testo integrale con note e bibliografia
1. Nella quarta di copertina di un libro di due noti storici è scritto: “Nessuno può sfuggire al proprio futuro: meglio andargli incontro” .
Gli Autori nell’incipit del loro libro che porta il titolo “Come Roma insegna” osservano che “tutti gli imperi sono stati fondati sul sangue. E tutti gli imperi sono destinati a cadere. In questo Roma non fa differenza, ciò che fa la differenza è quello che rimane dopo”. Molti imperi scompaiono avendo lasciato dietro di sé un campo di sterminio, rovine, stupri, massacri e… niente altro.
Roma ha lasciato una civiltà”.
Nel tentare di sintetizzare la spiegazione che a tale assunto danno gli Autori può evidenziarsi - per quello che interessa nel presente studio - che noi viviamo ancora nella legge lasciataci dalla civiltà di Roma , ci avvantaggiamo del suo sistema di comunicazione, delle poderose tecniche costruttive e della sua lingua. Bisogna pertanto essere orgogliosi della civiltà che l’antica Roma ci ha lasciato, orgogliosi di esserne, in tanti eredi .
Orbene, tra le molte cose che l’epopea di Roma insegna è che nelle guerre la peggiore sconfitta è non imparare dagli errori compiuti nel passato. Gli storici antichi hanno evidenziato che i Romani conobbero la peggiore disfatta della loro storia nella seconda guerra punica a Canne il 2 agosto 216 a.c. perché la tenuta delle truppe romane risentì del continuo dissidio tra i due consoli che le comandavano e della loro alternanza giornaliera nella direzione dell’intera armata. Il che portò alla vittoria di Annibale, che con una manovra a tenaglia, ancora oggi studiata nella Accademie militari, accerchiò e distrusse l’intero contingente militare .
Dopo tale disfatta Roma fu capace però di volgere a suo vantaggio l’esperienza della sconfitta per la sua non comune capacità di analizzare i propri errori e di ricostruire a partire da essi nuove strategie. Si affidò infatti più tardi ad un solo uomo, console e dittatore, Fabio Massimo. Questi, dando coraggio ai suoi cittadini cambiò la strategia militare del passato basandosi sul lento e continuo logoramento dell’avversario e ciò: <gli valse il soprannome di “temporeggiatore” (“Conductor”), un posto nella Storia e il trionfo finale. L’esercito cartaginese perse così impeto e forza e nel 202 a. C. e venne definitivamente sbaragliato dai Romani a Zama. I romani quindi vinsero una guerra che a lungo era sembrata persa>.
Uniti si vince, divisi si crolla, si è detto.
E la storia di Roma insegna che spetta ad ogni generazione la responsabilità di ricordare gli errori commessi e di continuarne a fare tesoro, con la consapevolezza che ogni conquista e ogni pax augustea sono fragili, precarie e soggette nel futuro anche ad imprevisti ed inimmaginabili rivolgimenti e cambiamenti .
2. La crisi scaturente dalla pandemia da Covid-19 ha prodotto nel nostro Paese gravi danni sul versante socio-economico ed è stata la ragione fondante per il blocco dei licenziamenti, istituto questo che - già sperimentato nel corso della seconda guerra mondiale – ha avuto durante il 2020 ed il 2021 la finalità di garantire in sicurezza il diritto alla conservazione del posto di lavoro a categorie dei lavoratori, parti deboli nel rapporto negoziale .
Il suddetto blocco anche in ragione delle fonti regolatrici e delle modalità della sua applicazione ha però di fatto contribuito, unitamente ad altri fattori, a peggiorare una situazione economica già precaria perché ha limitato a lungo e pesantemente il diritto al libero esercizio delle attività economiche con politiche dirigistiche che si sono rilevate dannose soprattutto per le piccole e medie imprese .
Non può poi sottacersi in via generale: che soprattutto nel diritto del lavoro l’aspetto politico ha finito <sovente per avere il sopravvento su quello tecnico, anche perché a ciò ha contribuito in modo accentuato la dottrina per avere nel passato sottostimato sistematicamente l’apporto giurisprudenziale> ; e che contestualmente nella nostra cultura giuridica è divenuto endemico il vizio di leggere la Costituzione con “gli occhiali della ideologia”, sino a privilegiare una interpretazione dell’art. 41 (norma tra le più rilevanti a livello socio-economico tra quelle della Parte I, Titolo III, della Carta), che ha nella realtà fattuale accreditato un modello di socializzazione della proprietà e dei mezzi di produzione basato, come si è detto, <su visioni tecnocratiche della cultura di ispirazione socialista a discapito della libertà, in tal modo finendosi di disegnare la stessa libertà economica e con il convertirla da diritto di libertà in funzione sociale> .
