testo integrale con note e bibliografia
1 -. Il libro di S. Giubboni dal titolo I nuovi confini della subordinazione. Studi sul campo di applicazione del diritto del lavoro, Rubbettino 2024, si colloca in una travagliata stagione del diritto del lavoro caratterizzata sul piano sociale dalla triplice transizione (ecologica, tecnologica e demografica) e affaticata da un fervore normativo che vorrebbe rispondere a una realtà in continuo mutamento, ma non sembra corrispondere al senso del mutamento stesso.
Scritto in memoria del fratello Andrea, recentemente scomparso, esso si colloca in una sorta di continuum ideale e ideologico con le precedenti trattazioni dello stesso A. il quale coglie l’occasione delle recenti novità normative, sia eurounitarie sia nazionali, per fare il punto della situazione sulla nozione di subordinazione nelle riforme che si collocano tra il 2019 e il 2024.
E la domanda che suscita la lettura del volume è proprio questa: a che punto siamo arrivati nella demarcazione del campo di applicazione del diritto del lavoro e delle tutele lavoristiche?
La risposta sembra essere la seguente: esiste da tempo una forza espansiva del diritto del lavoro che va oltre il ristretto campo di applicazione della tradizionale nozione di subordinazione, ormai definitivamente destrutturata e declinata in tante subordinazioni quanti sono i modi di lavorare sotto la direzione di altri “con una oggettiva ibridazione di autonomia e subordinazione” (p. 172). Questa conclusione è testimoniata non soltanto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, richiamata con dovizia di particolari dall’A. che mostra tutta la propria competenza specifica in una materia non facile da maneggiare cui sono dedicati i primi due capitoli del libro. Ma anche dalle recenti novità normative che da essa traggono ispirazione: a partire dalle collaborazioni eterodirette, al lavoro agile, al lavoro dei rider, al lavoro autonomo non imprenditoriale alle quali l’A. dedica quattro capitoli dei sei di cui si compone il libro. Un fiorire di norme che, nonostante alcune contraddizioni e difetti nel loro coordinamento, fanno dire all’A. che di esse “prevalgono i pregi” perché da esse emerge “una sorta di resilienza evolutivo-adattiva della fattispecie dell’art. 2094 c.c” (p. 144).
In sostanza, grazie alla giurisprudenza della Corte di Giustizia le norme nazionali più recenti apparentemente concentrate sul criterio alternativo e sfuggente della etero-organizzazione, hanno consentito di sdrammatizzare la questione qualificatoria della subordinazione nelle aree ibride di confine “grazie a una pragmatica e perfino spregiudicata opzione di imputazione delle tutele oltre la subordinazione in senso proprio in favore delle collaborazioni (solo) etero-organizzate” (p. 144) con ciò superando anche “l’irresistibile ambiguità della para subordinazione come classica via di fuga dalle protezioni del lavoro subordinato” (ivi).
Insomma, grazie alle nuove regole sono soddisfatte le esigenze di tutela di quelle zone di confine “rientranti ora nel capiente nuovo contenitore delle collaborazioni etero-organizzate” (p. 175). Questa tendenza espansiva si registra, sempre grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia, anche nelle tutele del lavoro autonomo introdotte dalla l. 81/2017 le quali mostrano “una ratio e una struttura distinta e diversa dalle tutele tipicamente costruite per il lavoro subordinato, essenzialmente incardinate sulla logica, per quanto indebolita, della norma inderogabile” (p.13).
La linea di confine che può essere tracciata è allora quella tra i rapporti di lavoro presidiati dalla regola dell’inderogabilità e quelli, invece, che si collocano fuori da questa regola in quanto “lasciati … all’autonomia negoziale delle parti” (13) e alle logiche del mercato. Rientrano tra questi le collaborazioni etero-dirette di cui all’art. 2 c.2. del d.lgs. n. 81/2015 (deroga contestata, se si comprende bene, da S. G. che invoca a tale riguardo il principio della indisponibilità del tipo p. 221) e il lavoro parasubordinato ex art. 409 n. 3 c.p.c. in quanto il legislatore non ha ritenuto, nella sua discrezionalità, di ricomprendere nella disciplina del lavoro subordinato lavoratori non connotati da una posizione di debolezza contrattuale. Invece per gli altri rapporti etero-organizzati di cui all’art. 2 c. 1, se abbiamo ben capito, la questione della subordinazione non è quella di stabilire la fattispecie applicativa del lavoro nell’impresa (art. 2095-2134), ma quella di estendere la disciplina del lavoro subordinato indipendentemente dalla riconducibilità del prototipo considerato al tipo legale.
