Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa
Mai come oggi il tema delle modalità di intimazione del licenziamento risulta essere attuale, grazie anche all’utilizzo di nuovi ed imprescindibili canali di comunicazione, quali gli sms, le email e da ultimo ma non meno importanti i messaggi Whatsapp.
Come noto, l’art. 2 della Legge n. 604/1966 dispone che «Il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Il licenziamento intimato senza l’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace […]» .
Le domande che si pongono sono molteplici: quali dovrebbero essere le caratteristiche della comunicazione del licenziamento? Raccomandata a mani, raccomandata con avviso di ricevimento, lettera, telegramma, email, sms, messaggio Whatsapp (etc.) sono mezzi tutti ugualmente idonei a garantire il rispetto della prescrizione normativa sulla forma scritta quale elemento essenziale e imprescindibile? I mezzi citati consentono al dipendente di avere conoscenza del licenziamento quale atto unilaterale recettizio consentendo al contempo al datore di lavoro di dimostrare l’avvenuta ricezione della comunicazione di licenziamento?
Il licenziamento – volto a determinare la cessazione del rapporto di lavoro – è negozio giuridico unilaterale recettizio per cui è richiesta la forma scritta e un contenuto minimo vincolato poiché dalla comunicazione deve emergere la chiara e definitiva volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto lavorativo.
Considerata la sua natura di atto recettizio, è necessario che il licenziamento venga portato a conoscenza della parte a cui è rivolto affinché produca degli effetti e, per potersi considerare conosciuto, la comunicazione (di licenziamento) e «ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona [devono giungere] all’indirizzo del destinatario» operando in questo modo la presunzione di avvenuta conoscenza .
A tal riguardo, si ricorda il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che, in plurime pronunce , ha riconosciuto l’operare della presunzione di conoscenza del licenziamento (art. 1335 c.c.) quando la comunicazione è pervenuta all’indirizzo del lavoratore, salvo che questi non dimostri di essersi trovato, senza propria colpa, nell’impossibilità di averne conoscenza per circostanze eccezionali ed estranee alla sua volontà (come un’improvvisa e grave malattia) che lo abbiano tenuto lontano dal luogo di destinazione della dichiarazione stessa ed abbiano interrotto in modo assoluto il suo collegamento (anche telefonico o epistolare) con tale luogo .
Dunque l’avvenuta conoscenza da parte del lavoratore della comunicazione del licenziamento è requisito essenziale per la sua validità ed efficacia e l’onere di dimostrare la corretta ricezione della comunicazione della volontà di cessare il rapporto di lavoro, come confermato dall’unanime giurisprudenza, grava sul datore di lavoro .
Il punto focale della struttura appena descritta è la forma scritta, la cui funzione è quella di garantire la certezza della conoscenza. Nondimeno, occorre valutare se qualsiasi “tipo” di forma scritta sia idoneo agli scopi sopra citati. Nel caso di utilizzo (da parte del datore di lavoro) di forme “non tradizionali” di comunicazione, la giurisprudenza potrebbe ritenere illegittimo il licenziamento intimato con un sms o una semplice email se, per esempio, ad esso è seguita l’impugnazione del dipendente? Se non vi fosse la conoscenza, come potrebbe il lavoratore opporsi/impugnare il licenziamento?
2. I mezzi di comunicazione “tradizionali” del licenziamento nella giurisprudenza: premesse generali
L’art. 2 della Legge n. 604/1966 stabilisce solamente che il licenziamento debba avvenire per iscritto a pena di inefficacia. Di qui discendono alcune considerazioni di fondo.
La prima: la norma non indica le ulteriori “caratteristiche” della forma scritta (non specifica le modalità con le quali la comunicazione deve essere portata a conoscenza del lavoratore). Poiché la prova dell’invio della comunicazione spetta al datore di lavoro, è chiaro che quest’ultimo dovrà seguire il procedimento che meglio gli consenta di assolvere agli oneri posti a proprio carico, in modo da vincere eventuali opposizioni.
Nulla quaestio che con la raccomandata, la posta elettronica certificata o la lettera consegnata a mani e controfirmata per ricevimento (dal lavoratore) il datore di lavoro possa adempiere e provare più facilmente sia il rispetto della prescrizione sulla forma scritta che l’effettivo invio e la ricezione della comunicazione indirizzata al lavoratore.
