Testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa: la strana storia della proroga del blocco dei licenziamenti.
In un recente contributo ., Natalino Irti scrive “che, in Italia, il 27 mar-zo 2020, è stato emanato un decreto di 123.000 parole. Ossia: tredici volte la Costituzione. Un decreto fitto di rinvii e deroghe (ben cento-trentuno) ad altre leggi. Questo è un drammatico esempio di legge, che non può essere né ascoltata né obbedita. La volontà normativa si di-sperde e frantuma nella confusione delle parole. Proprietà e sobrietà di linguaggio, richieste dallo stato d’eccezione, cedono all’oscura prosa del caos normativo” .
Il caos normativo, evocato da IRTI, non sembra però conoscere fine.
I fatti sono noti, anche se oggetto di versioni discordanti.
Nel Consiglio dei Ministri del 20 maggio 2021 Il Ministro del Lavoro ha proposto di prorogare il blocco dei licenziamenti , dopo la scadenza del 30 giugno, per due mesi, fino a fine agosto, per le imprese che avessero chiesto la cassa integrazione Covid in giugno.
Due le versioni dei fatti.
Secondo le indicazioni di Confindustria tale proposta, non contenuta nelle bozze del d.l. Sostegni bis circolate prima del Consiglio dei Mini-stri, “è una fonte di incertezza per le imprese, rallenta quei processi di riorganizzazione e riposizionamento essenziali per tornare ad essere competitivi sui mercati, dopo questa crisi così pesante”.
Anche sul piano strettamente tecnico la proposta è stata oggetto, nell’immediato, di alcuni rilievi giuridici, anche di natura costituzionale .
Resta il fatto che di tale disposizione non vi è traccia nel D.L. del 25 maggio 2021, n. 73 anche se nelle dichiarazioni del Ministro del lavoro “la sostanza è rimasta, con gli incentivi alle imprese a usare la cassa in-tegrazione fino a fine anno senza dovervi contribuire. In cambio si im-pegnano a non licenziare. L’altra norma, su chi chiede cassa Covid a giugno, era un corollario conseguente” .
Ma la storia non finisce qui.
Le parti sociali, il 29 giugno 2021, “alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti ” hanno siglato un avviso comune dove “si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di la-voro”.
L’indomani (il 30 giugno 2021) è stato pubblicato (in nottata) il decreto legge n. 99 che prevede la proroga, fino al 31 ottobre 2021 del blocco dei licenziamenti nel settore della moda e del tessile allargato.
Il sovrapporsi di decreti legge, conversioni in legge e avvisi comuni im-pone, per una ordinata esposizione, di fare un passo indietro esaminan-do, in primo luogo, la legge del 21 maggio 2021, n. 69 che ha convertito in legge il “Decreto sostegni” (decreto legge 22 marzo 2021, n. 41).
Si passerà, poi, all’esame del decreto legge del 25 maggio 2021, n. 73.
Ed infine, su questo complesso di disposizioni, occorrerà verificare l’impatto del d.l. 99 del 30 giugno 2021 e dell’avviso comune del 29 giu-gno 2021.
2. L’art. 8, commi 9-11, del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, convertito nella legge 21 maggio 2021, n. 69.
L’art. 8 del D.L.n. 41/2021, che risulta immutato - sotto questo aspetto - in sede di conversione in legge, ha introdotto un meccanismo a “dop-pio binario”.
Fino al 30 giugno 2021 conferma il blocco dei licenziamenti individuali (per gmo), indistintamente per tutti, fatte salve le esclusioni previste nei commi 9 e 11.
In sostanza, viene prorogato il divieto previsto fino al 31 marzo 2021 dall’art. 1, comma 309 della legge di bilancio per il 2021, avuto riguardo alla concessione dell’ulteriore periodo di tredici settimane dei trattamen-ti di integrazione salariale (per periodi intercorrenti tra il 1 aprile 2021 e il 30 giugno 2021) disposto dal 1 comma dell’art. 8 con riferimento ai trattamenti di cassa integrazione ordinaria.
Restano, altresì, sospese le procedure di riduzione del personale pen-denti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato in ap-palto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del con-tratto di appalto.
Dal 1 luglio al 31 ottobre 2021, il divieto permane, ai sensi del comma 10, solo per i “datori di lavoro di cui ai commi 2 e 8”, ovverossia, per i datori di lavoro “che sospendono o riducono l’attività lavorativa” per via del Covid e chiedono l’ammissione all’assegno ordinario o alla cassa in deroga (comma 2) e quelli che richiedono la cassa integrazione per operai agricoli (comma 8).
