testo integrale con note e bibliografia

PROPOSTA DI RIFORMA DEL REGIME SANZIONATORIO DEI LICENZIAMENTI ILLEGITTIMI

1. Ragioni e limiti del riordino di riforme ravvicinate e problematiche
Il Gruppo Freccia Rossa il 20 gennaio 2025 ci propone un’importante proposta di “Riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi”. Proposta che merita ogni considerazione, almeno per due semplici ragioni: a) siamo oggi lontanissimi da un quadro nitido di disciplina della materia, che anzi si confonde sempre di più; b) sulla materia incombono due referendum che, celebrati o no, potrebbero indurre a nuove, non del tutto prevedibili, modifiche, anche solo parziali.

Del resto già tempo addietro (giugno 2022) - sollecitato dagli stessi amici che oggi mi hanno invitato ad esprimermi e soprattutto dal carissimo Riccardo Del Punta, che purtroppo non è più con noi – avevo ritenuto auspicabile un intervento chiarificatore/ordinatore del legislatore in tema di licenziamenti. E, immaginando che l’inarrestabile Gruppo Freccia Rossa sarebbe presto partito per far sentire la sua voce, avevo anche provato a dare qualche contributo di metodo e di contenuto . Nessuna meraviglia dunque dinanzi alla proposta di articolato offerto encomiabilmente al dibattito pubblico; come pure nessuna difficoltà a partire da quanto avevo scritto oltre due anni fa.

Anzitutto confermo la mia piena condivisione dell’intento di semplificare e, seppure in parte, unificare i regimi sanzionatori dei licenziamenti illegittimi. L’unificazione non è completa, specie perché resta fuori il lavoro pubblico, probabilmente perché meno toccato dalla temperie regolativa degli ultimi anni; ma anche perché si ripropongono, con poche modifiche, antiche diversificazioni per le imprese con un numero di dipendenti “sotto soglia” (come suol dirsi oggi). Però si superano altre odiose segmentazioni come quella, eclatante, basata sulla data di assunzione o quelle generate da formule normative ambigue e leggermente diversificate a distanza di pochi anni.

L’opera di semplificazione è forse più evidente e meritoria e si sostanzia nell’ipotesi di sostituire con un’unica normazione esaustiva un sistema sanzionatorio oggi risultante da tre blocchi normativi di epoche diverse (1966, 1970, 2015), ma tutti ampiamente rimaneggiati (rispettivamente nel 1990/91, nel 2012 e nel 2018). Basta richiamare questa sequenza temporale per sottolineare come qualità e adeguatezza della disciplina in materia siano andate progressivamente deteriorandosi, passando da norme che hanno resistito almeno vent’anni a norme che dopo due/tre anni hanno già cominciato a perdere colpi. Non è questa la sede per approfondire la scarsa tenuta di ogni singola norma: piuttosto quanto accaduto in materia negli ultimi dieci anni ci deve portare a mio parere a chiederci quali possano essere gli antidoti ordinamentali, o se volete di tecnica della normazione, che possano mettere al riparo da obsolescenze così veloci, anche sub specie di necessità di reiterare riforme che si espongono al rischio di completamenti/riscritture/controriforme ad opera soprattutto della giurisprudenza di merito o, ancor più allarmante, delle Alte Corti. Anche nel rapporto legge/giurisprudenza basta un dato per farci a fondo riflettere: la legislazione in materia di licenziamenti maturata – non senza sofferenze e dissensi – tra il 1966 e il 1990 è stata pure portata al vaglio della Corte costituzionale per tantissimi aspetti (non di rado molto di dettaglio), ma in quaranta anni si contano solo 36 sentenze di cui l’80% di rigetto (poco più di 20 sentenze sulla legge del 1966 e sullo Statuto dei lavoratori, con 6 sentenze di accoglimento, quasi tutte sulla prima, qualcuna di rigetto interpretativa sull’art. 18). La legislazione partorita tra il 2012 e il 2015 invece è stata portata al vaglio della Corte costituzionale ben 11 volte in 12 anni e nella maggioranza dei casi ritenuta incostituzionale (6 volte, ma tra le restanti cinque sentenze si annoverano una sentenza monito sulle piccole imprese – 183/2022 - e una sentenza di rigetto interpretativa sul delicatissimo tema del licenziamento disciplinare – 129/2024).
2. Quali strumenti ordinamentali per prevenire situazioni simili (codificazioni, leggi di iniziativa popolare, referendum)?
Uno degli antidoti ordinamentali potrebbe proprio essere quello di dare maggior peso agli esperti nel riformare materie complesse o, più modestamente, “tenere in ordine le norme” man mano prodotte dal legislatore. L’iniziativa di Freccia Rossa può essere anche letta così: il che non vuol dire che meriti automaticamente l’adesione entusiastica dell’intera dottrina (e non parlo degli specifici contenuti, ovviamente). Qualcuno potrebbe infatti ricondurla a uno dei tanti wishful thinking, tutt’altro che inutili, ma destinati ad alimentare soprattutto appassionati dibattiti tra sparute èlite di professionisti. Un nobile passatempo con ricadute accademiche e arricchimento della letteratura scientifica, anche di qualità, ma confinato ben oltre il muro del diritto reale, cioè di quello che ogni giorno miete vittime nelle aule giudiziarie o, addirittura, impedisce alle vittime persino di entrare nelle aule giudiziarie. Io non la vedo così: anzi mi sarebbe piaciuto, come già in passato su altri temi , aver contribuito di più a formulare proposte di miglioramento della disciplina in materia di licenziamento. Ma proprio perché condivido e riconosco il valore degli sforzi che la dottrina così produce, devo anche riconoscere che in genere la generosità delle proposte formulate è pari alla loro scarsa incisività: nel senso che la produzione del diritto sempre meno è opera di sapienti e sempre più è frutto di contingenze e convenienze politiche.

