testo integrale con note e bibliografia

Periodicamente torna alla ribalta degli studiosi di diritto costituzionale e dell'opinione pubblica (più o meno coltivata) la questione – eterna e ineludibile – dei poteri che possiede e dei limiti che incontra la Corte costituzionale. Questa è certamente l’istituzione custode e garante dell'ordinamento costituzionale visto nella sua dimensione complessiva; ma al tempo stesso è il soggetto inevitabilmente giuridico e politico cui è affidata, in continuità, la possibilità e la capacità di promuovere l'aggiornamento interpretativo delle regole prime della nostra convivenza sociale, civile e politica.
Per parte sua , il blocco governativo- parlamentare, dominus della legislazione, forte della maggioranza elettorale e conseguentemente della legittimazione democratica che ne deriva, non dimentica mai di essere il rappresentante e il portatore della cosiddetta volontà generale .Con la possibilità, inerente alle prerogative del potere legislativo – ormai indissolubilmente intrecciato a quello che, in tempi storici, era vocato potere esecutivo - di saper trasformare la sua voluntas in lex: alla quale tutti, giudici compresi, debbono obbedire.
Ma si tratta, appunto, della “legge” che deve essere sussunta per così dire nell'ambito del “diritto”, cioè in un insieme sistematico di norme e regole che possano reggere positivamente il confronto con i parametri dell'eguaglianza ragionevolezza e proporzionalità delle singole parti che compongono le misure concretamente adottate. Avvicinandosi, in tale ascesa, al terzo gradino dell’esperienza giuridica: quello altissimo della “giustizia”.
Succede dunque che gli operatori e gli studiosi dei diritti c.d. applicati (rispetto al diritto costituzionale) sollevino obiezioni su eventuali sconfinamenti, oltrepassamenti e allargamenti di dominio che il diritto costituzionale – come agito dalla Corte – si arrogherebbe nei loro confronti.
Ciò è particolarmente visibile da molti anni per il campo del diritto del lavoro, nel quale, da una parte, è stata vivace l'iniziativa del legislatore con istituti nuovi o fortemente modificati: così in tema di Jobs Act, specialmente nella forma di una nuova disciplina dei licenziamenti ingiustificati nelle loro diverse tipologie e relative sanzioni ecc.
In particolare, in poco più di un lustro, si sono susseguite molte rilevanti pronunce. A partire dalla sentenza n. 194 del 2018 - in base alla quale spetta al giudice determinare l’indennità risarcitoria sulla base di ulteriori criteri “desumibili in chiave sistematica dall’evoluzione della disciplina limitatrice dei licenziamenti”, proseguendo con la n. 59 del 2021 che parla di “irrazionalità giuridica di sistema”. Successivamente la n. 125 del 2022 utilizza (e discute) il parametro della proporzionalità della sanzione che comporta il licenziamento disciplinare, fino alla recentissima sentenza n. 128 del 2024 laddove in un caso di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo e di insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro è stata statuita una illegittimità costituzionale parziale invocando la violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, del diritto al lavoro e della sua tutela.
In filigrana si scorge, da una parte, la spinta verso la tutela reale delle posizioni del lavoratore subordinato e dalla parte opposta l'accusa di manipolazione dei testi di legge come usciti dal Parlamento, arrivando a parlare di una vera e propria controriforma ad opera del giudice delle leggi.
Ora, la propensione contro-maggioritaria dell'opera di ogni Corte costituzionale operante nel mondo intero dovrebbe essere nota e accettata, fino ad essere data per scontata. È quello che il sistema politico complessivamente inteso richiede e vuole. Altrimenti non ci sarebbe progresso nell'interpretazione della legislazione ma solo una morta gora o improvvisi colpi di mano. Come sempre la vera questione sta nei limiti di esercizio di questo rilevantissimo potere che i giudici alto-togati si sono visti riconosciuti e che si danno.
