TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Premessa
La recente riforma dello sport fornisce lo spunto per un interessante confronto tra la regolamentazione del rapporto di lavoro sportivo (attualmente contenuta nel Titolo V del D. Lgs. n. 36/2021 e successive modifiche) e quella dei rapporti di lavoro nell’impresa .
In questa prospettiva, vengono particolarmente in evidenza due aspetti fondamentali: i criteri di qualificazione dei rapporti di lavoro e la regolamentazione di questi ultimi, specie con riferimento alle tutele riconosciute al lavoratore.
Nel presente scritto si focalizzerà l’attenzione sulla disciplina del rapporto, che maggiormente interessa il giuslavorista per le sue implicazioni pratiche. Per quanto riguarda il complesso tema della qualificazione giuridica del rapporto, che ha da sempre occupato (e spesso diviso) sia la dottrina che la giurisprudenza, pertanto, ci si limita a rilevare come esso si atteggi, nel lavoro sportivo, in modo diverso che nel lavoro ordinario, stante la previsione – per il primo – di presunzioni legali (di subordinazione, nei settori professionistici, e di collaborazione coordinata e continuativa, nell’area dilettantistica) estranee al secondo; nel lavoro ordinario, infatti, l’individuazione della linea (spesso evanescente) di confine tra subordinazione e autonomia è frutto di interpretazione della giurisprudenza, che, stante la difficoltà di basare la distinzione solo sull’elemento dell’etero-direzione, ha via via identificato alcuni indici distintivi sussidiari, tra cui la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la previsione di un orario di lavoro predeterminato, la mancanza di un potere di auto-organizzazione in capo al lavoratore, e altri .
La disciplina delle tutele tra subordinazione ed autonomia
Occorre, innanzi tutto, dar conto, seppur brevemente, dei cambiamenti normativi intervenuti – nel diritto del lavoro comune - dopo l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, le cui tutele si applicavano esclusivamente al lavoro subordinato, mentre nell’area del lavoro autonomo il lavoratore poteva contare unicamente sui diritti previsti nel contratto individuale, oltre che sulle scarne previsioni contenute negli artt. 2222 e segg. cod. civ., sicché la tutela dipendeva dal suo potere negoziale, non potendo contare sulla funzione di riequilibrio svolta dalla legge nell’ambito del lavoro dipendente.
Nei decenni successivi, infatti, il legislatore ha gradualmente introdotto forme di tutela, variamente articolate, anche per fattispecie diverse dal lavoro subordinato, intervenendo, in particolare, sulle collaborazioni coordinate e continuative che, seppure tradizionalmente ricondotte nell’ambito del lavoro autonomo, costituiscono una sorta di “terra di mezzo” tra subordinazione e autonomia.
Senza alcuna pretesa di completezza, giova ricordare brevemente almeno alcune tappe fondamentali di questa evoluzione normativa:
i) la legge 11 agosto 1973, n. 533, ha assoggettato al rito speciale del lavoro, oltre alle controversie relative ai rapporti di lavoro subordinato, anche quelle derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa;
ii) l’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha stabilito l’obbligo di iscrizione presso un’apposita gestione separata – costituita presso l’INPS e finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti – dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa , riconoscendo così a questi ultimi tutele previdenziali analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti;
iii) il D. Lgs. n. 276/2003 stabiliva che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso dovevano essere considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato; nel contempo, venivano riconosciute ai titolari di un genuino contratto di collaborazione a progetto importanti forme di tutela ;
iv) ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, si applica la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente , anche mediante piattaforme digitali; tale disposizione non si applica alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni sportive nazionali (da ora, FSN), alle Discipline sportive associate (da ora, DSA) e agli Enti di promozione sportiva (da ora, EPS) riconosciuti dal C.O.N.I. ;
v) la legge 22 maggio 2017, n. 81 ha approntato particolari forme di tutela per il lavoro autonomo, specie se prestato con continuità. In via di esempio, si considerano abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, la facoltà di recedere senza congruo preavviso, e quelle con cui le parti concordano termini di pagamento superiori a 60 giorni, e si stabilisce che la gravidanza, la malattia e l’infortunio del collaboratore non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione rimane sospesa, senza corrispettivo, per non più di 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente.
