testo integrale con note e bibliografia

1. Questa breve nota muove dall’ipotesi che le sentenze della Consulta n. 128 del 16.7.2024 e n. 7 del 2024 relative ai licenziamenti economici abbiano creato nel sistema una possibile disparità di trattamento, o, quantomeno, una disarmonia tra sanzioni relative ai licenziamenti economici illegittimi, diversamente da quanto concepito sia dal legislatore del 2012 sia da quello del 2014/2015.
Si tratta, ovviamente, di una mera congettura che nasce, tuttavia, dalla oggettiva rottura dell’equilibrio e della simmetria stabiliti dalla legislazione in materia di sanzione per il licenziamento economico illegittimo sia dall’art. 18 riformato nel 2012, sia dalla legge delega del jobs act.
Simmetria che per il legislatore del 2012 è fondata sulla reintegra attenuata e per quello del 2014-2015 sulla esclusione della reintegra.
La legge 28.6.2012 n. 92 di riforma dell’art. 18 Statuto ha stabilito la identica sanzione della reintegra attenuata per la violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo e per la ipotesi di insussistenza del fatto per il licenziamento per GMO.
Nel disegno del legislatore del 2014-2015, invece, era esclusa la reintegra per tutti i licenziamenti dovuti a ragioni economiche, con la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro» (legge 10.12.2014 n. 183 all’art.1 comma 7 lettera c).

2.Procediamo con ordine.
La ipotesi di disparità di trattamento e/o quantomeno di una disarmonia nel sistema delle sanzioni per i licenziamenti economici nasce dal rilievo che l’art. 18 riformato dalla legge n. 92 del 2012, come si è detto, prevede la reintegra attenuata sia per la violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo, sia per l’insussistenza del fatto nel licenziamento per GMO, non più «manifesta» all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 125 del 2022.
Non è un caso che la riforma del 2012 dell’art. 18 statuto accomuni sotto un’identica sanzione di reintegra attenuata le due ipotesi di licenziamenti economici illegittimi e che il Jobs act li abbia invece unificati, proprio per escludere del tutto la reintegra dai licenziamenti economici, così rispondendo alla richiesta di modernizzazione del diritto del lavoro risalente al Libro Verde della Commissione europea del 2006.
2.a. Iniziando ad indagare sulla ratio legis o se si vuole sull’idea che ha mosso il legislatore nel 2012, nel prevedere la sanzione della reintegra attenuata solo per i licenziamenti economici per insussistenza del fatto nel licenziamento individuale per motivo oggettivo e, nel licenziamento collettivo solo per violazione dei criteri di scelta, si perviene ad individuare una comune ratio collegata alla esistenza di un licenziamento solo all’apparenza motivato da ragioni economiche. Se nel corso del giudizio emerge l’inesistenza della ragione produttiva ed organizzativa, l’illegittimità del licenziamento per GMO si traduce in una ipotesi di licenziamento «per motivi inerenti alla persona del lavoratore» e, come tale, si tratta di un’illegittimità prossima anche se non identica alla nullità . Analogamente, pur nella diversità tra i due istituti del GMO e del licenziamento collettivo, è evidente che il vizio della violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo sia un vizio non meramente formale e procedurale che degrada il licenziamento «economico» in un licenziamento per motivi inerenti alla persona del lavoratore, così come nel licenziamento per GMO dove il fatto (vale a dire la motivazione economica) sia insussistente.
Evidentemente il legislatore nel 2012 ha tenuto conto che il recesso intimato al termine della procedura di riduzione del personale lascia alle spalle la fattispecie generale di riduzione di personale e si frantuma in una serie di licenziamenti individuali accomunati da una matrice causale comune che è la trasformazione o riduzione dell’attività . Nel prevedere la sanzione collegata al licenziamento per violazione dei criteri di scelta, il legislatore ha tenuto conto di questa frantumazione e del fatto che tale violazione rende non più operante il collegamento del licenziamento del singolo lavoratore con la riduzione e trasformazione di attività.
