testo integrale con note e bibliografia
Sent. CEDU 16 gennaio 2025 Bodson ed altri
1. Il caso Bodson ed altri. Nella sentenza 16 gennaio 2025 della Camera nel caso di Bodson e altri contro Belgio (ricorsi n. 35834/22 e altri 15), la Corte europea dei diritti dell'uomo ha esaminato il caso di alcuni lavoratori che erano stati condannati in Belgio in sede penale per aver ostacolato intenzionalmente il traffico stradale bloccando un’autostrada in Belgio, vicino a Liegi, per circa cinque ore senza previa autorizzazione.
Il 19 ottobre 2015, la FGTB aveva guidato uno sciopero generale, annunciato con diverse settimane di anticipo, per protestare contro le misure di austerità introdotte dal governo belga; alcuni manifestanti non identificati avevano bloccato l'autostrada erigendo barricate e incendiandole; il blocco aveva causato un ingorgo di circa 400 chilometri e creato un ambiente generalmente teso caratterizzato da vari incidenti, ed aveva reso impossibile a qualsiasi veicolo, compresi i veicoli di emergenza, utilizzare una strada ad alta velocità, con conseguenti lunghe code di camion e auto. I ricorrenti avevano partecipato al blocco, ed erano stati condannati a pene detentive da 15 giorni a un mese, sospese per tre anni, ed al pagamento di sanzioni pecuniarie da 1.200 a 2.100 euro.
Tutti i ricorrenti avevano infruttuosamente esaurito le vie di ricorso interne avverso la condanna panale ed avevano all’sito adito la Corte EDU, sostenendo che le loro condanne penali avevano violato l'articolo 10 (libertà di espressione) e l'articolo 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione.
La Corte ha osservato che i ricorrenti non erano stati condannati né per aver scioperato né per aver espresso le loro opinioni, e che invece erano stati giudicati colpevoli di aver preso parte a un'ostruzione del traffico dando origine a una situazione potenzialmente pericolosa, il che costituiva un reato ai sensi del codice penale: la Corte ha quindi ha stabilito, all'unanimità, che non vi era stata violazione dell'articolo 11 (libertà di riunione e di associazione) della Convenzione europea sui diritti dell'uomo.
La Corte ha ritenuto in particolare che, nel condannare i ricorrenti per ostruzione dolosa del traffico, i tribunali nazionali avevano basato le loro decisioni su una valutazione accettabile dei fatti e su motivazioni pertinenti e sufficienti, sicché i giudici nazionali non avevano ecceduto la loro discrezionalità (il “margine di apprezzamento”) riservata agli Stati nella punizione penale in materia.
La Corte, pur consapevole del carattere eccezionale della sanzione panale quale extrema ratio, ha ritenuto che le pene dei ricorrenti non potevano essere considerate eccessive nelle circostanze del caso, tanto più in considerazione da un lato del fatto che non era stato affermato, e tanto meno provato, che il blocco contestato fosse stato l'unico modo possibile per far sentire le loro richieste e, dall’altro lato, del pericolo comprovato che ne era derivato sia per le persone che per la circolazione.
Poiché l'ingerenza lamentata era stata "necessaria in una società democratica" ai sensi dell'articolo 11 della Convenzione, non vi era stata alcuna violazione nel presente caso.
2. I precedenti CEDU. La sentenza conferma un orientamento già espresso in materia dalla Corte in più occasioni. In precedenza, nel caso Barraco c. Francia, n. 31684/05, 5 marzo 2009, si trattava della partecipazione da parte di alcuni camionisti ad un "go-slow" (operazione "escargot"), parte di una giornata nazionale di sciopero, da cui era derivato il completo blocco del traffico su una strada pubblica; i camionisti erano stati condannati in sede penale per il reato di ostruzione del traffico pubblico. La ECHR ha rilevato anche in quella occasione che il ricorrente non era stato condannato per la partecipazione all'evento in sé, ma a causa di una condotta specifica adottata in occasione della manifestazione, cioè il blocco di una strada, causando in tal modo una ostruzione ancora più importante di quanto non potesse derivare dal mero esercizio del diritto di riunione pacifica, sicché la condanna penale del ricorrente non era sproporzionata rispetto agli scopi perseguiti. Non vi era dunque violazione dell'articolo 11 CEDU.