Ciò è accaduto in sostanza con l’art. 2, c. 1 del d.lgs. n. 81/2015 norma che accoglie “la nozione espansiva di subordinazione elaborata dalla Corte di Giustizia” (p. 139). Secondo l’A. “nella prospettiva euro-unitaria quel confine sottile (tra autonomia e subordinazione n.d.r.) è invece dissolto nella nozione allargata di subordinazione, onde anche l’etero-organizzazione è idonea, da sola, a integrare la ratio protettiva dell’integrale imputazione delle relative discipline, senza però possibilità di deroga, diversamente da quanto consentito dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015” (p.141).
Sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia l’A. afferma che la nozione europea di lavoro subordinato “abbraccia le collaborazioni coordinate e continuative, prevalentemente personali alle quali l’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 estende lo statuto protettivo tipico della subordinazione in quanto organizzate dal committente. Ma ci si potrebbe spingere a sostenere che vi debbano essere ricompresi anche i rapporti contemplati dall’art. 409 n. 3 c.p.c., pur come ridefiniti dall’art. 15 della legge n. 81/2017, come ha mostrato invero di ritenere lo stesso legislatore con l’art. 1 del d.lgs. n. 104/2022” (p.101). Questo punto mi sembra assai delicato: perché non riesco a trovare nessun passaggio della giurisprudenza in cui il tema della inderogabilità dei diritti per i lavoratori autonomi continuativi è affermato in questi termini. Esistono, è vero, dei diritti indisponibili a livello europeo (v. infra) legati alla nozione di “lavoratore” ma questi costituiscono la base di normative eurounitarie che non ammettono alcuna discrezionalità per gli Stati membri perché non contengono alcun richiamo alla legislazione nazionale (v. per es. quanto affermato da S. G. nella nota n. 145 a p. 65).
Non sono pertanto d’accordo con l’A. quando afferma che “nella sfera di incidenza del diritto dell’unione (ovvero nell’ambito del diritto del lavoro “comunitarizzato”), essendo le tutele da questo garantite indisponibili anche da parte del legislatore interno, saranno precluse pure le deroghe autorizzate dal secondo comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, le quali potranno operare, quindi, soltanto al di fuori di questo perimetro” (p. 141).
2 -. L’impostazione dell’intero volume di S. G. ruota intorno alla giurisprudenza evolutiva della Corte di Giustizia e sulla nozione di lavoratore che da essa deriva (v. infra). A dire il vero l’A. avverte il lettore, in più occasioni (pp. 29, 31, 79 …), che non esiste una nozione euro unitaria di lavoratore subordinato. Inoltre, come sottolinea l’A., nessuna delle iniziative o disposizioni eurounitarie menzionate nel testo recano una definizione del lavoratore o del rapporto di lavoro cui esse si riferiscono. Si osservi, però, come tutte esprimano in modo molto netto la tendenza dell’ordinamento europeo a considerare meritevole di tutela la continuità dell’occupazione non soltanto nel settore del lavoro dipendente, ma anche in quello del settore autonomo (FNV). Dunque se al livello eurounitario si afferma una nozione di lavoratore che potremmo definire sans phrase (per dirla con Pedrazzoli) grazie a un metodo casistico quasi di common law, deve essere riconosciuto che questo sistema è assai distante dai sistemi di civil law come quelli dell’Europa continentale e tra questi il nostro, caratterizzato da una rigida corrispondenza fattispecie-effetti in favore del prestatore (p. 30): che non si pone affatto il problema della subordinazione “ai fini dell’accesso alla garanzia della libera circolazione” nel mercato interno (p. 32).