Si può capire allora la promozione di referendum o proposte di legge popolare, anche da parte di grandi confederazioni sindacali. Anche questi sono strumenti ordinamentali per intervenire su leggi manchevoli o anacronistiche o foriere di danni sociali. Tra i due strumenti, e fatta eccezione proprio per le cronache parlamentari di questi giorni (mi riferisco alla legge in tema di partecipazione promossa dalla Cisl), molto più efficaci i referendum, seppure in materia di lavoro la loro storia non si possa considerare nel complesso di positivo impatto sull’ordinamento . Io però li considero un importante momento di verità per verificare su aspetti cruciali della nostra materia la sintonia tra equilibri normativi, spesso frutto di dinamiche imperscrutabili ai più, e senso comune: sempreché ovviamente si sviluppi un adeguato e impegnato dibattito volto a far capire a tutti quanto può risultare oscuro anche agli addetti ai lavori. Invece purtroppo i referendum, specie quelli in tema di licenziamento, sono sempre stati tenuti lontani dal giudizio popolare, o boicottando il raggiungimento del quorum o addirittura escludendone l’ammissibilità. Stavolta i referendum della Cgil, nonostante larghi auspici e argomenti tecnici non del tutto improponibili, non sono stati bloccati né dalla Corte di Cassazione (v. le ordinanze dell’Ufficio centrale per i referendum del 12 dicembre 2024) né dalla Corte Costituzionale (v. sentenze n. 12 e n. 13 del 7 febbraio 2025). Ci si può leggere un messaggio quasi disperato: se il legislatore parlamentare nicchia, che il popolo si pronunci. Però può accadere il contrario: il popolo distratto e sonnacchioso si potrebbe ancora una volta rifiutare di entrare laddove leggi e giudici hanno reso la materia un groviglio o un labirinto. E allora da rimedio ordinamentale i referendum possono diventare un ulteriore sedativo per un legislatore ormai intimidito dai suoi ripetuti insuccessi. Speriamo che stavolta non accada.

