Testo integrale con note e bibliografia

L’inquadramento lavoristico delle attività poste in essere in ambito sportivo si configura come un tema che, sulla spinta dei precursori della materiae di alcuni interventi giurisprudenziali e legislativi di particolare rilievo (in Italia, il riferimento rimane, al momento, alla legge 23 marzo 1981, n. 91) , ha saputo attirare l’attenzione della riflessione dottrinale già da molto tempo, ritagliandosi una autonoma dignità disciplinare. In questo contesto, però, esiste una prestazione fondamentale che è rimasta ai margini di tale approfondimento, ovvero quella resa da chi è chiamato a far rispettare le “regole del gioco”.

La controversa legge-delega 8 agosto 2019, n. 86 di riforma dell’ordinamento sportivo e delle professioni sportive offre l’occasione di accendere i riflettori sulla posizione propria dei direttori di gara, dal momento che all’articolo 5, comma 1, di tale legge si prevede che, in sede di riordino e riforma delle disposizioni in materia di rapporto di lavoro sportivo, si proceda alla «individuazione […] della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell'attività sportiva svolta, e [ndr. alla] definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza» 

Per contestualizzare compiutamente tale previsione – i cui sviluppi dipendono in larga parte anche dal cambiamento di maggioranza politica avvenuto a seguito della approvazione della legge delega – risulta particolarmente proficuo concentrarsi sulle prestazioni rese da parte degli associati all’AIA (Associazione Italiana Arbitri), ovvero dei direttori di gara che assicurano il regolare svolgimento delle partite di calcio in tutti i campionati della Federazione Italiana Giuoco Calcio, dagli esordienti provinciali alla Serie A (e, includendo, anche il beach soccer e il calcio a 5). Non si tratta soltanto di prendere in considerazione la “classe arbitrale” numericamente preminente nel Paese, ma anche di dare conto dello status quo relativamente all’Associazione che pare aver avuto un peso particolarmente rilevante ai fini della riconduzione, all’interno della legge delega, della figura del direttore di gara nella nozione di “lavoratore sportivo”. È stato, infatti, a seguito dell’intervento in audizione del Presidente dell’AIA Marcello Nicchi – il quale ha posto all’attenzione del dibattito parlamentare sulla legge di delega le condizioni in cui operano gli arbitri, chiedendo al legislatore un intervento normativo per garantire maggiori tutele  – che la posizione del direttore di gara ha trovato riconoscimento nell’art. 5 della l. n. 86/2019

  1. Il regime vigente tra vincolo associativo e “corresponsioni”

Nonostante si tratti di una attività costantemente discussa, dalle sedi più informali a quelle istituzionali quella resa dai direttori di gara associati all’AIA è stata solo in rare occasioni ed episodicamente affrontata in termini latu sensu lavoristici. Quando ciò è avvenuto, in sede giurisprudenziale o di prassi amministrativa, le questioni hanno riguardato la riconducibilità della prestazione svolta dagli arbitri ad attività di lavoro subordinato e il corretto inquadramento delle corresponsioni da costoro ricevute in termini di obblighi e adempimenti fiscali e contributivi.

Quanto alla prima declinazione di questa analisi, tra le pochissime pronunce giurisprudenziali, si segnala in particolare la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, 12 maggio 2009, n. 10867 ([11]), nell’ambito della quale è stata esclusa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’arbitro, ricorrente, e la Federazione Italiana Giuoco Calcio. Più abbondante e meno risalente è, invece, la giurisprudenza in materia di esigibilità da parte dell’INPS della contribuzione relativamente ai diritti di immagine corrisposti agli arbitri di serie A e B, nonostante sul punto si fosse espressa, già nel 2006, la stessa INPS in risposta ad un interpello rivoltogli dalla FIGC ([13]).

Sono questi i due nodi giuridici, peraltro, su cui è utile impostare una breve ricostruzione dell’attuale inquadramento delle attività dei direttori di gara.

