testo integrale con note e bibliografia
1. Le finalità dell’art. 203 Decreto rilancio
Tra le disposizioni che utilizzano la tecnica del rinvio legale al contratto collettivo leader, una certa attenzione ha destato negli ultimi tempi l’art. 203 d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. 77/2020 (c.d. Decreto rilancio), che impone ai vettori aerei e alle imprese operanti nel settore del trasporto aereo sul territorio italiano in forza di concessioni, autorizzazioni o certificazioni, l’applicazione nei confronti dei propri dipendenti e dei dipendenti di terzi impiegati per l’esercizio delle proprie attività, con “base di servizio” in Italia, di trattamenti retributivi non inferiori a quelli minimi del contratto leader.
La disposizione si inserisce nella lunga tradizione di clausole sociali di prima generazione o di equo trattamento con funzione antidumping, che hanno avuto fortuna in materia di appalti pubblici e in aree del lavoro subordinato, e non, particolarmente sensibili al social dumping e alla contrattazione pirata. Più precisamente, la clausola sociale in oggetto costituisce l’unico esempio “puro”, insieme all’art. 7, c. 4, d.l. n. 248/2007 conv. in l. n. 31/2008, di rinvio legale a contratti “qualificati” in materia salariale, atteso che, mentre tutte le altre disposizioni vigenti che utilizzano questa tecnica legislativa effettuano un richiamo non solo al trattamento economico ma anche a quello normativo previsto dalle parti sociali comparativamente più rappresentative, le clausole sociali sulle cooperative e sul trasporto aereo fanno riferimento unicamente ai trattamenti retributivi.
L’importanza dell’art. 203 non si coglie, tuttavia, contestualizzandolo nel periodo emergenziale in cui esso è stato realizzato, risultando una misura priva di collegamenti stretti con la vicenda pandemica , se non nel senso di sostenere le retribuzioni dei lavoratori di un settore, quello del trasporto aereo, messo a dura prova dalle misure restrittive dovute al Covid-19. Da questo punto di vista, va valorizzata la connessione dell’art. 203 con l’art. 198 Decreto rilancio, il quale imponeva l’osservanza della medesima clausola sociale quale condizione per accedere al fondo speciale per la compensazione dei danni subiti dalle imprese del settore a causa della pandemia, come anche la destinazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 203 al finanziamento del Fondo di solidarietà per il trasporto aereo, rivitalizzato dal versamento in suo favore del 50% delle maggiori somme derivanti dall’incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco, ai sensi dell’art. 204 del Decreto rilancio.
Piuttosto, l’art. 203 deve essere letto, da un lato, nel quadro del sistema di relazioni industriali del trasporto aereo e, dall’altro lato, rispetto alla vicenda ITA Airways, nuova compagnia di bandiera nata dalle ceneri di Alitalia proprio durante la pandemia .
Sotto il primo profilo è evidente la finalità della clausola sociale di voler contrastare la strategia spregiudicata di Ryanair e delle compagnie low-cost, le quali, sfruttando la naturale transnazionalità del settore, da tempo, pretendono di applicare condizioni di lavoro meno favorevoli rispetto a quelle italiane delle leggi straniere, in particolare in materia salariale .
La strategia dell’art. 203 consiste nell’uso della nozione di “base di servizio” - ritenuta dalla giurisprudenza eurounitaria e interna un «indizio significativo per determinare ‹il luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività›» ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale ex art. 19, punto 2, lett. a), Regolamento n. 44/2001 Bruxelles I -, eleggendola, di fatto, a criterio di collegamento della legge applicabile . E infatti, poiché il comma 1 dell’art. 203 afferma di operare per i lavoratori dell’aria aventi “base di servizio” in Italia, esso finisce per stabilire, in sostanza, che quei lavoratori sono soggetti alla legge italiana, da cui deriva che essi siano meritevoli di retribuzioni equivalenti ai minimi del contratto leader.
