Testo integrale con note e bibliografia
L’estate del 2019, rectius ed impropriamente – la sessione estiva del c.d. “calciomercato” conclusasi lo scorso 2 settembre – verrà sì ricordata dai tifosi per l’affaire Icardi, per gli arrivi nel nostro campionato di Serie A di Lukaku, Llorente e Ribery, ma verrà per altro verso certamente segnata nei ricordi delle società calcistiche, prima ancora che in quelli dei diretti interessati, ovverosia gli agenti sportivi, come quella delle notevoli complessità riscontrate in sede di prima applicazione delle nuove regolamentazioni federali sull’attività (per l’appunto) dell’agente sportivo.
Una prima applicazione, peraltro, resa ancor più complicata dall’introduzione medio tempore di un regime transitorio volto a prorogare il regime previgente alla nuova regolamentazione, con l’aggravante di non aver avuto una proroga tout court, ma con specifici – e talvolta di dubbia legittimità: v. infra – distinguo.
Con la conseguenza pratica, per poi venire agli aspetti in diritto dirimenti ai fini del presente elaborato, di operazioni di “calciomercato” sostanzialmente bloccate in attesa di regolarizzare gli aspetti afferenti i rapporti tra i club e gli agenti coinvolti nel trasferimento.
Il tutto, in ossequio ad una regolamentazione dell’Ordinamento sportivo che ha recepito un intervento normativo ad hoc del legislatore statale, la cui ratio, è bene evidenziarlo – sebbene volta a (re)introdurre il criterio della professionalità nell’attività di intermediazione calcistica, dopo il c.d. periodo della deregulation introdotto dalla FIFA (Fédération Internationale de Football Association) nel 2015 (e tuttora in essere nei restanti ordinamenti diversi da quello italiano) – ha sollevato diverse perplessità, come detto applicative ma anche legali.
Riflessioni sull’inquadramento “storico” dell’agente / procuratore sportivo.
«Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata».
Così recita l’art. 1742 c.c. nel fornire la nozione del contratto di agenzia. Ma volendo fare esercizio non di mero stile – e dando per pacifica la conoscenza del lettore dei profili di detta fattispecie negoziale – è lecito domandarsi: nel riferirci all’agente sportivo facciamo riferimento ad un (sotto)tipo dell’agente di cui alla richiamata disciplina codicistica?
Certo, un agente sportivo (o procuratore o ancora intermediario, termini tanto usati nel lessico comune degli operatori del settore, quanto nella regolamentazione delle Federazioni) promuove per conto di un “preponente” – sia esso una società o un calciatore – la conclusione di un affare, anche se invero la causa caratteristica insita nel tipo negoziale sportivo – riconducibile ad un generico obbligo di assistenza e gestione di interessi di una terza parte, cui solo saltuariamente, in occasione di trasferimenti o nuovi contratti di lavoro, si estrinseca nell’“affare” da concludere – non combacia perfettamente con quella dell’agente di diritto comune, la quale si concreta in regolari, continui e stabili contatti con la clientela.
Attività continuativa, peraltro, volta alla promozione di quanti più affari possibili, a maggior ragione considerato il divieto dello star del credere, non già del miglior affare possibile, come fisiologicamente previsto per l’agente di calciatori in favore del suo assistito, con una distinzione dunque tra carattere quantitativo e qualitativo del risultato contrattuale richiesto.
Parimenti, il diritto a vedersi riconosciuta una remunerazione – in forma provvigionale, fissa piuttosto che percentuale – matura allorquando e solo allorquando detto affare si concluda.
Tuttavia, l’incarico affidato all’agente sportivo non si caratterizza per stabilità, ed anzi è fisiologicamente correlato ad uno specifico affare (più o meno dettagliato), lambendo dunque i confini (tipici) del mandato ed (atipici) del procacciamento d’affari.
Ed inoltre, più per prassi e concreta applicazione, che per limiti regolamentari, lo stesso non si estrinseca in una zona, risultando il dato territoriale invero alquanto secondario, se non ininfluente, nel contratto de quo.
Non risulta, poi, che agli agenti sportivi sia prescritta, ad esempio, l’iscrizione ai fini ENASARCO piuttosto che presso i relativi albi presso le Camere di Commercio.
Ed allora, volendo fare attività ermeneutica, qual è la corretta qualificazione giuridica di tale fattispecie economico-professionale? Risulta difatti complesso tale sforzo interpretativo, posto che nessuna delle figure contrattuali tipiche previste dall’ordinamento statale appare idonea ad attrarre la figura dell’agente di calciatori, che incorpora in sé elementi del mediatore, del mandatario, del prestatore d’opera e come detto dell’agente e/o procacciatore d’affari.
Si può partire dal dato letterale normativo. La FIFA, nel preambolo della sua regolamentazione in materia – “Regulations on working with Intermediaries” – fornisce la seguente definizione della figura, qualificata “intermediario”: «A natural or legal person who, for a fee or free of charge, represents players and/or clubs in negotiations with a view to concluding an employment contract or represents clubs in negotiations with a view to concluding a transfer agreement».
Non è casuale la scelta normativa ed il tenore letterale adottato dalla Federazione Internazionale nel definire la figura, intermediary, in netta cesura rispetto al passato dove il riferimento era all’agent. Come rappresentato, infatti, nel 2015 è entrato in vigore il nuovo regime FIFA – ed in tale ambito tuttora in vigore – ispirato alla liberalizzazione della professione e pertanto qualificato tra gli operatori con il richiamo alla deregulation.
Deregulation che ha connotato anche la disciplina applicabile in Italia, almeno sino alla recente riforma quivi oggetto di disamina.