La disposizione, che riprende - con alcune differenze- il meccanismo introdotto dall’art. 14 del D.L. n. 104/2020 , proroga i divieti e le so-spensioni, in considerazione: a) della concessione dell’ulteriore periodo di ventotto settimane per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione in deroga (per periodi intercorrenti tra il 1 aprile e il 31 di-cembre 2021) disposto dal 2 comma dell’art. 8; b) della concessione del trattamento di cassa integrazione salariale per i lavoratori dipendenti agricoli a tempo indeterminato (Cisoa) per una durata massima di cen-toventi giorni (nel periodo ricompreso tra il 1 aprile e il 31 dicembre 2021) disposto dall’art. 8.
La disposizione, che fin dal suo nascere ha creato notevoli incertezze in-terpretative , si presta ad una duplice interpretazione.
Non è chiaro, infatti, se il blocco fino ad ottobre richieda l’effettivo uti-lizzo delle ulteriori settimane di integrazione ovvero prescinda dal loro concreto utilizzo.
Problema che si era già posto nella vigenza dell’art. 14 del d.l. n. 104/2020 .
A favore della prima tesi (che richiede l’effettiva fruizione dei tratta-menti di integrazione salariale) depone l’esegesi della norma (“i datori di lavoro privati che sospendono o riducono l’attività lavorativa”) e la prima relazione illustrativa del d.l. n. 41/2021 (dove si affermava che il blocco dei licenziamenti riguarda “i soli datori di lavoro che fruiscono dei trattamenti di integrazione salariale”).
A favore della seconda tesi (il divieto e la sospensione operano a pre-scindere dall’utilizzo concreto dei trattamenti di integrazione salariale) depone l’interpretazione sistematica del testo e le finalità della speciale disciplina di integrazione salariale riservata ad alcuni datori di lavoro oltre alla seconda relazione illustrativa allegata al disegno di legge n. 2144 (ove si legge, con riferimento all’art. 8, comma 10, che il blocco dei licenziamenti è previsto “per i soli datori di lavoro (…) che possono fruire dei trattamenti di integrazione salariale”) .
3. L’art. 40 del d.l. 25 maggio 2021, n. 73.
Nel decreto legge, accanto a misure come il contratto di espansione (art. 39) o il contratto di rioccupazione (art. 41) è prevista una disposi-zione (l’art. 40) di contenuto complesso.
L’art. 40 del d.l. 25 maggio 2021, nel primo comma, prevede che:
1)I datori di lavoro privati “di cui all’art. 8, comma 1, del d.l. n. 41/21” , in alternativa ai trattamenti di integrazione salariale di cui al decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, possono presentare do-manda di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga in presenza: a) di un presupposto di fatto (datori di lavoro privati che, nel primo semestre dell’anno 2021, hanno subito un calo del fatturato del 50 per cento rispetto al primo semestre dell’anno 2019”); b) di una con-dizione procedurale (“previa stipula di accordi collettivi aziendali di ri-duzione dell’attività lavorativa dei lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del presente decreto”); c) per una durata massima delimitata (“di 26 settimane nel periodo tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 dicembre 2021”); d) con una finalità ben specifica (“il mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica”).
L’ammortizzatore sociale richiama lo schema del contratto di solidarietà il cui contenuto è modulato nella norma .
Il comma 4 dell’art. 40 del d.l. n. 73/2021 prevede la proroga del blocco dei licenziamenti solo per i “datori di lavoro “che presentano domanda di integrazione salariale ai sensi del comma 3” dello stesso articolo.
In questo contesto, utilizzando l’argomento a contrario, si è sostenuto che il blocco dei licenziamenti (specie collettivi) non è applicabile nel caso in cui i datori di lavoro privati utilizzino l’ammortizzatore sociale previsto nel primo comma dell’art.40.
La tesi non convince.
Per due ragioni.
In primo luogo, perché, malgrado la mancata menzione del primo comma nel quarto comma dell’art. 40, resta il fatto che la finalità dell’ammortizzatore è finalizzata “al mantenimento dei livelli occupa-zionali nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologi-ca”; ratio che verrebbe frustrata dalla mancanza di un divieto, per il pe-riodo in questione, dei licenziamenti collettivi.
