incroci” fra disciplina degli appalti pubblici e normativa giuslavoristica, e in particolare dell’operatività delle clausole sull’equo trattamento economico e normativo dei lavoratori coinvolti nell’esecuzione delle commesse pubbliche (cc.dd. clausole di prima generazione), occorre muovere da un paio di rilievi preliminari, necessari per definire la cornice entro cui collocare l’analisi giuridica.
Il primo rilievo attiene ai divergenti nuclei di interessi che emergono in subiecta materia.
Il sistema degli appalti origina dalla facultas che l’ordinamento riconosce sia alle aziende private, sia, per quel che qui interessa, alle pubbliche amministrazioni e agli enti pubblici, di decidere se “auto-produrre” un bene o un servizio, ovvero esternalizzarlo, ferma restando la necessità che in alcuni significativi casi questa scelta è giocoforza in direzione dell’outsourcing, come nel caso di gran parte degli appalti di lavori pubblici.
Il ricorso al buy in luogo del make fa sì che si attivino complessi meccanismi relazionali fra i soggetti coinvolti nell’operazione, portatori di interessi a loro volta complessi e talvolta non solo non coincidenti, ma addirittura contrapposti.
La stipula di un contratto pubblico implica, in primis, l’interesse dell’amministrazione o dell’ente pubblico ad affidare lo svolgimento di lavori o la produzione di beni e/o servizi ad imprese private per il perseguimento dell’interesse pubblico all’ottimale realizzazione dell’opera sia sotto il profilo qualitativo (principio di buon andamento) sia sotto quello del contenimento dei costi (principio di economicità).
L’azienda è a sua volta portatrice dell’interesse a proporre, in sede di gara, un’offerta seria, sostenibile, ma anche competitiva sotto il profilo dei costi, ponendosi però a quel punto il problema del quomodo della competizione e dei fattori sui quali questa può realizzarsi.
Infine, emerge l’interesse dei lavoratori coinvolti nell’operazione commerciale, tanto più rilevante nei non rari casi di appalti labour intensive. Proprio perché, e completando il ragionamento di cui sopra, la competizione si svolge anche tramite il ribasso del costo del lavoro (o della manodopera che dir si voglia), l’interesse dei lavoratori è a un restringimento del perimetro entro cui tale ribasso possa operare, così da assicurare che il lavoro nelle catene degli appalti (e a fortiori dei subappalti) sia prestato in condizioni normativamente ed economicamente dignitose, in attuazione di fondamentali postulati costituzionali, fra cui spicca l’art. 36 Cost.
Il secondo rilievo conduce già entro i confini del diritto vigente.
Anzitutto, nel senso che le direttive Ue in materia di appalti, in combinato disposto con quella, più recente, sui salari minimi adeguati, forniscono significative indicazioni sulla regolazione dei rapporti fra sistema dei contratti pubblici e tutele dei lavoratori coinvolti in appalti e subappalti.
Si veda segnatamente la previsione comune di cui al trittico delle “direttive appalti” del 2014 (nn. 2014/23; 2014/24; 2014/25), ove rimette agli Stati membri l’adozione di «misure adeguate per garantire che gli operatori economici, nell’esecuzione di appalti pubblici, rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell’Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro».
Alle clausole delle “direttive appalti” s’ispira a ben vedere la direttiva n. 2041/2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Ue, che, nel manifestare consapevolezza circa la particolare esposizione dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni in appalti pubblici o contratti di concessione a condizioni di sotto-salario (parr. 31 e 32 dei considerando), rimette agli Stati membri l’adozione di misure adeguate a garantire che gli operatori economici e i loro subappaltatori, nell’aggiudicazione ed esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione, si conformino agli obblighi applicabili concernenti i salari e la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari (art. 9 della direttiva) .