La seconda osservazione parte dal presupposto che il licenziamento orale è nullo: esso cioè non ha alcun effetto. Dunque, qualora il datore non riesca a dimostrare di aver rispettato la forma scritta (si pensi al caso in cui venga smarrito l’avviso di ricevimento della raccomandata), si avranno le medesime conseguenze che le norme di legge fanno discendere dal licenziamento orale: risarcimento del danno e reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente, a prescindere dalle dimensioni dell’azienda.
Di recente, la S.C. ha affermato che «In tema di forma del licenziamento, l’art. 2 della legge n. 604 del 1966 esige, a pena di inefficacia, che il recesso sia comunicato al lavoratore per iscritto, ma non prescrive modalità specifiche di comunicazione; sicché, non sussistendo per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali, la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara» .
La casistica giurisprudenziale è ampia e variegata. Ad esempio, la più risalente giurisprudenza considerava valida ogni forma di comunicazione del licenziamento purché vi fosse la “trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità” . In conformità a tale principio, è stata quindi ritenuta valida la consegna a mano del documento al lavoratore all’interno della struttura aziendale , tramite persona incaricata dal datore di lavoro (nel caso di specie si trattava di una contestazione disciplinare e a mezzo raccomandata all’indirizzo del lavoratore .
Entrando nello specifico, nel caso di comunicazione del licenziamento tramite raccomandata (modalità considerata valida dalla giurisprudenza), l’unico modo che il datore di lavoro ha per dimostrare l’invio e la conseguente ricezione da parte del lavoratore è produrre l’avviso di ricevimento . Si noti infatti come, in tema di prova della data certa della comunicazione del licenziamento, la giurisprudenza in più occasioni ha stabilito che, data la natura di atto unilaterale recettizio del licenziamento, non è ammissibile la prova per testi, salvo che il relativo documento sia andato perduto senza colpa, né tale divieto può essere superato con l’esercizio officioso dei poteri istruttori da parte del giudice, che può intervenire solo sui limiti fissati alla prova testimoniale dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. e non sui requisiti di forma richiesti per l’atto. Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha affermato l’inefficacia del licenziamento per difetto di forma in relazione ad una lettera di licenziamento, priva di data certa, escludendo che la forma scritta del recesso datoriale, e la modalità della sua comunicazione, potessero essere provate in via testimoniale .
Medesimo ragionamento troverà applicazione anche nel caso di comminazione del licenziamento tramite lettera a mani, la cui prova della consegna potrà essere fornita solamente con l’esibizione della firma del lavoratore per accettazione. In merito a questa modalità, la Corte di Cassazione ha avuto occasione di occuparsi anche del rifiuto del dipendente di ricevere la lettera a mani, stabilendo che la mancanza di volontà del lavoratore di ricevere la comunicazione non impone al datore di lavoro di far seguire anche la raccomandata, ritenendo la comunicazione avvenuta e produttiva dei suoi effetti, in quanto nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile in linea di massima un obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni, anche formali, sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro .
Con riferimento al licenziamento tramite posta elettronica certificata, si deve osservare che non sussiste un obbligo legale di utilizzo della posta elettronica a carico dei lavoratori dipendenti così che risulterebbe di dubbia legittimità imporre ai dipendenti (anche con regolamento aziendale) l’obbligo di adozione di un indirizzo di posta elettronica certificata. Pertanto, un licenziamento comunicato attraverso tale modalità potrà considerarsi rispettoso delle prescrizioni legislative solo qualora il dipendente si sia munito di un indirizzo di posta elettronica certificata e lo abbia comunicato preventivamente al datore affinché venga utilizzato per le comunicazioni inerenti al rapporto di lavoro.
Sul licenziamento comunicato tramite telegramma, la giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che «la lettera raccomandata o il telegramma - anche in mancanza dell’avviso di ricevimento - costituiscono prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta di spedizione, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero che esso contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente» .