3 -. Secondo l’A., è proprio da quella giurisprudenza della Corte di Giustizia che “proviene la spinta più forte a ridefinire la fattispecie della subordinazione” superando il criterio dell’assoggettamento pieno a etero-direzione per sostituirlo con “quello della dipendenza economico-organizzativa” ossia dell’etero-organizzazione (pag. 9). Ma da quella giurisprudenza non deriva affatto un limite alla discrezionalità del legislatore nel “modulare” le tutele dei lavoratori che non s’iscrivono in quel perimetro. Si può dire allora che la questione della subordinazione al livello europeo è piuttosto semplice: perché non esistendo una definizione di lavoratore subordinato non si pone il problema della esatta corrispondenza fattispecie-effetti se non nei casi espressamente previsti dalle singole direttive. E anche nei casi in cui una nozione di lavoratore è condizionata dal richiamo alla giurisprudenza della CGUE non vi è chi non veda quanto insoddisfacente sia questo richiamo dal punto di vista della chiarezza della definizione di lavoratore. A partire dal prototipo da cui prendere le mosse.
4 -. Perché è importante partire dal prototipo? Perché se si vuole accogliere la tesi della subordinazione attenuata è necessario mettere in evidenza la capacità omnicomprensiva della disposizione dell’art. 2094 c.c. e declinarla come “fattispecie in senso ampio e improprio come situazione insufficiente per la produzione di effetti giuridici ma sufficiente per decidere l’appartenenza del rapporto considerato a un dato istituto giuridico, nel nostro caso all’istituto del lavoro subordinato” . E, nel contempo, mettere in discussione l’impostazione codicistica che fissa il livello massimo di tutela nella disciplina standard nel lavoro nell’impresa. E accettare che le altre subordinazioni avranno sì qualcosa di meno rispetto al prototipo: ma non importa perché il prototipo è destinato a cambiare e con esso l’area della subordinazione socialmente tipica, cui fa riferimento l’ordinamento giuridico.
5 -. Mi piace a questo proposito richiamare un passo della seconda edizione del manuale Ghezzi-Romagnoli, Il rapporto di lavoro, del 1987 che traggo da L. Gaeta nel quale gli Autori individuano i tratti empirici del prototipo, esemplare di tutti i rapporti di lavoro venutisi a solidificare soprattutto dopo lo Statuto dei lavoratori: il lavoratore adulto, di sana costituzione, di sesso maschile e con familiari a carico; qualificato professionalmente; retribuito per eseguire la prestazione a cui è contrattualmente obbligato; escluso dai processi decisionali dell’organizzazione in cui è inserito; occupato a tempo pieno e tutti i giorni; alle dipendenze del medesimo datore di lavoro, almeno potenzialmente per tutta la vita; all’interno di una impresa terrestre, di dimensioni medio grandi, gestita in maniera imprenditoriale da un soggetto privato o pubblico, individuale o collettivo, la cui legittimazione come operatore economico è ricavabile esclusivamente dalla garanzia costituzionale della libertà d’iniziativa economica, senza ulteriori additivi legali; requisiti cui va aggiunto da ultimo: di nazionalità italiana o della Comunità europea, come indice di una diversificazione emersa solo in tempi recentissimi. Si capisce come letture di questo tipo della fattispecie, se affermate oggi, avrebbero tagliato fuori dalla disciplina protettiva del lavoro subordinato intere coorti di lavoratori. Del resto gli stessi Autori del manuale ora citato nella edizione successiva del 1995, probabilmente dopo aver letto la recensione di Mengoni , ridimensionano gli indici della subordinazione per l’applicazione del metodo tipologico ravvisandoli nella: continuità della prestazione in favore del medesimo datore di lavoro; obbligo del debitore di assicurare la propria presenza nel luogo della prestazione e nell’arco di tempo predeterminati dal creditore; inerenza della prestazione al normale funzionamento dell’organizzazione produttiva con conseguente inserimento nella tecno struttura; potere del creditore di determinare le modalità dell’adempimento mediante l’imposizione di direttive vincolanti. Allora se è vero quel che dice S.G. che nell’ordinamento euro-unitario “non esiste, a ben vedere, uno status unitariamente definibile, e lo stesso statuto