Sotto tale profilo – sanzione per il licenziamento illegittimo - si trovano unificate le due categorie, un tempo distinte, in licenziamento per GMO e licenziamento collettivo, nella legge del 2012 che ha riformato l’art. 18, anche se l’idea comune di fondo che ha ispirato la previsione normativa di una identica sanzione nei due casi ora esposti non viene espressa nella legge ma si desume dalla circostanza di aver stabilito una identica sanzione correlata alle due ipotesi di illegittimità, evidentemente ritenute più gravi di altre ipotesi di licenziamento individuale per GMO e collettivo illegittimi per le quali viene stabilita la tutela indennitaria.
Le due ipotesi di reintegra attenuata – violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo e insussistenza del fatto nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo - sono accomunate, dunque, dal collegamento della illegittimità alle ipotesi in cui il licenziamento non è più giustificato dalla ragione oggettiva economica e finisce per essere, in entrambi i casi, un licenziamento per motivi inerenti alla persona del lavoratore, a prescindere da intenti discriminatori. Se è insussistente del tutto il motivo economico, il licenziamento per GMO è verosimilmente motivato da ragioni riguardanti la persona del lavoratore licenziato, così come per il licenziamento collettivo, la violazione dei criteri di scelta comporta la fuoriuscita del recesso dai binari della ragione di ristrutturazione/riduzione del personale perché, per quanto riguarda il lavoratore licenziato in violazione dei criteri di scelta, il recesso colpisce la persona del lavoratore al di fuori della ragione oggettiva e tende a espellere un dipendente che non era previsto nel piano di ristrutturazione concordato con le OOSS, oppure individuato secondo i criteri indicati dall’art.5 della legge 223/91.
2.b. Nel complesso normativo - legge delega 2014 e decreto legislativo 2015- l’idea che muove il legislatore o se si vuole la ratio legis è quella del superamento della reintegra per tutti i licenziamenti economici, già iniziata con la riforma del 2012. Il superamento si collega direttamente alla volontà di abolire tutele rigide del posto di lavoro per i licenziamenti economici, come suggerito già dal libro verde della Commissione europea del 2006 sulla modernizzazione del diritto del lavoro e come sollecitato, nell’estate del 2011, dal governatore uscente e quello entrante della B.C.E. Alcuni studi giuridici ed economici avevano da tempo messo in evidenza la correlazione negativa che ci sarebbe tra i regimi protettivi in caso di licenziamento ed il tasso di occupazione . Ovviamente ci sono studi che sostengono il contrario, cioè che non vi sia alcuna correlazione certa tra il livello di occupazione e le tutele rigide del posto di lavoro .
Quel che rileva è che il legislatore del 2014-2015 ha recepito il primo orientamento e ha voluto escludere la reintegra per tutti i licenziamenti economici, aderendo in pieno all’idea del rapporto positivo tra maggiore libertà dell’impresa nella scelta delle dimensioni e della organizzazione dell’attività e incremento della occupazione.
Si è così proseguito ed intensificato il disegno riformatore già iniziato con la legge 2012 n. 92. Dunque, la esclusione della reintegra per entrambe le fattispecie di licenziamento economico vale a dire licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo e licenziamento collettivo, rappresenta un rilevante approdo del Jobs act, forse il suo aspetto più caratterizzante rispetto alla precedente riforma del 2012.
Questo approdo è adesso messo in crisi dalla sentenza n. 128 del 2024 della Corte costituzionale, mentre era stato mantenuto dalla sentenza n. 7 del 2024 riguardante proprio la presunta illegittimità costituzionale della mancata previsione della reintegra per la violazione dei criteri di scelta da parte del jobs act.