La Suprema Corte ha anche stabilito che l’art. 2 della Legge n. 604/1966, modificato dall’art. 2 della Legge n. 108/1990, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore e tale onere di forma impone che l’atto con il quale sia stato intimato il recesso sia sottoscritto dal datore di lavoro (o dal suo rappresentante che ne abbia il potere generale o specifica procura scritta). Ne consegue che in caso di contestazione da parte del destinatario, il datore di lavoro che abbia intimato il licenziamento con telegramma ha l’onere di fornire la prova della ricorrenza delle condizioni poste dall’art. 2705 c.c. per l’equiparazione del telegramma alla scrittura privata e cioè che l’originale consegnato all’ufficio di partenza sia sottoscritto dal mittente, ovvero che in mancanza di sottoscrizione l’originale sia stato consegnato o fatto consegnare all’ufficio di partenza dal mittente .
Di medesimo avviso anche la recente giurisprudenza di merito che ha stabilito «il licenziamento intimato per telegramma è valido, in applicazione dell’art. 2705 cod. civ., laddove il lavoratore non contesti la provenienza del telegramma» .
3. Forme di comunicazione del licenziamento nell’era digitale
Con l’utilizzo quotidiano dei nuovi strumenti tecnologici e la semplificazione, ovvero semplicità, delle comunicazioni che questi consentono, la giurisprudenza si è trovata a rivedere, in taluni casi, e ad arricchire i propri orientamenti tradizionali circa l’idoneità dei mezzi di comunicazione del licenziamento.
Con una sentenza del 2017 , la Suprema Corte ha affrontato il caso di un licenziamento intimato tramite email priva di firma elettronica, a cui era stata allegata un’ulteriore comunicazione, contenente la volontà di recedere del datore di lavoro. La Corte, richiamando un orientamento consolidato, ha spiegato che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza di previsione di specifiche modalità, «con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità pertanto anche tramite email». Infatti, il prescritto requisito della forma scritta deve ritenersi sussistente qualora il licenziamento sia comminato con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità .
Nel caso si specie, l’art. 2 della Legge n. 604/1966 era stato rispettato e il requisito della forma scritta era stato assolto dal datore di lavoro che aveva trasmesso l’atto di licenziamento tramite email, la quale era stata ricevuta dal dipendente, come dimostrato dal contenuto delle successive comunicazioni da quest’ultimo inviate ai colleghi di lavoro, che venivano informati della cessazione del suo rapporto di lavoro. Tale meccanismo potrebbe anche scaturire dall’impugnazione del licenziamento stesso, che intrinsecamente richiede essa stessa la conoscenza dell’atto .
Con diverse pronunce , la giurisprudenza ha avuto modo di affrontare la problematica dell’intimazione del licenziamento comunicato mediante messaggi (Sms, Whatsapp, Telegram, Viber e altri) e ha ritenuto che l’utilizzo di questi sistemi di messaggistica istantanea fossero idonei alla comunicazione del licenziamento poiché rispettosi del requisito della forma scritta. La giurisprudenza, infatti, ritiene che il documento informatico possa essere ricondotto al datore di lavoro, soprattutto nel caso in cui il lavoratore proceda poi tempestivamente all’impugnazione stragiudiziale del licenziamento. Secondo la recente pronuncia del Tribunale di Catania , nel caso sotteso, si ha a che fare con un «documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale», idoneo ad esprimere al lavoratore “la volontà di licenziare”.
In un altro caso, la Corte d’appello di Firenze, con la Sentenza del 5 luglio 2016, n. 629, si è occupata di un licenziamento intimato con un sms e come tale percepito dal lavoratore, che provvedeva all’impugnazione. Il messaggio contestato dal lavoratore è stato ritenuto dai giudici strumento idoneo per la comminazione del licenziamento per la sua capacità di dare certezza circa l’origine della comunicazione (imputabile al datore di lavoro) e per la chiarezza del contenuto, tale da non lasciar dubbi sulla volontà del datore di lavoro di porre termine al rapporto di lavoro.
I giudici fiorentini, ricordando e chiarendo la finalità della prescrizione della forma scritta, hanno affermato che lo scopo della norma è soddisfatto qualora il documento scritto manifesti formalmente la volontà dell’agente , effettuando un paragone tra il telegramma dettato telefonicamente e il messaggio inviato tramite telefono cellulare, stante la certezza della provenienza della comunicazione da un’utenza telefonica ricollegabile all’azienda.