È peraltro noto come il piano commerciale di Ryanair sia stato perseguito anche dal punto di vista delle relazioni sindacali. La compagnia irlandese, infatti, non aderisce al CCNL trasporto aereo (né, del resto, vi aderisce la nuova organizzazione datoriale delle low cost AICALF, nata in concomitanza dell’approvazione del Decreto rilancio e in sua opposizione) e applica propri contratti aziendali, firmati da ANPAV, ANPAC e CISL , ove, invece, la parte specifica vettori del CCNL è stata sottoscritta da CGIL, CISL e UIL ma non dalle associazioni professionali. Ed è questa frammentazione che l’art. 203 sembra voler combattere, riportando l’unità sindacale e datoriale, almeno sotto il profilo retributivo, attraverso l’applicazione dei trattamenti economici del CCNL.
Ma la clausola sociale in oggetto non ha come destinatari unicamente i vettori, essendo diretta a tutte le imprese operanti nel settore del trasporto aereo, anche di terra, e dispiegandosi lungo tutta la catena degli appalti, particolarmente diffusi in tale ambito. Anche tali servizi, infatti, in particolare di handling, specialmente a decorrere dalla loro liberalizzazione avvenuta nel 1999 , sono soggetti al dumping salariale, potendo gli imprenditori esercenti tali attività applicare contratti collettivi diversi rispetto a quelli dei gestori aeroportuali o delle compagnie aeree. Da questo punto di vista, emerge la volontà legislativa di introdurre una sorta di principio parità di trattamento retributivo, sostenendo il modello del CCNL di filiera presente nel settore, CCNL che già, con la sua struttura, vorrebbe razionalizzare i trattamenti normativi ed economici dei dipendenti operanti nell’aeronautica civile.
Sotto il secondo profilo, la disposizione non è comunque estranea alla creazione della nuova compagnia di bandiera. Bisogna infatti ricordare che è stato lo stesso Decreto rilancio ad autorizzare la nascita di ITA Airways , di tal che le clausole sociali degli artt. 203 e 198 sembrano finalizzate al suo lancio sul mercato, imponendo esse l’applicazione dei minimi di cui al CCNL parte vettori, sottoscritto, per le organizzazioni datoriali, solamente da Assaereo, l’organizzazione dei datori di lavoro cui aderisce tra i vettori unicamente ITA Airways .
2. Caratteristiche e compatibilità dell’art. 203 con la Costituzione e con i principi UE
L’art. 203, in primo luogo, analogamente alle altre clausole sociali di prima generazione in vigore, attribuisce direttamente in capo al lavoratore il diritto soggettivo alla “giusta retribuzione”, realizzando, così, una sorta di recepimento del meccanismo di determinazione giurisprudenziale della “giusta retribuzione”. Tuttavia, la disposizione attribuisce al lavoratore un quid pluris rispetto al meccanismo giurisprudenziale, essendo nata allo scopo di sottrarre alla discrezionalità del giudice e all’aleatorietà del confronto giudiziale tra le parti processuali la selezione del “parametro esterno” di commisurazione della giusta retribuzione , identificato nel contratto leader, tecnica questa che, poggiandosi sull’art. 36 Cost., è da considerarsi legittima sotto il profilo costituzionale, secondo il noto insegnamento della stessa Consulta .
Il richiamo al criterio della maggiore rappresentatività comparata nel settore aeronautico non costituisce apparentemente, per il momento, a differenza di quanto avviene in altri ambiti, come nelle cooperative , un elemento critico. Nel settore in oggetto, infatti, esiste un unico CCNL (c.d. di filiera), che quindi è per forza di cose il contratto leader da considerare ai fini retributivi, costituito da una parte generale e da parti specifiche relative a ciascun sotto-settore con minimi retributivi specifici in base al servizio prestato (Assaeroporti per i gestori aeroportuali; Assaereo per i vettori; Assohandlers per l’handling; Assocontrol per le torri di controllo; Federcatering per il servizio catering; Fairo per le compagnie aeree straniere).
Tuttavia, vi sono alcune problematiche da segnalare.