La sentenza del 2024 n. 7 della Corte costituzionale ha respinto la questione di costituzionalità proposta dalla Corte d’appello di Napoli con riferimento principalmente al differente regime di tutela tra vecchi e nuovi assunti, mantenendo ferma la scelta di politica legislativa del legislatore come già affermato nelle precedenti sentenze del 2018/194 e 2020/150.
Nella sentenza n. 7 del 2024 è stata affrontata l’interpretazione del sintagma «licenziamenti economici» che presenta un’intrinseca ambiguità perché atecnico, secondo la sentenza n. 7 della Consulta, nel senso che non appartiene al lessico giuridico in senso stretto. Si potrebbe obiettare alle argomentazioni della Corte costituzionale che, una volta che viene adoperato dal legislatore, sia pure solo in riferimento alla sanzione per il licenziamento illegittimo, il sintagma «licenziamento economico» non è più atecnico, non ha più un significato appartenente alla sfera della dottrina, ma diventa «termine normativo» per lo meno in riferimento alla esclusione della reintegra per i licenziamenti determinati da ragioni economiche. Ѐ ovvio che il licenziamento collettivo e quello per giustificato motivo oggettivo sono istituti da sempre diversi come pure indicato nella sentenza n. 7 del 2024, caratterizzati da ontologica differenza in termini di definizione delle fattispecie e di disciplina positiva. Tuttavia, ciò non toglie che, pur nella totale diversità di disciplina, vengono accomunati sia dal legislatore del 2012 che dal legislatore del 2014/2015 proprio e solo in relazione alla sanzione per il caso della illegittimità del recesso, in difetto di motivazione economica.
La sentenza n. 7 del 2024 risponde anche alla questione sollevata dalla Corte d’appello di Napoli nella ordinanza del 16 aprile 2023, relativa al difetto di delega e conseguente violazione dell’art. 76 cost per essere i licenziamenti collettivi fuori dal perimetro di esclusione della reintegra sancito dalla legge delega 183 del 2014. La Corte al punto 7 della motivazione prende in considerazione l’iter di formazione della legge delega che inizialmente non toccava i licenziamenti collettivi. La Corte afferma che «il testo approvato dal Senato in prima lettura non conteneva infatti alcun riferimento né ai licenziamenti collettivi, né ai «licenziamenti economici» (A.S. 1428, trasmesso il 9 ottobre 2014 alla Camera dei deputati).Successivamente, durante la discussione alla Camera del disegno di legge (A.C. 2660), veniva presentato un emendamento al comma 7, lettera c), dell’art. 1 (1.538, Gnecchi ed altri), diretto a limitare la reintegrazione nei licenziamenti individuali; emendamento questo, che era in seguito riformulato, cosicché solo nel nuovo testo appariva, per la prima volta, il sintagma «licenziamenti economici», da riferirsi, secondo quanto preciserà lo stesso relatore per la maggioranza in Assemblea, ai soli licenziamenti individuali per motivi economici, ossia per giustificato motivo oggettivo, e non già anche ai licenziamenti collettivi (seduta n. 336 del 21 novembre 2014). Il testo approvato veniva trasmesso in seconda lettura al Senato il 25 novembre 2014 (A.S. 1428-B), dove però il sintagma «licenziamenti economici» era recepito nella sua oggettiva portata testuale, quantunque atecnica, ed era inteso come riferito anche ai licenziamenti collettivi. In particolare, il relatore affermava – come risulta dal resoconto stenografico della seduta n. 363 del 2 dicembre 2014 – che la reintegrazione «dovrà ora essere esclusa per tutti i licenziamenti non sorretti da contestazione disciplinare (individuali per motivo economico-organizzativo o per scarso rendimento oggettivo, collettivi, temporaneamente inefficaci per mancato superamento del periodo di comporto di malattia) e per la generalità dei licenziamenti disciplinari. L’area in cui essa dovrà applicarsi è soltanto quella dei casi di nullità del licenziamento specificamente previsti dalla legge – matrimonio, maternità e discriminazione o rappresaglia – e in casi particolari di licenziamento disciplinare ingiustificato equiparabili per gravità al licenziamento discriminatorio, pur trattandosi ovviamente di una fattispecie diversa». Quindi, al Senato, l’approvazione della delega è intervenuta (il giorno successivo alla presentazione della mozione di fiducia del Governo) dopo questa, pur sintetica, puntualizzazione, che assumeva che nei licenziamenti economici rientrassero anche quelli collettivi.
