TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. Il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo
Con il trasferimento dell’azienda, o di un suo ramo, si realizza una modifica del rapporto di lavoro ex parte datoris con il subentro di un diverso soggetto giuridico.
L’art. 2112 c.c., come è noto, prevede la continuazione del rapporto di lavoro con il subentrante, con il mantenimento dei diritti dei lavoratori.
La fattispecie complessa realizza un effetto sostanzialmente estromissivo dal rapporto di lavoro con il cedente, che giustifica l’estensione operata dalla l. n. 183 del 2010 , art. 32 comma 4, della disciplina della decadenza dall’impugnazione prevista dall’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificata dalla norma stessa, con termine decorrente dalla data del trasferimento1.
La disciplina lavoristica dettata dall’art. 2112 c.c. è coerente con la Direttiva 2001/23, il cui obiettivo è quello di “garantire, per quanto possibile, il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di cambiamento dell'imprenditore, consentendo loro di rimanere al servizio del nuovo imprenditore alle stesse condizioni pattuite con il cedente”
Come osservato in giurisprudenza, in quella che è stata definita3 “una delle sue concettualizzazioni certamente più efficaci”, la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda è l’ espressione del principio dell'inerenza dei rapporti di lavoro al complesso aziendale, che prescinde dal suo status giuridico e al quale rimangono legati in tutti i casi in cui questo - pur modificato nella “titolarità” - resti immutato nella sua struttura organizzativa e nell'attitudine all’esercizio dell'impresa4.
Molte sono le fattispecie di tal tipo di cui si è occupata la giurisprudenza, sino alla Corte di legittimità, che ha enucleato una serie di principi ai fini della delimitazione del concetto di cessione d’azienda e di ramo d’azienda.
Si sono così valorizzati due elementi, il requisito della preesistenza dell’impresa o del ramo ceduto e quello della sua autonomia funzionale, che si integrano reciprocamente, nel senso che il complesso ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario il servizio o la funzione cui risultava finalizzato già nell'ambito dell'impresa cedente anteriormente alla cessione5. Questi sono i criteri dettati dalla Corte di Cassazione ormai in proposito consolidata 6 che orientano da tempo la giurisprudenza di merito nelle sue analisi.
La casistica giurisprudenziale a tale proposito è assai ampia.
Si controvertono nelle aule di giustizia casi in cui si è realizzata una vicenda traslativa, totale o parziale, dell’ organizzazione aziendale, qualificata formalmente in modo diverso dal 2112 c.c., in relazione alla quale invece i lavoratori sostengono la continuità aziendale e quindi rivendicano il passaggio all’impresa subentrata al fine di ottenere la continuità occupazionale 7 .
Vi sono però anche casi nei quali i lavoratori agiscono per contestare l’effettiva sussistenza della cessione formalmente realizzata tra due società e quindi il passaggio del loro rapporto di lavoro all’impresa cessionaria, realizzato senza il loro consenso. Qui i lavoratori avrebbero invece interesse a mantenere il precedente rapporto di lavoro, trattandosi generalmente di casi nei quali il cessionario offre meno garanzie, in termini di prospettive occupazionali o anche retributivi8. Ed è per questo che per la configurazione della cessione di ramo d’azienda la condizione della preesistenza sostanziale del ramo ceduto è idonea a scongiurare che si possano creare fittiziamente strutture che, in realtà,
del termine "conservi" nell'art. 6, par. 1, commi 1 e 4 della direttiva 2001/23/CE, "implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento" (Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, C-458/12; Corte di Giustizia, 13 giugno 2019, C-664/2017)”
7 Un recente contenzioso di tal genere è quello affrontato nelle sentenze del Tribunale Milano del 15.11.2022 e del Tribunale di Roma n. 8429/2022 del 23.10.2022, che hanno rigettato i ricorsi promossi da dipendenti di Alitalia – Societa’ Aerea Italiana s.p.a. in amministrazione straordinaria per sostenere la sussistenza di una cessione di ramo d’azienda alla newco Italia Trasporto Aereo s.p.a.. La questione ha registrato anche la pronuncia della Commissione europea del 10.9.2021, che ha concluso che Italia Trasporto Aereo S.p.A. ("ITA") non è il successore economico di Alitalia, sussistendo discontinuità imprenditoriale, e quindi non è responsabile del rimborso degli aiuti di Stato illegali ricevuti da Alitalia. Il comunicato stampa si può leggere in https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_4665
8 Ciò che è ben possibile malgrado la continuità occupazionale: Cass., sez. lav., 29 novembre 2021 n. 37291 ha infatti chiarito che : “In caso di cessione di ramo d'azienda, ai dipendenti ceduti trova applicazione, ai sensi dell'art. 2112, comma 3, c.c., il contratto collettivo in vigore presso la cessionaria, anche se più sfavorevole, atteso il loro inserimento nella nuova realtà organizzativa e nel mutato contesto di regole, anche retributive, restando in vigore l'originario contratto collettivo nel solo caso in cui presso la cessionaria i rapporti di lavoro non siano regolamentati da alcuna disciplina collettiva”
costituirebbero una forma incontrollata di estromissione di frazioni aziendali - e di lavoratori - non coordinate fra loro, unificate soltanto dalla volontà “espulsiva” dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto a un’entità economica dotata di autonoma e obiettiva funzionalità.