Nella giurisprudenza della CEDU, i blocchi stradali e altri comportamenti fisici che ostacolano intenzionalmente il traffico e il normale corso della vita sono stati considerati rientranti nei termini dell'articolo 11 (Barraco c. Francia, 2009, § 39; Lucas c. Regno Unito (dec.), 2003), sebbene la Corte abbia osservato che tali atti non rientrano nel nucleo della libertà di riunione pacifica tutelata dall'articolo 11 della Convenzione (Kudrevičius e altri c. Lituania [GC], 2015, § 97).
In Ekrem Can e altri contro Turchia, 2022, la protesta presso il tribunale, dove i ricorrenti avevano esposto uno striscione, scandito slogan e lanciato volantini, interrompendo così un servizio pubblico essenziale, vale a dire l'ordinata amministrazione della giustizia (§ 91), è stata esaminata ai sensi dell'articolo 11, considerato alla luce dell'articolo 10. La Corte ha osservato che la denuncia dei ricorrenti non riguardava solo il fatto che era stato loro impedito di rilasciare una dichiarazione, ma soprattutto l'intervento della polizia che aveva portato alla loro rimozione forzata dai locali (§ 68). Una sanzione per aver gridato slogan e tenuto striscioni durante una manifestazione a causa del loro contenuto è considerata un'interferenza con il diritto alla libertà di riunione pacifica ai sensi dell'articolo 11 (Kemal Çetin contro Turchia, 2020, § 26).
D'altro canto, le azioni che ostacolano attività di una natura particolare sono state dalla Corte EDU esaminate ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione (che protegge la libertà di manifestazione del pensiero), o ai sensi di entrambi gli articoli 10 e 11. Pertanto, una protesta volta a impedire fisicamente una battuta di caccia o la costruzione di un'autostrada costituiva espressioni di opinione ai sensi dell'articolo 10 (Steel e altri contro Regno Unito, 1998, § 92). In un caso intentato da attivisti di Greenpeace che avevano manovrato dei canotti in modo tale da ostacolare la caccia alle balene, la Corte ha proceduto partendo dal presupposto che gli articoli 10 e/o 11 potessero essere invocati dai ricorrenti, ma non ha ritenuto necessario, nelle circostanze, attribuire il ricorso a una o entrambe le disposizioni (Drieman e altri contro Norvegia (dec.), 2000). D'altro canto, una manifestazione volta a ostacolare il lavoro del Parlamento come forma di protesta è stata esaminata ai sensi del solo articolo 11, tenendo conto della natura e dell'intenzione dell'evento (Makarashvili e altri contro Georgia, 2022, § 92). Nello stesso filone, una protesta contro l'annunciato sgombero di un edificio occupato, che comportava una condotta ostruzionistica non violenta, è stata anch'essa esaminata ai sensi dell'articolo 11 della Convenzione (Laurijsen e altri contro Paesi Bassi, 2024, §§ 54-59).
Dall’esame delle richiamate pronunce si evince, in linea generale, che, secondo la Corte, l'intenzionale grave interruzione, da parte dei dimostranti, della vita ordinaria e delle attività legittimamente svolte da altri, in misura più significativa di quella causata dal normale esercizio del diritto di riunione pacifica in un luogo pubblico, potrebbe essere considerata un "atto riprovevole" e che tale comportamento potrebbe quindi giustificare l'imposizione di sanzioni, anche di natura penale. In particolare, l'ostruzione quasi completa di tre importanti autostrade in violazione degli ordini della polizia e delle esigenze e dei diritti degli utenti della strada ha costituito una condotta che, sebbene meno grave del ricorso alla violenza fisica, è stata ritenuta "riprovevole" (Kudrevičius e altri contro Lituania [GC], 2015, § 173-174).