2.1 Gli associati AIA e l’esclusione del rapporto di lavoro subordinato (anche sportivo)

L’art. 1 del Regolamento Associazione Italiana Arbitri prevede espressamente che l’AIA riunisce, nel contesto della FIGC, «gli arbitri italiani che, senza alcun vincolo di subordinazione, prestano la loro attività di ufficiali di gara nelle competizioni della FIGC e degli organismi internazionali cui aderisce la Federazione stessa» 

Si tratta, d’altronde, di una previsione che si pone in linea con lo Statuto del C.O.N.I. che all’art. 33, comma 1, prevede che «gli ufficiali di gara partecipano, nella qualifica loro attribuita dalla competente Federazione sportiva nazionale […] e senza vincolo di subordinazione, allo svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la regolarità» .

A questa statuizione si aggiunge la “significativa” assenza dei direttori di gara all’interno della elencazione relativa all’ambito applicativo della l. n. 91/1981. In particolare, l’art. 2 prevede che al professionismo sportivo siano riconducibili «gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI» 

Chiamata a giudicare circa la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato  intercorrente tra la FIGC (o, in subordine, l’AIA, che alla FIGC afferisce e un arbitro la cui carriera si era interrotta a seguito di comunicazione di mancata conferma in ruolo, la Corte di Cassazione ha argomentato in senso contrario sulla scorta dei due profili sopra citati, quello relativo al vincolo associativo e quello inerente all’esclusione dall’ambito applicativo della legge sul professionismo sportivo.

Con riferimento a quest’ultimo profilo, la Corte riteneva di dare continuità all’orientamento maggioritario in giurisprudenza – maggiormente segmentate sono, invece, le posizioni espresse in dottrina– della tassatività dell’elencazione di cui all’art. 2 della l. n. 91/1981, escludendo di conseguenza la rilevanza della relativa disciplina ai fini che qui interessano.

Restava, ciononostante, impregiudicata la necessità, da parte della Corte, di valutare l’applicabilità delle discipline del diritto del lavoro comune in ragione della possibile sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c.

A questo proposito, la Corte di Cassazione, conferma l’interpretazione della Corte territoriale riconducendo la prestazione resa dagli arbitri all’adempimento del vincolo associativo. Si afferma, infatti, «la inapplicabilità […] della normativa lavoristica in tema di rapporto di lavoro subordinato, stante l’esistenza di un rapporto associativo dell’arbitro di calcio, in quanto tesserato con la F.I.G.C e facente quindi parte dell’A.I.A., di talché le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dalla gravosità degli impegni e dalla presenza di una remunerazione, integrano adempimento del patto associativo per l’esercizio in comune dell’attività sportiva». Da ciò deriverebbe come corollario, secondo la Corte, che la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato potrà essere accertata soltanto laddove «l’attività svolta esuli dal contenuto dell’oggetto sociale» , circostanza che non ricorre nel caso delle attività dell’arbitro che costituirebbero adempimento del patto sociale, tra le quali rientrerebbe di certo l’attività di direzione di gara.

Con tale statuizione la sentenza aveva inoltre modo di rigettare anche l’argomentazione della parte ricorrente rispetto al «carattere autenticamente retributivo dei compensi corrispostigli», a seguito del passaggio dell’arbitro alla direzione delle partite di calcio professionistico, che riconduceva alla natura di «stipendio fisso mensile» 

Come si è anticipato, è proprio sull’inquadramento degli emolumenti percepiti dagli arbitri che si è concentrata l’altra giurisprudenza da considerare ai fini di una ricostruzione lavoristica dell’attività dei direttori di gara.

