Testo integrale con note e bibliografia
Negli ultimi anni la presenza femminile in azienda, sia in posizioni subordinate che apicali, è decisamente aumentata, ma dobbiamo ricordare che la stessa rappresenta una conquista faticosamente ottenuta a partire dal secondo dopoguerra.
Esistono, però, vasti ambiti del mondo del lavoro in cui le discriminazioni di genere sono ancora frequenti.
Pensiamo alla selezione del personale, all’accesso al lavoro, ai percorsi di carriera e formazione, ai periodi di congedo per maternità. In tali ambiti è importante adottare efficaci misure di contrasto e piani di azioni positive allo scopo di monitorare il rispetto delle norme sulle pari opportunità.
Anche nella professione forense vi sono medesime problematiche.
La presenza femminile nell’avvocatura ha avuto un incremento, anche se pur lento, agli inizi degli anni ottanta.
L’Ordine degli Avvocati di Milano, attualmente, conta circa 23000 iscritti e vede le avvocate in costante crescita annuale e prossime al “pareggio numerico”. Le praticanti sono, addirittura, in numero superiore ai praticanti.
Tuttavia, ancora oggi, alla parità numerica non corrisponde la parità effettiva, in relazione a due importanti parametri da considerare, la rappresentanza e il reddito.
Si osserva, dunque, come la questione della differenza di genere non si ponga più in termini quantitativi, ma qualitativi, in quanto ad un’uguaglianza numerica, tante avvocate tanti avvocati, non corrisponde altrettanta uguaglianza nello svolgimento della professione.
Sia sufficiente il seguente dato, fondamentale per comprendere la situazione, che vede a Milano solo il 44% delle avvocate, socia o titolare di studio legale.
Essere titolari di studio implica, di certo, la messa in atto di un’attività imprenditoriale con problematiche che molte avvocate hanno difficoltà a sostenere.
Anche le materie trattate rafforzano queste considerazioni.
Siamo in presenza di un’avvocatura femminile che, spesso, si occupa principalmente di diritto di famiglia e minorile e, in ogni caso, di questioni giuridiche riferite a clientela privata.
Tale scelta non appare sempre libera ed autodeterminata, ma spesso condizionata dalla società, dai ritmi di lavoro, da regole sociali, del tutto maschili e dalla carenza di welfare che limitano, ancora oggi, la scelta di un’avvocata in settori giuridici di tradizionale appannaggio maschile, come la difesa di persone giuridiche ed enti pubblici, di certo più remunerativi.
E ciò ha, ovviamente, ripercussione anche sul reddito.
I dati nazionali di Cassa Forense fotografano, annualmente, la situazione reddituale dell’avvocatura.
E, da anni, registrano che il reddito delle avvocate, indipendentemente da età e collocazione geografica, è inferiore alla metà rispetto al loro omologo uomo.
Tale sproporzione appare difficilmente giustificabile come scelta di carattere personale.
Anche in relazione alla rappresentanza nelle istituzioni forensi, la strada da fare è ancora lunga, ma, da ultimo si è avuto qualche risultato tangibile.
La presenza delle avvocate, nell’attuale composizione del Consiglio Nazionale Forense, massimo organismo della nostra professione, vede quali consigliere 9 avvocate, e due in ruoli di vertice.
Maria Masi, già Presidente dell’Ordine di Nola, è stata eletta, nell’aprile 2019, vicepresidente del neo Consiglio Nazionale Forense e Rosa Capria, segretaria al secondo mandato.
Risultato storico quella della vicepresidente, in quanto, per la prima volta, dal 1926, un’avvocata occupa una della cariche più importanti di questa istituzione.
Le avvocate in Italia, come dicevamo, hanno ormai conquistato la parità numerica, ma tale dato non è, ovviamente, l’unico parametro utile per fotografare la professione.
Prendiamo, ad esempio, i Consigli degli Ordini circondariali, dove, nelle posizioni apicali, la presenza delle avvocate è ancora scarsa, essendo le cariche più importanti, in larga parte, ricoperte da avvocati.