Innanzitutto, con riferimento ai vettori, sebbene ad oggi AICALF non abbia preso l’iniziativa per stipulare alcun contratto collettivo, non è escluso che ciò non possa avvenire in futuro. Ove ciò si verificasse va tenuto presente che AICALF (come dedotto da Ryanair nel giudizio promosso di fronte al Tribunale UE contro la Commissione, che aveva ritenuto conforme al diritto UE l’art. 198 Decreto rilancio) , per parte datoriale, potrebbe costituire l’organizzazione comparativamente più rappresentativa nel sotto-settore vettori, perché formata da vettori che coprono la maggior quantità di voli in Italia e che si sono ritagliati una consistente fetta del mercato aeronautico civile. Peraltro, anche ove si limitasse la misurazione della rappresentatività comparata ai soli sindacati, il rischio che tale ipotetico contratto AICALF possa divenire quello leader sarebbe comunque concreto. Va infatti ricordato che gli interlocutori attuali di Ryanair, e quindi potenziali di AICALF, sono la FIT-CISL, ANPAV e ANPAC, i quali si contendono con FILT-CGIL e UILTrasporti lo scettro della maggiore rappresentatività tra piloti e assistenti di volo.
Passando poi al personale di terra, si pone la problematica di identificare coloro a cui effettivamente debba applicarsi la tutela dell’art. 203, specialmente per la sua estensione lungo la catena degli appalti eseguiti in aeroporto, nell’ambito dei quali, oltre alle attività tradizionalmente del settore, vengono svolte prestazioni anche, ad esempio, di pulizia, dei locali aeroportuali come degli aeromobili, e di vigilanza. La questione non può risolversi semplicemente verificando il perimetro di applicazione della singola parte specifica del CCNL di filiera, potendo essa sovrapporsi con gli ambiti di contratti stipulati dalle federazioni di categorie diverse da quelle del trasporto aereo (es. Multiservizi, Cooperative, Vigilanza privata) appartenenti agli stessi sindacati comparativamente più rappresentativi e venendosi così a creare una potenziale concorrenza intercategoriale all’interno dello stesso sindacato leader. Per dimostrare la concretezza di questo problema, basti segnalare che la parte specifica Assaeroporti (dei gestori aeroportuali) si applica anche agli addetti alla vigilanza, agli addetti alle pulizie e persino ai giardinieri . Questa è del resto una delle ragioni che hanno impedito una effettiva implementazione dell’art. 203, il quale, ad oggi, è rimasto solamente sulla carta in quanto potenzialmente idoneo, da un lato, a standardizzare le retribuzioni di tutti i dipendenti che eseguono attività di natura aeronautica e anche di natura diversa, purché dotate di un minimo collegamento funzionale con gli aeroporti e a prescindere dal fatto di essere eseguite in appalto o meno, e, dall’altro lato, a incentivare la competizione intercategoriale all’interno delle stesse confederazioni e a portare dunque a una ulteriore frammentazione delle relazioni industriali.
L’inattuazione dell’art. 203 dipende, tuttavia, anche dal suo meccanismo sanzionatorio.
I commi 3,4 e 5 prevedono infatti che in mancanza della comunicazione da parte delle imprese operanti nel trasporto aereo del rispetto dei minimi salariali del contratto leader entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto oppure di tale dichiarazione nella domanda di rilascio delle concessioni, autorizzazioni e certificazioni, vi è la decadenza dalle stesse o il diniego ad opera dell’ENAC, oltre che l’irrogazione da parte dell’Ente di sanzioni amministrative pecuniare da destinare al Fondo di solidarietà per il trasporto aereo. La rivendicazione del ruolo dell’ENAC di “controllore” delle condizioni di lavoro nel suo ambito di competenza non è nuova, atteso che già in passato l’Ente aveva tentato di imporre agli handlers, a seguito della liberalizzazione del 1999, l’applicazione del CCNL Assoaeroporti invece di quello Assaereo reclamato dagli stessi. Tale operazione era stata poi sanzionata dalla giurisprudenza amministrativa per violazione dell’art. 39 Cost. , ma tale scenario, a ben vedere, non può riproporsi nei confronti del meccanismo sanzionatorio dell’art. 203, che poggia, come già visto, sull’art. 36 Cost. In questi termini, sebbene tale meccanismo configuri un onere per l’imprenditore analogo a quello previsto in materia di appalti pubblici, che proprio per questo è già di per sé costituzionale , la sua legittimità è rafforzata dal fatto di riferirisi unicamente al rispetto dei minimi salariali e non, come in materia di appalti pubblici, all’applicazione integrale del contratto collettivo. Trattandosi, pertanto, di un meccanismo finalizzato all’attuazione dell’art. 36 Cost., la sua costituzionalità neppure può essere messa in discussione nell’ipotesi in cui si ritenga che l’art. 203 non ponga a carico delle imprese del settore un vero onere ma, piuttosto, un obbligo, derivante dal fatto che, mentre negli appalti pubblici l’impresa che ne viene esclusa può lavorare poi al di fuori del rapporto con la P.A., nel trasporto aereo è impossibile operare se non mediante le concessioni, autorizzazioni e certificazioni ENAC.