La rilevanza strategica del sistema dei contratti pubblici, anche a fini di regolazione dei fattori socialmente rilevanti, emerge anche nella normativa nazionale, se è vero che negli ultimi sedici anni sono state approntate ben tre codificazioni costellate da disposizioni sulle tutele sociali, l’ultima delle quali, il d.lgs. n. 36/2023, entrata in vigore il primo luglio dello scorso anno. Né può sottacersi l’esistenza, nell’ordinamento interno, di nuclei di disciplina legale orientati a garantire il godimento di adeguate tutele retributive (a favore dei soci lavoratori di cooperativa) o retributive e normative (a favore dei lavoratori operanti presso imprese del terzo settore, fra cui le cooperative sociali). Il nesso con la disciplina dei contratti pubblici è evidente, trattandosi di operatori economici particolarmente attivi sul versante delle lavorazioni in appalto, e configurandosi pertanto esigenze di tutele della forza lavoro non dissimili da quelle che emergono, in termini generali, nella disciplina del Codice dei contratti pubblici.
2. L’equo trattamento del lavoratore nel d.lgs. n. 50/2016 e nell’interpretazione della giurisprudenza
Muovendo dalla seconda “codificazione” dei contratti pubblici, occorre rammentare che il d.lgs. n. 50/2016 si è radicato sul principio, come detto di ispirazione eurounitaria, per cui nell’affidamento di «appalti, lavori, servizi, forniture e concessioni» la stazione appaltante deve tenere in debito conto le istanze di protezione sociale, così come quelle di sostenibilità ambientale, derogando, ove necessario, al principio di economicità . Ugualmente, nella fase dell’esecuzione «gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale» .
Il sistema si è conseguentemente strutturato intorno a un doppio pilastro: da un canto le regole sull’aggiudicazione, dall’altro quelle che informano la fase applicativa ed esecutiva della commessa pubblica .
2.1. Sulla fase dell’aggiudicazione
Sul versante dell’aggiudicazione, ha assunto centralità l’art. 23, c. 16, d.lgs. n. 50/2016, alla cui stregua il costo del lavoro da indicare in offerta da parte degli operatori economici è desumibile da Tabelle ministeriali, sulla base di valori economici definiti dalla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nei diversi settori merceologici, fatta salva, in ipotesi di mancanza di contratto collettivo applicabile, la determinazione del costo della manodopera in relazione al contratto collettivo di settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.
La Tabella ministeriale riflette pertanto i contenuti economici o del contratto collettivo c.d. leader (è quel che accade nel settore metalmeccanico), oppure elabora una media fra i valori economici desumibili da più CCNL siglati da sindacati storicamente rappresentativi (come nel settore commercio), in modo da definire un costo medio orario (nonché un costo medio annuo) crescente in rapporto ai livelli di inquadramento. La media di riferimento ai fini della definizione del costo della manodopera è peraltro inclusiva delle varie voci rilevanti, in via diretta o indiretta, non solo sul piano retributivo, ma anche su quello previdenziale e assistenziale.
Secondo i Decreti direttoriali di approvazione delle Tabella ministeriali, in sede di offerta l’operatore economico può avvalersi di fattori di oscillazione del costo del lavoro, in relazione a elementi quali il godimento di benefici contributivi e fiscali, ovvero di benefici e/o minori oneri derivanti dall’applicazione di contratti collettivi, con conseguente possibilità di scostamenti verso il basso rispetto agli importi indicati in Tabella .
Tuttavia, in sede di offerta, al fine di acquisire vantaggi competitivi gli scostamenti sono spesso praticati dagli operatori economici in termini assai più robusti rispetto a quanto consentito dai menzionati Decreti direttoriali, in genere facendo riferimento alle risultanze del “modello organizzativo” elaborato dall’operatore su proiezioni pluriennali, utilizzando cioè un parametro statistico rapportato alla singola e concreta realtà “storico-aziendale” .
La cospicua giurisprudenza amministrativa formatasi sul punto ha ritenuto in genere legittimi gli scostamenti giustificati ut supra, anche facendo leva sull’art. 95, c. 10, d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui disponeva che «nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera» .