protettivo del lavoratore subordinato si declina in direzioni diverse a seconda della diversa proiezione funzionale della regolazione nazionale” (p. 79) dobbiamo accettare l’idea che anche a livello nazionale possono esistere legittimamente opzioni selettive e modulari giustificate dal differente grado di autonomia della persona. È dunque legittimo pensare a una graduazione di tutele per i lavoratori etero-organizzati nei casi stabiliti dalla contrattazione collettiva (art. 2 c. 2 d.lgs. n. 81/2015); o per i lavoratori parasubordinati; o infine per i rider (art. 47 bis). Come è noto negli ultimi anni si sono confrontati in Italia due modelli di organizzazione e disciplina del lavoro dei ciclofattorini dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 128/2019 all’art. 2, c. 1 del d.lgs. n. 81/2015. Questi, a seconda delle modalità esecutive della prestazione, possono essere inquadrati come lavoratori dipendenti secondo il “modello Just Eat” oppure come lavoratori autonomi secondo il modello dell’art. 47 bis del d.lgs. n. 81/2015 che introduce “livelli minimi di tutela” con applicazione del contratto collettivo Assodelivery stipulato il 9 settembre 2020 la cui validità è contestata da S.G. in quanto “congegnato per sfruttare – con una certa dose di spregiudicatezza – i margini di deroga consentiti dalla legge, mettendo in particolare fuori gioco le tutele legali previste dall’art. 47 quater del d.lgs. n. 81/2015” (p. 201). Mentre il primo modello garantisce gran parte delle tutele lavoristiche del lavoro subordinato (ma non tutte, dal momento che anche il contratto aziendale Just Eat è un “contratto in deroga”, che sfrutta la flessibilità prevista dall’art. 2 del d.lgs. n. 81/2015!), il secondo modello consente di riconoscere ai rider il pagamento in base alle consegne (cottimo) con compenso minimo orario pari a 10 euro lordi per una o più consegne e tutele minime quali un incentivo temporaneo per nuove città o zone, sistemi premiali, dotazioni di sicurezza, assicurazione infortuni, tutela della privacy. La convivenza di questo doppio modello per lo stesso settore produttivo non deve destare stupore: essa conferma il sostanziale superamento del rigido steccato esistente tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo nel lavoro tramite piattaforma digitale. Consentendo per es. a un rider di scegliere il proprio tipo di contratto con cui farsi assumere in base alle proprie esigenze. Su questo versante la Corte di Giustizia nell’ordinanza Yodel del 2020 (non citata da S.G.) ha affermato che è esclusa la subordinazione di un corriere addetto alle consegne se a questi è consentito di:
– avvalersi di subappaltatori o sostituti per l'esecuzione del servizio che si è impegnato a fornire;
– accettare o non accettare i vari compiti offerti dal suo presunto datore di lavoro, o fissare unilateralmente il numero massimo di tali compiti;
– fornire i suoi servizi a terzi, compresi i concorrenti diretti del presunto datore di lavoro, e
– fissare le proprie ore di «lavoro» entro determinati parametri e adattare il proprio tempo alla propria convenienza personale piuttosto che ai soli interessi del presunto datore di lavoro,
purché, da un lato, l'indipendenza di tale persona non appaia fittizia e, dall'altro, non sia possibile dimostrare l'esistenza di un rapporto di subordinazione tra tale persona e il suo presunto datore di lavoro/comittente (c.d. primato dei fatti).
7 -. L’occasione utile, ma che non è stata colta, per una definizione eurounitaria di lavoratore avrebbe potuto essere offerta dalla direttiva UE 2019/1152 del 20 giugno 2019 avente a oggetto la garanzia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili più volte citata dall’A.. Assai interessante è l’iter di approvazione della direttiva 1152 che, proprio con riferimento alla innovativa nozione di lavoratore da essa originariamente recata (v. in proposito infra) – la disposizione più controversa della proposta della Commissione – ha subìto le modifiche più consistenti. I nuovi elementi inseriti nella proposta iniziale della Commissione devono essere considerati nel contesto di una crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro e in particolare di aumento della percentuale di forme di lavoro subordinato "non standard".