2.2 Gli emolumenti percepiti dagli arbitri: dal rimborso spese ai diritti di immagine

Nell’escludere il carattere retributivo degli emolumenti percepiti dall’arbitro la Corte di Cassazione conferma, indirettamente, la complessa struttura delle corresponsioni previste ai fini della sostenibilità della attività dei direttori di gara. Mentre la giurisprudenza si è al momento occupata del corretto inquadramento del compenso percepito per la cessione del diritto di sfruttamento dell’immagine, occorre primariamente ricostruire in termini più generali il sistema delle corresponsioni adottato sia per chi dirige nelle serie professionistiche sia per chi arbitra partite del calcio dilettantistico. Se, infatti, per quanto attiene il vincolo associativo, la posizione degli uni non differisce da quella degli altri, alcune difformità sussistono rispetto alla tematica in commento in ragione della categoria o della serie in cui si arbitra.

In generale, il regolamento AIA prevede che «tutte le prestazioni degli associati […] sono svolte per spirito volontaristico e gratuitamente, con il riconoscimento dei soli rimborsi spese e/o indennità stabiliti dalla FIGC e dall’AIA».

A fronte di questa previsione minima, il quadro di riferimento per gli emolumenti percepiti dagli arbitri risulta assai più complesso, anche in conseguenza della diversa gravosità dell’impegno nel progredire della carriera nei ranghi dell’associazione, circostanza che – se per la Cassazione non incide in senso contrario rispetto alla natura della prestazione in termini di adempimento dell’oggetto sociale – certo incide sulle corresponsioni percepite dai direttori di gara nel corso della loro carriera. A ciò si aggiunge, nell’ambito del calcio professionistico, il rilievo dell’attività svolta dall’arbitro all’interno del business dello sport, che si compone – come noto – anche dei molteplici interessi economici connessi alla commercializzazione del prodotto “calcio” come entertainment e, in particolare, per quanto qui di interesse, alle dinamiche relative ai diritti di trasmissione audiovisiva degli eventi sportivi.

In ragione di queste variabili, si possono distinguere diversi momenti del percorso della carriera arbitrale cui corrispondono diverse modalità di attuazione del principio affermato dal regolamento AIA sopra richiamato 

Il primo step è quello relativo alla attività di direzione di gare all’interno dei campionati dilettantistici giovanili e non giovanili fino all’eccellenza. In questa fase, che dura diversi anni e richiede numerosi passaggi di categoria (“promozioni”), i direttori di gara percepiscono per l’attività svolta nei confronti dell’Associazione un rimborso spese riferito alla singola direzione arbitrale, parametrato alla distanza chilometrica e variabile (assai limitatamente) in funzione della categoria in cui si dirige la gara.

Secondo passaggio, ai fini della determinazione di rimborsi e indennità, è quello relativo agli arbitraggi gestiti dal C.A.I. (Commissione Arbitri Interregionale) e dal CAN D, laddove rimborso e indennità sono stabiliti con una quota fissa di diaria cui si aggiunge un rimborso chilometrico e delle spese eventualmente sostenute direttamente dall’associato per viaggio e alloggio (ovvero se, o comunque limitatamente a quelle, non anticipate), oltre che di quelle relative al pasto.

Con il passaggio al CAN C, la struttura del rimborso per l’attività di direzione di gara rimane la medesima, salvo un ritocco in aumento per quanto riguarda la diaria e il numero di pasti coperti. Per gli arbitri del CAN C, però, è previsto in aggiunta un ulteriore rimborso a titolo di copertura forfetaria delle attività di allenamento.

Infine, con il passaggio al CAN B e, successivamente, al CAN A si arriva ad una determinazione della diaria che raggiunge cifre importanti per la singola partita – secondo fonti giornalistiche di 3800 euro lordi per le partite di Serie A, minore per le partite di Coppa Italia ad eccezione della finale – cui continuano ad aggiungersi i rimborsi spese per le eventuali spese di trasferta.

Come si anticipava, inoltre, è solo con riferimento ai direttori di Serie A e B che si prevede la corresponsione di una ulteriore quota a titolo di diritto di immagine, variabile in ragione dell’anzianità e della qualifica di arbitro internazionale, oltre che in base al numero di partite arbitrate. Da sottolineare come tale corresponsione non riguardi il calcio professionistico in generale, nonostante oggi anche le partite di serie C siano trasmesse da reti TV e piattaforme, con relativi introiti per la Federazione.