Interessante notare che la formulazione originaria della norma riguardava solo i licenziamenti individuali economici per giustificato motivo oggettivo e non quelli collettivi. Allo stato, dopo la sentenza n. 128/2024, invece la reintegra attenuata è prevista solo per i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo per insussistenza del fatto, ma non per i licenziamenti collettivi illegittimi per violazione dei criteri di scelta.

3. La possibilità di reintegra attenuata è stata, dunque, reintrodotta per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo dalla sentenza 16.7.2024 n. 128 della Corte costituzionale che ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della L. 10 dicembre 2014, n. 183), nella parte in cui non prevede che si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore».
Molti hanno criticato la Corte costituzionale asserendo che essa ha operato un bilanciamento personalizzato e creativo , o hanno evidenziato la contraddizione tra la sentenza n. 7 e la sentenza n. 128. Il primo arresto della consulta lasciava presagire non una sentenza additiva con invasione del campo legislativo, ma una sentenza di rigetto .
Si è anche detto che la Corte ha creato una norma affetta da eccesso di delega in quanto la legge delega n. 183 del 2014 esclude, appunto, del tutto la sanzione della reintegra per i licenziamenti economici .
Queste critiche non sono condivisibili a modesto avviso di chi scrive. L’allarmismo che circonda l’attività della Corte costituzionale sulle leggi in materia di licenziamento a partire dalla pronuncia del 2018, fino alle cinque sentenze del 2024 trascura di considerare che, quando la legge non è chiara o non provvede ad armonizzare il sistema, nonostante continui moniti del giudice delle leggi, più che invocare lo spettro dello Stato giurisdizionale rispetto allo Stato legislativo, bisognerebbe guardare alla causa della presunta invasione di campo, cioè alla luna e non al dito. Il Parlamento ha abbandonato la scena dopo averla notevolmente modificata con due provvedimenti legislativi, abbastanza complessi e a tratti oscuri, nel triennio 2012-2015, frutto di complicati equilibri politici, a volte mal tradotti in norme-manifesto, rivolte a rassicurare i mercati, ma poco attente all’impatto sul sistema fondato su un equilibrio ultraquarantennale.
La Corte costituzionale è, inoltre, un organo giurisdizionale che non pianifica le sue sentenze come dovrebbe fare il legislatore con le leggi, ma giudica di volta in volta, la compatibilità delle leggi con la norma sovraordinata costituzionale, sicché non c’è alcuna «contraddizione» tra le due sentenze riguardanti i licenziamenti economici. Non è condivisibile, ad avviso di chi scrive, l’accusa di creatività del giudice costituzionale. Occorre distinguere il giudice ordinario dal giudice costituzionale così come opportunamente si legge negli studi sul punto . La Corte costituzionale, in quanto giudice delle leggi, deve interpretare l’operato del legislatore alla luce della Carta costituzionale e, quindi, quando dichiara la incostituzionalità parziale di una norma, inevitabilmente si pone come fonte integrativa del diritto .
Forse alcune tematiche si danno per scontate ma se ne dimenticano le implicazioni. Rigidità della costituzione e controllo di costituzionalità «servono a preservare la volontà democratica manifestatasi col patto costituzionale, patto che la stessa volontà democratica ha destinato alla prevalenza sulle contingenti manifestazioni di volontà legislativa» .
Non può parlarsi, infine, di eccesso di delega perché la Corte ha esteso la reintegra attenuata alla manifesta insussistenza della ragione economica, escludendo la reintegra nel caso della violazione dell’obbligo di repêchage. . Questo comporta che la reintegra attenuata è stata ancorata alla sola ipotesi di apparenza del licenziamento economico.