La legge n.247/2012, veicolata da un importante moral suasion sul territorio, operata dai Comitati pari opportunità presso i singoli Ordini e dalla Commissione nazionale, è stata un importante provvedimento normativo che ha previsto, negli organismi forensi, quali Ordini e Consiglio nazionale, l’equilibrio del genere meno rappresentato e l’avvocatura è stata, in tal senso, l’unica libera professione ad adattarsi in tal senso.
La presenza femminile, pertanto, ha avuto un buon incremento grazie a tale provvedimento, in quanto, le avvocate che ricoprono posizioni di vertice sono, ad oggi, un numero abbastanza congruo.
Le Presidenti sono ancora poche, solo 27 su 140, come anche le vicepresidenti, solo 17, mentre le avvocate che ricoprono la carica di Tesoriere e Segretario sono, rispettivamente 53 e 48.
Anche le consigliere ordinarie sono visibilmente aumentate, costituendo in alcuni Ordini, come quello ambrosiano in cui sono 13 su 25 componenti, più della maggioranza.
Il nostro Ordine ambrosiano ha anche una vasta rappresentanza nell’Ufficio di Presidenza che vede ben tre avvocate nelle cariche di Vice Presidente, Tesoriere e Segretario.
Tutti i dati indicati sono stati ricavati dai siti dei singoli ordini presenti nel portale www.consiglionazionaleforense.it.
Le delegate presenti nel Comitato di Cassa Forense sono, a seguito delle ultime elezioni del settembre 2018, in numero di 17 e solo una nel consiglio di amministrazione.
Il ruolo disciplinare è svolto dai Consigli distrettuali in numero di 26 sul territorio nazionale che vedono su 702 consiglieri, nel nostro distretto sono 14 le avvocate su 47 componenti di cui 3 nell’Ufficio di Presidenza.
In data 3 ottobre 2019, è stato presentato, presso Cassa Forense, l’ultimo Rapporto Censis sull'avvocatura 2019 e, anche in questo caso, si ha conferma della differenza reddituale esistente .
Tuttavia, ad un’attenta lettura dei dati emersi da tale ricerca, si trovano interessanti spunti che danno fiducia per il futuro.
Il Rapporto registra, dal 2000 in avanti, come il numero degli iscritti agli albi forensi sia in costante aumento, ma con tassi d'incremento sempre più contenuti.
Se nel 2000 la variazione degli iscritti rispetto all'anno precedente era stata pari all'8,7%, la crescita tra il 2017 e il 2018 è stata solo dello 0,3%.
E il reddito medio degli avvocati, dopo le variazioni negative soprattutto negli anni 2010-2014, è aumentato dello 0,5% tra il 2016 e il 2017.
La Presidenza di Cassa forense ha rilevato che, da tale rapporto 2019, emergono alcuni elementi che lasciano sperare in un futuro migliore per la professione forense.
Positivi sono gli indicatori relativi a un miglioramento del reddito, sia pure in misura molto contenuta, di giovani e donne, due categorie che hanno rappresentato, nel recente passato, gli elementi di maggiore vulnerabilità del sistema.
Importante è anche la percezione positiva del futuro da parte dell'intera categoria, a riprova dell'importante lavoro svolto da istituzioni e associazioni forensi.
Come riportano i numeri, infatti, nel 2018 quasi il 30% degli avvocati ha dichiarato un fatturato in crescita rispetto all'anno precedente, per il 34,8% è rimasto invariato e per il 35,6% ha subito un ridimensionamento.
Per le avvocate, la percentuale in sofferenza scende al 34,1%, contro il 36,7% degli uomini. Tra le professioniste la condizione di stabilità o di miglioramento riguarda il 65,9.
Ed è inoltre in crescita il fatturato per gli avvocati che esercitano da meno tempo o che sono più giovani d'età: il 42,5% degli avvocati sotto i 40 anni ha dichiarato un aumento nel 2018, mentre tra i più anziani la quota si abbassa sotto il 20%.