Come si vedrà nei paragrafi che seguono, diversamente dalle esperienze pregresse – in cui ad agire era stato esclusivamente il legislatore sportivo – nel caso di specie detta riforma ha trovato avvio in un intervento alquanto incisivo del legislatore ordinario, il quale – si consenta la metafora a tema – con un intervento a gamba tesa si è inserito nel contesto di deregolamentazione sopra evidenziato con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018.
Superando la “dinamica” qualifica dell’intermediario, il legislatore ordinario ha prescritto all’Ordinamento Sportivo nazionale il ritorno de facto al regime ante 2015, ovverosia a quello degli agenti sportivi, definiti nel summenzionato provvedimento normativo come “chiunque, in forza di un incarico redatto in forma scritto, mette in relazione due o più soggetti ai fini: i) della conclusione, della risoluzione o del rinnovo di un contratto di prestazione sportiva professionistica; ii) della conclusione di un contratto di trasferimento di una prestazione sportiva professionistica; iii) del tesseramento presso una federazione sportiva professionistica». Con un quid pluris – che si vedrà è di sostanza e non di sola forma: quel “chiunque” deve iscriversi e dev’essere iscritto al Registro nazionale degli agenti sportivi, istituito sulla base del DPCM in questione.
Passaggio da “intermediario” ad “agente” recepito dal legislatore sportivo, tanto generale – i.e. il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) – quanto, relativamente al calcio, federale – Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC).
Ai sensi del nuovo Regolamento CONI degli Agenti Sportivi, difatti, tale previsione emerge dal combinato disposto degli artt. 2 e 4, dove la definizione di agente sportivo fornito dalla prima delle due dette disposizioni - «il soggetto che in forza di un incarico redatto in forma scritta mette in relazione due o più parti ai fini dello svolgimento delle attività descritte al precedente art. 1, comma 2» - è colorata considerando la necessità di iscriversi al relativo registro del CONI ed i requisiti soggettivi prodromici alla – e condizionanti la – detta iscrizione.
Analoga la disciplina che si rinviene nel nuovo Regolamento Agenti Sportivi della FIGC, in particolare nei suoi artt. 2.1 e 2.2., dove parimenti si prevedono l’istituzione di un Registro federale degli Agenti Sportivi, la cui iscrizione ad opera dell’agente è conditio sine qua non ai fini dell’esercizio dell’attività professionale, ed i requisiti per accedere alla medesima.
Il richiamo alla summenzionata regolamentazione sportiva è altresì utile per circoscrivere – scelta verbale che si ritiene più attinente nella sua vocazione limitativa, rispetto ad un più ampio “descrivere” – l’attività che viene svolta dall’agente.
La prassi e forse la considerazione generale indurrebbero a considerare il ruolo dell’agente come quello di un consulente generale degli interessi dell’assistito, di cui cura allora ad esempio le sponsorizzazioni, la valorizzazione sinallagmatica e pecuniaria dei diritti di immagine e le altre occasioni reddituali e non solo le tematiche contrattuali riferita al solo rapporto di lavoro sportivo.
Di contro, nei nuovi Regolamenti CONI e FIGC si ha cura di specificare il nesso teleologico tra l’assistenza dell’agente sportivo a club o calciatori e l’oggetto della stessa.
In particolare, per i fini cui si verte, sono le “Disposizioni preliminari” del Regolamento FIGC a chiarire che l’attività dell’agente è costituita dal mettere in relazione due o più soggetti ai fini «(i) della conclusione, della risoluzione o del rinnovo di un contratto di prestazione sportiva professionistica; (ii) della conclusione di un contratto di trasferimento di una prestazione sportiva professionistica; (iii) del tesseramento dei professionisti presso la FIGC».
Una società calcistica ed un giocatore, dunque, possono avvalersi dell’assistenza di un agente qualora siano interessati a negoziare e concludere, oppure risolvere o rinnovare, un contratto di lavoro sportivo, nonché (e ciò si ritiene per le società, non già per i calciatori) per negoziare e perfezionare un’operazione di trasferimento di un giocatore da un club ad un altro oppure per tesserare un giocatore – verosimilmente “svincolato”, ovverosia non legato da un rapporto contrattuale con una società calcistica.
Certo, ad avviso di chi scrive società e (forse a maggior ragione) atleti possono farsi assistere da agenti sportivi anche per la gestione di ulteriori loro interessi economici e non (come detto, ad esempio, per la valorizzazione dei diritti di immagine dell’atleta), e ciò si ritiene senza incorrere nel rischio di sanzioni disciplinari da parte degli organi della Giustizia Sportiva, tuttavia senza le prescrizioni e le tutele previste dai Regolamenti cui si verte, incanalando dunque il rapporto in altre e diverse normali fattispecie di diritto comune.
Tale ricostruzione empirica induce, quindi, a registrare un “ritorno al passato”, ovverosia al regime regolamentare antecedente a quello FIFA del 2015. Con tale ultima riforma si registrava piena coerenza tra disciplina sovranazionale – la detta regolamentazione FIFA, ad oggi in vigore nei sistemi diversi da quello italiano – e nazionale, diversamente dal quadro attuale dove l’intervento del legislatore nazionale ha di fatto introdotto un unicum nel panorama sportivo europeo.
Regime regolamentare, quello del 2015, che aveva indotto operatori ed Autori a parlare, come detto, di deregulation, dove l’accesso condizionato alla professione tramite esame abilitante era stato sostituito dal mero possesso di «minimum standards/requirements».