E che ad un siffatta ideologia non sia rimasta estranea la stessa magistratura si evince chiaramente da un Documento–Manifesto dei giudici del lavoro di Magistratura Democratica - (storica ed influente corrente della ANM (Associazione Nazionale Magistrati) - che ha orgogliosamente e superbamente affermato: di avere sempre agito <rivendicando il carattere indefettibilmente politico della giurisprudenza>; di avere come obiettivo quello di contribuire all’opera di inveramento della Costituzione, in particolare dell’art. 3, secondo comma; ed infine di avere nella realtà sempre e soltanto pensato di agire come <intellettuale collettivo> come hanno fatto anche i giudici iscritti alla corrente allo scopo di promuovere una sensibilità comune e un comune atteggiamento di fronte alla <interpretazione della legge e della Costituzione> ed a fronte del <ruolo della giurisdizione>. Il tutto <attraverso un confronto delle idee che partendo dal problema della realtà della politica, arrivasse alla giurisdizione> .
Come insegna la storia dei Romani il verificarsi di eventi imprevisti ed imprevedibili - assimilabili per il numero delle morti e per le ricadute sul piano socio-economico alle guerre - rende di certo necessaria la presenza di un leader o di un premier che eserciti poteri eccezionali sino ad incidere sui diritti fondamentali, assumendosene le correlate responsabilità.
In altri termini chi è deputato a guidare la collettività in periodi di emergenza deve possedere specifiche doti quali: la competenza adeguata ai delicati compiti da svolgere; la capacità di trasmettere a tutti una fiducia in un futuro comunque migliore; la forza e la ferma volontà di rifuggire da politiche limitative della libertà se non per ragioni obbiettivamente connesse ai pericoli imminenti ed incombenti e non certo per legittimare politiche deputate unicamente all’acquisizione di consensi immediati; e che inoltre fornisca certezze per il futuro agendo con intelligenza, prudenza e nello stesso con un coraggio - simile a quello dell’antico Conductor romano - al fine di assicurare un domani vittorioso che non lasci dietro di sé macerie e sofferenze.
Alla stregua delle considerazioni svolte e dei parametri valutativi ora indicati, il governo Conte non può vantare risultati positivi.
Ed invero nel corso della sua durata il suddetto governo si è caratterizzato per la molteplicità dei c.d. dpcm (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), che hanno suscitato fondate riserve sulla loro legittimità a livello costituzionale perché detti atti per la loro natura hanno violato: l’art. 13, comma secondo, che vieta ogni restrizione delle libertà personali se non per atto giudiziario e nei soli casi previsti dalla legge; l’art. 117, secondo comma, lettera q) dell’art. 117, che prescrive che lo Stato ha “legislazione esclusiva” in presenza di una pandemia internazionale e quindi esclude competenze concorrenti a livello territoriale; ed anche l’art. 3, della Carta non potendosi disciplinare ugualmente fattispecie diverse tra loro .
Per di più l’operato dell’esecutivo ha creato incertezza con normative di lunghezza sesquipedale, mal fatte e dal contenuto sovente indecifrabile e per di più non di rado velocemente modificate e corrette, e frequentemente seguite da comunicazioni irragionevoli che tradendo le attese hanno creato sconcerto con gravi danni economici in numerosi settori produttivi .
In estrema sintesi, il Governo Conte - stante “ le sue diverse cangianti maggioranze e le sue ben differenti colorazioni parlamentari” - non è riuscito a programmare il futuro né ad individuare un giusto equilibrio tra due contrapposti diritti, ambedue a copertura costituzionale: da una parte, il diritto alla libertà di impresa (art. 41 Cost.) e, dall’altra, il diritto al lavoro in tutte le sue forme, che comporta in ogni caso la tutela della dignità, del decoro e della sicurezza della “persona” del singolo lavoratore (artt. 1, 3, 4, 35, 35 Cost.). Diritti questi tutti a copertura costituzionale .