In tal caso, coerentemente, sotto il profilo processuale si è affermato che incombe su chi intende avvalersi degli effetti previsti dall'art. 2112 c.c., che costituiscono eccezione al principio del necessario consenso del contraente ceduto stabilito dall'art. 1406 c.c., fornire la prova dell'esistenza di tutti i requisiti che ne condizionano l'operatività: grava, cioè, sulla società cedente l'onere di allegare e provare l'insieme dei fatti concretanti un trasferimento di ramo d'azienda
2. Il subentro nell’appalto.
Con l’art. 30, co. 1, l. n. 122 del 2016 (in vigore dal 23 luglio 2016), il legislatore ha sostituito il previgente comma 3 dell’art. 29 del d.lgs n. 276 del 2003, disponendo che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”.
La modifica legislativa ha soppresso la norma che escludeva, in ogni caso, che l’acquisizione da parte del subentrante del personale già impiegato nell’appalto potesse costituire trasferimento (“l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda”).10
Tale modifica legislativa è stata introdotta per evitare una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea. In particolare, secondo le Istituzioni Europee (Caso UE Pilot 7622/15/EMPL), la normativa italiana non poteva escludere l’applicazione della disciplina di tutela prevista per i lavoratori nelle ipotesi di trasferimento d’azienda a casistiche del tutto assimilabili al c.d. “cambio d’appalto”. Da qui l'esigenza avvertita dal legislatore italiano di specificare che il passaggio di un gruppo di persone non configura un ramo di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c. solo nel caso in cui siano rinvenibili elementi di "discontinuità" che determinino una specifica identità dell'impresa subentrante nell'appalto.
Cautela necessaria, già peraltro avvertita dalla Corte di Cassazione che ha affermato che anche con riferimento al testo previgente la successione nell’appalto in virtù del contratto di appalto o di clausole sociali non ostasse all’applicazione dei principi del 2112 c.c.11.
3. I rapporti tra le due fattispecie.
Occorre oggi comunque chiarire se la novella abbia voluto confermare esplicitamente l’applicabilità dei principi dell’art. 2112 c.c. anche al subentro nell’appalto, non ostandovi il fatto che l’eventuale passaggio dei dipendenti sia avvenuto in virtù delle clausole del contratto di appalto o di clausole sociali previste dai contratti o accordi collettivi, oppure se sia stata introdotta una fattispecie successoria più ampia di quella dettata dalla norma codicistica.
Il dato di immediata percezione nella novella è quello della sostanziale inversione di prospettiva, essendo stata introdotta una sorta di presunzione di operatività dell’art. 2112
c.c. nelle ipotesi di subentro in appalto con contestuale assunzione dei lavoratori ivi già impiegati, e configurata l’eccezione alla regola così definita nella verifica della sussistenza di elementi differenziazione del profilo gestorio e organizzativo dell’impresa. Inversione della prospettiva e del rapporto da regola a eccezione che determina sul piano processuale un’inversione dell’onere della prova in ordine agli elementi costitutivi della cessione d’azienda 12, incombendo sulla parte che la nega la relativa prova
L’ attuale comma 3 della disposizione, prevede ora quindi che debbano sussistere due condizioni, che devono ricorrere entrambe affinché la fattispecie successoria non si verifichi, ovvero:
- l’autonoma organizzazione dell’appaltatore;
- l’oggettiva discontinuità imprenditoriale.
Il primo requisito risulta di agevole interpretazione, in quanto ribadisce la necessità che il soggetto subentrante debba essere dotato di una propria ed autonoma organizzazione imprenditoriale e produttiva, con assunzione del conseguente rischio d’impresa, di modo che si possano escludere le fattispecie di illegittima interposizione di manodopera. Il richiamo è alla disciplina di cui al comma 1 dell’art. 29, D.Lgs. n. 276/2003 ed il contenuto del comma 3 novellato appare in tal senso come un corollario dello sforzo del legislatore di distinguere le fattispecie nelle quali legittimamente un imprenditore decide di affidare ad un diverso ed autonomo soggetto l’esecuzione di opere o servizi complementari o comunque funzionali al proprio ciclo produttivo da quelle di mera fornitura di manodopera.
Di individuazione più problematica è la nozione di “discontinuità imprenditoriale”
Il concetto di discontinuità imprenditoriale ai fini che ci occupano è in primo luogo opposto a quello di “identità d’ impresa”, che si realizza secondo la giurisprudenza di legittimità quando “permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici finalizzati all’esercizio stabile e continuativo dell’attività economica in forma di impresa
Occorre però delimitare i confini dell’analisi.