In tale sistema normativo, infatti, l’accesso alla professione di agente sportivo, o meglio di “intermediario”, non era condizionato al superamento di un esame abilitativo, come invece storicamente avvenuto, ma diveniva di fatto libero a chiunque, salvi requisiti di onorabilità o comunque di indipendenza.
Di contro, come si vedrà nei paragrafi successivi, la situazione che si registra in Italia ad oggi si pone in stretta continuità con quella previgente, dove professionisti coinvolti nella negoziazione dei contratti devono, per poter operare, essere iscritti nell’apposito albo (ora Registro) presso la Federazione, al quale si accede a seguito del rilascio di licenza / titolo abilitativo.
Gli stessi operano all’interno dell’Ordinamento Sportivo, sono tenuti al rispetto delle relative normative e sono assoggettati alla Giustizia Sportiva, ma ciò non in forza di un vincolo associativo – il c.d. “tesseramento” – come previsto per calciatori, società, dirigenti, etc., ma su base volontaristica con l’iscrizione al Registro, prodromica alla quale vi è per l’appunto l’accettazione di tale corpus sistematico-normativo.
Nel sistema calcistico nazionale attuale, dunque, l’agente sportivo potrebbe esser considerato un prestatore d’opera – persona fisica o giuridica – iscritto ad un albo professionale ad accesso condizionato, il quale agisce in forza di un mandato assumendo un’obbligazione di risultato. Una figura variegata, come detto, non solo in punto di diritto interno, ma anche sul piano internazional-privatistico, come osservato tra gli Autori, dove lo sforzo ermeneutico potrebbe giungere alla soluzione (di ragionevole compromesso) di ricondurre la fattispecie entro il perimetro del mandato più che di altre tipologie quali l’agenzia di diritto comune o la prestazione di servizi.
Ad avviso di chi scrive, tali considerazioni interpretative, ancorché lodevoli e per certi versi imprescindibili, passano forse in secondo piano ove si parta dai seguenti presupposti.
Nel negozio cui si verte le differenze tra gli elementi di una, piuttosto che delle altre fattispecie di diritto comune, si affievoliscono dando vita ad un tipo contrattuale coerente nella sua applicazione pratica e consolidata. Pur non tipico, il negozio in questione è noto nei suoi elementi cogenti ai soggetti del medesimo operanti nell’ordinamento sportivo.
In secondo luogo, il mandato di agenzia sportiva e l’attività dell’agente di calciatori – ancorché non tipicizzati nell’ordinamento statale, anche se indirettamente riconoscimenti di tal guisa ve ne sono – sono di contro sicuramente “tipici”, noti e conosciuti, anche dai relativi organi di giustizia, nell’Ordinamento in cui si estrinsecano, quello federale, interessando solo residualmente il sistema processuale (fisiologicamente civile o tributario) statale.
Infine, poiché vige pur sempre il generale e pacifico principio codicistico della tutela dell’autonomia delle parti di cui all’art. 1322 c.c., a mente del quale «le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».
In fin dei conti, senza giungere all’iperbole che sia l’applicazione pratico-economica della fattispecie il driver per l’interpretazione giuridica, resta pur sempre vero che mai con nel caso di specie il tipo negoziale è ontologicamente dinamico e suscettibile di continue mutazioni sulla base dell’esperienza concreta.
I recenti interventi normativi del legislatore nazionale.
Come detto, la materia quivi oggetto di disamina ha subito di recente una forte spinta innovativa ad opera del legislatore statale, le cui normative sono state poi recepite ed armonizzate dall’ordinamento sportivo.
Con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018, a firma dell’(allora) Ministro per lo Sport, Luca Lotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri, esteso il 23 marzo 2018, la disciplina interna ha abbandonato i binari tracciati solo pochi anni prima con la riforma suesposta della FIFA, creando – ad avviso di chi scrive – non poche distonie per gli operatori del settore e per i diretti interessati, in particolare per quelli (e non sono pochi) che, ancorché operanti anche con società calcistiche ed atleti italiani, siano ed operino prevalentemente all’interno di Federazioni sportive estere. Con conseguenti difficoltà applicative, specie in un settore – quello per l’appunto dell’intermediazione in favore di club ed atleti, spesso in occasione di negoziazioni di operazioni connotate da elementi di internazionalità – in cui l’armonizzazione tra sistemi e relative regolamentazioni risulta indispensabile.
DPCM, il suddetto, adottato in continuità rispetto alle disposizioni della precedente “Legge di Stabilità” per l’anno 2018 (L. 205/2017), il cui art. 1, comma 373 prevedeva per l’appunto: «È istituito presso il CONI, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, il Registro nazionale degli agenti sportivi, al quale deve essere iscritto, dietro pagamento di un'imposta di bollo annuale di 250 euro, il soggetto che, in forza di un incarico redatto in forma scritta, mette in relazione due o più soggetti operanti nell'ambito di una disciplina sportiva riconosciuta dal CONI ai fini della conclusione di un contratto di prestazione sportiva di natura professionistica, del trasferimento di tale prestazione o del tesseramento presso una federazione sportiva professionistica. Può iscriversi al suddetto registro il cittadino italiano o di altro Stato membro dell'Unione Europea, nel pieno godimento dei diritti civili, che non abbia riportato condanne per delitti non colposi nell'ultimo quinquennio, in possesso del diploma di istruzione secondaria di secondo grado o equipollente, che abbia superato una prova abilitativa diretta ad accertarne l’idoneità. È fatta salva la validità dei pregressi titoli abilitativi rilasciati prima del 31 marzo 2015. Agli sportivi professionisti e alle società affiliate a una federazione sportiva professionistica è vietato avvalersi di soggetti non iscritti al Registro pena la nullità dei contratti, fatte salve le competenze professionali riconosciute per legge. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il CONI, sono definiti le modalità di svolgimento delle prove abilitative, la composizione e le funzioni delle commissioni giudicatrici, le modalità di tenuta e gli obblighi di aggiornamento del Registro, nonché i parametri per la determinazione dei compensi. Il CONI, con regolamento da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina i casi di incompatibilità, fissando il consequenziale regime sanzionatorio sportivo».