Che questa decisione della Corte costituzionale vada, a sua volta, ad impattare con un diritto vivente consolidatosi recentemente sul presupposto che l’obbligo di repêchage fa parte del “fatto” del licenziamento per GMO, è problema che esula dall’argomento di questa nota.

4. Ed è proprio il rilievo sull’apparenza del motivo economico che ci porta all’interrogativo posto nell’incipit, vale a dire se la violazione dei criteri di scelta nel licenziamento economico collettivo comporti una trasformazione del licenziamento in licenziamento per motivi inerenti alla persona del lavoratore. Verosimilmente il legislatore del 2012 ha compiuto tale valutazione, sulla scorta della nozione comunitaria di redudancies. L’art. 1 della direttiva 20/7/98, n. 98/59/CE sui licenziamenti collettivi prevede la nozione di licenziamento collettivo come «ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri… »:
Non vi è dubbio che nella logica della riforma del 2012, che ricordiamo a noi stessi è tuttora vigente per i cd vecchi assunti prima del 7.3.2015, la violazione dei criteri di scelta rivesta una maggiore gravità rispetto alle violazioni procedurali, pur nell’ambito di una fattispecie – quella del licenziamento collettivo - ove la procedimentalizzazione costituisce il tratto dominante di derivazione comunitaria, mentre la violazione dei criteri di scelta non riguarda, come è noto, la disciplina euro unitaria.
In proposito si rammenta che la Corte di Giustizia nella ordinanza 4.6.2020, C32-2020 si è dichiarata manifestamente incompetente a pronunciare sulla pregiudiziale comunitaria, rilevando che la questione sollevata dalla Corte d’appello di Napoli, riguardando i criteri di scelta dei lavoratori colpiti dal licenziamento collettivo, attiene al diritto interno sul quale la Corte di Giustizia non ha alcuna competenza interpretativa, in quanto il diritto comunitario e segnatamente, da ultimo, la direttiva 98/59/CE del 20.7.1998 non disciplina i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ma unicamente le procedure di informazione e consultazione sindacale ed il coinvolgimento della autorità pubblica competente.
Pur non contemplata dalla disciplina comunitaria ora euro unitaria, evidentemente la violazione dei criteri di scelta è stata ritenuta più grave dal legislatore del 2012 rispetto alle violazioni direttamente collegate alla direttiva comunitaria, tanto da aver previsto solo per quella violazione la reintegra attenuata.
Ѐ innegabile che il sistema creato dalla sentenza n. 128/2024 abbia aperto una falla nella simmetria sanzionatoria del Jobs act in tema di licenziamenti economici, tanto più che il nuovo sistema coesiste con quello simmetrico posto in essere dal legislatore del 2012 che si applica agli assunti prima del 7.3.2015. Tuttavia, tale disarmonia non conduce necessariamente ad una irrazionalità del sistema e ad una violazione dell’art. 3 cost.
5. I principi che hanno ispirato la decisione della Corte costituzionale n. 128 sono il principio risalente di necessaria giustificazione di ogni recesso e il principio nuovo di gradualità nelle illegittimità del licenziamento.
5.a Il primo di essi è principio affermato nel nostro ordinamento interno dal 1965, proprio a seguito della sentenza della Corte 11.5.1965 n. 45 che comportò il varo della legge 15.7.1966 n. 604. La necessaria giustificazione di ogni recesso si trova declinata nella carta sociale europea art. 24 con la previsione del diritto dei lavoratori di non essere licenziati senza un valido motivo legato alle loro attitudini o alla loro condotta o basato sulle necessità di funzionamento dell’impresa, dello stabilimento o del servizio. Su questa base si può affermare a livello di diritto europeo ed interno un diritto del lavoratore a non essere licenziato senza un valido motivo.