Si è avallata di conseguenza l’esclusione dell’operatore economico dalla procedura per anomalia dell’offerta – o comunque si è dato luogo a una valutazione negativa di congruità della stessa – solo qualora sia emerso un abnorme scostamento dei valori economici dell’offerta dalle Tabelle ministeriali , o a fortiori si sia riscontrato lo “sforamento” dei minimi salariali di cui alle Tabelle .
2.2. Sulla fase dell’esecuzione
Passando al secondo corno della procedura – relativo alla fase applicativa ed esecutiva – è apparso predominante il disposto dell’art. 30, c. 4, d.lgs. n. 50/2016, ove dispone che «al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente».
Si tratta di una delle più pregnanti implementazioni di una tecnica normativa che attribuisce prevalenza alla parte economica (ma non solo) del Ccnl leader nel settore su cui verte l’oggetto dell’appalto .
L’art. 30, c. 4, d.lgs. n. 50/2016, attraverso la valorizzazione della maggiore rappresentatività comparativa dei soggetti stipulanti, ha perseguito l’obiettivo di fronteggiare le degenerazioni di un sistema in cui il principio di pluralità sindacale si è tradotto nella patologica moltiplicazione di “prodotti negoziali” che insistono sui medesimi ambiti categoriali . In tal modo, l’applicazione del Ccnl leader, individuato in ragione della “stretta connessione con l’attività oggetto dell’appalto” o comunque sulla base di un giudizio di prevalenza oggettiva nei non rari casi di appalti plurisettoriali o che insistono su ambiti merceologici sovrapposti, ha costituito l’antidoto all’uso regressivo del contratto collettivo per fini di dumping salariale e/o normativo .
Per quanto la formulazione dell’art. 30 comma 4 d.lgs. n. 50/2016 alludesse alla sua applicazione nella fase esecutiva dei lavori appaltati, il disposto normativo ha talvolta infiltrato, con significativi effetti che si ripercuotono anche sulla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), la fase dell’aggiudicazione. Ciò allorquando la stazione appaltante ha dedotto l’applicazione del Ccnl – normalmente quello leader – nel bando, richiedendo agli operatori economici di determinare, alla stregua di quello, il costo del lavoro, attraendo il Ccnl leader nella fase della procedura di gara.
In linea di principio, la giurisprudenza ha posto la primazia della libertà di iniziativa economica privata, ex art. 41 Cost., a fondamento della non vincolatività per l’operatore economico dell’indicazione, in bando o disciplinare di gara, di uno specifico contratto collettivo da parte della stazione appaltante . Ma non sono mancate significative aperture giurisprudenziali in direzione diversa se non addirittura opposta: nel senso (minimo) di postulare che l’operatore economico non possa sottrarsi al vincolo di “coerenza settoriale” nella scelta del Ccnl , dovendo eventualmente dimostrare, a fronte della indicazione in bando di gara di un determinato Ccnl, che quello che intende applicare sia sostanzialmente equivalente ; oppure valorizzando la funzione premiale del bando, ove questo attribuisca all’eventuale indicazione in offerta del Ccnl leader un punteggio aggiuntivo ; sino ad arrivare all’ipotesi isolata in cui il Ccnl applicabile nel settore di riferimento, e richiamato in bando, sia stato considerato direttamente vincolante per l’operatore economico .
Secondo questo indirizzo di giurisprudenza, l’applicazione di un certo contratto collettivo diviene «uno degli elementi di valutazione per la sostenibilità complessiva dell’offerta» , apprezzandosene la rilevanza sociale ben oltre l’osservanza dei minimi salariali inderogabili di cui all’art. 97, c. 5, lett. d), d.lgs. n. 50/2016, enucleati dalla giurisprudenza sulle Tabelle ministeriali come limite estremo alla facoltà di riformulazione verso il basso dell’offerta economica.
3. Il nuovo “Codice dei contratti pubblici”: l’art. 11 d.lgs. n. 36/2023 circa l’obbligo, per la stazione appaltante, di indicare nel bando di gara il CCNL leader oggetto di applicazione. L’ipotesi delle cc.dd. “tutele contrattuali equivalenti”.