Ed allora, visto il detto comma 373 che «istituisce presso il Coni il Registro nazionale degli agenti sportivi», considerato che la medesima disposizione «consente l’iscrizione al suddetto registro ai cittadini europei [...] che abbiano superato una prova abilitativa diretta ad accertarne l’idoneità [...], fatta salva la validità dei pregressi titoli abilitativi rilasciati prima del 31 marzo 2015» – ovverosia prima della summenzionata c.d. deregulation – il DPCM sopra richiamato decreta la nuova disciplina nazionale in materia, composta da dodici articoli che ne delineano le linee ispiratrici rimesse alla concreta e cogente applicazione ad opera dell’ordinamento sportivo.
Nel creare un vero e proprio albo professionale – al cui riguardo sarebbe interessante interrogarsi circa l’applicabilità o meno, ad esempio, della disciplina di diritto comune della prestazione di lavoro autonomo del professionista di cui agli artt. 2229 e seguenti c.c., considerato che ai fini previdenziali la maggior parte degli agenti sportivi italiani è iscritta alla c.d. gestione separata INPS – il provvedimento de quo demanda la concreta tenuta del relativo registro al CONI e di rimando alle singole Federazioni Sportive.
Registro a cui è possibile accedere, come detto, previo superamento di una prova abilitativa, suddivisa in parte generale (curata dal CONI) e parte speciale (gestita dalle Federazioni subordinatamente al superamento della prima prova), aventi ad oggetto il diritto dello sport, il diritto privato, il diritto amministrativo e la disciplina federale in materia di tesseramenti.
Lecito allora domandarsi: essendo stato ripristinato il percorso abilitativo prodromico l’esercizio dell’attività di agente, quali sono le conseguenze di un esercizio, per così dire, abusivo, esercitato cioè da soggetti non abilitati?
In primo luogo vengono in mente, retaggio del sistema ante deregulation, le figure dei parenti stretti del calciatore – che la memoria degli appassionati ricorda spesso protagonisti in veste di agente del figlio o fratello - e dell’avvocato, professionalità per certi versi attigua, se non combaciante, con quella dell’agente.
Orbene, nel sistema attuale non vi è traccia di riferimenti ai parenti. Lecito, allora, domandarsi in che veste Wanda Nara abbia assistito ed assista il marito Mauro Icardi nei rapporti con i club e nelle negoziazioni con tali ultimi, se non in quella atipicamente abusata del “consulente” e senza voler giungere all’iperbole, con un sorriso, del lavoro del familiare reso affectionis vel benevolentiae causa e prossimo ai rapporti di cortesia.
Quanto agli avvocati, invece, una mano viene tesa direttamente dal legislatore del DPCM cui si verte, il quale – nel prevedere le conseguenze dell’abusivo esercizio della professione, come infra viste ai successivi capoversi – chiarisce sub art. 7 «fatte salve le competenze professionali riconosciute per legge».
Al riguardo di tale previsione si è instaurato tra gli appassionati del diritto sportivo un confronto circa l’estensione della medesima, tra chi la consideri una legittimazione tout court in favore dell’avvocato a svolgere le attività dell’agente sportivo – anche senza titolo abilitativo – e chi invece, e si ritiene soluzione preferibile, la ritenga una legittimazione a fornire servizi di assistenza stragiudiziale tipici della professione, ontologicamente diversi ancorché similari (un avvocato negozia un contratto; un agente di calciatori si attiva per giungere alla conclusione del detto contratto) rispetto a quelli degli agenti, e ciò senza incorrere in sanzioni disciplinari da parte dell’ordinamento sportivo, ma per altro verso senza le tutele che assistono gli agenti.
Svolta tale digressione, si può rispondere al quesito circa le conseguenze previste in caso di esercizio dell’attività da parte di soggetto non tipicamente legittimato.
La risposta è alquanto tranchant ed incisiva, proprio grazie al legislatore della riforma. Difatti, oltre a sanzioni di carattere disciplinare, già previste nel previgente regime, con la nuova regolamentazione si prevedono effetti che comprimono non solo la sfera personale del (non) professionista interessato, ma anche quella imprenditoriale delle parti coinvolte, le quali vengono responsabilizzate ad un controllo preventivo in merito al possesso o meno dei requisiti abilitanti dell’intermediario cui intendono affidarsi.
Sancisce, infatti, l’art. 7 del DPCM del 23 marzo 2018 che «l’intervento a qualsiasi titolo di soggetti non iscritti al Registro nazionale degli agenti sportivi è causa di nullità dei contratti» di trasferimento o di lavoro sportivo conclusi con l’intermediazione del non abilitato.
Per chiarezza, nel caso in cui una società perfezionasse il trasferimento di un giocatore da un altro club facendosi assistere da un soggetto non abilitato, tale trasferimento sarebbe nullo, con tutte le conseguenze pratiche del caso.
Un impatto così incisivo della riforma ha destato da subito preoccupazioni tra gli operatori del settore. Il timore, difatti, era quello che solo pochi agenti potessero operare in sede di prima applicazione della nuova disciplina, posto che (i) gli agenti in possesso di titolo abilitativo rilasciato prima del 31 marzo 2015 potevano sì operare, ma previo esperimento di un non banale iter di iscrizione, (ii) gli altri – quelli con titolo rilasciato dopo tale data ovvero privi di abilitazione – non potevano operare sino al superamento dell’esame di accesso alla professione, le cui sessioni però sono previste solo in certe finestre.
