testo integrale con note e bibliografia
Introduzione
Questo intervento costituisce una breve riflessione prima facie sui referendum promossi dalla CGIL sul Jobs Act.
Dunque, a quasi un decennio dalla sua approvazione, il Jobs Act continua a suscitare dibattiti e controversie nel panorama politico e sindacale italiano.
La Confederazione Generale Italiana del Lavoro, il maggiore dei sindacati italiani, ha promosso una nuova serie di referendum abrogativi per contestare alcune delle disposizioni centrali della riforma del lavoro, introdotta tra il 2014 e il 2015 dal governo Renzi.
Si tratta di un’iniziativa referendaria, che rappresenta un tentativo significativo di rimettere in discussione le politiche del lavoro all’insegna della flessibilità, che, secondo la CGIL, hanno indebolito i diritti dei lavoratori e aumentato la precarietà.
Questo breve scritto esamina il contesto, i quesiti referendari, le motivazioni della CGIL e le prospettive di impatto di questi referendum.
1. Contesto del Jobs Act e le critiche sindacali
Il Jobs Act ha rappresentato una “svolta” nella legislazione sul lavoro in Italia, introducendo misure che hanno reso il mercato del lavoro più flessibile, riformando gli ammortizzatori sociali, ma anche più precario secondo i critici.
Le principali modifiche hanno incluso la riforma dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, con l'introduzione del contratto a tutele crescenti, che ha previsto – come è noto - quale tutela ordinaria quella risarcitoria, in luogo di quella reale.
Dal momento della sua introduzione, il Jobs Act ha suscitato una forte opposizione, in particolare da parte della CGIL, che ha visto nella riforma un attacco diretto ai diritti dei lavoratori, ma anche espressivo della c.d. “disintermediazione”, con la fine del dialogo sociale, che a sua volta, aveva sostituito la concertazione degli anni Novanta del secolo scorso.
La CGIL sostiene che il Jobs Act ha incrementato la precarizzazione del lavoro, riducendo le tutele per i lavoratori e incentivando forme contrattuali più instabili.
2. I Referendum della CGIL nel 2024
Nel 2024, quindi, la CGIL ha promosso una nuova serie di referendum, con l'obiettivo di abrogare alcune delle disposizioni centrali del Jobs Act.
Il cuore dell’iniziativa referendaria è il ripristino delle tutele dell'articolo 18 St.
La CGIL propone di reintrodurre le tutele originarie per i lavoratori licenziati senza giusta causa, estendendo nuovamente la possibilità di reintegro per tutti i lavoratori licenziati in modo illegittimo: in pratica l’eliminazione del cuore del Jobs Act.
Il quesito referendario afferma: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?», come si legge nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Tuttavia, proprio il quesito sull’articolo 18 venne ritenuto non ammissibile dalla Consulta nel 2016, vulnerando di fatto l’obiettivo principale del referendum al tempo promosso dalla CGIL.
Inoltre, si devono richiamare i ripetuti interventi della Corte costituzionale, che si potrebbero definire “chirurgici” in materia di licenziamento, con un ruolo del giudice delle leggi vieppiù regolativo, in linea con alcuni giudici remittenti e con l’annuncio di eventuali interventi in caso di inerzia perdurante del legislatore.
Meno semplici, quanto meno come formulazione, i successi tre quesiti. Il secondo riguarda l’indennità per i licenziamenti, partendo dalla legge 604 del 1966. Il testo propone agli elettori:
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?».
In pratica, un certosino lavoro di riformulazione del testo, per raggiungere l’obiettivo, che consiste nel cancellare il tetto all’indennizzo previsto per i licenziamenti nelle piccole aziende sotto i 15 dipendenti. Oggi il tetto è collocato tra le sei e le dieci mensilità al massimo; la Cgil propone invece di abrogare questo limite e lasciare liberi i giudici di deciderne l’ammontare dell’indennizzo.
Il terzo quesito è ancora più complesso, per l’eliminazione del ricorso ai contratti a termine al di fuori di comprovate esigenze aziendali:
«Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente”?».
E infine il quarto e ultimo quesito, legato al tema degli appalti:
«Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?».
Un quesito per ottenere che i committenti degli appalti siano responsabili in solido, in caso di infortunio o malattia di un lavoratore dell’azienda a cui è stato affidato l’appalto. Oggi il lavoratore non può chiedere i danni all’impresa committente.
3. Le Motivazioni della CGIL
La CGIL sostiene che il Jobs Act abbia fallito nel suo obiettivo di creare un mercato del lavoro più inclusivo e dinamico e che la riforma abbia prodotto un aumento della precarietà e delle disuguaglianze tra i lavoratori.
Il risarcimento quale tutela ordinaria in caso di licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, con una maggiore facilità nei licenziamenti e l'espansione delle forme contrattuali atipiche sono viste come strumenti che hanno indebolito la posizione dei lavoratori, rendendoli più vulnerabili a licenziamenti arbitrari e condizioni lavorative sfavorevoli.
I referendum del 2024 si inseriscono in un contesto socio-economico in cui la questione della sicurezza del lavoro è diventata ancora più urgente, mentre il quadro globale dell’economia, anche a causa delle tragiche guerre, è gravido di incertezze.
4. Prospettive e Impatto dei Referendum
Il successo dei referendum della CGIL – se dichiarati ammissibili dalla Consulta - dipenderà in gran parte dalla capacità del sindacato di mobilitare l'opinione pubblica e di ottenere un'affluenza significativa alle urne.
In passato, i referendum sul lavoro hanno spesso incontrato difficoltà nel raggiungere il quorum necessario per essere validi, ma il contesto politico del 2024 potrebbe essere più favorevole a un cambiamento, con una crescente insoddisfazione dei cittadini nei confronti delle politiche neoliberiste di questi ultimi anni.
Se i referendum dovessero avere successo, potrebbero portare a una significativa inversione di rotta nelle politiche del lavoro in Italia, con un ritorno ad un sistema di maggiori tutele per i lavoratori. Tuttavia, c'è anche il rischio che, in caso contrario, la posizione del sindacato ne risulti indebolita, e le politiche del Jobs Act consolidate come parte integrante della legislazione sul lavoro in Italia.
Conclusione
I referendum della CGIL del 2024 rappresentano una sfida significativa alle riforme del Jobs Act, evidenziando le persistenti tensioni tra le politiche di flessibilità del mercato del lavoro e l’ineludibile esigenza di protezione dei diritti dei lavoratori.
Il loro esito potrebbe avere importanti implicazioni non solo per il futuro del lavoro in Italia, ma anche per i rapporti tra un governo che mostra di non volere realizzare sulle politiche sociali ed economiche alcun confronto reale e di merito con sindacati e associazioni dei datori di lavoro.
Ma, indipendentemente dall'esito, questi referendum evidenziano l'importanza del dibattito pubblico e della partecipazione democratica nella definizione delle politiche del lavoro e di quelle economiche più in generale.