Intanto però Freccia Rossa ci invita a discutere il suo progetto. Io approfitterei anzitutto per spezzare la lancia a favore di un metodo per tenere in ordine la legislazione che non abbandoni a se stessa la dottrina volenterosa e nemmeno richieda appelli disperati al popolo distratto o indotto a distrarsi. Lo spunto viene proprio da qualcuno degli studiosi del Gruppo. Bruno Caruso – scrivendo a doppia firma col suo omonimo Corrado - ha infatti evocato una stagione della codificazione, mostrando scetticismo su interventi legislativi frammentari e sporadici, ma anche verso “un ideale astratto di tenuta logica e razionale del sistema” . Lello de Luca Tamajo ha lamentato l’eccessiva fragilità che oggi caratterizza istituti fondativi del diritto del lavoro e sindacale come subordinazione, rappresentatività sindacale e, appunto, licenziamenti, e la necessità di ri-costruirli innovandoli con maggiore solidità e condivisione, senza inseguire percorsi emergenziali o contingenti . Altri come Perulli e Speziale (ma anche il caro Del Punta, e ancora Bruno Caruso insieme a lavoristi dalla mitica longevità propositiva come Tiziano Treu ) hanno proposto manifesti e nuovi decaloghi. Insomma, al di là della specifica proposta sul regime sanzionatorio, mi pare che questa parte della dottrina - alla quale mi sento vicino per formazione, valori e metodo - segnali con tenacia e autorevolezza la necessità di un ruolo istituzionale in cui la riflessione scientifica pluralista e filtrata dalle polemiche più infuocate possa dare un contributo formale al miglioramento della qualità della legislazione. Tornare a parlare della classica codificazione, come pure si osò fare negli anni ’80 (ma era solo una ricerca per il CNEL, seppure proposta da un consigliere di eccezione come Gino Giugni ), mi pare davvero eccessivo. Manifesti e decaloghi, per quanto ricchi di cultura giuridica, politica e filosofica e aperti a suggestivi scenari, lasciano il diritto che trovano. Però si può provare a utilizzare nel nostro ordinamento tecniche di codificazione più leggere, come quelle in uso negli Stati Uniti o in Francia (su cui ha scritto pagine interessanti Bernardo Giorgio Mattarella ). Soprattutto non mi pare così difficile promuovere un programma di “codificazione del diritto costante” che mantenga la legislazione nel massimo ordine e nella massima chiarezza sotto la supervisione di una commissione per la codificazione presieduta da un’ autorevole figura istituzionale (in Francia il primo ministro), ma composta da tecnici indipendenti e autorevoli che facciano con continuità tutte le proposte necessarie a non trasformare la legislazione in “un gregge privo di pastore” (Corte Cost. 204/1982, proprio in materia di licenziamenti). Vero che il Parlamento è sovrano; ma se la successione delle leggi parlamentari non è più governabile senza la guida di nocchieri esperti, saggi e lungimiranti, conviene prenderne atto e istituzionalizzare un apporto che, talvolta, viene dato da pochi studiosi generosi e noti o, più spesso, da meno noti consiglieri del principe non sempre disinteressati.
3. La “narrazione di collegamento” utilizzata dal Gruppo Freccia Rossa e le scelte (anche criticabili) che ne conseguono
Comunque, venendo più nel merito della proposta Freccia Rossa, non basta certo la sapienza dottrinale a sciogliere i tanti nodi accumulatisi nella disciplina dei licenziamenti. Infatti la proposta dichiara apertamente di essere frutto di grandi sforzi di convergenza tra punti di vista lontani. Anche io individuavo nella polarizzazione delle posizioni e nella grande vis polemica che caratterizzano questa materia degli ostacoli reali a perseguire una strada di mero riordino/semplificazione. E ponevo come presupposto perché gli sforzi propositivi non fossero solo un flatus vocis il raggiungimento di una “narrazione di collegamento” che tenesse insieme le varie posizioni dottrinali consentendo un dialogo costruttivo almeno tra gli studiosi . Un paio d’anni fa era forse ancor più difficile di oggi: dinanzi ai primi duri colpi dei giudici sul Jobs Act, le prese di posizione videro giudizi molto divaricati e, per dirla con Luhmann , una crescente irritazione ordinamentale della giurisprudenza. Infatti a me era parso che si dovesse andare più a monte, affrontando anche i collegamenti che emergevano tra limiti sostanziali e nuovi regimi sanzionatori. Su questo terreno Freccia Rossa con la sua proposta esplicitamente non intende arrivare (anche se qualche riflesso mi pare ci sia, ad esempio sulla configurazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o sull’ambito entro cui vanno individuati i lavoratori da licenziare nelle riduzioni di personale). Continuo a pensare che invece sarebbe il caso di osare, anche perché, se i riflessi applicativi forse non sono così espliciti , resta confermato che la disciplina dei licenziamenti è fatta di vasi comunicanti : se solo un determinato vizio dell’atto comporta la sanzione più grave o, al contrario, quella più lieve, è inevitabile che regole e interpretazioni riguardanti il vizio sostanziale vengano influenzate dal regime sanzionatorio. Insomma il lavoro esegetico dei giuristi, teorici e pratici, finisce per muoversi su un terreno infido che rende tutto meno discutibile alla luce di argomenti razionali e delimitati. Il fondamento argomentativo di questa scelta è il c.d. giudizio bifasico o trifasico (in cui si distingue l’individuazione del vizio da quella della sanzione e, nel caso, del regime probatorio): una prospettazione acuta, ma non so quanto destinata a rispecchiare le reali logiche decisionali.