In secondo luogo, perché se si riconduce il primo comma allo schema del contratto di solidarietà difensiva è noto che nella vigenza di tale ti-pologia di contratti al datore di lavoro è precluso il licenziamento collet-tivo, proprio in ragione delle specifiche finalità cui è preordinata la sti-pula del contratto di solidarietà, in connessione al sacrificio richiesto ai lavoratori con la riduzione dell’orario di lavoro e quindi della retribuzio-ne .
2) Il terzo comma dell’art. 40 prevede che: “I datori di lavoro privati “di cui all’art. 8, comma 1, del d.l. n. 41/21” possono avvalersi della cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria in base al d.lgs 148/2015, artt. 11 e 21, con esenzione dal pagamento del contributo addizionale, ove, a decorrere dalla data del 1 luglio 2021, “sospendono e riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione sala-riale”.
Per i datori di lavoro che “presentano” domanda di integrazione salaria-le (“ai sensi del comma 3”; quella ordinaria o straordinaria in base al d.lgs 148/2015), recita il 4 comma dell’art. 40, non è consentito, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicem-bre 2021, di “avviare” procedure di licenziamento collettivo e “restano sospese quelle avviate successivamente al 23 febbraio 2020”, ferma re-stando la preclusione dei licenziamenti individuali per GMO con i casi di deroga già previsti dalla legislazione precedente.
Due le interpretazioni in campo.
Secondo una prima opinione, il blocco dei licenziamenti opera per i “da-tori di lavoro” che, in concreto, si avvalgono della Cigo o della CIGS.
Tesi supportata dall’esegesi delle disposizioni dei due commi (3 e 4) che fanno riferimento alla “presentazione delle domande” ed alla “fruizio-ne” del trattamento di integrazione salariale.
La lettera della legge troverebbe, peraltro, supporto nella ratio del de-creto legge che prevede una sorta di “scambio” tra il blocco dei licen-ziamenti e la fruizione dell’integrazione salariale con “l’esonero dal pa-gamento del contributo addizionale”.
Secondo una diversa impostazione, viceversa, il blocco dei licenziamenti permane, fino al 31 dicembre 2021, anche per i datori di lavoro che hanno deciso di non accedere alla Cigo o alla Cigs.
Escludere dall’ambito soggettivo del divieto questi datori di lavoro “fa-rebbe dipendere l’ambito del divieto da una decisione unilaterale dell’azienda, disancorandola da elementi obiettivi”, secondo un’impostazione che ha già trovato riscontro in giurisprudenza nella vigenza del decreto legge n. 104 del 2020.
4.L’art. 4 del d.l.30 giugno 2021, n. 99 e l’avviso comune.
L’art. 4 prevede la proroga del divieto di licenziamento, fino al 31 ot-tobre 2021, per “i datori di lavoro delle industrie tessili, delle confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e pelliccia e delle fabbri-cazioni di articoli in pelle e simili identificati, secondo la classificazione delle attività economiche Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15 , che, a decorrere dalla data del 1 luglio 2021, sospendono o riducono l’attività lavorativa”.
Questi datori di lavoro possono presentare, per i lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto legge, domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale con causale Covid-19 per una durata massima di 17 settimane nel periodo compreso tra il 1 luglio e il 31 ottobre 2021, senza che sia dovuto alcun contributo addizionale.
Viene, poi, aggiunto, dopo l’articolo 40 del decreto legge 25 giugno 2021, n. 73, un articolo 40bis che consente un trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga per un massimo di 13 settimane frui-bili fino al 31 dicembre 2021, in favore dei datori di lavoro privati che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 (come individuati nell’art. 8, comma 1, del decreto legge 22 marzo 2021 n. 41, convertito, con modi-ficazioni, dalla legge 21 maggio 2021, n. 69, che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale di cui al decreto legislativo 14 set-tembre 2015, n. 148) “per fronteggiare situazioni di particolare difficol-tà economiche presentate al Ministero dello sviluppo economico”.
In questo caso la proroga del blocco dei licenziamenti (per GMO e la sospensione delle procedure di licenziamento collettivo avviate succes-sivamente al 23 febbraio 2020) deriva dal richiamo all’art. 40 del d.l. n. 73/2021.
L’idea dell’avviso comune, infine, era stata lanciata da Landini nel comi-zio di Torino di fine giugno.