Per i prossimi due anni, il 31% degli avvocati prevede un miglioramento dell'attività, mentre il 42,1% è più prudente, prevedendo stabilità.
Per le donne il 32,7% prevede un miglioramento, contro il 29,7% degli uomini. Tra gli ottimisti i più giovani, sia in termini di anzianità professionale (il 50,4% degli avvocati con meno di dieci anni di attività), sia in termini di età anagrafica (il 49,9% degli avvocati sotto i 40 anni).
Secondo un altro documento, il Rapporto 2018 sulle libere professioni, realizzato dall'Osservatorio delle libere professioni di Confprofessioni non ci sono dubbi, la presenza femminile avanza e, in alcuni casi, si è avuto il sorpasso.
La ragione è oramai nota, le donne, in media, si laureano prima e con voti più alti, hanno sviluppata determinazione e intraprendenza e sono, maggiormente, disposte al sacrificio e al lavoro.
In poche parole sono brave, spesso più degli uomini, a detta degli uomini stessi.
La loro presenza nelle libere professioni è ancora una minoranza (35% la media nazionale) ma, dal 2009 al 2017, hanno registrato una crescita del 53%.
Un gap che parte certamente dalla scelta degli studi e su cui deve continuare un intenso lavoro di sensibilizzazione.
Le studenti, ancora oggi ma meno che in passato, continuano a scegliere, più spesso, materie umanistiche perché per decenni è stato detto loro di non essere “portate” per le materie scientifiche, c.d. STEM. Abbattere tali stereotipi, del tutto immotivati, è fondamentale in quanto, tale scelta applicativa avrà, di certo, una più equilibrata distribuzione anche nel settore delle libere professioni.
Qualche novità inizia a mostrarsi. Se, infatti, le laureate in ingegneria continuano a essere solo il 28%, sono in maggioranza le iscritte a Ingegneria edile (56,9%) e Ingegneria Biomedica (quasi 60%).
Insomma, vi sono buone premesse per intravvedere l’inizio del superamento di una lunga crisi, economica e professionale che, inevitabilmente, ha colpito, negli ultimi decenni, molte libere professioni, specie ordinistiche.
Ma le criticità restano.
Varie soluzioni sono state proposte, sia di indirizzo politico che di indirizzo normativo, di cui proviamo a fare una breve panoramica.
Proposte e suggerimenti valevoli, ovviamente con i dovuti mutamenti, sia per le realtà aziendali che per le libere professioni.
I principi di indirizzo politico, aventi riferimento in concetti di sociologia, sostanzialmente, si possono delineare come segue:
1. leggere le differenze di genere all’interno di una visione globale dell’organizzazione;
2. valorizzare le differenze tra uomini e donne cercando di analizzarle in modo proficuo;
3. agire in un’ottica di sistema, con interventi mirati e strategie di medio lungo periodo.
I provvedimenti concreti da attuare per superare le criticità, invece, potrebbero essere i seguenti:
1. sperimentare modelli organizzativi c.d. family friendly, e, quindi, una gestione flessibile dei tempi in organizzazioni rigide, con la possibilità di lavoro da casa a mezzo di strumenti informatici;
2. attuare politiche concrete di c.d. managing diversity, con sviluppo e valorizzazione delle differenze, che creano innovazione e creatività;
3. attuare strategie del c.d. mainstreaming con integrazione sistematica delle differenze di genere e, quindi, una gestione del personale in un’ottica di genere come vantaggio competitivo, oltre che come forma di rispetto per le specifiche esigenze del personale stesso.
L’obbiettivo, pertanto, deve essere ambizioso e puntare alla valorizzazione delle peculiari capacità e attitudini dei generi per raggiungere l’integrazione paritaria nel mondo del lavoro.
Si intende l’integrazione come l’insieme delle relazioni in cui ognuno deve essere rispettato, allo stesso modo, in quanto portatore di peculiarità lavorative e valorizzato nei propri punti di forza, indipendentemente dal genere.
Solo affiancando le capacità femminili a quelle maschili si potranno produrre le sinergie indispensabili per il progresso economico e sociale del Paese.