È, poi, con riferimento a tali compensi che la giurisprudenza ha avuto modo di esprimersi più volte negandone l’assoggettamento a contribuzione sulla scorta della argomentazione, confermata dalla Cassazione, secondo la quale «nell'ambito della disponibilità dei suddetti diritti immateriali, quella che è rimunerata non è la prestazione lavorativa vera e propria, bensì la cessione del diritto di sfruttamento dell'immagine» e, d’altronde, tale «cessione […] rinviene il suo fondamento nella specifica disciplina codicistica e della legge sul diritto di autore e quindi non nel contratto di lavoro» Si tratta di una interpretazione che trova supporto all’interno della già citata nota INPS del 2006 , di cui la giurisprudenza dà conto rafforzando la propria argomentazione anche sulla scorta del principio di affidamento, nonostante le contrarie argomentazione dell’istituto previdenziale.

  1. I limiti dell’attuale regime …

A fronte di tale inquadramento, che ha trovato parziale conferma nella giurisprudenza citata, occorre interrogarsi su quali siano le conseguenze di un sistema così strutturato sulla vita associativa e “professionale” dei direttori di gara.

Il fatto che la prestazione si ponga al di fuori dell’ambito applicativo del diritto del lavoro e sia ricondotta al vincolo associativo incide, ovviamente, su molteplici profili che, a seconda della posizione ricoperta all’interno della carriera arbitrale comportano conseguenze di tipo diverso.

Un primo aspetto riguarda le coperture per gli eventuali infortuni occorsi durante o a margine – si pensi, in particolare, all’incidenza degli infortuni in itinere nell’ambito di una prestazione che presuppone per il suo adempimento rilevanti spostamenti – che, stante l’inapplicabilità della assicurazione obbligatoria di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (c.d. assicurazione INAIL) e di altre coperture previste dalla legge vengono gestite tramite schemi assicurativi privati 

Ai profili assicurativi si aggiungono quelli contributivi, dal momento che, anche laddove l’attività di arbitro dia luogo – è il caso dei direttori di gara di Serie A e B – a cospicui redditi, ciò non comporta un corrispondente versamento previdenziale, pur a fronte di un regime di svolgimento della prestazione che proprio in tali circostanze risulta sostanzialmente (o, almeno, fortemente) preclusivodella sussistenza di attività lavorative ulteriori, con la conseguenza che, nel limitato periodo in cui si troverà all’apice della sua carriera (la carriera arbitrale termina al raggiungimento del 45° anno di età, salvo per attività arbitrale VAR , e inizia, ai massimi livelli, abbondantemente oltre i trent’anni ), il direttore di gara andrà a creare importanti scoperture contributive

Agli aspetti connessi alle prestazioni dell’arbitro e ai connessi emolumenti, si aggiungono i molteplici profili di interesse relativi al rapporto in essere con l’AIA che vengono gestiti all’interno delle dinamiche associative, pur riguardando aspetti fondamentali per la carriera “professionale” del direttore di gara. In virtù delle regole associative – coerentemente con quanto statuito all’art. 1 comma 2, del Regolamento AIA – si gestiscono tanto le modalità di accesso all’attività di arbitro , quanto la gestione della assegnazione delle partite, della formazione dei direttori di gara e delle progressioni di carriera all’interno dei diversi campionati , quanto ancora la perdita della qualifica  nonché l’esercizio del potere direttivo necessario all’organizzazione dell’attività degli arbitri al fine di garantire il regolare svolgimento dei campionati e dei poteri di controllo e disciplinare, funzionali alla garanzia del rispetto dei doveri assunti dall’arbitro nei confronti dell'Associazione 

Si tratta di aspetti della vita “associativa” che forte attinenza hanno con le condizioni di debolezza del lavoratore che il diritto del lavoro mira a contrastare, riguardando dinamiche del rapporto cui la disciplina giuslavoristica dedica fondamentali previsioni: dalle discipline di tutela antidiscriminatoria e relative alla riservatezza nell’accesso al lavoro e nella gestione del rapporto a quelle relative alla tutela della professionalità, dalle limitazioni e dai vincoli procedurali concernenti l’esercizio dei poteri datoriali fino alle tutele avverso i licenziamenti ingiustificati.