L'iniziativa legislativa rientra tra le azioni adottate a seguito della proclamazione del Pilastro europeo dei diritti sociali.
Come riconosce la direttiva 1152, alcune nuove forme di lavoro si distanziano notevolmente dai rapporti di lavoro tradizionali in termini di prevedibilità, creando incertezza in merito alla protezione sociale e ai diritti applicabili per i lavoratori interessati. In questo mondo del lavoro in evoluzione, cresce l'esigenza che i lavoratori siano pienamente e tempestivamente informati per iscritto, in un formato per loro facilmente accessibile, in merito alle condizioni essenziali del loro lavoro. Per inquadrare adeguatamente lo sviluppo di nuove forme di lavoro, dovrebbero essere riconosciuti ai lavoratori dell'Unione anche alcuni nuovi diritti minimi intesi a promuovere la sicurezza e la prevedibilità dei rapporti di lavoro; consentire, al tempo stesso, che si realizzi una convergenza verso l'alto in tutti gli Stati membri; e che venga salvaguardata l'adattabilità del mercato del lavoro (considerando n. 4). La direttiva – con ben 52 considerando che lasciano trasparire la difficoltà del negoziato condotto per due anni dalla Commissione – è ispirata prioritariamente all’art. 31 della Carta di Nizza.
L’aspetto indubbiamente più significativo della direttiva è la consapevolezza di dover declinare nuove tutele per nuove forme di lavoro subordinato e in particolare per il lavoro subordinato non standard , che non erano protette dalla direttiva 1991/533. L’idea di partenza della Commissione era stata originariamente quella di elaborare una nozione unitaria di lavoratore subordinato per evitare il rischio di una concorrenza basata sulla corsa al ribasso degli standard di protezione sociale nel mercato interno. A tal fine la Commissione proponeva una definizione di lavoratore ispirata dalla giurisprudenza della CGUE che, come ci ricorda Giubboni, non si è mai interessata di tracciare il confine tra subordinazione e autonomia ma si è sempre limitata a delimitare la sfera di operatività di alcune norme comunitarie: in particolare quelle sulla libera circolazione. La proposta originaria di direttiva introduceva dunque una nozione di subordinazione, in forza della quale sarebbe stato considerato lavoratore destinatario della protezione “una persona fisica che, per un certo periodo di tempo, fornisce prestazioni a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima in cambio di una retribuzione” .
Piuttosto che concentrarsi su un particolare tipo di lavoratore o rapporto di lavoro definito dal diritto nazionale, come avviene per le direttive sul lavoro a tempo parziale, a tempo determinato o tramite agenzia interinale , la proposta originaria intendeva garantire un livello di protezione universale di base per tutte le forme contrattuali esistenti e future. Senonché fin dall'inizio del negoziato un certo numero di delegazioni ha manifestato preoccupazione proprio in riferimento alla prospettiva che venisse definita in modo preciso la fattispecie di riferimento del diritto del lavoro a livello di Unione; e ha indicato una netta preferenza per il mantenimento di un rinvio al diritto nazionale.
Del resto il riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia contenuto in questa come in altre direttive, riguarda la garanzia dell'effetto utile e non può essere utilizzato ad altri fini se non per limitare la discrezionalità degli S.M, i quali non possono escludere dall’ambito soggettivo di applicazione così definito talune categorie di personale. L’ambito di applicazione soggettivo ne risulta sicuramente ampliato: di modo che molti lavoratori prima esclusi dalla direttiva 1991/533 potranno ora godere delle tutele della direttiva 2019/1152; ma è comunque evidente il carattere eminentemente compromissorio, quindi insoddisfacente sul piano della tecnica normativa, della definizione che ne risulta.
Da questo momento in poi tutte le direttive utilizzeranno questa formula ambigua, “di compromesso” come dice Giubboni, per identificare il campo soggettivo di applicazione.