3. Una pronuncia europea diversa della Corte di Giustizia. I su richiamati pronunciamenti della CEDU vanno confrontati con la sentenza resa nel caso Schmidberger, c-112/00, dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo: qui, in una vicenda di blocco da parte dei manifestanti dell’autostrada del Brennero per 30 ore, e nel valutare la legittimità della decisione delle autorità nazionali di non vietare quella che è stata qualificata come una riunione a scopo ambientale, la Curia va più avanti rispetto alla CEDU nella protezione dei diritti umani, affermando che la libertà di manifestazione del pensiero può limitare la libertà di circolazione; secondo la decisione, infatti, Il fatto che le autorità competenti di uno Stato membro non abbiano vietato una manifestazione nelle circostanze di cui alla causa principale non è incompatibile con gli artt. 30 e 34 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28 CE e 30 CE), letti in combinato disposto con l'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 10 CE). In particolare, la Corte di Giustizia afferma che neppure i diritti alla libertà d’espressione e alla libertà di riunione pacifica garantiti dalla Cedu appaiono come prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale; ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio di tali diritti, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale dell’Unione e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito da tali restrizioni, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa del diritto; tanto premesso, la Corte risolve però il bilanciamento a favore delle libertà di espressione e manifestazione.
4. La giurisprudenza nazionale. Le pronunce sopra richiamate in ambito europeo assumono rilevanza anche dal punto di vista dell’ordinamento nazionale, in considerazione del trade-off tra diritto di manifestazione del pensiero o del diritto di sciopero e diritti e libertà dei terzi; le condotte dei primi, invero, talora si manifestano in forme di protesta su strada pubblica, anche con la forma del sit- in, che si realizza posizionandosi sul terreno occupandolo con il proprio corpo “ da seduto”, o con l’abbandono di veicoli sulla strada in modo da ostacolare il libero passaggio di altri; i diritti di terzi finiscono inevitabilmente con l’essere sacrificati e le libertà di terzi vengono correlativamente compromesse.
A livello nazionale, la giurisprudenza spesso ha in materia fatto applicazione delle norme sulla violenza privata, affermando (tra le altre, Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7822 del 27/11/1998, Rv. 214755 – 01) che l'esercizio dei diritti di riunione e di manifestazione del pensiero, garantiti dagli artt. 17 e 21, primo comma, cost., cessa di essere legittimo quando travalichi nella lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, come quando si concreti in un comportamento integrante la fattispecie di cui all'art. 340 cod. pen. con modalità di condotta che esorbitino dal fisiologico esercizio di quei diritti (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretto l'operato dei giudici di merito che - escludendo l'applicabilità della scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. - avevano pronunciato condanna degli imputati per il reato previsto dalla norma sopra indicata, per avere occupato i binari ferroviari, per manifestare contro il provvedimento di soppressione di una fermata, provocando un rallentamento dei percorsi dei convogli per la durata di 105 minuti). Secondo Cass. Sez. 6, Sentenza n. 46461 del 30/10/2013, Rv. 257453 – 01, non è configurabile la scriminante dell'esercizio del diritto costituzionalmente garantito di manifestazione del pensiero, quando la condotta integra gli estremi del reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico concretizzandosi in modalità che esorbitano dai limiti del fisiologico esercizio di quel diritto.