L’art. 11 d.lgs. n. 36/2023, oltre a ribadire in terminis – nel primo comma – il disposto dell’art. 30, c. 4, d.lgs. n. 30/2016 , fissa – nel successivo comma 2 – un principio-regola di assoluta rilevanza, alla cui stregua l’amministrazione pubblica, in qualità di stazione appaltante deve indicare, nei documenti di gara, il Ccnl che l’operatore economico applicherà in corso di esecuzione della commessa, individuato secondo il criterio un primo criterio di natura soggettiva (deve trattarsi del Ccnl stipulato dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente comparativamente più rappresentative: ergo leader) e ulteriori due di natura oggettiva (la stretta connessione tra contratto collettivo ed oggetto dell’appalto, nonché l’applicazione del Ccnl in vigore per il settore e la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro) .
Come si desume dalla Relazione di accompagnamento al nuovo Codice , finalità dell’innovativa disposizione è di «conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti». Imponendo l’individuazione, ab origine, del Ccnl con connotazione lideristica in ambito settoriale, essa mira a contrastare i fenomeni di elusione delle garanzie (salariali ma non solo) in quei contesti (e non sono pochi) in cui si rinviene una pluralità di contratti collettivi nazionali «con ambiti di applicazione compatibili con l’attività oggetto dell’appalto», facendo ricorso a Ccnl tarati al ribasso in quanto ontologicamente “pirata”, ovvero comunque dotati di contenuti regressivi rispetto ad altri Ccnl concorrenti, ancorché stipulati da sindacati storicamente rappresentativi .
Seppur non normativamente esplicitato, il principio-regola pare connettersi ai principi-valore di cui agli artt. 1-3 del d.lgs. n. 36/2023 , se è vero che la garanzia di tutela attraverso la corresponsione di trattamenti economici e normativi di cui al Ccnl leader (o ad uno differente ma che assicura tutele equivalenti) nel settore direttamente attinente all’oggetto del contratto rinvia alla vocazione “risultatista” lato sensu del nuovo Codice: il principio del risultato appare infatti proteso a sospingere l’amministrazione committente verso l’effettuazione di procedure di gara celeri ed efficaci, però ugualmente ispirate a un principio di equità, sia sotto il profilo concorrenziale (principio che appare peraltro, nel disegno della riforma, complessivamente ridimensionato), sia sotto quello della sostenibilità sociale, sub specie di tutele per la forza lavoro impiegata nelle commesse pubbliche .
Ad ogni buon conto, al fine di garantire la conformità del complessivo disposto normativo al principio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., l’art. 11, c. 3, d.lgs. n. 36/2023, attribuisce agli operatori economici la possibilità di «indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente».
L’assetto regolativo è ulteriormente modellato dal successivo comma 4 dell’art. 11, ove si precisa che le stazioni appaltanti debbano previamente acquisire la dichiarazione contenente l’impegno dell’operatore economico ad applicare il Ccnl indicato in bando o comunque la dichiarazione di equivalenza delle tutele derivanti da un diverso Ccnl; si apre la strada, in tale ultimo caso, alla verifica di “congruità, serietà e sostenibilità” dell’offerta ritenuta anormalmente bassa, ai sensi dell’art. 110 d.lgs. n. 36/2023. Rientra, pertanto, nella procedura de qua l’accertamento sugli elementi dell’equivalenza, ivi compresa la facoltà per la stazione appaltante di «richiedere per iscritto all’operatore economico le spiegazioni» in ordine o all’assenza della dichiarazione, ovvero agli scostamenti, ritenuti evidentemente non congrui, dal Ccnl leader indicato in bando di gara, con conseguente facoltà di esclusione dell’offerta incongrua per carenza di dimostrata equivalenza delle tutele .