Non è dunque azzardato denunziare tutte le criticità di un Governo . che sulla base di quanto sinora detto, è responsabile di un blocco assoluto dei licenziamenti per motivi economici che rimane un unicum per la sua durata di quasi un anno e mezzo. In questo periodo interi settori dell’economia del Paese sono stati penalizzati rimanendo del tutto fermi per effetto di un uso, quanto meno disinvolto, del diritto e degli stessi principi della Carta, con ricadute gravi in termini di aumento del debito pubblico e di una crescita esponenziale della disoccupazione per la mancanza di politiche attive con la conseguenza che invece di creare posti di lavoro si è preferito combattere la povertà con normative di carattere assistenziale, tra l’altro mal congegnate. Corollario di tutto quanto decritto è che il diritto del lavoro che è, e deve essere sempre, un “diritto valoriale” è stato per lungo tempo “un diritto in cerca di valori” .
3. Dopo i due Governi presieduti da Giuseppe Conte è seguito il Governo di Mario DraghI che, sostenuto da una ampia maggioranza, ha soprattutto il compito sia di condurre con successo la campagna vaccinale al fine di fare uscire il Paese dall’emergenza anche economica in cui versa, sia quello di far buon uso dei consistenti aiuti economici messi dall’UE a disposizione degli Stati membri, una parte dei quali è destinato a finanziare il nostro PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) .
Una delle condizionalità richieste per la concessione di tali aiuti è quella che il Paese proceda ad una riforma della giustizia sia per quanto attiene al diritto civile che a quello penale.
Compito che non appare certo facile se si pensa al diritto del lavoro, parte nobile del diritto privato, con riferimento al quale si è parlato di “eclissi del diritto” , e se contestualmente si osserva che le cause della crisi dell’intero diritto privato sono assimilabili a quelle che affliggono il diritto pubblico, e quindi anche il diritto penale .
Non è certo, nello spazio di un saggio, possibile affrontare funditus tematiche ordinamentali da sempre dibattute, per cui l’intento del presente studio è solo quello di porsi in continuità con quanto scritto in precedenza sul sempre controverso rapporto tra legge e giudice, fonte di una incertezza che ha effetti negativi sull’assetto delle relazioni industriali e che disincentiva investimenti da parte delle imprese.
Il principio della certezza del diritto non sempre trova una adeguata tutela in un ordinamento a più livelli come quello dell’Unione Europea, non solo per il difficile rapporto tra le Alte Corti , ma anche perché l’istituto dell’interpretazione conforme non sempre ha dato risultati confortanti .
Per di più nel descritto assetto - nell’ambito dl quale è emersa una perdita preoccupante della credibilità ed affidabilità della magistratura a seguito del recente Caso Palamara - il compito forse di maggiore impegno per il Governo Draghi è quello di intercettare la ripresa economica facendo fronte alle possibili tensioni sociali conseguenti allo sblocco dei licenziamenti di cui al recente decreto legge n. 99/2021, che - è agevole prevedere – dovrà regolare la crescita esponenziale di fallimenti e di altre procedure concorsuali di imprese penalizzate da lunghi periodi di inattività. Più nello specifico è da prevedere che lo sblocco sarà all’origine di una pluralità di licenziamenti collettivi e di riduzioni di personale per riorganizzazioni aziendali anche al fine di far sopravvivere le imprese ora in difficoltà, rendendole nuovamente competitive nel mercato del lavoro .
Con il decreto legge 30 giugno 2021 n. 99 ( “Misure urgenti in materia fiscale, di tutela del lavoro, dei consumatori e di sostegno alle imprese”) si è dunque disposto lo sblocco dei licenziamenti che consente ora nuovamente l’esercizio libero del diritto delle imprese a risolvere i rapporti di lavoro per giustificati motivi economici.
Da qui il riaccendersi di un dibattito, in verità mai spento, sulla natura dell’istituto del licenziamento collettivo, dei suoi elementi costitutivi, e sull’apparato sanzionatorio applicabile in caso di illegittimità di tale licenziamento.
Problematiche tutte queste che hanno necessità di essere rivisitate alla luce della “imposta inattività delle imprese” e della ingiusta limitazione di un diritto, a tutela costituzionale, come quello al libero esercizio dell’attività economica .
Anche se ogni opinione sul licenziamento collettivo merita una adeguata riflessione - per la difficoltà interpretative delle leggi che nel tempo ne hanno disciplinato e, spesso disordinatamente, modificato la disciplina - le recenti normative devono essere esaminate al fine di trovare una soluzione che faccia ritornare “il diritto del lavoro” ad essere “ un diritto di valori” .