Un primo quesito da porsi è se tale principio sia valido anche per i licenziamenti collettivi, anche se declinato in modo diverso nel complesso di norme che lo regolano. Sembra dare a tale quesito risposta negativa proprio la Corte costituzionale nella sentenza n. 7 ove afferma «La legittimità del licenziamento individuale è condizionata dalla sua “giustificatezza” (ex artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966): il giudice, investito della impugnazione dell’atto di recesso, è chiamato a valutare ciò, in termini più o meno penetranti, rispettivamente quanto al giustificato motivo soggettivo (di norma, per “colpa” del lavoratore, ossia per «notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro») e a quello oggettivo (per «ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa» con impossibilità di ricollocamento del lavoratore in altra posizione). In questa seconda ipotesi peraltro – va sottolineato – il licenziamento (per giustificato motivo oggettivo) può essere anche plurimo, ove riferito a più lavoratori con la stessa causale.
È, invece, estranea al licenziamento collettivo, che è necessariamente unico per una pluralità di lavoratori e mai individuale, la valutazione di “giustificatezza”, essendo il giudice chiamato a identificare la fattispecie sulla base di indicatori formali (ex artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991), quali la procedura di confronto sindacale e il numero minimo di lavoratori licenziati in un determinato arco di tempo. È questa una verifica esterna di autenticità della fattispecie, che non investe le ragioni d’impresa (quali possono essere la crisi economica, la ristrutturazione aziendale, la riconversione tecnologica, e finanche la cessazione dell’attività), le quali originano la riduzione di personale.»
La diversità di disciplina non esclude che anche il licenziamento collettivo sia causale e spesso si è frainteso il termine «acausalità» del licenziamento del licenziamento collettivo. In una lontana sentenza della corte di legittimità si afferma «questa Corte non ha mai inteso affermare che con ciò il licenziamento collettivo è divenuto un licenziamento acausale. La causa del licenziamento per riduzione di personale è individuata dall'art.24 legge 23 luglio 1991 n. 223 nella riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, con ciò superandosi il precedente orientamento che pretendeva una riduzione delle strutture materiali aziendali. La direttiva CEE 17 febbraio 1975 n. 129, di cui la legge 223 del 1991 costituisce attuazione, richiede che il licenziamento collettivo, per essere qualificato tale, sia motivato da una o più ragioni non attinenti alla persona del lavoratore .I residui spazi di controllo devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell'operazione (compresa la sussistenza dell'imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso).» .
Sicché è proprio e solo attraverso il nesso causale tra il progettato ridimensionamento e le scelte dei lavoratori che può eventualmente emergere la natura non oggettiva ma soggettiva (vale a dire inerente alla persona del lavoratore) della risoluzione del rapporto di lavoro.

5b. Altro principio enucleato dalla Consulta nelle sentenze in materia di licenziamento è quello nuovo varato con la legge di riforma dell’art. 18, di gradualità nella illegittimità del licenziamento, con il riconoscimento di una sanzione effettiva e dissuasiva proporzionata al livello di illegittimità del licenziamento che non è sempre uguale. Ci sono illegittimità più gravi ed altre meno gravi.
E proprio la Corte costituzionale che afferma «Al di là delle specificità dei singoli regimi reintegratori e indennitari, va rilevato che la logica di fondo di questa importante riforma è che non tutti i licenziamenti illegittimi sono uguali. Fermo restando il tradizionale limite occupazionale, il legislatore del 2012 ha ritenuto di riservare la tutela della reintegrazione ai licenziamenti la cui illegittimità è conseguenza di una violazione, in senso lato, “più grave”, prevedendo per gli altri una compensazione indennitaria. Si introduce, quindi, un inedito criterio di graduazione e di differenziazione che modifica radicalmente la logica precedente della reintegrazione quale conseguenza unica del licenziamento illegittimo nelle realtà occupazionali non piccole» .