Last but not least il particolare caso di licenziamento intimato con messaggio Whatsapp, di cui si è occupato il Tribunale di Catania con la sentenza del 27 giugno 2017, il quale ha ritenuto che il mezzo utilizzato abbia soddisfatto ed assolto all’onere della forma scritta, in coerenza con l’assenza nelle prescrizioni normative di forme sacramentali.
La pronuncia siciliana trae origine da un contenzioso avviato dal lavoratore per la richiesta di accertamento dell’invalidità del licenziamento, con la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.
Nel caso di specie, sebbene l’impugnazione del licenziamento sia stata giudicata tardiva, il Giudice ha riconosciuto la comunicazione informatica come valida a porre fine al rapporto di lavoro. La modalità utilizzata è stata ritenuta idonea a soddisfare tutti requisiti formali previsti ex lege “… in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca…”.
Secondo il Tribunale di Catania, il messaggio inviato tramite Whatsapp ha tutte le caratteristiche proprie di un documento informatico dattiloscritto, pertanto idoneo ad assolvere il requisito della forma scritta. Ciò poiché, secondo un precedente orientamento giurisprudenziale – richiamato anche da altre pronunce in casi analoghi (licenziamento tramite sms) –, non sussiste per il datore di lavoro alcun onere di adoperare formule sacramentali e potendo la volontà di licenziare essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara (Cass. 17 giugno 1995 n. 6900) .
Seppur l’orientamento adottato dal Tribunale di merito siciliano sia innovativo, non mancano (o forse permangono) dei dubbi sull’intrinseca idoneità del mezzo utilizzato a perseguire le finalità dettate dalle norme sui licenziamenti e sulla presenza delle caratteriste necessarie per la sua validità.
Come già ampiamente sottolineato, il licenziamento è un atto unilaterale recettizio e come tale gli effetti si perfezionano nel momento in cui la comunicazione entra nella sfera di conoscenza del destinatario, pertanto, l’utilizzo di un canale che non dia certezza circa l’avvenuta consegna del messaggio (che non presenta infatti le caratteristiche di certezza della p.e.c.), potrebbe anche avere ripercussioni (sia pratiche che in punto di diritto).
Le nuove modalità di comunicazione, utilizzate anche come mezzi per intimare licenziamenti – quale alternativa alla tradizionale raccomandata a/r o lettera a mani –, non sempre offrono tutti le medesime garanzie in termini di certezza.
Innanzitutto potrebbero esserci delle incertezze circa l’individuazione del mittente e del destinatario del messaggio (si ricorda che il licenziamento potrebbe essere considerato orale e, quindi, consentire al dipendente di ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna del lavoratore al pagamento di una indennità); vi possono essere ripercussioni sul termine di decadenza dell’impugnazione del licenziamento; potrebbero emergere dei profili di scarsa attendibilità sul piano probatorio (si ricorda la possibilità di cancellazione del messaggio).
Nondimeno, le pronunce giurisprudenziali sopra citate, le perplessità emerse e gli orientamenti delle Corti sono di indiscussa rilevanza per l’attualità del tema che esse affrontano, non potendosi negare la crescente importanza e l’uso sempre più massiccio degli strumenti tecnologici nel rapporto di lavoro, che sono diventati parte integrante anche della gestione organizzativa.
In linea generale, si può osservare un progressivo trend giurisprudenziale che sembrerebbe teso a svalutare, nelle nuove tecnologie, il requisito della forma ufficiale (o quantomeno tradizionale) come la raccomandata a/r, lettera consegnata a mani, telegramma etc. a vantaggio della sostanza. In altri termini oggi, con le nuove tecnologie, è molto più facile arrivare nella “sfera di conoscenza del lavoratore”, aspetto che la giurisprudenza più recente sembrerebbe valorizzare. Del pari, non possono essere sottovalutati i rischi e le perplessità poc’anzi evidenziati i quali avrebbero delle ripercussioni negative sulla tutela della certezza, che, invece, non vengono incontrati con i requisiti tradizionali di comunicazione, grazie alle loro intrinseche caratteristiche che consentono sempre e comunque il rispetto dei requisiti tradizionali prescritti dalle norme.
Resta aperto un interrogativo finale a cui, in questa sede, si può solo fare cenno: ricevere tramite sms o Whatsapp comunicazioni quale quella del licenziamento è conforme al rispetto della dignità umana art. 41, co. 2 della Costituzione?