Ed è stato oggetto di un serrato dibattito con il governo Draghi.
L’impegno ad utilizzare tutti gli strumenti prima di far ricorso ai licen-ziamenti non ha carattere vincolante (si tratta di una “raccomandazio-ne”) ma è indubbio che viene resa più complessa l’intimazione dei li-cenziamenti. .
Si tratta, infatti, di una raccomandazione che, seppur priva di cogenza normativa, porrà i datori di lavoro interessati “di fronte a scelte “condi-zionate”, atteso che le associazioni sindacali chiederanno, laddove pos-sibile, l’intervento di uno degli strumenti integrativi previsti dagli ultimi Decreti”.
In questo contesto, è facile profezia ritenere probabile il sorgere di un vasto contenzioso , di natura anche costituzionale, derivante dal susse-guirsi (e sovrapporsi) di una serie di interventi legislativi di non facile lettura e, soprattutto, di difficile coordinamento.
5. La sintesi della disciplina vigente dal 1 luglio 2021. Problemi in-terpretativi e questioni di legittimità costituzionale.
Quindi, in sintesi, la disciplina attualmente vigente prevede tre diverse scadenze per lo sblocco dei licenziamenti:
a) 30 giugno 2021, per la generalità delle imprese;
b) 31 ottobre 2021 per i datori di lavoro privati destinatari dell’assegno ordinario FIS, della Cassa integrazione in deroga (CIGD) o della Cassa integrazione salariale operai agricolo (CI-SOA) e per i datori di lavoro del settore moda e del tessile allar-gato;
c) Sino al 31 dicembre 2021, per i datori di lavoro privati che, a partire dal 1 luglio 2021, accederanno alla Cassa integrazione sa-lariale ordinaria o straordinaria secondo quanto previsto dal De-creto Sostegni-bis. e per i datori di lavoro individuati dall’art. 40bis del d.l. 30 giugno 2021, n. 99.
Ove si acceda, viceversa, alla tesi che il blocco dei licenziamenti perma-ne, fino al 31 dicembre 2021, anche per i datori di lavoro che hanno deciso di non accedere alla Cigo, alla Cigs o alla Cigs in deroga si pone, certamente, un problema di legittimità costituzionale delle disposizioni esaminate.
6. Il bilanciamento tra i diritti ed i principi contenuti nella Carta costituzionale.
Nel periodo dal 1 luglio al dicembre 2021 occorre bilanciare una serie di diritti e principi. Non solo i “principi” sanciti negli articoli 41, comma 1 e 2, e 4 della Costituzione, ma anche i principi e i diritti sanciti da-gli artt. 2 e 32 della Costituzione.
Il primo problema da affrontare, in questo contesto, è la durata del blocco dei licenziamenti .
Se si accede alla tesi che il blocco dei licenziamenti, almeno da un punto di vista di fatto (per effetto delle incertezze interpretative), possa confi-gurarsi fino al 31 dicembre 2021 si pone il problema se sia legittimo, sul piano costituzionale, un blocco dei licenziamenti della durata di qua-si due anni.
SABINO CASSESE, sul tema, non ha dubbi.
Rispondendo ad una precisa domanda precisa che queste disposizioni: “sono chiaramente misure straordinarie, destinate a durare brevemente. Un loro prolungamento imporrebbe una verifica di costituzionalità, che credo si risolverebbe in una dichiarazione di illegittimità costituzionale”.
Affermazione che trova conforto nella possibile lesione del principio di affidamento che ha trovato nella giurisprudenza EDU un definitivo ri-conoscimento in una dialettica continua con la nostra Corte costituzio-nale.
Il continuo susseguirsi di proroghe dai contorni incerti e dalle delimita-zioni temporali sfuggenti crea un evidente violazione del principio di af-fidamento che rappresenta un principio costituzionale generale non scritto nella nostra Carta costituzionale riconducibile, secondo un’impostazione , al più generale principio di buona fede oggettiva .
Non mancano, però, opinioni diverse.
Secondo una diversa impostazione, infatti, la durata del Blocco non ap-pare dirimente a risolvere i dubbi di illegittimità costituzionale.
Richiamando la fondamentale sentenza Iraklis è stato osservato ”che la prima sostanziale differenza con il caso greco risiede nella tempora-neità della misura adottata nel nostro paese. Le strettoie elleniche ave-vano carattere permanete (…) mentre nel bel paese le misure soso state sempre temporalizzate e prorogate sempre in correlazione con il pro-lungamento dello stato di emergenza”.