La regolamentazione del lavoro sportivo: la legge n. 91/1981
Nel lavoro sportivo, la tradizionale dicotomia tra subordinazione e autonomia (anche nella forma della collaborazione coordinata e continuativa) si intreccia con la distinzione – tipica dell’ordinamento sportivo – tra l’area del professionismo e quella del dilettantismo.
Come noto, prima della legge 23 marzo 1981, n. 91, non vi era alcuna disposizione che riguardasse specificamente i rapporti intercorrenti tra gli atleti e le organizzazioni sportive.
Nel silenzio del legislatore, secondo l’orientamento largamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza, l’attività dell’atleta poteva costituire oggetto di un rapporto di lavoro, da ricondurre – ove ne sussistessero tutti gli elementi – allo schema del lavoro subordinato ex art. 2094 cod. civ.; ciò, tuttavia, si scontrava con l’evidente difficoltà di applicare al rapporto di lavoro sportivo l’intera disciplina del lavoro nell’impresa.
Il legislatore interveniva finalmente con la citata legge n. 91/1981, che regolava i rapporti tra società e sportivi professionisti , ricomprendendo espressamente tra questi ultimi (solo) gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitavano l’attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità, nell’ambito dei settori sportivi qualificati dalle rispettive Federazioni come professionistici (cfr. art. 2) .
Per il lavoro degli atleti era prevista una presunzione di subordinazione; per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’art. 2, invece, la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione doveva essere accertata di volta in volta, in applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro .
La legge n. 91, come già detto, riguardava solo lo sport professionistico e, pertanto, non regolamentava in alcun modo il lavoro sportivo nell’area del dilettantismo, neppure con riferimento ai cosiddetti “professionisti di fatto”, cioè agli atleti che – pur non inquadrabili come professionisti sulla scorta delle regole federali richiamate dall’art. 2 – svolgevano pur sempre una prestazione lavorativa a titolo oneroso.
Pertanto, la giurisprudenza ha ritenuto che il lavoro dilettantistico, in quanto non regolato dalla disciplina speciale prevista dalla legge n. 91, fosse assoggettabile alle comuni regole del lavoro e, ove presentasse gli elementi tipici della subordinazione, all’integrale applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ordinario .
In dottrina si è rilevata l’irragionevolezza della differente regolamentazione giuridica di situazioni sostanzialmente identiche, dovuta – in definitiva – unicamente ad un fattore esterno ed astratto (cioè, la scelta, da parte delle Federazioni sportive, delle attività sportive rientranti nel professionismo), in quanto tale privo di legami con la causa del rapporto di lavoro .

La disciplina del lavoro sportivo nel D. Lgs. n. 36/2021: cenni introduttivi
Dopo oltre quarant’anni, la legge n. 91/1981 è stata abrogata dall’art. 52, comma 1, del D. Lgs. 28 febbraio 2021, n. 36.
La principale novità della riforma, per quanto interessa in questa sede, emerge già dalla rubrica del titolo V, che fa riferimento, appunto, al “lavoro sportivo” in generale, a differenza del capo I della legge n. 91, specificamente dedicato allo “sport professionistico”.
La riforma, dunque, attrae nel proprio ambito di applicazione anche lo sport dilettantistico, dettando una nuova nozione di “lavoratore sportivo”, che ricomprende gli atleti, gli allenatori, gli istruttori, i direttori tecnici, i direttori sportivi, i preparatori atletici e i direttori di gara che, senza alcuna distinzione di genere e di settore (professionistico o dilettantistico), esercitano l’attività sportiva verso un corrispettivo a favore di un soggetto dell’ordinamento sportivo (cfr. art. 25). Si noti che l’indicazione dei lavoratori sportivi contenuta nella norma non solo comprende figure ulteriori rispetto a quelle già previste dall’art. 2 della legge n. 91 ma non è tassativa, atteso che è altresì considerato lavoratore sportivo ogni altro tesserato che svolge verso un corrispettivo le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo – gestionale (cfr. art. 25, comma 1) .