Ne sono un esempio la direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali (art. 2, n. 4 dir. 2024/2831); la direttiva sul salario minimo adeguato (art. 2 dir. 2022/2041); la direttiva volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore (art. 2.2. direttiva 2023/970); la direttiva sul congedo di paternità (direttiva 2019/1158).
8 -. Tre sono gli elementi che emergono dalla giurisprudenza eurounitaria ai fini della identificazione della figura del lavoratore.
Il primo elemento del concetto di lavoratore elaborato dalla giurisprudenza dell'UE ai fini della libertà di circolazione è che il servizio prestato sia effettivo e genuino, non marginale o accessorio . Nell'indagare se uno specifico caso riguardi o no un'occupazione effettiva e genuina, il giudice nazionale deve fondarsi su criteri oggettivi ed effettuare una valutazione completa di tutte le circostanze del caso che hanno a che fare con le attività e il rapporto di lavoro in questione . Ai fini della libertà di circolazione, la natura sui generis del rapporto di lavoro a norma del diritto nazionale o la forma di tale rapporto non possono avere alcuna incidenza sulla qualità di lavoratore rilevante per il diritto comunitario. Inoltre, fattori quali la breve durata del lavoro , la sua discontinuità , la bassa produttività o l’orario limitato sono irrilevanti, a meno che non indichino che le attività svolte sono marginali e accessorie: in questi casi quello che si vuole evitare è che la persona crei una situazione che la faccia apparire come lavoratore al solo fine di accedere ai vantaggi sociali collegati alla libertà di circolazione e giustificare la permanenza nello S.M .
Il secondo elemento costitutivo del concetto comunitario di lavoratore, vale a dire la retribuzione, è interpretato dalla CGUE in senso molto ampio: non è mai accaduto che la Corte abbia escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro esclusivamente per difetto dell’elemento della remunerazione. Questa va infatti intesa in un’accezione molto ampia, che può comprendere ovviamente ogni pagamento in denaro o in natura , ma può addirittura ravvisarsi nell’opportunità che si offre al prestatore in un rapporto “alla pari”, come nel caso del lavoro domestico degli studenti . Inoltre, la remunerazione non deve necessariamente essere pagata direttamente dalla controparte contrattuale , potendo avere fonte in un rapporto diverso da quello di lavoro, come nel caso del tirocinio; né una maggiore o minore produttività né l'origine della retribuzione possono in qualche modo condizionare il riconoscimento a una persona dello status di lavoratore ; la retribuzione può scendere al di sotto del livello minimo di sussistenza , o essere inferiore al salario minimo garantito o essere calcolata «in partecipazione » o collettivamente sulla base di una determinata quota , senza che per questo venga meno l’elemento essenziale della fattispecie cui la disciplina protettiva si applica. Neppure la circostanza che il tirocinante svolga solo un numero ridotto di ore di lezione settimanali e percepisca solo una retribuzione inferiore al minimo dello stipendio di un insegnante di ruolo all'inizio della carriera osta alla sua qualificazione come lavoratore . Né il livello limitato di tale retribuzione né l’origine delle risorse necessarie per quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di «lavoratore» ai fini del diritto dell’Unione: di tal che la sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come «onorarie» dalla normativa nazionale non significa che le prestazioni economiche percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo .
Il terzo elemento costitutivo della nozione di rapporto di lavoro, nell’ordinamento europeo, è l’assoggettamento della prestazione alle direttive del creditore: esso richiede che i servizi siano prestati al servizio e sotto la direzione di un'altra persona. Per quanto concerne in particolare il vincolo di subordinazione, l'esistenza di questo vincolo dev'essere valutata caso per caso in considerazione di tutti gli elementi e di tutte le circostanze che caratterizzano i rapporti esistenti tra le parti , quali ad esempio la partecipazione ai rischi d'impresa, la libera scelta del proprio orario di lavoro o la libertà di assumere i propri collaboratori, nonché tutte le altre circostanze che caratterizzano il rapporto tra le parti .