Resta il fatto che il controllo costituzionale deve svolgersi, come di con-sueto, in tre tappe.
In primo luogo, la Consulta dovrà valutare se il bilanciamento dei “principi”, operato dal Legislatore, risponda al criterio di “necessità”; nel senso che la scelta di limitare la libertà d’impresa trovi giustificazio-ne nella necessità (si badi bene, non nell’opportunità) di dare attuazione ad un altro “principio” (la tutela dell’occupa¬zione).
La prevalenza della tutela del lavoro, in base al combinato disposto de-gli artt. 4 e 41, comma 2 , Cost., sulla libertà d’impresa appare, però, dubbia nel periodo dal 1 luglio al dicembre 2021.
Gli indicatori economici disegnano, nel prossimo futuro, uno scenario a tinte rosee (dopo il terribile periodo che abbiamo attraversato).
Nel terzo e quarto trimestre di quest’anno è previsto “un forte rimbal-zo” del Pil pari a oltre il 4% che sarà consolidato grazie all’impatto che verrà dagli investimenti finanziati dal piano europeo Next Generation Eu.
In questo contesto di ripresa, disegnare foschi scenari di “macelleria so-ciale” appare dubbio se non strumentale.
Anche perché, non risulta corretto affermare che durante il blocco non vi sono stati licenziamenti.
Dai dati forniti dal Ministero del Lavoro risulta che nel 2020 ci sono stati 550 mila licenziamenti contro i 900 mila del 2019.
Trend che dovrebbe trovare conferma nel 2021.
Insomma, la misura della proroga del blocco dei licenziamenti, come si legge nella recente Raccomandazione all’Italia della Commissione euro-pea , non sarebbe solo “superflua” ma addirittura irragionevole ope-rando un confronto “con l’evoluzione del mercato del lavoro in altri Stati membri che non hanno introdotto questa misura”.
Ma non basta.
La Commissione sottolinea come tale misura “avvantaggia i lavoratori a tempo indeterminato a scapito di quelli a tempo determinato come gli interinali e gli stagionali”. Per questo, “più a lungo è in vigore e più ri-schia di essere controproducente, perché ostacola il necessario adegua-mento della forza lavoro alle esigenze aziendali”.
7. (segue) Il richiamo agli artt. 2 e 32 della Costituzione.
Il ricorso, in questo contesto, agli artt. 2 e 32 Cost., non elimina i dubbi di costituzionalità.
In primo luogo, contrariamente a quanto sostiene una parte della dot-trina “nemmeno la vita o la dignità umana si sottraggono al bilancia-mento o sono concepibili come valori così fondativi da essere qualificati addirittura come metavalori” .
Anche il diritto alla salute deve essere bilanciato con altri diritti o prin-cipi costituzionali.
Non basta invocare il diritto alla salute per assicurare prevalenza alla tu-tela dell’occupazione.
Occorre qualcosa di più.
Nel contesto emergenziale nel quale ci troviamo immersi occorre la presenza di un presupposto di fatto: l’esistenza, adeguatamente accerta-ta, di una situazione pandemica di gravità tale da rendere inevitabile una “proroga del blocco dei licenziamenti”.
Tale presupposto di fatto (la gravità estrema della situazione sanitaria) difficilmente troverà riscontro nel secondo semestre del 2021.
Superata questa prima fase si porrà il problema di valutare la scelta del Legislatore alla stregua di un criterio di “sufficienza”.
In altri termini, andrà considerato se l’intervento legislativo (che limita un “principio”) soddisfi in maniera non insufficiente le esigenze di ga-ranzia del “principio” ristretto, “valutando l’interazione reciproca tra l’accrescimento di tutela dell’uno e la corrispondente diminuzione di ga-ranzia dell’altro” .
Nel nostro caso, nel secondo semestre del 2021, andrà valutato se, per limitare la compressione della libertà d’impresa, potevano essere adotta-te misure diverse dal blocco dei licenziamenti sulla scorta dei modelli elaborati, in diversi paesi europei, nel periodo della grande recessione (specie negli anni 2008-2010) .
Infine, la Consulta dovrà valutare se l’intervento legislativo (sulla proro-ga del blocco dei licenziamenti) superi il test di “proporzionalità” che impone di esaminare gli effetti dell’intervento legislativo, in termini di costi e benefici, tra i vari “principi” in gioco.