Come anticipato, questo sistema sanzionatorio non è tuttavia mai entrato in funzione.
All’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 203, tutte le compagnie, incluse le low cost, si sono affrettate per dichiarare il loro rispetto dei minimi salariali (anzi, Ryanair ha addirittura affermato di applicare minimi più elevati di ITA). Tuttavia, mai l’ENAC ha effettuato un vero controllo in proposito, operazione che richiederebbe un confronto di differenti sistemi di calcolo delle retribuzioni basati su modelli organizzativi e di business diversi (ad esempio, i contratti collettivi Ryanair prevedono una retribuzione base calcolata forfettariamente ma che rimane invariata durante tutto il rapporto di lavoro, soggetta a incrementi solo in forza della parte variabile della retribuzione, la quale copre una porzione assai importante del salario ; il CCNL, invece, prevede una retribuzione base destinata a crescere in base all’anzianità e alle ore di volo) .
Al di là dell’effettiva implementazione dell’art. 203, che non preclude comunque una sua azionabilità in giudizio da parte del singolo lavoratore, alcune preoccupazioni sono sorte negli ultimi mesi rispetto alla sua compatibilità con l’art. 56 TFUE. Pur non potendosi in questa sede approfondire il discorso, che sarebbe molto articolato, va segnalata la decisione del Trib. UE del 24 maggio 2023, a mezzo della quale il giudice eurounitario ha annullato per difetto di motivazione una decisione della Commissione UE, su ricorso di Ryanair, decisione che aveva ritenuto compatibile col diritto UE l’art. 198 Decreto rilancio, senza tuttavia scrutinare dettagliatamente i motivi per i quali la disposizione sarebbe rispettosa dei principi del mercato interno. In attesa dell’esito dell’impugnazione presentata dalla Commissione presso la Corte di Giustizia UE, va osservato che i punti in discussione (sollevati da Ryanair) riguardano, da un lato, la possibile violazione del principio di libera prestazione dei servizi dell’UE ex art. 56, per imporre l’art. 198 l’osservanza di trattamenti economici previsti da contratti collettivi aventi efficacia inter partes, in contrasto con l’approccio minimalista della Corte di Giustizia, la quale, in materia di distacco transanazionale, ritiene legittima una simile previsione solamente ove riferita a contratti con efficacia erga omnes, e, dall’altro lato, la violazione del principio di proporzionalità e discriminazione, atteso che l’art. 198 comporterebbe condizioni più onerose per le imprese straniere rispetto a quelle italiane. Si tratta di questioni che investono anche l’art. 203 (e, potenzialmente, anche altre clausole sociali), in quanto facente uso del medesimo meccanismo dell’art. 198, tanto è vero che la stessa AICALF aveva denunciato l’incompatibilità con i principi unionali anche dell’art. 203 davanti alla Commissione .
3. La (non) applicazione giurisprudenziale dell’art. 203 Decreto rilancio
Come anticipato, la mancata attuazione per via amministrativa dell’art. 203 non ne esclude, di per sé, un’attivazione giudiziale. Eppure, nessuna applicazione giurisprudenziale si registra ad oggi di tale disposizione.