Il tema è di grande rilevanza, sia nella sua portata generale che nella declinazione puntuale applicata al territorio del diritto del lavoro e al suo interno al campo dei licenziamenti propiziati o difficultati dall'agire della legge n. 183 del 2014 e delle relative pronunce della Corte che si sono susseguite in questo decennio.
Agendo su entrambi i pedali del ragionamento, qui sommariamente presentato, si è espresso con particolare precisione ed efficacia Gaetano Silvestri, che alla divisa di costituzionalista forte di profondi e sistematici studi ha potuto aggiungere quella di una lunga esperienza nella Corte costituzionale.
In un suo recente intervento sulla Rivista dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti (Lettera n. 8/2024) il presidente emerito della Corte ha espresso con grande chiarezza ed efficacia quale sia la posizione della Corte costituzionale nel sistema istituzionale.
Il suo ragionamento comincia così: «La recente giurisprudenza della Corte costituzionale italiana conferma e sviluppa una linea di intervento istituzionale ispirata alla finalità di mantenere vivo un processo di integrazione unitaria dell'ordinamento giuridico non fine a se stessa, ma teleologicamente orientata a trarre, in ogni parte del sistema, tutte le possibili conseguenze, logiche e giuridiche, derivanti dai princìpi e diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione. Si può non essere d'accordo su questa o quella pronuncia, si possono prospettare, nei singoli casi, soluzioni ritenute più adeguate, ma non si può negare – a mio avviso – che la tendenza sia quella che qui ho brevemente riassunto».
Richiesto di approfondire il discorso con riguardo al processo di attuazione dei principi costituzionali, tra i cinque casi ritenuti da lui meritevoli di segnalazione per l'anno 2024, egli ha voluto citare la sentenza n. 128 del 2024. Lo ha fatto con un paragrafo che merita di essere trascritto per intero e che parte dal richiamo alla dottrina delle “rime obbligate” risalente a Vezio Crisafulli.
Scrive Silvestri; «[i]l riferimento alle soluzioni costituzionalmente adeguate, che sopperiscono all'assenza delle ormai risalenti "rime obbligate", è ribadito in un'altra pronuncia della Corte, riguardante il c.d. Jobs Act del 2014, dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevedeva il reintegro del lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettiva, anche quando fosse dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto addotto dal datore di lavoro come causa legittima dell'interruzione del rapporto. La Corte si muove nella logica dell'integrazione finalistica anche nella utilizzazione dei parametri costituzionali invocati a sostegno della propria decisione di accoglimento. Difatti la fondatezza della questione è dichiarata in relazione agli artt. 3, 4 e 35 Cost. «valutati complessivamente» (punto 7 del Considerato in diritto). Mi sembra interessante notare che la Corte mette in rilievo, in questa sentenza, di aver riscontrato, nella norma oggetto della questione, «un difetto di sistematicità che ridonda in una irragionevolezza della differenziazione rispetto alla parallela ipotesi del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo» (punto 13 del Considerato in diritto). Traspare una visione olistica sia dei principi costituzionali che delle norme di legge ordinaria. I primi e le seconde si integrano e si bilanciano a vicenda ai vari livelli, piaccia o non piaccia ai cultori dell'esegesi di disposizioni isolate».
Le opinioni sin qui prospettate hanno indotto una rivista disciplinare quale e Lavoro Diritti ed Europa ad allestire un forum di analisi e di critica a una certa, recente, giurisprudenza della Corte di materia di lavoro e più in dettaglio dei regimi sanzionatori dei licenziamenti che è parsa meritevole di attenzione. Ma dall'altra parte si è ritenuto di aprire il dibattito e il confronto anche ad alcuni costituzionalisti che si sono direttamente impegnati in un'analisi funditus delle problematiche per così dire sottostanti e sovrastanti quelle proprie della disciplina lavoristica alle quali si è fatto accenno.
Per quel che vale l'opinione di chi ha coordinato questa parte del forum, essa è omogenea a quella espressa dal professor Silvestri.
I lettori potranno guadagnare in tal modo, ci si augura, uno sguardo lungo e ragionato su una materia che richiede profondità, affidabilità e saggezza.

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