Un complesso sistema di organi e procedure è predisposto al fine di garantire che la gestione di questi profili potenzialmente lavoristici della prestazione e del rapporto sia esercitata all’insegna di trasparenza e correttezza, ma ciò avviene al di fuori delle più pregnanti tutele giuslavoristiche e, comunque, non ha preservato l’AIA da un certo contenzioso, come dimostrano, da ultimo, i casi – tra loro diversi – “Gavillucci” e “Proietti”

  1. … e le potenzialità e criticità di un intervento di riforma.

In questo contesto di riferimento si possono non soltanto comprendere le motivazioni che hanno spinto l’AIA a richiedere uno specifico intervento e il legislatore a prefigurarlo per il tramite della legge delega, ma anche potenzialità e probabili difficoltà dell’esercizio della delega secondo i principi e i criteri direttivi contenuti nella l. n. 86/2019.

In questo senso, il pur limitato testo della legge-delega offre alcuni spunti di riflessione fondamentali.

In primo luogo, l’art. 5, comma 1, indica come via per la regolamentazione del lavoro del direttore di gara, quella del rapporto di lavoro sportivo riconducendo tale figura nella più ampia nozione di lavoratore sportivo. Si tratta di una scelta di campo volta a riconoscere nelle specificità dell’attività dell’arbitro, la necessità di prevedere una normativa lavoristica speciale, da conformare a quella dello sportivo.

A questo si aggiunge la specifica previsione, nel contesto del processo di riforma del lavoro sportivo, della definizione della disciplina assicurativa, previdenziale e fiscale, oltre che dei fondi di previdenza applicabile al lavoratore sportivo, ivi incluso il direttore di gara. Come è emerso dalla precedente analisi, questi sono aspetti certamente centrali rispetto all’attuale posizione degli arbitri di calcio, che al pari di quanto avviene per gli altri lavoratori sportivi, dovrebbero essere oggetto di attenzione nella delega tanto con riferimento all’attività di natura dilettantistica quanto con riguardo a quella di natura professionistica, ad oggi – come si è visto – non definita nel contesto della carriera arbitrale, pur a fronte di una notevole differenza in termini di impegno e di vita “professionale” e associativa tra i direttori di gara dei campionati dilettantistici e quelli che operano nelle serie professionistiche.

Stanti questi punti fermi, le potenzialità delle direttrici dell’intervento di riforma per decreto legislativo risultano affiancate da alcune rilevanti criticità connesse alla peculiarità della attività dell’arbitro e dei suoi rapporti con l’Associazione Italiana Arbitri.

In primo luogo, nel ricondurre la figura del direttore di gara alla nozione di lavoratore sportivo, certo non si potrà pensare ad una equiparazione delle rispettive discipline, dal momento che, non soltanto la prestazione presenta delle caratteristiche diverse, ma anche il rapporto del lavoratore con il “datore” – si consideri tale direttamente l’AIA oppure la FIGC, cu la stessa Associazione afferisce – risponde a logiche completamente differenti.

Mentre il lavoratore sportivo tradizionalmente inteso – sia esso calciatore, massaggiatore, allenatore, preparatore atletico – opera per la società in un regime di mercato e nell’ambito di rapporti normalmente temporanei, l’attività dell’arbitro si svolge necessariamente, per tutto il corso della carriera, nei confronti di un unico soggetto che, come abbiamo visto, gestisce la prestazione (recte, le prestazioni, comprendendo raduni e riunioni) in ragione del vincolo associativo dall’instaurazione del rapporto alla sua conclusione, passando per tutte le vicende che si verificano in costanza del rapporto.