Quanto alle esimenti, per Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4323 del 23/01/1997, Rv. 207434 – 01, la causa di giustificazione dello stato di necessità - di cui all'art. 54 cod. pen. - presuppone l'esistenza di una situazione oggettiva di pericolo in base alla quale un soggetto per salvare un proprio bene si trova costretto a sacrificare il bene di altro soggetto, del tutto estraneo alla situazione pregiudizievole in cui l'agente versa. Considerando che l'agente, sia pure per motivi ritenuti non illeciti, aggredisce il bene di una persona "innocente", lo Stato può consentire il sacrificio di altro cittadino soltanto se il bene del terzo è di rango inferiore (o al limite dello stesso rango) di quello dell'agente e sempre che la natura del bene da proteggere, anche a costo del sacrificio altrui, rientri nel novero di quei beni la cui violazione incide direttamente su beni primari ed essenziali quali quelli concernenti la persona: deve pertanto ritenersi che con l'espressione "danno grave alla persona", usata nella formulazione dell'art. 54 cod. pen., il legislatore abbia inteso riferirsi ai soli beni morali e materiali che costituiscono l'essenza stessa dell'essere umano, come la vita, l'integrità fisica (intesa anche come diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l'onore, ma non anche quei beni che, pur costituzionalizzati, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana. Ne consegue che, pur dovendosi affermare che il diritto al lavoro è costituzionalmente garantito e che il lavoro contribuisce alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, deve escludersi, tuttavia, che la sua perdita costituisca sotto il profilo dell'art. 54 cod. pen. un danno grave alla persona. (Nella fattispecie si trattava di un blocco stradale attuato da un gruppo di lavoratori i quali, ingombrando una strada ferrata ed una strada statale al fine di impedire la libera circolazione, avevano in tal modo inteso protestare di fronte al pericolo di licenziamento dallo stabilimento in cui lavoravano, licenziamento per alcuni di loro già in atto. La Corte Suprema, in applicazione del principio di cui in massima, ed in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale territorialmente competente, ha annullato con rinvio la sentenza con la quale la Corte d'Appello, ritenendo sussistente la scriminante dello stato di necessità, aveva assolto gli imputati dal reato di blocco stradale).
Non diverse le pronunce della giurisprudenza di legittimità nemmeno alla fine degli anni settanta, con riguardo specifico all’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto. Per Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5159 del 18/12/1978, Rv. 142155 – 01, il diritto di sciopero non è illimitato, come si ricava dallo stesso tenore letterale dell'art 40 della Costituzione, il quale dispone che lo sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano; l'art 40 della Costituzione, pertanto, non legittima le infrazioni della legge penale lesive di interessi diversi da quelli attinenti ai rapporti di lavoro, onde non può essere invocato ai fini della esimente dell'Esercizio di un diritto, in rapporto al delitto di blocco stradale, che si realizza con un comportamento diverso dalla astensione dal lavoro. (nella specie molti operai di una fabbrica avevano occupato la Sede stradale e ferroviaria su un ponte della laguna veneta, impedendo la circolazione, adducendo ragioni sindacali, è stato ravvisato il reato di blocco stradale). Per Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5159 del 18/12/1978, Rv. 142156 – 01, la libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall'art 21 della Costituzione, non può essere incompatibile con l'ordinamento giuridico, dovendosi esercitare nel rispetto degli altrui diritti penalmente protetti e, piu in generale, nel rispetto di beni ed interessi costituzionalmente tutelati. Pertanto non e in contrasto con la suddetta norma, l'art 1 dllt 22 gennaio 1948, n 66, che prevede il delitto di blocco stradale (Conf. Mass. N. 127279).
5. Il reato di blocco stradale. In tema di blocco stradale, occorre ricordare che, dopo vari anni nei quali la fattispecie relativa al blocco stradale era penalmente indifferente, di recente la fattispecie è stata nuovamente criminalizzata.
La norma sul blocco stradale nasce originariamente nel 1948 con il ministro Scelba e puniva chi ostacolava strade ordinarie e ferrate apponendo dei blocchi.