Comunque la “narrazione di collegamento” cui ricorre Freccia Rossa non è quella che amplia la materia da riordinare. Ciononostante mi pare che una “narrazione di collegamento” ci sia e - un pò a sorpresa, ma forse con sano realismo - è quella imposta essenzialmente dalla martellante opera correttiva della Corte Costituzionale. Pur severamente giudicato in sede di elaborazione teorica da alcuni degli stessi studiosi di Freccia Rossa , il difficile equilibrio sistematico abbracciato con convinzione dalle sentenze di accoglimento (e non solo) della Consulta è la trama su cui poggia la proposta. Soprattutto in ordine a: a) abbandono di un sistema sanzionatorio unico o prevalente; b) graduazione delle sanzioni con riguardo ai vizi del licenziamento, ma con ampio recupero della reintegrazione in entrambe le versioni inaugurate nel 2012; c) riequilibrio del sistema indennitario con esplicitazione dei vizi sostanziali soggettivi e/o oggettivi che possono dar vita, per un verso, a reintegrazione e, per l’altro, a sanzioni indennitarie.
Così la Corte è il terreno comune su cui si costruisce un testo che si pone a cavallo tra riforma Fornero e Jobs Act. E dalla giurisprudenza costituzionale viene in fondo mutuato il punto più innovativo: il licenziamento per giustificato motivo gravita verso il 18 rivisitato, con aggiunta degli orientamenti della Consulta pro business (su contrattazione collettiva e motivo disciplinare; e repechage) mentre quello collettivo si ispira di più al Jobs Act.
Ne consegue che per questi aspetti la tenuta costituzionale della proposta di Freccia Rossa appare abbastanza garantita. Salvo che, non solo per valutazioni di conformità a Costituzione, si può dissentire su quattro aspetti non del tutto convincenti per ragioni diverse: a) il tenore della contrattazione sui motivi disciplinari esplicitamente abbinati a sanzioni conservative, le cui conseguenze al fine di escludere la reintegrazione vengono addossate al lavoratore. Non so se questa scelta (che è incidentalmente di CC 129/24, motivata soprattutto in punto di rispetto della libertà/autonomia della contrattazione collettiva) convincerà i giudici di merito; io spererei almeno che induca le parti sociali a un maggiore impegno regolativo; b) il ridimensionamento del repechage nella fattispecie del giustificato motivo oggettivo, che, seppure non insostenibile, indebolisce notevolmente il recupero del rimedio reintegratorio in questa vicenda estintiva del contratto; c) l’indifferenza totale per l’assenza di ragioni sostanziali come vizio del licenziamento collettivo che può portare alla reintegrazione: qui non vedo la differenza valoriale con il giustificato motivo oggettivo di cui si accerti l’inesistenza del fatto; d) la sanzione solo indennitaria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare che pure indebolisce molto la tutela prevista da una regola fondamentale perché i limiti sostanziali (cioè la non arbitrarietà) al licenziamento tengano.
Poi può ragionarsi sull’esaustività dei vizi gravi che portano alla reintegrazione forte (art. 2). Ma ci sarebbe da addentrarsi in dettagli forse eccessivi: potendoci forse qui accontentare della codificazione/razionalizzazione degli orientamenti della Consulta.
4. I due punti a mio parere di maggiore debolezza: piccole imprese e criteri di determinazione delle sanzioni indennitarie
