L’idea di realizzare un dossier incentrato sulla relazione che spesso si crea tra appalti, subappalti e scioperi ci è venuta cercando di ampliare il punto di vista adottato generalmente dalla Commissione: non tanto (o non solo) il conflitto e l’osservanza o meno da parte degli attori sociali delle norme che lo regolano, ma le sue cause scatenanti.
Non in molti sanno che la l. n. 146 del 1990 (e successive modifiche), all’art. 13, co. 1, lett. h, attribuisce alla Commissione di garanzia un pur limitato potere di indagare sulle cause di insorgenza o aggravamento del conflitto. In base a tale disposizione normativa, l’Authority, “se rileva comportamenti delle amministrazioni o imprese che erogano i servizi di cui all’articolo 1 in evidente violazione della presente legge o delle procedure previste da accordi o contratti collettivi o comportamenti illegittimi che comunque possano determinare l’insorgenza o l'aggravamento di conflitti in corso, invita, con apposita delibera, le amministrazioni o le imprese predette a desistere dal comportamento e ad osservare gli obblighi derivanti dalla legge o da accordi o contratti collettivi”.
Ci siamo così ben presto resi conto che in numerosi servizi pubblici essenziali – dall’igiene ambientale alla logistica farmaceutica, dal trasporto aereo alle mense scolastiche – le ragioni del conflitto (e i conseguenti disservizi alla collettività) sono spesso da ascriversi a soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro e, specificamente, all’utilizzo dell’appalto e del subappalto quale modello organizzativo prevalente, troppo spesso impiegato per abbattere il costo del lavoro ed indebolire i diritti fondamentali dei lavoratori. Si pensi al dumping salariale lungo le filiere reso possibile dalla concorrenza al ribasso che specialmente il CCNL multiservizi, pur firmato da sindacati indubbiamente rappresentativi, è in grado di alimentare, sfruttando il proprio ambito di applicazione tendenzialmente onnicomprensivo; al problema della tutela dei lavoratori nei cambi di appalto; infine, al problema drammatico da un punto di vista etico prima che giuridico, del mancato pagamento delle retribuzioni ai lavoratori dovuto al mancato stanziamento delle risorse finanziarie pattuite dall’ente locale appaltante (emblematico il caso della raccolta rifiuti in Sicilia).
I fenomeni descritti non sono certo rilevanti solo dal punto di vista del conflitto come dimostrano i recenti fatti di cronaca. Dalle indagini penali su DHL e Uber Eats, alle catene di appalti e subappalti che interessano la logistica, le filiere alimentari, le telecomunicazioni dove le condizioni di disagio e, finanche, di sfruttamento sfociano a volte in drammi sociali. Drammi così rilevanti che il Governo, con il DL 77/2021, è intervenuto introducendo la regola della parità di trattamento economico e normativo nei subappalti caratterizzati da una contiguità non geografica ma tecnico-organizzativa rispetto all’appalto principale. Si tratta di una risposta efficace al problema descritto, la cui estensione anche al settore privato meriterebbe certamente più di una riflessione.
Vi è un filo rosso che lega tutti questi casi: il rapporto di lavoro e le sue vicende non possono più restare confinate all’interno della singola impresa che assume le vesti formali di datore di lavoro; c’è un terzo soggetto, un convitato di pietra, il committente, la stazione appaltante (che può essere un ente locale o, nel caso del subappalto, un’impresa) capace di esercitare, pur indirettamente, un’influenza notevole se non dominante sulle condizioni essenziali dei lavoratori – orario di lavoro, riposi, produttività e, specialmente, livello dei salari – che non si può più nascondere invocando lo schermo dell’alterità soggettiva, ma deve essere considerato nella disciplina dei rapporti di lavoro e, ai nostri più limitati fini, nella regolazione del conflitto.
Nel 2015 la Commissione di garanzia adottò una delibera volta ad interpretare estensivamente l’art. 13, co. 1, lett. h della l. n. 146 del 1990 (del. n. 15/12, rel. Alesse). Tale delibera venne pensata con specifico riferimento al fenomeno degli appalti in house providing in cui la sopravvivenza economica dell’appaltatore “è subordinata al puntuale adempimento degli obblighi contrattuali da parte delle stazioni appaltanti, ovvero, nei casi dell’in house providing, al tempestivo trasferimento delle risorse finanziarie necessarie”. È questa specifica situazione che rendeva necessario, a parere della Commissione, interpretare estensivamente l’art. 13, lett. h, “nel senso di consentirne l’applicazione anche nei confronti dei soggetti terzi rispetto alle parti del rapporto di lavoro, laddove non sia possibile ravvisare alcuna diversità di carattere sostanziale tra l’amministrazione ed il soggetto affidatario del servizio e, pertanto, quando quest’ultimo costituisca una sorta di derivazione organica del primo”.
La delibera risente dell’influenza al tempo esercitata dal diritto amministrativo, che configurava i rapporti tra ente controllante e società in house in termini di immedesimazione organica. Adottando una prospettiva “regolativa” più moderna, da anni al centro degli studi giuslavoristici, è possibile ritenere che una lettura estensiva della legge non si giustifica perché i soggetti sono nei fatti un unico soggetto (superando il velo della formale separazione soggettiva), ma perché un soggetto terzo, per il tramite di contratti commerciali o partecipazioni azionarie, esercita sull’ente che eroga il servizio e assume le vesti di formale datore di lavoro una direzione o un’influenza così penetrante che le decisioni assunte da quest’ultimo, all’origine del conflitto collettivo, sono largamente imputabili (o co-imputabili) al primo.
In base a tali considerazioni, la Commissione di garanzia sta valutando con attenzione la possibilità di estendere, sul piano interpretativo, il significato ascritto al termine “parte” del conflitto che, in base all’art. 2, comma 2 della legge n. 146 del 1990, coincide con le “amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi” al fine di includervi i soggetti committenti i quali, per il tramite di contratti commerciali quali il contratto di appalto, esercitano un’influenza decisiva sulle condizioni di lavoro e sui livelli salariali e sono pertanto, causa, diretta o indiretta, dell’insorgenza o dell’aggravamento del conflitto.
D’altra parte, allargare il perimetro del conflitto, rendendo giuridicamente visibile e rilevante l’interlocutore reale dei rapporti di lavoro individuali e collettivi, è fondamentale per ridefinire gli spazi di azione di un contropotere collettivo che aspiri ad essere effettivo: contropotere che, a sua volta, è uno degli indispensabili strumenti di lotta alle crescenti disuguaglianze.