Nonostante l’unica condotta storicamente punita fosse la modalità dell'abbandono/apposizione di oggetti atti a bloccare, la normativa fu già così ampiamente contestata e conobbe una lunga serie di amnistie per studenti e lavoratori per essa condannati, fino a essere di conseguenza depenalizzata nel 1999.
La sanzione penale è stata quindi reintrodotta con il c.d. decreto sicurezza Salvini nel 2018 (decreto legge n. 113/2018) che, prevedendo il reato di blocco stradale, sanziona la condotta di chi depone congegni ed oggetti su strada o di chi ostruisce ed ingombra una strada ordinaria o ferrata in qualsiasi modo, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni, raddoppiati se il fatto è commesso da più persone.
Resta invece illecito amministrativo la condotta di chi "impedisce la libera circolazione su strada ordinaria con il proprio corpo": l’art.1 bis prevede la sanzione del pagamento di una somma corrente da euro 1.000 ad euro 4.000, per reprimere quelle condotte in cui l’ostacolo alla circolazione viene realizzato attraverso la semplice presenza fisica della persona sulla strada.
In tema, si sono evidenziate notevoli perplessità della nuova disciplina, connesse sia con l’adozione di misure penali, sia con l’entità del trattamento sanzionatorio. Sotto il primo profilo, si sarebbero potute utilizzare altre aree del diritto (amministrativo o civile) per reprimere dette forme di protesta, oltre che in linea con la tutela dei diritti umani; sotto il secondo profilo, va evidenziata la misura sproporzionata della pena, punito più gravemente della violenza privata nonostante l’assenza nella fattispecie di ogni riferimento a violenza o minaccia, e con pena nel massimo elevatissima.
Oggi, il disegno di legge 1660, detto “sicurezza”, già passato al vaglio della Camera ed in corso di esame in commissione in Senato (atto 1236), trasforma l’ostacolo alla circolazione da illecito amministrativo a reato con reclusione da 6 mesi a 2 anni; la responsabilità penale è aggravata in relazione al fatto che un illecito sia stato compiuto durante manifestazioni pubbliche, con reclusione da 6 mesi a 5 anni e multa fino a 15.000 euro.
6. Alcune considerazioni finali. Al di là delle considerazioni sopra svolte, in buona parte trasponibili anche in relazione al nuovo disegno di legge, e dell’allarme derivante dall’ancor più grave inserimento della misura in un quadro più generale che segna una deriva generale verso uno stato di polizia, tuttavia, isolando la fattispecie, si è consapevoli che la giustificazione della punizione della fattispecie e l’esclusione dell’esimente dell’esercizio del diritto di sciopero o di libera manifestazione del pensiero si ricollega nel primo caso all’estraneità della condotta all’ambiente lavorativo ed alla lesione di interessi di terzi del tutto estranei alle dinamiche del rapporto di lavoro; nel secondo caso, alla diretta lesione di beni ed interessi altrui aventi pari fondamento costituzionale, e rispetto ai quali viene rimesso al legislatore il compito di mediare tra contrapposti interessi.
Così, per esemplificare, una cosa è lo sciopero con blocco degli automezzi al lato della strada, che ha un impatto notevole sulla disponibilità delle merci trasportate da parte della collettività, ma non incide sulla libertà di movimento delle persone, altra cosa è il blocco della strada che lasci intrappolato l’automobilista malcapitato o impedisca completamente allo stesso di raggiungere determinate località (la distinzione non rileva invece secondo Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11587 del 11/06/1982, Rv. 156465 – 01, e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5422 del 18/03/1982, Rv. 154022 – 01, che ravvisano il reato in entrambe le ipotesi).