Ed allora, secondo “costumi” legislativi si può dire notori, il legislatore, tanto statale, quanto sportivo, si è visto costretto ad intervenire differendo il termine di decorrenza esclusiva del nuovo regime, ove si prevedeva inizialmente la legittimazione transitoria in favore degli agenti iscritti ai previgenti registri ad operare sino al 31 dicembre 2018.
In primo luogo è intervenuta la FIGC, la quale – nelle more del recepimento della disciplina statale da parte dell’ordinamento sportivo – con Comunicato Ufficiale n. 80 del 26 giugno 2018 ha istituito un “Registro provvisorio” degli agenti sportivi, prevedendo una disciplina transitoria che consentisse ai soggetti già iscritti ai precedenti registri di esercitare l’attività sino a completa implementazione del nuovo regime, e ciò «comunque non oltre il 30 giugno 2019».
Termine, tale ultimo, poi esteso dal legislatore statale, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 giugno 2019, sino al 31 dicembre 2019, con conseguente allineamento della FIGC la quale, con Comunicato Ufficiale n. 33/A del 23 luglio 2019, ha previsto uno specifico regime transitorio sino al termine del corrente anno, istituendo il Registro Federale Provvisorio degli abilitati dalla FIGC tra il 31 marzo 2015 ed il 31 dicembre 2017, i c.d. Agenti Temporanei, come infra si vedrà al successivo paragrafo 8.
I nuovi regolamenti delle Federazioni Sportive. In particolare, le rispettive regolamentazioni del Comitato Olimpico Nazionale Italiano e della Federazione Italiana Giuoco Calcio.
Come visto nel paragrafo 1 del presente elaborato, tanto il CONI, come ente sovraordinato nella struttura piramidale dell’ordinamento sportivo, quanto ai fini cui si verte la FIGC, hanno adottato propri Regolamenti al fine di dare attuazione alla riformata disciplina statale.
Con deliberazione del Consiglio Nazionale del CONI n. 1596 del 10 luglio 2018, poi integrata da analogo provvedimento del 26 febbraio 2019, n. 1630, il Comitato Olimpico Nazionale ha adottato il Regolamento CONI degli Agenti Sportivi.
Così, parimenti, per quanto concerne il calcio, con Comunicato Ufficiale n. 102/A del 17 aprile 2019 la FIGC ha pubblicato il Regolamento Agenti Sportivi FIGC, poi rettificato con successivo CU 137/A del 10 giugno 2019.
In sostanza, il secondo ricalca le disposizioni del primo, con alcune integrazioni e rettifiche giustificate dall’esperienza specifica e dalla disciplina agonistica precipua. Ad ogni modo, entrambi i regolamenti non si discostano dalle prescrizioni del DPCM del 23 marzo 2018.
In particolare, entrambi, ça va sans dire, subordinano la legittimazione ad agire come agente al superamento di un esame abilitativo o al possesso di un titolo abilitativo ottenuto prima del 31 marzo 2015.
L’attività di agente sportivo può essere esercitata sia dalla persona fisica che dalla persona giuridica, purché l’oggetto sociale sia coerente, la maggioranza assoluta del capitale sociale sia detenuta da un agente sportivo abilitato, cui sia conferita anche la legale rappresentanza e la gestione della società, e l’attività di terzi all’interno di tale ultima sia limitata a soli compiti amministrativi.
Entrambi, inoltre, prescrivono requisiti soggettivi di cui deve essere in possesso l’agente, legati ad aspetti personali, quali la cittadinanza, all’onorabilità, come il godimento dei diritti civili e l’assenza di dichiarazioni di interdizione, inabilitazione, fallimento o di condanne penali e/o per frode sportiva o in materia di doping, all’istruzione, alla tutela verso terzi, con conseguente stipulazione di valida ed idonea assicurazione professionale.
L’agente, inoltre, non deve trovarsi in una delle situazioni di incompatibilità e conflitto di interesse indicate dalla regolamentazione in questione.
Lo stesso, pertanto, non può essere amministratore o dipendente di soggetti pubblici, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, anche elettiva.
Inoltre, non può avere interessi diretti o indiretti in imprese, associazioni o società operanti nel settore sportivo, né essere tesserato come atleta o ricoprire cariche dirigenziali in Enti o società sportive, né intrattenere con tali ultime rapporti che determinino un’influenza rilevante sulle medesima da parte dell’agente. Con la specificazione “calcistica”, prevista per l’appunto dal Regolamento Agenti FIGC, che prevede la preclusione all’attività di agente anche per quei soggetti che intrattengono semplici rapporti professionali con società sportive che anche solo potenzialmente possano determinare l’insorgenza di un conflitto di interesse.
Infine, l’agente non potrà intrattenere validi rapporti con società in cui un suo parente detenga una partecipazione o ricopra qualche carica.
Nota finale di colore: nell’ottica professionalizzante della riforma, traslando discipline similari di diritto comune, il legislatore sportivo ha previsto obblighi di aggiornamento periodico in capo agli agenti.
In particolare, per gli agenti italiani.
Entrambi i Regolamenti, quello CONI ed a cascata quello della Federcalcio, distinguono la figura dell’agente sportivo che sia cittadino italiano da quella del soggetto che sia cittadino di altro Paese, facendone derivare un diverso regime.