Un’occasione poteva essere App. Milano 3 gennaio 2024 n. 960 . La sentenza, invece, che non richiama in nessun punto l’art. 203, il quale viene del tutto ignorato, non fa che replicare nel trasporto aereo lo schema del “sestetto” di decisioni di ottobre della Suprema Corte in materia di adeguatezza dei minimi previsti dal contratto leader .
Sinteticamente, nel caso di specie, un assistente di volo di ITA agiva in giudizio al fine della determinazione della propria giusta retribuzione, a fronte di quella corrispostagli, identificata nell’importo di cui al MOD. 2 del CCNL parte vettori. Va infatti premesso come il CCNL in oggetto preveda 2 regimi salariali: uno, il MOD. 1, più elevato e corrispondente a quello degli ex dipendenti Alitalia; l’altro, MOD. 2, derivante dal taglio di circa il 40% del MOD. 1 e operante per le imprese che applicano un contratto collettivo aziendale sottoscritto con i sindacati stipulanti il CCNL allo scopo di consentire l’avvio di start up, di gestire situazioni di crisi e di accompagnare percorsi di confluenza per l’applicazione del CCNL . Ebbene, ITA applica questo secondo regime, avendo stipulato un contratto aziendale con le caratteristiche descritte con la finalità di favorire il proprio lancio sul mercato .
La sentenza è interessante perché reputa tale regime salariale non conforme all’art. 36 Cost. in quanto prossimo «al reddito di cittadinanza, alla soglia di povertà assoluta secondo gli indici ISTAT e […] idonea a consentire l’accesso al patrocinio a spese dello Stato», secondo le stesse argomentazioni delle sentenze di ottobre, di tal che, come in quel caso, il CCNL leader (sebbene nel solo MOD. 2) risulta “incostituzionale”. Un simile orientamento genererà certamente ricadute sul settore del trasporto aereo e consente di allargare le nostre brevi riflessioni a tutto il sistema salariale.
Innanzitutto, il CCNL ne esce indebolito a fronte, invece, dei contratti aziendali delle low cost, e in particolare di Ryanair e Wizzair, che hanno dichiarato di essere in linea col 203, senza che a ciò sia seguita una verifica effettiva da parte dell’ENAC né, ad oggi, un loro scrutinio in giudizio. In secondo luogo, anche un possibile utilizzo dell’art. 203 in casi simili non potrebbe modificare il verdetto del giudice. Come dimostrato dalle sentenze di ottobre, il rinvio legale al contratto leader opera nei limiti dell’art. 36 Cost., non potendo il giudice, a fronte dell’inadeguatezza dei minimi retributivi di quel contratto, abdicare il proprio potere di determinare la giusta retribuzione, in virtù dell’applicazione precettiva dell’art. 36, c. 1, Cost. In altre parole, il meccanismo di rinvio legale al contratto leader è un utile strumento di selezione del parametro esterno di commisurazione della giusta retribuzione finché il parametro richiamato (il contratto leader) rispetta l’art. 36 Cost. ma non lo è più (senza per questo dar luogo necessariamente a una questione di costituzionalità, conservando il giudice il proprio potere ex art. 36 da esercitare rispetto al contratto collettivo) ove ciò non avvenga.
Alla luce del complicato funzionamento di questa tecnica legale, in un contesto di relazioni industriali come quello attuale caratterizzato dalla proliferazione incontrollata dei contratti collettivi e dalla debolezza degli stessi sindacati leader, non sempre in grado di contrattare retribuzioni “giuste”, potrebbe allora valutarsi l’opportunità di riflettere sull’introduzione per via legale di una soglia o di un criterio che consentano di determinare l’importo di un salario minimo dignitoso, così da fornire alle parti sociali un sicuro metro di contrattazione dei minimi retributivi e da ridurre l’aleatorietà del caso concreto originata dall’affidamento esclusivamente all’ampia discrezionalità del giudice della fissazione della “giusta retribuzione”.