Secondo la giurisprudenza della Corte la nozione di subordinazione originariamente propria dell’ordinamento europeo si basa sui seguenti tratti distintivi della struttura del rapporto: il potere di cui dispone il creditore di gestire il lavoro di un individuo, il potere di vigilanza, la possibilità di sanzionare l’inottemperanza alle indicazioni del datore di lavoro, o la necessità che le scelte del prestatore siano approvate prima che possano essere attuate; la libertà per una persona di scegliere il tempo e luogo di svolgimento della prestazione e di seguire le istruzioni o osservare le regole ; il fatto che siano condivisi o no i rischi commerciali dell'impresa, la libertà o no di assumere propri collaboratori ; il fatto che lavoro e condizioni retributive siano regolate da contratti collettivi di lavoro ; il fatto che la prestazione sia incorporata nell'impresa formando parte integrante dell’attività economica della stessa . Spetta al giudice nazionale procedere alle verifiche di fatto necessarie al fine di valutare se questi elementi ricorrano di volta in volta nel caso trattato.
Si può osservare, a questo proposito, sul piano del metodo di qualificazione del rapporto contrattuale, una oscillazione della giurisprudenza della Corte tra il metodo sillogistico (definizione del concetto e sussunzione in esso, o no, della fattispecie esaminata) e il metodo tipologico (qualificazione per maggiore o minore approssimazione del caso concreto a uno o l’altro di due prototipi contrapporti, ciascuno costruito mediante un insieme tratti caratteristici), con una marcata tendenza a privilegiare quest’ultimo rispetto al primo .
Il risultato pratico, ai fini dell’applicazione del principio di libertà di circolazione, è comunque che ha diritto all’ingresso e al soggiorno in uno Stato membro chiunque sia titolare di un rapporto nel quale prevalgono i tratti propri del rapporto di lavoro subordinato rispetto a quelli del lavoro autonomo. Vi ha diritto anche chi accetti un lavoro a orario ridotto che garantisca un reddito inferiore a quello considerato come minimo vitale (Levin, pt. 15), purché si tratti di attività reale ed effettiva. E vi ha diritto anche chi questo rapporto non lo ha ancora, ma si sposta o si attiva per porsi in condizione di conseguirlo (Lowrie-Blum, pt. 17) . La nozione di lavoratore ai fini dell’ordinamento europeo prescinde dunque, a ben vedere, dalla struttura del rapporto contrattuale: anche un tirocinante che compia, sotto la direzione e la sorveglianza delle autorità scolastiche un periodo di preparazione alla professione d’insegnante durante il quale fornisce prestazioni didattiche retribuite deve essere considerato lavoratore a norma dell’art. 48 (ora 45) del Trattato e può circolare liberamente nel mercato interno, indipendentemente dal tipo legale di contratto (Lowrie-Blum, pt. 22).
Anche in riferimento all’applicazione della direttiva sull’orario di lavoro 2003/88, che non contiene alcun rinvio al diritto nazionale a proposito dell’ambito di applicazione soggettivo, la Corte conferma che la nozione di lavoratore non può variare in dipendenza delle scelte definitorie degli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma e precisa propria del diritto dell’Unione. Essa deve essere definita in base ai tratti che obiettivamente caratterizzano la struttura del rapporto di lavoro, sotto il profilo del diritto e degli obblighi delle persone interessate ; di tal che la natura giuridica sui generis di un rapporto di lavoro riguardo al diritto nazionale non può influire sulla qualità di lavoratore a norma del diritto dell’Unione. La Corte pertanto ritiene che i titolari di contratti di assistenza educativa che esercitano attività occasionali e stagionali in centri di vacanza e ricreativi, e sono occupati per un massimo di 80 giorni lavorativi annui, rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88 ; così come un giudice di pace “onorario” ; o un vigile del fuoco volontario . La Corte ha invece escluso l’applicazione della direttiva ai lavoratori autonomi ingaggiati per lo svolgimento di servizi di consegna .