Regime che a sua volta si può distinguere in due perimetri, il primo per agenti italiani ed agenti comunitari – per i quali è diversa la regolamentazione afferente l’accesso alla professione, ma non quella sull’operatività della professione medesima e dei conseguenti rapporti con i “clienti” – ed il secondo per i professionisti non comunitari, per i quali le distonie rispetto agli operatori interni afferiscono la quasi totalità della disciplina.
Il cittadino italiano che – in possesso dei requisiti soggettivi individuati nel precedente paragrafo – intenda esercitare l’attività di agente sportivo in favore di società calcistiche e/o giocatori ha due alternative.
La prima, statica, concerne il possesso del titolo abilitativo rilasciato dalla Federazione antecedentemente al 31 marzo 2015.
Tale data spartiacque ha un’evidente ratio ove si consideri quanto supra rappresentato. Come detto, infatti, a decorrere dall’1 aprile 2015 entrò in vigore la regolamentazione FIFA della c.d. deregulation, la quale in ottica di liberalizzare l’accesso all’attività, nella convinzione di slegare la medesima da logiche e meccanismi di acquisito potere che permeavano la medesima, aveva eliminato la previsione di un esame abilitativo come subordinante l’esercizio della professione. Di conseguenza, i titoli conseguiti ante riforma, presupponendo il superamento di una prova qualificante, rivestivano i medesimi caratteri insiti nell’odierna riforma.
La seconda, invece, dinamica, prevede per l’appunto l’iter abilitante avente ad oggetto l’esito positivo di una prova subordinante, con conseguente ottenimento del licet rilasciato dal CONI e recepito dalla Federazione.
Segue. Per gli agenti non italiani.
Parzialmente diversa la disciplina per gli agenti che non siano cittadini italiani, dovendo inoltre distinguere – come detto – tra Comunitari e non.
Statuisce in tal senso l’art. 4.1 del Regolamento Agenti Sportivi FIGC che «i cittadini U.E. abilitati in altro Stato membro dell’Unione Europea all’esercizio dell’attività di Agente Sportivo possono chiedere alla C.F.A.S.», ovverosia la Commissione Federale Agenti Sportivi, «di essere iscritti all’apposita sezione del Registro Federale».
Due i passaggi sostanziali di tale disposizione. Il primo concerne la previsione di una sezione speciale del Registro Federali per gli agenti comunitari, definiti anche Agenti Sportivi Stabiliti. La seconda, più dirimente, qualifica il requisito soggettivo della cittadinanza con l’ulteriore presupposto che il titolo abilitativo sia stato rilasciato da una Federazione Sportiva di un Paese Comunitario. E così, ad esempio, casistica che parrebbe astratta ma che in realtà diviene concreta in un mondo, quello del calcio professionistico, massimamente globale, un cittadino spagnolo che eserciti l’attività in Sud America non può iscriversi come Agente Stabilito presso la F.I.G.C.
Tale ultima ipotesi, di contro, sarebbe disciplinata alla stregua di un professionista non comunitario, per il quale la disciplina è ulteriormente diversa e – si può dire – residuale.
Il Regolamento FIGC, al pari di quello CONI, prevede a chiusura che sono validi gli eventuali mandati conferiti ad agenti extracomunitari iscritti nei registi delle Federazioni nazionali di riferimento, alla condizione obbligatoria però che tali agenti – con una procedura ad oggi prevista telematicamente sul portale del Comitato Olimpico nazionale – eleggano domicilio presso un agente sportivo italiano o stabilito autorizzato ad esercitare l’attività in Italia nell’ambito della FIGC.
Nella stringatezza delle relative disposizioni è sorto tra gli operatori il dubbio circa la concreta applicazione di tale previsione, in particolare sul ruolo svolto dal domiciliatario. Nello specifico, ci si è interrogati se la relativa contrattualistica debba essere stipulata con, e dunque se la controparte del club o del calciatore mandante sia, tale ultimo domiciliatario ovvero l’agente extracomunitario domiciliatosi.
A sostegno della seconda versione, ad avviso di chi scrive preferibile, risulterebbe il tenore letterale delle norme cui si verte, riferendosi espressamente tanto il Regolamento CONI quanto quello Federale a «contratti stipulati da soggetti extracomunitari».
Dubbi, infine, permarrebbero sulle responsabilità assunte dal domiciliatario. Se parte contrattuale, nulla quaestio, ma se mero “appoggio” dell’agente non comunitario, di cosa dovrebbe rispondere e cosa dovrebbe garantire il professionista italiano o stabilito?
I rapporti tra agenti, da un lato, e società sportive ed atleti, dall’altro lato.
Evidenziati gli aspetti prodromici all’accesso alla professione, ci si può soffermare sui contenuti concreti di tale attività.
Condizione subordinante per espletarla è l’aver ottenuto dal cliente, società sportiva o calciatore (rectius, come si vedrà, società sportive e/o calciatore), un incarico nella forma del mandato.
Contratto formale, con forma scritta obbligatoria (art. 5.3 Regolamento FIGC), con l’ulteriore onere del deposito – da parte dell’agente incaricato – del mandato presso la Commissione Agenti Federale.
Contratto, inoltre, sottoposto a nullità nel caso in cui non sia integrato con il “modello riepilogativo” (executive summary) disponibile sul sito della Federazione e riportante gli elementi essenziali del negozio.
Fisiologicamente, l’incarico viene conferito da una delle parti coinvolte (la società che intenda acquisire i diritti federativi ed economici legati alle prestazioni sportive di un calciatore; quella che intenda cedere detti diritti; il club che intenda tesserare un atleta o sottoscrivere / rinnovare un contratto di lavoro sportivo con un giocatore; un calciatore che debba negoziare la prima stipula od il rinnovo del proprio contratto lavorativo con la società datrice di lavoro).