Il lavoro sportivo, ricorrendone i presupposti, può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato (ivi incluso l’apprendistato, ai sensi dell’art. 30 del D. Lgs. n. 36/2021) o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409, comma 1, n. 3 c.p.c. (cfr. art. 25, comma 2), nonché di una prestazione di natura occasionale (cfr. art. 25, comma 3-bis) .
Rimane, quindi, anche dopo la riforma, la configurabilità, in ambito sportivo, di rapporti di lavoro di diversa natura ; inoltre, permangono alcune differenze di disciplina tra il settore professionistico e quello dilettantistico (si veda, ad esempio, l’art. 35 in tema di trattamento pensionistico).
Ne consegue una disciplina articolata secondo una geometria variabile , caratterizzata da una regolamentazione comune, cioè applicabile a tutti i lavoratori sportivi (si vedano l’art. 32, in tema di controlli sanitari ; l’art. 33, comma 1, in materia di sicurezza del lavoro ; l’art. 25, comma 8, sul trattamento dei dati personali; l’art. 31 sull’abolizione del vincolo sportivo), cui si affiancano altre disposizioni che prevedono una disciplina differenziata tra i professionisti e i dilettanti, nonché tra gli autonomi e subordinati.
Per cercare di districarsi in tale complesso quadro normativo, si analizzeranno – privilegiando, secondo la tipica prospettiva giuslavoristica, il riferimento alle diverse categorie di rapporti di lavoro - dapprima le disposizioni sul lavoro subordinato sportivo (contenute, principalmente, negli artt. 26 e 27) e, successivamente, quelle in tema di collaborazioni coordinate e continuative .
Il lavoro subordinato sportivo: la disciplina generale
La disciplina del lavoro subordinato sportivo è dettata dall’art. 26, che ha portata generale, essendo applicabile tanto al settore professionistico (nel quale il rapporto di lavoro subordinato continua ad essere la regola, almeno per gli atleti, essendo stata mantenuta la presunzione in tal senso già contenuta nella legge n. 91) che in quello dilettantistico (nel quale il lavoro subordinato è meno comune – presumendosi, in tale settore, che il lavoro sportivo sia oggetto di collaborazione coordinata e continuativa – ma non certo escluso).
Tale disciplina, mutuata dalla legge n. 91, dispone, attraverso una tecnica normativa “per sottrazione” , la non applicabilità al lavoro sportivo di numerose norme sui rapporti di lavoro nell’impresa . Più precisamente, sono espressamente escluse le norme dello Statuto dei lavoratori in tema di controllo a distanza e di accertamenti sanitari, come pure le disposizioni in tema di licenziamento, sia individuale che collettivo , nonché la disciplina delle mansioni di cui all’art. 2103 cod. civ.. Inoltre, l’art. 26 – in deroga agli artt. 19-29 del D. Lgs. n. 81/2015 – prevede che il contratto di lavoro subordinato sportivo può contenere l’apposizione di un termine finale non superiore a cinque anni; è espressamente ammessa la successione di contratti a termina tra le stesse parti, come pure la cessione del contratto da una società o associazione sportiva ad un’altra, purché vi sia il consenso del lavoratore e vengano rispettate le modalità a tal fine stabilite dalle FSN, dalle DSA e dagli EPS, anche paralimpici.
Viene altresì sancita l’inapplicabilità dell’art. 7 Stat. Lav. alle sanzioni disciplinari inflitte dagli organismi sportivi. Nel silenzio della legge al riguardo, appare invece corretto ritenere che l’art. 7 trovi applicazione in caso di sanzioni disciplinari irrogate dalle associazioni o società sportive in base alle disposizioni in proposito contenute negli accordi collettivi .