Restando ad un'interpretazione meramente letterale dell'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, gli "elementi di discontinuità" idonei a svelare la specifica "identità di impresa" potrebbero essere riferiti all'impresa subentrante nel suo complesso e, quindi, verificati avuto riguardo all'intera organizzazione di quest'ultima e non solo a quella frazione di organizzazione ceduta strumentale all'esecuzione del contratto di appalto in questione.
In questi termini, pertanto, verrebbe esclusa l'applicazione dell'art. 2112 c.c. ogni qual volta l'imprenditore subentrante sia effettivamente dotato di un complesso organizzato preesistente nel quale vengono inseriti, per effetto della clausola sociale, i lavoratori (se pur organizzati) precedentemente occupati dall'impresa che ha perso l'appalto. Dunque,
«l'acquisizione del personale già impegnato nell'appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore», in forza di un obbligo legale o contrattuale, non costituirebbe trasferimento d'azienda quando i lavoratori trasferiti, pur costituendo, da soli od assieme ad altri beni, un'entità economica autonoma e organizzata presso l'appaltatore uscente, nel passaggio perdano la loro connessione funzionale e organizzativa a causa della diversità che caratterizza l'impresa cessionaria rispetto a quella cedente.16
Una siffatta soluzione interpretativa porterebbe però a concludere nel senso che nei cambi appalto il legislatore avrebbe inteso introdurre una fattispecie del ramo di azienda assai più ristretta di quella contemplata dall'art. 2112 Cod. Civ. Ciò perché il ramo di azienda, nel cambio appalto, risulterebbe configurabile solo quando il complesso ceduto, oltre a soddisfare i requisiti dell'art. 2112 Cod. Civ., non è destinato ad integrarsi in una più ampia ed articolata dimensione aziendale idonea a svelare, per l'appunto, una specifica "identità di impresa".
In una diversa prospettiva, il requisito dell'identità di impresa potrebbe invece essere riferito in modo specifico alla frazione di organizzazione passata all’appaltatore subentrante funzionale allo svolgimento dell'appalto, sicché la specificità dell'identità di impresa andrebbe in concreto verificata in quel determinato e ben specifico perimetro aziendale e con riguardo al momento del subentro. Dovrebbe allora ritenersi che, da un lato, sussista un trasferimento ex art. 2112 c.c. laddove si conservi l’identità dell’entità trasferita e, dall’altro, che l’identità da ricercarsi attenga al nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra i fattori della produzione e nella loro idoneità ad assolvere alla funzione aziendale relativa all’esecuzione dell’appalto in tendenziali condizioni di autonomia operativa, senza necessità di integrazioni di rilievo da parte dell’impresa cessionaria..
Tale soluzione sembra maggiormente rispettosa dei rilievi della Commissione europea, che determinano un coordinamento e un’omogeneizzazione della fattispecie con la previsione dell’art. 2112 c.c.. In tal senso, non si dovrebbe ravvisare alcun elemento di discontinuità quand’anche il nuovo appaltatore abbia apportato delle modifiche organizzative al complesso acquisito, che siano però tali da non incidere sulla sua originaria autonomia funzionale. E’ vero che i limiti entro i quali sia possibile ritenere intatta la continuità nell’entità economica ceduta restano di difficile determinazione, essendo necessariamente rimessi a una valutazione delle concrete circostanze di fatto.17 Se però sono questi i principi ai quali la giurisprudenza comunitaria e nazionale impongono di far riferimento, pare inevitabile concludere che la discontinuità debba essere accertata o esclusa avuto specifico riguardo alla conservazione dell’identità dell’entità trasferita da intendersi, una volta ancora, quale organizzazione funzionale – struttura coordinata e autonomamente capace di conseguire un determinato obiettivo – che “sopravvive” identica a se stessa nel cambio di appalto. L'analisi non deve in tal caso quindi basarsi sull' organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi apporti per l’esecuzione dell’appalto realizzati grazie all’organizzazione del nuovo appaltatore, ma all'organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo.
Il che starebbe a dire che nel caso di attività che richiedono un apporto prevalentemente personale, come spesso accade nei servizi a basso valore aggiunto, il passaggio di un gruppo di persone organizzato, funzionalmente autonomo perché adeguato al funzionamento operativo dell’appalto, dovrebbe configurare un trasferimento di ramo di azienda anche nel caso in cui, come avviene nei cambi appalto, l'assunzione dei lavoratori sia imposta dal contratto di appalto o dal contratto collettivo applicato.
Questa seconda interpretazione è probabilmente quella più fedele alla ratio della disposizione in questione, tenuto anche conto della sua genesi, oltre che la più coerente con la formulazione dell'art. 2112 c.c., ed è idonea ad evitare l’ introduzione di un'ulteriore fattispecie di trasferimento di ramo di azienda.
Adottando questa interpretazione, deve ritenersi che la fattispecie di cui all’art. 2112, co. 5, c.c. e quella di cui al nuovo art. 29, co. 3, D. Lgs. 276/2003 siano destinate a operare in un rapporto di reciproca complementarietà, necessitata dall’esigenza di tener conto dell’effetto sostanziale potenzialmente identico delle diverse vicende circolatorie.