In questo contesto appare “preziosa” la rilettura della sentenza n. 85/2013 della Consulta sul caso ILVA .
Nella sentenza, la Corte precisa che “tutti i diritti fondamentali tutelati nella costituzione” (tra cui anche l’art. 32) “si trovano in rapporto di in-tegrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciu-te e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della di-gnità della persona”.
La “lezione” che si trae dalla sentenza è fondamentale.
Il principio di ragionevolezza , integrato dal principio di proporzionali-tà , deve garantire una tutela sistemica ai principi in conflitto, per evi-tare la tirannia, evocata da Carl Schmidt, di un principio sull’altro.
In sostanza, la “ragionevolezza” della scelta del blocco dei licenzia-menti dovrà fare i conti con “la congruenza rispetto a valori sostanziali d’insieme” .
Il tutto “in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi si-stemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valo-rizzare il dialogo con la Corte di Giustizia affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico” .
Ma il rinvio alla Corte costituzionale, in questo contesto, non è l’unica via praticabile .
Un rinvio alla Corte di Giustizia è ammissibile e, anzi, auspicabile.
Ma il tema richiede un approfondimento sulla competenza della Corte di giustizia.
8. Sull’ammissibilità del rinvio pregiudiziale alla CGUE.
Sul tema occorre fare un distinguo.
Sul divieto di licenziamento individuale per GMO la Corte di giustizia non ha competenza in assenza di una direttiva sul tema.
La giurisprudenza della CGUE ritiene, come correttamente ricorda la Consulta nella sentenza n. 194 del 2018 , che la violazione delle norme della CDFUE può essere fatta valere dinanzi alla Corte soltanto nel ca-so in cui vi sia una norma interposta da intendersi come fonte normati-va che espressamente disciplini la materia.
Ed è noto che, anche se la materia dei licenziamenti è tra quelle di competenza dell’Unione, ai sensi dell’art. 153 del TFU, l’unica direttiva esistente è quella riguardante i licenziamenti collettivi , mentre non esi-ste una direttiva sui licenziamenti individuali.
Diverso è il discorso sulla sospensione o preclusione dell’avvio di pro-cedure di licenziamento collettivo.
In questo caso, ovviamente, una direttiva esiste (la n. 98/59).
Non solo.
La direttiva 98/59 prevede obblighi specifici in materia di informazione e consultazione sindacale e lo stesso art. 6 della direttiva si applica “alle procedure volte a far rispettare gli obblighi previsti dalla direttiva stes-sa”.
In sostanza, secondo le indicazioni desumibili dall’ordinanza Balga e dalla sentenza ConsulmarKeting può sostenersi la materia in questio-ne rientra “nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione” posta l’esistenza di un collegamento tra un atto di diritto dell’Unione e la mi-sura nazionale in questione che vada al di là dell’affinità tra le materie prese in considerazione o dell’influenza indirettamente esercitata da una materia sull’altra.
8. Il bilanciamento dei principi nella Carta dei diritti fondamentali
Ma quali sono i “principi” che entrano in gioco avanti la Corte di giu-stizia ?
Sicuramente, come nel diritto nazionale, la libertà d’impresa, la tutela del posto di lavoro e il diritto a condizioni di lavoro sane, che trovano espressione negli artt. 16, 30 e 31, comma 1, della Carta dei diritti fon-damentali.
L’art. 16 della Carta recita che “la libertà d’impresa è riconosciuta conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi naziona-li”.
La libertà di determinare la natura e la portata dell’attività, come ha precisato la Grande sezione della Corte di Giustizia nella sentenza del 21 dicembre 2016 , è un diritto fondamentale per l’impresa e “la deci-sione di procedere a un licenziamento collettivo rappresenta una deci-sione fondamentale nella vita dell’impresa”.
Ma questo principio va bilanciato con le finalità sociali che, nella giuri-sprudenza della Corte di Giustizia, hanno trovato sempre più spazio e rilevanza.
La tutela dei lavoratori rientra tra le ragioni imperative di interesse ge-nerale .
La Corte di Giustizia ha già ammesso che le considerazioni attinenti al mantenimento dell’occupazione possono costituire, in determinate cir-costanze e a certe condizioni, giustificazioni per una normativa naziona-le limitativa .