Ai sensi del comma 6 dell’art. 26, il contratto di lavoro subordinato sportivo non può contenere clausole di non concorrenza o, comunque, limitative della libertà professionale dello sportivo per il periodo successivo alla cessazione del contratto, né può essere integrato con tali pattuizioni in costanza di rapporto.
Infine, le parti possono inserire nel contratto una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto, insorte tra la società sportiva e lo sportivo, sono deferite ad un collegio arbitrale; detta clausola dovrà contenere la nomina degli arbitri oppure stabilirne il numero e le modalità di nomina . In proposito, si è rilevato che, poiché la clausola arbitrale è prevista dalla legge, non è consentito adire l’autorità giudiziaria, in quanto, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 533/1973, nelle controversie di lavoro l’arbitrato irrituale è facoltativo – e le parti possono quindi rivolgersi anche al giudice - solo nel caso in cui la clausola compromissoria sia di fonte collettiva .
I lavoratori subordinati sportivi, a prescindere dal settore professionistico o dilettantistico in cui prestano l’attività, sono iscritti al Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi (FPLS) gestito dall’INPS e ad essi si applicano la disciplina del D. Lgs. n. 166/1997 , in materia di regime pensionistico, nonché le disposizioni in tema di assicurazione economica di malattia e di maternità, di assegni per il nucleo familiare e di NASpI.
I lavoratori subordinati sportivi sono sottoposti all’obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, anche qualora vigano previsioni, contrattuali o di legge, di tutela con polizze privatistiche (cfr. art. 34, comma 1) .
Segue: il lavoro sportivo nei settori professionistici
L’art. 27 del D. Lgs. n. 36/2021 detta una disciplina specifica per il rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici , che si applica a tutti i soggetti cui compete la qualifica di lavoratore sportivo ex art. 25 e che operano in tali settori .
Il rapporto di lavoro sportivo professionistico si costituisce mediante assunzione diretta con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, che deve essere conforme al contratto tipo predisposto ogni tre anni dalla FSN o dalla DSA e dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi interessate, conformemente all’accordo collettivo stipulato ; le eventuali clausole contenenti deroghe peggiorative sono sostituite di diritto da quelle del contratto tipo. Il contratto individuale deve prevedere l’obbligo dello sportivo al rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite per il conseguimento degli scopi agonistici.
La società deve depositare il contratto, entro sette giorni dalla stipula, presso la FSN o la DSA per l’approvazione, unitamente a tutti gli ulteriori contratti stipulati tra le stesse parti, ivi compresi quelli che abbiano ad oggetto diritti di immagine o promo – pubblicitari relativi o comunque connessi al lavoratore sportivo ; l’approvazione secondo le regole stabilite dalla FSN o dalla DSA è condizione di efficacia del contratto .
Le collaborazioni coordinate e continuative: il lavoro sportivo nell’area del dilettantismo
Come già si è detto, la maggior novità della riforma riguarda l’estensione della disciplina del lavoro sportivo anche all’area del dilettantismo, come individuata dall’art. 38 .
In tale area, il lavoro sportivo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, quando ricorrano i requisiti indicati nel comma 2 dell’art. 28 del D. Lgs. n. 36 . È pure possibile che le parti stipulino, anche nell’area del dilettantismo, un contratto di lavoro subordinato: sia in questo caso, che in quello di riqualificazione giudiziale del rapporto, trovano applicazione le disposizioni specificamente dettate per il lavoro subordinato sportivo e non quelle sul lavoro nell’impresa.
Alle collaborazioni con associazioni e società sportive dilettantistiche non si applica l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015 sulle collaborazioni etero-organizzate, in forza dell’espressa esclusione prevista dal comma 2, lett. d), dello stesso articolo.