La decisione della Corte n. 128 e quella n. 7 del 2024 inseriscono, sotto tale profilo, sia pure indirettamente, una disarmonia nel sistema del principio di gradualità della sanzione in correlazione alla gravità della illegittimità del licenziamento, equiparando tutte le illegittimità del licenziamento collettivo e reintroducendo la reintegra attenuata per la ipotesi di insussistenza del fatto nel licenziamento economico per GMO.
Nel sistema dell’art. 18 novellato dalla legge 2012/92 la violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo è considerato un vizio più grave di quello procedurale, tant’è che è sanzionato con la reintegra sia pure attenuata, mentre le violazioni procedurali comportano la sanzione indennitaria.
Ed è un vizio più grave proprio perché il licenziamento di Tizia, nell’ambito di una procedura di riduzione del personale ex art. 4 e 24 della legge 1991/223, non compresa nei criteri di scelta, fuoriesce dai binari del licenziamento economico e diventa una ipotesi di risoluzione individuale del rapporto di lavoro, quali sono tutti i licenziamenti collettivi, fondata in negativo, non più su ragioni economiche così come il licenziamento per GMO per insussistenza del fatto.
Il principio della diversa gravità dei licenziamenti illegittimi che ha dato vita alla cd frantumazione delle sanzioni nell’area della tutela reale si deve tuttavia valutare anche alla luce del rilievo, più volte affermato dalla Corte costituzionale, della mancanza di una copertura costituzionale della reintegra nel posto di lavoro .

6. La ipotesi di irrazionalità e/o mancanza di dissuasività della sanzione per il licenziamento collettivo con violazione dei criteri di scelta per gli assunti dopo il 7.3.2015 deve misurarsi con la diversità ontologica delle due figure di licenziamento che non basta la parola «economico» a ricondurre ad unità.
Inoltre, deve rammentarsi che sia la legge 2012/92, ispirata alla gradualità nelle tutele da licenziamento illegittimo, sia il Jobs act, hanno fondato il sistema delle sanzioni su una nuova categoria giuridica «insussistenza del fatto» che la Consulta ha spesso adoperato nelle sentenze che hanno affrontato la materia del licenziamento. Come è noto, la sentenza 128 del 2024 ha esteso la reintegra al caso della insussistenza del fatto nel GMO creando una simmetria con la ipotesi di insussistenza del fatto nel giustificato motivo soggettivo.
Risalendo al titolo della presente nota, potrebbe concludersi che per il licenziamento collettivo si pone difficilmente un problema di «insussistenza del fatto». E qui occorre riflettere sulla natura del licenziamento collettivo come licenziamento, caratterizzato dal controllo ex ante del sindacato e senza controllo ex post del giudice. Ed è questa differenza fondamentale nella disciplina tra le due figure che costituisce un ostacolo notevole alla emersione stessa di una ipotesi di irrazionalità e violazione dell’art. 3 cost. tra la sanzione prevista per il GMO in caso di insussistenza del fatto (vale a dire della ragione economica) e quella prevista per il licenziamento collettivo per la violazione dei criteri di scelta.
Da questo punto di vista, il problema è che la violazione dei criteri di scelta non può essere controllata ex ante dal sindacato per evidenti ragioni logiche ed emerge solo ex post nell’ambito del giudizio. In tal senso l’asimmetria di tutele tra la tutela conseguente alla insussistenza del fatto nel GMO, dopo la sentenza n. 128 del 2024 (reintegra di cui al 2° comma dell’art. 3) e la tutela conseguente alla violazione dei criteri di scelta nel licenziamento collettivo appare giuridicamente irrilevante. Dunque, nessuna incoerenza tangibile nel sistema che continua ad essere retto per quanto riguarda la sanzione nei licenziamenti collettivi dall’art. 10 del decreto legislativo 2015/23, con la sanzione indennitaria per tutte le fattispecie di licenziamento collettivo illegittimo tranne il caso della mancanza di forma scritta e verosimilmente la mancanza totale di procedura sindacale.