Quanto appena rilevato invoca però i necessari chiarimenti in ordine alla nozione di “tutele contrattuali equivalenti”, pure per fugare (o meno) i possibili rischi di elusione del vincolo applicativo del Ccnl leader ex art. 11, c. 2, d.lgs. n. 36/2023 paventati dalla dottrina .
L’unico riscontro possibile, allo stato, proviene dalle indicazioni contenute nella “Nota illustrativa al Bando tipo n. 1/2023” dell’Anac , a partire dall’assunto per cui essendo «rari i casi in cui due contratti presentano esattamente lo stesso articolato […] la dichiarazione di equivalenza debba dimostrare che il diverso Ccnl adottato, al di là del nomen iuris, garantisca tutele equiparabili».
Per quanto riguarda la parte economica – la cui valutazione di equivalenza è ritenuta dall’Anac prioritaria – si prendono in considerazione la retribuzione “fissa” nelle sue tradizionali componenti di retribuzione tabellare, indennità di contingenza ed edr, sommando eventuali mensilità aggiuntive (tredicesima e quattordicesima) nonché ulteriori indennità previste.
Relativamente alla parte normativa del Ccnl, l’Anac, rifacendosi alla Circolare dell’Inl del 28 luglio 2020, n. 2, individua una lista di tredici istituti, ammettendo, ai fini del positivo giudizio di equivalenza, uno scostamento limitato a soli due di questi.
Posto che allo stato l’Anac è l’unico soggetto istituzionale che ha provato a fornire direttrici efficaci sul punto, la tecnica impiegata genera perplessità, limitandosi la valutazione di equivalenza ad elementi rigidamente quantitativi e, per quanto riguarda la parte economica, pure insufficienti, atteso che non si comprende quali siano i margini di scostamento rispetto al Ccnl leader che consentano il positivo giudizio di equivalenza, dato il richiamo a un concetto di retribuzione complessiva .
4. (segue) L’art. 41 d.lgs. n. 36/2023 sulla determinazione del costo del lavoro mediante le Tabelle ministeriali e il rapporto con l’art. 11
Una rilevante questione concerne il rapporto fra la postulata attrazione del Ccnl nei documenti di gara e la funzione delle Tabelle Ministeriali, tenuto conto che la previsione dell’art. 23, c. 16, d.lgs. n. 50/2016 è stata integralmente trasposta nel nuovo Codice, precisamente nel testo dell’art. 41, c. 13, d.lgs. n. 36/2023.
Di certo, la Tabella ministeriale e il Ccnl assunto in bando di gara sono fonti caratterizzate da diversità strutturale: la prima infatti non solo rende trasparenti elementi rilevanti a fini del calcolo della retribuzione, ma altresì elabora valori economici basati su voci non direttamente riscontrabili nel Ccnl .
A seguito della riforma, tuttavia, si definisce un più evidente ambito di sovrapposizione fra le Tabella e Ccnl, nel senso che il costo della manodopera di natura strettamente retributiva dovrebbe essere non inferiore a quello di cui al Ccnl indicato dalla Stazione appaltante nel bando, ovvero a quello contenente tutele effettivamente equivalenti, piuttosto che alla stregua della Tabella Ministeriale.
Come si è suggerito, una lettura unitaria del micro-sistema scaturente dalla riforma implica una ricostruzione quanto più possibile coerente dell’impianto normativo complessivo, nel senso che nell’offerta di gara la determinazione del costo del lavoro poggia su una soglia inferiore costituita non dai minimi salariali, bensì appunto dai contenuti (retributivi e normativi) del Ccnl di riferimento .
Ulteriori dubbi di ordine sistematico derivano poi dal disposto dell’art. 41, c. 14, d.lgs. n. 36/2023, ivi racchiudendosi due postulati invero non coerenti: da un lato, infatti, si stabilisce testualmente, con una disposizione pure potenzialmente rilevante sotto il profilo del rafforzamento delle tutele sociali, che il costo del lavoro vada scorporato dall’importo soggetto al ribasso; salvo disporsi subito dopo, però, che l’operatore economico è in grado di dimostrare che il «ribasso complessivo dell’importo» possa dipendere «da una più efficiente organizzazione aziendale» .