Ciò si ripercuote, necessariamente, sul tipo di disciplina lavoristica potenzialmente applicabile. Se, infatti, non sussiste una incompatibilità tra la coesistenza di vincoli associativi e vincoli derivanti dal rapporto di lavoro – come dimostra la teorizzazione ) e la successiva regolamentazione della posizione del socio lavoratore di cooperativa – certamente nella eventuale predisposizione di uno specifico corpus normativo non si potrà non tenere conto delle peculiarità derivanti dall’intensa e rilevante incidenza del rapporto associativo nella vita “professionale” (in senso atecnico) del direttore di gara. Di conseguenza, è in merito a tale coesistenza – ancor più che sulla distinzione tra attività dilettantistica e professionistica e sull’adattamento delle tipologie contrattuali del lavoro subordinato alle attività del direttore di gara (si pensi, per esempio, ai possibili adattamenti, almeno per l’attività di arbitraggio nel calcio dilettantistico, dei contratti di lavoro intermittente o del riformato contratto di prestazione occasionale – che si presentano le maggiori criticità con cui dovrà confrontarsi l’eventuale attuazione della delega.

In merito – probabilmente anche in ragione delle modalità di ingresso della figura del direttore di gara nell’ambito del processo di riforma di cui si è detto supra § 1 – la legge delega non fornisce indicazioni rilevanti per determinare le modalità di coordinamento e di regolazione lavoristica del rapporto degli arbitri con l’AIA. Cionondimeno, si tratta di aspetti qualificanti, rispetto ai quali dall’interazione dell’attuale sistema associativo con le discipline del diritto del lavoro potrebbe derivare uno strumentario adeguato alla soluzione di alcune problematiche – quali quelle citate con riferimento ai casi di cronaca più recenti – riguardanti la gestione del lungo percorso che lega gli arbitri all’AIA a partire dai 15 anni fino ai ruoli post attività arbitrale interni alla Associazione. Questo a maggior tutela dell’arbitro, ma anche dell’Associazione stessa. Si pensi, in particolare, alle dinamiche relative all’esercizio dei rilevanti poteri di controllo e di disciplina o, ancora, a quelle relative latu sensu alla professionalità degli arbitri rispetto alle progressioni di carriera, che nella disciplina giuslavoristica troverebbero tecniche normative tradizionalmente dedicate alla regolazione di un rapporto di durata caratterizzato dalla soggezione tecnico-funzionale del prestatore rispetto al datore.

5. Conclusioni

Pur a fronte del cambiamento di maggioranza occorso a seguito dell’approvazione della legge n. 86/2019, non si ritiene che interrogarsi sulle prospettive di riforma dell’attività degli arbitri di calcio – e, in generale, dei direttori di gara – rappresenti un mero esercizio di stile. Non tanto (recte, non soltanto) per la possibilità che il governo in carica decida di dare attuazione alle deleghe ricevute entro il termine stabilito dalla legge-delega , nonostante oggetto della delega e relativi principi e criteri direttivi siano stati individuati da diversa maggioranza, ma soprattutto perché le sollecitazioni provenienti dalle istituzioni arbitrali e la disamina sopra operata, paiono dimostrare come un intervento di razionalizzazione dell’inquadramento dell’attività arbitrale e del rapporto associativo si renda particolarmente opportuno, tanto a tutela delle migliaia di giovani che ogni week-end dirigono le partite nell’ambito di tutte le province italiane quanto a garanzia di “professionisti” che sostituiscono alla propria attività lavorativa quella di direzione di gara (con connessi allenamenti, raduni e ritiri).

Come si è avuto modo di sottolineare, la delega presenta opportunità e criticità, ma dovrebbe essere nell’interesse del sistema calcio e dell’ordinamento sportivo, in generale, intervenire in un settore che ha una rilevanza numerica (ovviamente non ci si esprime in termini comparativi rispetto alle esigenze di tutela), per i soli campionati della FIGC, paragonabile, se non superiore, a quella del fenomeno rider in Italia .

 

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