Per dirlo con le parole della Corte EDU nella pronuncia in commento, per valutare la proporzionalità dell'ingerenza in questione, vanno esaminati in successione l'esistenza di un'autorizzazione preventiva per la riunione in questione, il comportamento dei ricorrenti e delle autorità durante la suddetta riunione e le sanzioni imposte ai ricorrenti; si è così rilevato che l'ostruzione del traffico contestata non è conseguita a un evento improvviso tale da giustificare una reazione immediata, che le azioni dei manifestanti non erano direttamente rivolte a un'attività da loro condannata, bensì a bloccare fisicamente un'altra attività che non aveva alcun presunto legame diretto con l'oggetto della loro protesta, vale a dire le misure di austerità decise dal governo in quel momento; che non è stato dimostrato che il blocco contestato fosse l'unico mezzo necessario per far valere le loro pretese.
Nel caso di specie, dunque, “les faits litigieux concernent non pas une simple entrave à la circulation résultant de piquets de grève ou de barrages routiers filtrants, mais une entrave méchante à la circulation avec mise en danger d’autrui”; proprio perché non vi era una semplice ostruzione del traffico derivante da picchetti o blocchi stradali, bensì un'ostruzione dolosa del traffico con messa in pericolo di terzi, la Corte non può ritenere che la qualificazione come reato e la punizione di una simile ingerenza che comporti la messa in pericolo di terzi possano costituire, di per sé, una violazione contraria all'articolo 11 della Convenzione, e la Corte non può accogliere senza riserve la tesi secondo cui il diritto di sciopero, garantito dall'articolo 11 della Convenzione, include il diritto di un sindacato o dei suoi membri di effettuare blocchi stradali che, se effettuati senza previa autorizzazione, causerebbero la paralisi completa del traffico su una grande autostrada per diverse ore, perturbando notevolmente la vita quotidiana e le attività lecite delle persone estranee all'azione e creando una situazione pericolosa per gli utenti della strada: “la Cour ne saurait cautionner sans réserve la thèse selon laquelle le droit de grève, tel qu’il est garanti par l’article 11 de la Convention, inclurait le droit pour un syndicat ou ses membres de pratiquer des blocages de la voie publique qui, opérés sans autorisation préalable, provoqueraient une paralysie complète de la circulation sur un grand axe autoroutier durant plusieurs heures, en perturbant considérablement la vie quotidienne et les activités licites de personnes non impliquées dans cette action et en créant une situation de danger pour les usagers. Une telle thèse ne peut trouver appui dans la jurisprudence de la Cour”.
Contemperare le contrapposte esigenze è tutt’altro che semplice: invero, sebbene non possa dubitarsi della necessità di tutelare pienamente il diritto costituzionalmente garantito della libertà di circolazione, appare altresì evidente che la criminalizzazione delle condotte in discorso scoraggia ogni forma di dissenso sociale e ad inibisce, al fondo, ogni forma di contestazione all’indirizzo politico dominante.
In tale contesto, tuttavia, anche a livello nazionale l’opera di bilanciamento non può non risentire dell’impatto dei pronunciamenti in materia quale quello in commento, posto che, secondo la giurisprudenza della CEDU, la punizione anche con norme penali di fattispecie di blocco stradale risulta non criticabile da chi resti sensibile alle esigenze di tutela della collettività anche nei confronti di condotte di protesta che, per quanto giustificate, scaricano sulla collettività -e non sul datore di lavoro o su specifici destinatari dell’azione politica dimostrativa- le conseguenze dell’azione di sciopero o della manifestazione del pensiero di protesta.
Ad alcuni tutto ciò può non piacere, certo, anche per lo sfondo generale repressivo e di insofferenza per il dissenso cui si è fatto cenno, ma forse è il caso di cominciare a pensare anche che esigenze diverse (come la sicurezza della collettività o la libertà degli altri) possano essere meritevoli di altrettanta tutela del diritto di sciopero o del diritto di riunione o di manifestazione del pensiero (un po’ come già avvenuto in relazione alla introduzione di tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali ed oggi, in misura ancor più ampia, in relazione alle proposte di ridefinizione dei limiti dello sciopero in tali settori a tutela delle esigenze, viste come predominati, della collettività).