5. La prima giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali: segnali di “continuismo” rispetto al Codice previgente?
Le incertezze su essenziali aspetti applicativi della nuova disciplina, non disgiunte da talune aporie testuali, si riflettono anche sulla prima giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali, chiamata a statuire sulle prescrizioni del d.lgs. n. 36/2023 rilevanti in materia sociale.
Per quanto concerne, anzitutto, l’innovativo disposto dell’art. 11, un’ingiustificata sottovalutazione della sua portata si ricava dalla recente sentenza del Tar Sicilia – sez. Catania del 6 giugno 2024, n. 2137. A fronte di un rilievo di parte in ordine all’illegittimità della procedura per mancata indicazione negli atti di gara del Ccnl leader, il collegio ritiene detta omissione non preclusiva della possibilità per l’operatore economico di formulare un’offerta adeguata, richiamando a sostegno, ma impropriamente, il comma 3 dell’art. 11, che consente di indicare un altro Ccnl che «assicuri un certo standard di tutela». Una lettura semplificatrice e soprattutto fuorviante del disposto normativo, che non tiene in alcun conto l’esigenza di rigoroso accertamento, in sede di giudizio, del richiamo, nel bando, a uno specifico Ccnl o dell’offerta di uno diverso che debba possedere elementi di equivalenza puntualmente dichiarati e non desumibili in via del tutto generica .
Se si considerano le preoccupazioni di recente manifestate – in occasione delle audizioni da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, avviate in vista di un’iniziativa finalizzata all’adozione di un testo correttivo del Codice dei contratti pubblici – da un’organizzazione datoriale in ordine alla difficoltà di individuazione univoca del Ccnl leader da applicarsi settorialmente, col rischio di difformità in relazione alle opzioni praticate dalle singole stazioni appaltanti (così da alimentare una forma di competizione al ribasso sul costo del lavoro in dipendenza delle scelte delle amministrazioni), si ha contezza della necessità di monitorare l’effettività dell’art. 11, ed eventualmente pianificare opportuni interventi, per evitare improvvidi esiti di depotenziamento o svuotamento di senso dello stesso.
L’altra questione significativamente affrontata dalla giurisprudenza concerne il disposto dell’art. 41. Posto che il sistema continua a ruotare intorno alla determinazione, da parte della stazione appaltante, di un costo medio da assumere a base d’asta determinato sulla base delle Tabelle Ministeriali o, in alternativa, di un Ccnl pertinente, è ormai acclarato che il tratto di novità potenzialmente rappresentato dall’alinea dell’art. 41, c. 14, sullo scorporo dei costi della manodopera dall’importo ribassabile, sia già evaporato.
Diverse pronunzie dei Tar hanno difatti affermato la prevalenza del successivo alinea, che consente invece di ribassare il costo della manodopera per dimostrate «economie derivanti da efficienze organizzative aziendali». In particolare, si distingue la sentenza del Tar Toscana 29 gennaio 2024, n. 120, che oblitera la tesi dell’inderogabilità assoluta dei costi della manodopera individuati dalla stazione appaltante, sia in quanto non conforme a un’interpretazione complessiva del sistema normativo (in particolare richiamando gli artt. 108, c. 9, e 110, c. 1, d.lgs. n. 36/2023), sia perché quella tesi «determinerebbe un’eccessiva compressione della libertà d’impresa» . Il collegio non disconosce che il disposto normativo miri a introdurre un elemento di tutela del diritto dei lavoratori alla retribuzione adeguata ex art. 36, comma 1 Cost., ma tale scopo è perseguito imponendo sia alla stazione appaltante sia alla ditta offerente di evidenziare separatamente il costo della manodopera, non precludendo per contro la possibilità di quest’ultima di modellare i costi secondo prospetti statistici che tengano conto di dimostrabili efficienze organizzative .