La mediazione che si muove sotto soglia costituzionale è invece proprio quella delle imprese sotto soglia dimensionale (e mi scuso per il cedimento al gioco di parole). Qui la soluzione è puramente quantitativa con riferimento a minimo e massimo delle indennità, mentre Corte cost. 183/2022, e già altre ordinanze di rimessione (Trib. Livorno 29 novembre 2024), chiedono di aggiornare i criteri per capire cosa è da considerarsi di piccole dimensioni in quanto il solo dato occupazionale è ormai del tutto inidoneo a fornire un razionale crinale discretivo. In fondo anche il referendum Cgil si muove su lunghezze d’onda tradizionali. E non è detto neanche che il ricalcolo del range indennitario proposto da Freccia Rossa serva ad evitare il referendum. Se infatti non si ridefinisce un criterio condiviso per differenziare le sanzioni per le imprese sotto soglia, tutto è opinabile e resta che l’intento dei referendari è quello di eliminare del tutto il limite massimo in un contesto in cui la reintegrazione è quasi del tutto bandita. Diverso sarebbe se una proposta di riforma mutasse radicalmente i parametri per individuare la soglia di disapplicazione della reintegrazione, anche differenziando il regime sanzionatorio per le imprese piccolissime (e qui forse un parametro quantitativo minimo - ad esempio 5- potrebbe essere accettabile se funzionalizzato a dare rilievo ai contesti in cui più conta una dimensione personale) e rinviando ad una normazione ulteriore l’individuazione di parametri che, anche differenziati per settori, bilancino numero dei dipendenti ed altri dati significativi per valutare la qualità economico-finanziaria dell’impresa.
L’altro nodo che mi pare sciolto in modo molto (direi troppo) tradizionale dalla proposta di Freccia Rossa è quello della quantificazione delle sanzioni indennitarie, che resta un nodo cruciale pure in un sistema in cui la reintegrazione si riespande. Non è a mio parere una questione di numero di mensilità. Piuttosto di individuazione del bene da tutelare o del comportamento da sanzionare o di superamento di formule troppo ibride e pragmatiche che sganciano dai valori limiti sostanziali e conseguenti sanzioni, privando di coerenza e quindi di anima o senso tutto il sistema. La domanda è: se la reintegrazione in determinate circostanze è esclusa (perché troppo gravosa per l’impresa, si suppone), cosa l’ordinamento vuole garantire con meccanismi sanzionatori alternativi? Punire comunque l’impresa o offrire un ristoro a un danno subito dal lavoratore? Qui non si tratta di essere pro business o pro labour (Caruso invita a questa scelta, anche rivisitando la nozione giuridica di impresa : ma non mi pare necessario fare sempre professione di credo economico per sciogliere nodi tecnico-giuridici che sono abbastanza specifici). Si tratta piuttosto di capire il senso di un sistema sanzionatorio anche gravoso per l’impresa (36 mensilità non sono poche, salvo per le grandi), che non può essere strutturato senza un baricentro concettuale forte declinato correttamente. Oggi rivisitazione minima e pragmatica dei range indennitari accompagnata dalla conferma di tutti gli eterogenei criteri di determinazione/quantificazione del danno (v. art. 4.2) ci restituiscono solo quello che già c’è, comprese le questioni teoriche che la giurisprudenza ha già fatto capire di non voler risolvere (ed è difficile darle torto). Su questo però la dottrina dovrebbe avere più coraggio e tener conto di altri orientamenti. Ad esempio magari confrontarsi con la tesi (pure da me ripresa nel 2022) secondo cui i meccanismi sanzionatori devono comunque tener conto di quel che serve per evitare che il lavoratore subisca un danno eccessivo, se non letale, al bene occupazione, seppure non riducendo questo bene al posto specifico da cui il lavoratore viene estromesso in base ad un licenziamento comunque contra legem. Le strade concrete ci sono: le indicai nel saggio pubblicato sulla Rivista italiana, anche affrontando qualche sporadica obiezione, e non mi pare il caso di ripeterle o approfondirle se non c’è interesse. Però dagli amici di Freccia Rossa confesso che, su questi profili, mi sarei aspettato un maggiore sforzo innovativo.

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.