7. Qualche margine di incertezza permane sulla soluzione appena esposta.
Come si è detto, anche il licenziamento collettivo si frantuma in una serie di licenziamenti individuali. Si veda ad esempio Cass. 5.6.2024 n. 15712 che ha dichiarato applicabile anche ai licenziamenti collettivi la salvaguardia di cui all' art. 1 comma 194, lett. d), legge 147/2013, per i lavoratori che siano stati destinatari di un licenziamento collettivo e il cui collocamento in mobilità sia cessato al 4.12.2011, data di entrata in vigore dell' art.24, DL 201/2011 convertito nella legge 214/2011« non potendo negarsi, in difetto dei presupposti per l'applicazione della salvaguardia di cui alla successiva lett. e), che anche il licenziamento collettivo costituisca una ipotesi di 'risoluzione unilaterale' del rapporto di lavoro».
Casi concreti in cui forse può emergere la questione di costituzionalità sono quelli in cui il licenziamento da GMO si trasforma in collettivo per la sussistenza, ad esempio, di un gruppo di imprese e della presenza di vari licenziamenti.
Tuttavia, nel caso da ultimo considerato vi è verosimilmente un’omissione di procedura ex lege 223/91. Si pone, pertanto, principalmente il problema della sanzione da ricondurre alla mancanza totale di procedura di mobilità e di violazione degli art. 4 e 24 della legge 223/91; problema che non ha trovato ancora una soluzione stabile in via giurisprudenziale anche se vi è un’ultima pronunzia della Cassazione che equipara la mancanza di procedura al vizio procedurale sanzionabile con la tutela indennitaria forte (art. 18, 5 comma, come modificato dalla legge 2012/92) ; tutela indennitaria applicabile anche nel caso di lavoratore assunto dopo il 7.3.2015 e sottoposto al regime del jobs act.
Il lavoratore assunto dopo il 7.3.2015 ha tutto l’interesse a mantenere il GMO per poter usufruire di un’eventuale tutela reintegratoria possibile dopo la sentenza 128/2024 della Corte costituzionale solo per il GMO ma non per il licenziamento collettivo privo di procedura sindacale e pubblica.
In definitiva, nelle pieghe della qualificazione del licenziamento come GMO o collettivo potrebbe annidarsi un vizio di costituzionalità per irrazionalità della disciplina differenziata, ma si tratta di una ipotesi di difficile configurabilità.
Da ultimo va considerato che il controllo giudiziale sui criteri di scelta è un controllo penetrante.
La Corte di legittimità nella sentenza Cass.16.4.2024. n. 10177 riafferma «secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di licenziamento collettivo, i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità devono essere, tutti e integralmente, basati su elementi oggettivi e verificabili, in modo da consentire la formazione di una graduatoria rigida e da essere controllabili in fase applicativa, e non possono implicare valutazioni di carattere discrezionale, neanche sotto forma di possibile deroga all'applicazione di criteri in sé oggettivi .
Può dunque avvenire che in un licenziamento collettivo, all’esito del giudizio, emerga una scelta assolutamente discrezionale per il lavoratore ricorrente e tale da far apparire la risoluzione del rapporto di lavoro molto prossima ad una risoluzione discriminatoria o nulla, ma senza che sia provato tale presupposto. Tuttavia, in un sistema ove la reintegra non è sanzione obbligata per la illegittimità del licenziamento, difficilmente si porrà un problema di mancanza di sanzione dissuasiva e/o irrazionalità della norma.
Concludendo, la infinita varietà dei casi concreti, la contiguità economica delle due figure di recesso, la giurisprudenza in materia di trasparenza ed oggettività dei criteri di scelta, possono far emergere con particolare evidenza un caso di licenziamento per motivi inerenti alla persona del lavoratore idoneo a dar vita ad ulteriori questioni di costituzionalità, ma si tratta di una eventualità molto remota.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.