Tuttavia, non vi è un divieto espresso dell’ipotesi di mandato congiunto, anche se in palese conflitto di interessi. L’assunto è infatti pacifico: in una negoziazione a più parti, l’interesse di una necessariamente incide su quello delle altre. Ed allora, un club che intenda acquisire un giocatore, se tenuto a pagare una somma maggiore a titolo retributivo a tale ultimo, verosimilmente negozierà una riduzione del corrispettivo da riconoscere alla società cedente per detta cessione.
Ciò nonostante, la casistica è espressamente legittimata e disciplinata con la previsione di meccanismi di accettazione preventiva del conflitto di interessi da parte dei soggetti incaricanti, a tutela dei medesimi sull’assunto siano informati.
Il mandato, poi, nel caso in cui sia stato conferito da un club per il tesseramento di un giocatore, ipotesi diversa, dunque, dal trasferimento del medesimo da una società ad un’altra, cessa automaticamente di produrre effetti nel momento in cui il calciatore in questione non sia più tesserato per il club mandante.
Quanto ai contenuti, il mandato può prevedere un’esclusiva in favore dell’agente e deve prevedere espressamente i termini di pagamento (mentre la modalità, con bonifico bancario, è vincolata per regolamento) ed i soggetti tenuti all’obbligazione remunerativa, potendo di prassi accadere che, ad esempio, ad accollarsi l’obbligo di riconoscere il corrispettivo in favore dell’agente del calciatore non sia tale ultimo ma convenzionalmente la società sportiva.
Corrispettivo che può essere determinato in una somma forfettaria ovvero in una percentuale calcolata sul reddito complessivo lordo del calciatore o sui valori economici della transazione.
In tale seconda ipotesi il Regolamento FIGC ha cura di specificare quanto segue, con previsione che però si ritiene facoltativa per le parti coinvolte stante il tenore letterale della norma - «le parti possono fare riferimento ai seguenti criteri»: «l’ammontare della remunerazione dovuta all’Agente sportivo per l’assistenza fornita a un calciatore o a un club per le finalità di cui ai punti i), ii) e iii) Disposizioni preliminari» - conclusione, risoluzione o rinnovo di un contratto di lavoro sportivo; conclusione di un contratto di trasferimento; tesseramento di un giocatore professionista - «non dovrà eccedere il 3% della retribuzione fissa complessiva lorda del calciatore»; «l’ammontare della remunerazione dovuta all’Agente sportivo per l’assistenza fornita a un club per le finalità di cui al punto ii) Disposizioni preliminari» - conclusione di un contratto di trasferimento - «non dovrà eccedere il 3% del valore del trasferimento».
I c.d. agenti calcistici temporanei. Possibili dubbi in punto di diritto europeo del lavoro.
Come visto in chiusura del terzo paragrafo che precede, tanto il legislatore statale, quanto quello federale, hanno previsto un regime transitorio operante sino al termine del corrente anno 2019, legittimando temporaneamente gli agenti in possesso di titolo post 31 marzo 2015 ad operare.
In particolare, a tal fine la FIGC ha istituito il Registro Federale Provvisorio dei c.d. Agenti Temporanei.
Tali ultimi, nella sostanza, soggiacciono alle medesime regole previste dalla disciplina della riforma ampiamente esaminata nei precedenti paragrafi.
Diventa allora interessante – con spunti che come si vedrà abbracciano i principi del diritto comunitario del lavoro – definire l’Agente Temporaneo.
In particolare, lo specifico Regolamento Federale consente l’iscrizione al relativo registro ai soggetti che siano in possesso di titolo abilitativo rilasciato dalla FIGC fra il 31 marzo 2015 ed il 31 dicembre 2017.
A tal riguardo si pone innanzitutto un tema di coerenza normativa: perché non consentire nel regime transitorio anche l’esercizio dell’attività da parte di professionisti in possesso di titolo abilitativo federale successivo al 31 dicembre 2017 (ed antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina)?
In secondo e più interessante luogo, poi, desta subito attenzione la distonia tra la previsione tranchant prevista per gli Agenti temporanei – il cui titolo abilitativo sia stato rilasciato, nel periodo rilevante, (esclusivamente) dalla FIGC – e quella della disciplina ordinaria post riforma, che come visto prevede ampia dissertazione in merito alle possibilità di accesso alla professione riconosciute agli agenti comunitari.
Facendo un esempio concreto, un agente spagnolo, abilitato dalla propria Federazione nazionale dopo il 31 marzo 2015 e prima del 31 dicembre 2017 non potrebbe operare in Italia e ciò nemmeno sino al 31 dicembre 2019 (salvo il caso di superamento dell’esame del nuovo regime), con tutti i conseguenti rilievi in punto di diritto euro-unitario del lavoro circa i possibili contrasti con i principi cardine delle libertà fondamentali sovranazionali, tra cui in primis quella della libera prestazione di servizi. Come noto, la disciplina dei Trattati europei prevede – ed anzi lo erge a pilastro del mercato comune – il diritto di esercitare liberamente, a titolo temporaneo e occasionale, la propria attività di servizi nello Stato membro ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini, con conseguente divieto di restrizioni a tale libera prestazione.
Se astrattamente si considera ragionevole la ratio del regime ordinario, che peraltro si applica sia agli agenti italiani che a quelli comunitari, la quale fa salvi i soli titoli rilasciati prima del 31 marzo 2015 (prima della c.d. deregulation), non si comprende il fondamento di una deroga a tale prescrizione che si applichi ai soli professionisti italiani e non a quelli comunitari.