L’art. 28 contiene poi alcune disposizioni in tema di comunicazioni al Registro delle attività sportive dilettantistiche (RASD) e alla possibilità che l’obbligo di tenuta del libro unico del lavoro sia adempiuto in via telematica all’interno di apposita sezione del predetto Registro (cfr. commi 3 e 4).
Ai sensi del comma 2 dell’art. 33, “ai lavoratori sportivi si applica la vigente disciplina, anche previdenziale, a tutela della malattia, dell’infortunio, della gravidanza, della maternità e della genitorialità, contro la disoccupazione involontaria, secondo la natura giuridica del rapporto di lavoro”. Tale disposizione, ricollegando le tutele applicabili alla natura giuridica del rapporto di lavoro (subordinato ovvero autonomo), intende evidentemente far riferimento alle diverse norme del diritto del lavoro che regolano dette tutele, rispettivamente, nell’ambito della subordinazione e in quello dell’autonomia; si rinvia pertanto al precedente paragrafo 2, ove sono state sinteticamente richiamate diverse norme di legge che, nel tempo, hanno riconosciuto anche ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa specifiche tutele, con particolare riferimento – da ultimo – alla legge n. 81/2017, che ha previsto, tra l’altro, garanzie in caso di malattia, infortunio, gravidanza e maternità. Inoltre, le collaborazioni coordinate e continuative in ambito sportivo sono altresì regolate dalle disposizioni contenute nei CCNL/Accordi Collettivi applicabili .
Nell’area del dilettantismo i lavoratori sportivi titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa o che svolgono prestazioni autonome sono iscritti alla gestione separata INPS ; anche per tali lavoratori sono dovuti, oltre al contributo IVS, anche quelli a copertura delle tutele relative alla malattia, alla degenza ospedaliera, agli assegni per il nucleo familiare, all’indennità di maternità, al congedo parentale e alla DIS COLL in caso di disoccupazione.
Nei settori professionistici, invece, i lavoratori sportivi autonomi, anche nella forma di collaborazione coordinata e continuativa, sono iscritti al FPLS e hanno diritto solo alla copertura IVS e non alle altre tutele sopra indicate.
I lavoratori sportivi autonomi, che rendono la prestazione in base ad un contratto d’opera ex art. 2222 c.c., e i lavoratori sportivi titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa non sono soggetti all’obbligo assicurativo presso l’Inail (cfr. art. 34 del decreto n. 36, nonché circolare Inail n. 46/2023).
Giova ricordare, ancora, che i contratti di lavoro autonomo nei settori professionistici sono soggetti ai vincoli (forma scritta; conformità al “contratto tipo”) ed ai controlli (deposito presso la FSN) previsti dai commi 4 e segg. dell’art. 27. Analoghe disposizioni sono talora previste anche dagli accordi collettivi in materia di collaborazione coordinata e continuativa nell’area del dilettantismo .
Infine, ai sensi dell’art. 37 l’attività di carattere amministrativo – gestionale resa in favore delle società ed associazioni sportive dilettantistiche, delle FSN, delle DSA e degli EPS, anche paralimpici, può essere oggetto, ricorrendone i presupposti, di collaborazioni ex art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c.
I soggetti di cui all’art. 37 non sono lavoratori sportivi ma, qualora siano titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con i soggetti dell’ordinamento sportivo sopra indicati, possono beneficiare, sotto il profilo fiscale e contributivo, del trattamento previsto per le collaborazioni coordinate e continuative nell’area del dilettantismo.
Considerazioni conclusive
Nel lavoro sportivo la prestazione – oltre ad avere una natura del tutto peculiare – è resa all’interno di un ordinamento autonomo, retto da proprie regole; per tale motivo, esso forma oggetto di una disciplina speciale, rispetto alla quale le regole ordinarie del diritto del lavoro hanno una funzione meramente sussidiaria (cfr. art. 25, comma 5).
Nell’ambito di tale disciplina speciale, le tradizionali categorie del lavoro subordinato e del lavoro autonomo vengono in varia guisa adattate alle specifiche esigenze del settore.