Per la stessa ragione, ai fini dell'applicazione della direttiva sui licenziamenti collettivi, la nozione di «lavoratore», di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 98/59, non può essere definita mediante rinvio alle normative degli Stati membri, bensì deve trovare autonoma e uniforme interpretazione nell'ordinamento dell'Unione. Pertanto deve essere considerato lavoratore un membro della direzione di una società di capitali, che svolga la propria attività sotto le direttive e il controllo di un altro organo della società stessa, che percepisca a titolo di corrispettivo per la propria attività una retribuzione e che non possieda alcuna quota nella società medesima .
Sempre ai fini dell’applicazione della direttiva 98/59, è considerato lavoratore chi svolge un’attività pratica in un’impresa sotto forma di tirocinio, senza percepire retribuzione dal proprio datore di lavoro, beneficiando peraltro di un contributo economico erogato dall’organo pubblico incaricato della promozione del lavoro per tale attività, al fine di acquisire o approfondire conoscenze o di seguire un corso di formazione professionale . E questo anche se la produttività dell'interessato sia scarsa, e anche se egli non svolga una mansione completa e se, dunque, effettui solo un numero ridotto di ore lavorative per settimana percependo di conseguenza solo una retribuzione esigua .
9 -. In conclusione possiamo dire che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia resta confermata la dinamica adattiva della nozione di lavoratore che, in linea di continuità con questa, viene progressivamente estesa dal legislatore nazionale (art. 2. c. 1 d.lgs. 81/2015) oltre gli stretti confini della nozione codicistica di lavoratore subordinato.
Meno pacifica invece è l’estensione automatica delle tutele lavoristiche che la nozione europea di lavoratore reca con sé. Basti guardare quello che è successo nel caso della direttiva sul lavoro tramite piattaforme digitali (di cui S. G. dà conto a p.105) e il meccanismo della presunzione legale di rapporto di lavoro, dunque di subordinazione, recata dall’art. 5 utile a superare l’erronea qualificazione come lavoratore autonomo dei lavoratori che lavorano mediante piattaforme controllati da un algoritmo. Ebbene, su questo punto la direttiva (art. 5) ha subìto una drastica riformulazione con l’abolizione degli indici presuntivi indicati nella prima proposta della Commissione che aveva provato addirittura a introdurre uno third status per inquadrare meglio i lavoratori che lavorano tramite piattaforme. La disposizione va letta insieme al considerando n. 7 nel quale si dà atto dei problemi sorti in numerosi Stati Membri circa l’errata classificazione dei lavoratori nei settori in cui le piattaforme di lavoro digitali esercitano un certo livello di direzione o controllo. Sovente le piattaforme classificano le persone che lavorano mediante le stesse come lavoratori autonomi o "contraenti indipendenti". Tuttavia molti organi giurisdizionali hanno rilevato che le piattaforme digitali esercitano di fatto un potere di direzione e controllo su tali persone, spesso integrandole nelle loro principali attività commerciali e hanno riclassificato i presunti lavoratori autonomi come lavoratori subordinati. Ma neppure in questo caso l’Unione è stata in grado di elaborare una nozione di lavoratore capace di interpretare i nuovi modi di lavorare e associare a questi tutele minime valide in tutti gli Stati Membri. La diffusione della gig economy e delle piattaforme digitali ha posto nuove sfide alla qualificazione dei rapporti di lavoro, sia a livello europeo sia nazionale. L’UE ha cercato di fornire indicazioni utili, ma le soluzioni non sono sempre univoche. La presunzione circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, per come è ora riformulata, poggia sia su criteri nazionali sia sulla giurisprudenza della Corte di giustizia (considerando 18 e 26; art. 5) stante la perdurante assenza di una nozione di lavoratore a livello eurounitario. Questo non esclude che in futuro i criteri per far scattare la presunzione potranno essere elaborati con maggiore precisione dalla stessa Corte di giustizia in relazione alla trasposizione della direttiva al fine di garantirne l’effetto utile. Ma fino a quel momento dobbiamo accettare di avere 27 modi diversi di applicare le presunzioni stabilite nell’ordinamento europeo e di classificare i lavoratori che lavorano mediante piattaforme digitali.