In tal senso, giova evidenziare, come le restrizioni vietate non siano solo quelle dirette – ad esempio, fondate sul mero fatto della nazionalità del prestatore – ma anche quelle indirette, quali per l’appunto quelle che potrebbero esser rilevate nella regolamentazione statale e della FIGC disaminata nel presente paragrafo.
Restrizioni che peraltro, nel settore economico cui si verte, quello del calcio professionistico, risultano ancor più stridenti ove si consideri che fenomeni di dumping sociale siano ontologicamente assenti per le caratteristiche insite dell’attività e per la sua rimuneratività guidata dal mercato.
Si tratta di un sistema di regole positivizzate partendo dagli orientamenti formatisi e divenuti consolidati della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in un processo di integrazione del mercato dei servizi e nel solco delle decennali politiche pro-labour.
In tale ottica si pone anche la questione afferente eventuali limitazioni all’accesso alla professione, che – come visto – costituiscono l’elemento di maggior incisività della riforma legislativa ed endofederale quivi disaminata. Sono compatibili con i principi libertari del diritto europeo disposizioni nazionali che subordinino l’esercizio di un’attività professionale in un Paese membro al possesso di certi requisiti, al superamento di particolari esami o ad un periodo minimo di esperienza? Tali previsioni, difatti, ancorché fondate da una ratio oggettiva, potrebbero introdurre degli ostacoli alla libera circolazione dei professionisti e potrebbero dunque risultare anticoncorrenziali. Una risposta a tale quesito, in questa sede, non è possibile. La consolidata storicità dell’istituto – prima della summenzionata deregulation, tanto la regolamentazione FIFA, quanto quelle delle Federazioni nazionali, prevedevano infatti l’esame abilitativo per l’esercizio dell’attività di procuratore sportivo – mai messa in discussione dalla Giustizia europea, quanto la verosimile proporzionalità della prova d’esame rispetto agli interessi rilevanti ed in ottica di contemperamento generale degli stessi, indurrebbero ad ogni modo ad una soluzione affermativa circa la liceità di normative di tal guisa.
Conclusioni
Aderendo a metafore in argomento di trattazione, la “cronaca” esposta nei precedenti paragrafi racconta di una gara disputata dalla squadra degli operatori del settore – società, calciatori, agenti e professionisti – in trasferta sul campo del legislatore nazionale e sportivo, conclusasi, tracciato un primo bilancio dopo la prima concreta applicazione della riforma legislativa, con un onorevole pareggio.
Come visto, di non poco conto le difficoltà riscontrate dagli interessati nel confronto con il novellato sistema normativo e regolamentare, tra nuovi obblighi e veti all’accesso alla professione di non immediata soluzione.
Ciò nonostante, si deve ammettere che qualsiasi nuova disciplina, a maggior ragione in un perimetro, quello dell’ordinamento sportivo, in cui convivono norme di diverso livello, statali ed interne, porti con sé fisiologiche difficoltà transitorie.
Non sussiste dubbio che i principi ispiratori della riforma appaiano condivisibili. Un ritorno alla professionalizzazione dell’attività, consentita solo a soggetti abilitati, è legittimo considerate le note rendite di posizione che permeano le intermediazioni legate ai trasferimenti di giocatori tra società.
Le complessità (ed i suesposti dubbi in punto di diritto) sono sorti relativamente a talune scelte – si può dire, ad excludendum – operate dal legislatore tracciando distonie di regime tra certi soggetti ed altri. In particolare, tra gli agenti abilitati prima del 31 marzo 2015 e quelli in possesso di titolo rilasciato successivamente; ed ancora, tra quegli agenti italiani e quelli di contro comunitari autorizzati o meno ad operare temporaneamente in regime transitorio sino al termine del corrente anno.
Inoltre, non può esser sottaciuto il fatto che la riforma sia stata concepita e redatta prendendo a riferimento lo sport di maggior seguito nel Paese, il calcio, senza tenere in debita considerazione le peculiarità delle discipline delle altre Federazioni sportive. Basti qui pensare all’abilitazione concessa nel nuovo regime agli agenti registratisi prima del 31 marzo del 2015. Se per il pallone tale discrimine trova giustificazione nell’introduzione, a far data dall’1 aprile 2015, del regime FIFA della deregulation, non va dimenticato che tale liberalizzazione dell’accesso alla professione non ha riguardato gli altri sport, le cui regolamentazioni federali anche dopo tale termine hanno continuato a richiedere, per l’esercizio dell’attività di agente, il superamento di un esame. Con la conseguenza, ad esempio, che un agente operante nella pallacanestro, abilitato nel 2016, non potrebbe operare oggi senza superare (nuovamente) una prova abilitativa. Non sono state poche le situazioni di tal tipo, spesso “superate” d’imperio dal buon senso delle Commissioni Agenti del CONI e delle rispettive Federazioni che hanno ritenuto comunque validi i titoli rilasciati dopo il 31 marzo 2015.
Infine, e non voglia esser letta come excusatio non petita, le dette complessità applicative nascono anche dalla vivace attività del legislatore sportivo. Se è vero che nel presente elaborato si ha avuto modo di disaminare una recente e strutturale riforma, è altrettanto vero e notorio che sono attivi presso la FIFA tavoli per emanare con effetti dal 2020 la nuova regolamentazione della Federazione Internazionale in materia di agenti calcistici. Con la possibilità, dunque, che il percorso avviato dal legislatore nazionale con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2018 diventi già “passato” trascorsi soli pochi mesi dalla sua introduzione e che il presente lavoro abbia pari sorte.