L’Unione europea non soltanto instaura un mercato interno ma si ado-pera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa.
“Poiché dunque l’Unione non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale tra i quali figurano in particolare, come risulta dall’art. 151, primo comma, TFUE, la promozione dell’occu¬pazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello oc-cupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione” .
Identificati i “principi” in gioco occorre effettuare un bilanciamento.
9. Sulla tecnica del bilanciamento e il principio di proporzionalità.
Il principio di proporzionalità e la tecnica del bilanciamento sono consi-derati il tratto essenziale dei moderni sistemi costituzionali.
La relazione stretta tra proporzionalità e diritti fondamentali si fonda sulla teoria di Alexy .
Le norme dei diritti fondamentali hanno generalmente carattere di prin-cipi e in caso di collisione con altre norme di diritti fondamentali sono oggetto di bilanciamento.
Alexy evidenzia lo stretto legame tra teoria dei principi e principio di proporzionalità in quanto “il carattere dei principi implica il principio di proporzionalità e questo implica quello” .
I conflitti tra principi costituzionali sono risolti per mezzo di un “enun-ciato di preferenza”, come lo chiama Alexy, la cui forma logica è: Il principio P1 ha più peso (ossia più valore) del principio P2 nel contesto X” .
Bilanciare due principi non è “riconciliarli” o trovare, tra essi, un “equi-librio” .
Il bilanciamento si risolve “nel concretizzare o specificare uno di essi in un determinato caso (…). Ma si tratta di una gerarchia assiologica, fles-sibile, mobile, instabile: dipende dal caso in discussione” .
Secondo Alexy, l’enunciato di preferenza stabilisce una “relazione di precedenza condizionale” , se si danno le condizioni C1, P1 prevale su P2; se si danno le condizioni C2, P2 prevale su P1.
Nei processi applicativi delle norme sui diritti fondamentali “la tecnica del bilanciamento è, essa stessa, la forma di decisione, la quale consiste in un giudizio di prevalenza di uno o l’altro dei principi che nel caso concreto vengono a confliggere, oppure di concorrenza dell’uno con l’altro in condizioni di reciproca limitazione” .
Il bilanciamento, comunque, deve essere effettuato in astratto e in con-creto .
Sul piano “astratto” viene in rilievo il rispetto del contenuto essen-ziale della libertà d’impresa.
Non basta, quindi, una limitazione prevista dalla legge ma occorre che tale limitazione non leda il “contenuto essenziale” del principio in gioco (nella specie la libertà d’impresa) rispettando il principio di proporziona-lità .
Principio (di proporzionalità) che impone un bilanciamento, non solo in astratto ma anche in concreto, dei principi in gioco .
Ed è sul piano concreto del bilanciamento che si pongono i problemi più complessi.
L’oscurità dei testi legislativi, nella loro convulsa precarietà, produce, nella sostanza, quell’orrido vuoto normativo, di cui parla Natalino Irti , prescrivendo condizioni per l’applicazione del blocco dei licenziamenti che non riposano su dati oggettivi e controllabili che, probabilmente, vanno oltre a quello che è necessario per conseguire gli obiettivi perse-guiti dalla disposizione, violando, oltre il principio di proporzionalità, anche la libertà d’impresa sancita dall’art. 16 della Carta.
10. Sulla violazione del principio della certezza del diritto.
Un’ultima notazione.
La redazione di disposizioni dai contorni oscuri si pone in evidente vio-lazione con uno dei principi cardine dell’ordinamento multilivello : il principio della certezza del diritto .
La Corte di Giustizia ha, da tempo , riconosciuto il valore di “principio fondamentale” alla certezza del diritto .
Il principio impone che le disposizioni, sia dell’ordinamento europeo che quelle nazionali di recezione , devono presentare caratteri di chia-rezza e prevedibilità.
Le norme, sia procedurali che sostanziali , devono essere in possesso dei requisiti di chiarezza e precisione.
In pratica, secondo la Corte di Giustizia, il principio della certezza del diritto deve costituire, in fase di redazione degli atti, una guida per chi scrive le leggi e deve garantire, nei limiti del possibile, una interpreta-zione e applicazione uniforme.
Prescrizioni quasi “utopiche” per la legislazione italiana degli ultimi anni definita, di recente, un “labirinto” in cui “giudici, avvocati e professori si aggirano con fatica”, mentre “le persone comuni non riescono a capi-re nulla” .