La particolare natura della prestazione, infatti, ha portato – già nella legge n. 91/1981, che costituisce il primo intervento del legislatore in materia di lavoro sportivo – ad una regolamentazione del rapporto di lavoro subordinato ampiamente derogatoria rispetto a quella del diritto del lavoro ordinario, in quanto caratterizzata dall’inapplicabilità di numerose disposizioni ritenute incompatibili con le specificità dell’attività sportiva (quali, ad esempio, quelle in materia di mansioni, di patto di non concorrenza, di contratto a termine, di licenziamento, ecc.).
L’influenza dell’ordinamento sportivo, poi, si coglie, particolarmente, nella disposizione – tipica, appunto, di tale ordinamento – che richiede, a pena di inefficacia, l’approvazione del contratto di lavoro da parte della Federazione sportiva di appartenenza, previa verifica della sua conformità ai regolamenti interni della stessa , nonché in quella che prevede la possibilità di deferire le controversie relative all’attuazione del contratto ad un collegio arbitrale, escludendo il ricorso alla giustizia ordinaria.
L’ordinamento sportivo, insomma, incide sulla disciplina del rapporto sia sul piano sostanziale, stabilendo specifici requisiti di forma e di contenuto del contratto (che deve essere conforme al contratto – tipo), sia su quello processuale, prevedendo il ricorso all’arbitrato per la decisione delle dispute inerenti all’esecuzione del contratto.
La novità di maggior rilievo della riforma è costituita dalla regolamentazione del lavoro sportivo anche nell’area del dilettantismo, che non era in alcun modo disciplinata dalla normativa previgente.
La regolamentazione del lavoro in ambito dilettantistico, in particolare, ha subito certamente l’influsso dell’evoluzione intervenuta nel diritto del lavoro ordinario, che ha portato al graduale riconoscimento di importanti forme di tutela anche nell’area del lavoro autonomo, con particolare riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative, cioè al tipo di rapporto che costituisce la regola in ambito dilettantistico, in forza della presunzione stabilita dall’art. 28.
Insomma, la divaricazione delle tutele tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, già in qualche misura attenuatasi nel diritto del lavoro ordinario per effetto di una politica legislativa volta alla generalizzazione di alcune forme di protezione, risulta ancor più ridotta nel lavoro sportivo, nel quale – come detto – il riconoscimento di importanti tutele anche ai lavoratori autonomi si accompagna ad una disciplina speciale del rapporto di lavoro subordinato, che esclude dal proprio ambito – in quanto incompatibili con le specificità della prestazione sportiva e dell’ordinamento sportivo – numerose disposizioni di protezione previste nel diritto del lavoro ordinario.
Resta da dire, infine, che l’estensione della regolamentazione anche all’area del dilettantismo è avvenuta tenendo conto della necessità di un bilanciamento tra la tutela dei lavoratori e la sostenibilità del mondo sportivo. Tale funzione di compromesso risulta chiaramente dall’art. 25, comma 1-bis, secondo cui la disciplina del lavoro sportivo persegue la tutela della dignità dei lavoratori, ma nel rispetto del principio di specificità dello sport; in quest’ultima prospettiva si è tenuto conto, in particolare, dell’esigenza di preservare un equilibrio economico e di non gravare lo sport dilettantistico di oneri che potrebbero risultare insostenibili.
Proprio nella direzione di una riduzione degli oneri per le società e le associazioni sportive del settore dilettantistico si inseriscono la scelta di una presunzione di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, come pure le disposizioni che riducono, fino al 31 dicembre 2027, l’imponibile contributivo, escludono dalla base imponibile ai fini IRAP i compensi per i collaboratori coordinati e continuativi nell’area del dilettantismo fino all’importo annuo di euro 85.000,00 e prevedono semplificazioni negli adempimenti amministrativi.
Poiché la riforma è entrata in vigore da pochi mesi, solo il tempo ci dirà se tale obiettivo di equilibrio sia stato effettivamente raggiunto.

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