Nel sintetizzare quanto già scritto nel passato, va preliminarmente osservato che nelle normative della legge Fornero e del Jobs Act, si riscontra una tale parsimonia di riferimenti alle organizzazioni sindacali tanto da concretizzare un vero e proprio ”eloquente silenzio”. E la portata di tale silenzio si comprende alla luce della realtà fattuale che fa emergere la presenza di diffuse aree culturali favorevoli ad un ridimensionamento del ruolo del sindacato. Il che giustifica la preoccupazione di quanti, - a fronte di disposizioni di non agevole lettura che coinvolgono interessi primari dei lavoratori - temono che le tutele di questi ultimi vengano affievolite attraverso una progressiva emarginazione del sindacato .
La rilevanza del ruolo del sindacato è stata più volte invece riconosciuta dai dicta della Corte di Giustizia, che in merito agli obblighi datoriali di informazione e di consultazione ex l. n. 223 del 1991, ha evidenziato come l’adempimento di tali obblighi – e tra questi anche quello delle comunicazioni alle rappresentanze sindacali ex art. 4 della suddetta legge -- rappresenti un presupposto necessario per la legittimità del licenziamento collettivo.
Determinante per la piena condivisione di tale assunto è la sentenza della Corte di Giustizia 16 luglio 2009, C-12/2008 (Mono-Car Stylings s.p.a. c.. Dervisi Odemis ed altri), per la quale la Direttiva 20 luglio 1998 n. 98/59 deve essere letta nel senso di impedire ad una normativa nazionale di ridurre gli obblighi del datore di lavoro rispetto a quelli imposti della citata direttiva che attribuisce ai sindacato – inteso come organismo composto di “rappresentanti dei lavoratori” previsti dal diritto o dalla prassi in vigore negli Stati membri - un ruolo attivo di cogestione delle crisi aziendali secondo il modello tipico partecipativo della legislazione europea (art. 2, par. 23 della direttiva). Sentenza questa cui hanno fatto seguito altre decisioni nel 2019 della stessa Corte di Giustizia che, nel quadro normativo europeo, hanno della direttiva n. 98/59 dato una analoga lettura .
Corollario delle precedenti considerazioni è che sono da ritenersi vincolanti per la parte datoriale - è bene ribadirlo ancora una volta – le prescrizioni procedurali di cui alla l. 223/1991 con l’effetto che la loro violazione determina la nullità del licenziamento collettivo per riduzione del personale con la ricaduta consequenziale di un pluralità di licenziamenti individuali, da regolamentare come tali anche con rifermento all’apparato sanzionatorio, che deve essere radicalmente rivisitato .
E proprio con riferimento al sistema sanzionatorio la Corte Costituzionale con sentenza 25 settembre 2018 n. 194 - nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma primo , del d. lgs. 3 marzo 2015 n. 23 e dell’art. 3, comma 1, l. 12 luglio 2018 n. 87 - ha sottolineato che la liquidazione dell’indennità risarcitoria a seguito di licenziamenti illegittimi deve essere incentrata e calibrata sulle singole fattispecie scrutinate, non potendo invece detta indennità essere quantificata sulla base della sola anzianità di servizio, perché in applicazione di un “criterio rigido”, come tale inidoneo per una ponderata valutazione delle singole e sempre diverse posizioni individuali. Ed anche perché - aggiunge la Corte - il generale criterio risarcitorio deve essere “dissuasivo” per il datore di lavoro ed “adeguato” ai fini compensativi dei danni subiti dal singolo lavoratore. Ragione per la quale detto criterio deve rispettare i principi generali della “ragionevolezza” e della “proporzionalità” della sanzione con un equo bilanciamento tra il diritto dell’imprenditore al libero esercizio di una attività economica ed i diritti personali del lavoratore” .
Alla stregua di quanto sinora detto è doveroso rimarcare come un diritto del lavoro il cui apparato punitivo sia basato su criteri rigidi, automatici, statistici o su algoritmi è, per chi si professa liberale, espressione di una politica dirigistica, che risente di ideologie del passato, e che finisce per tradire la nostra Carta che, attenta a tutelare il diritto al “decoro” ed alla “dignità” della singola “persona” che lavora, non può in alcun modo legittimare un sistema sanzionatorio le cui regole vedano come destinatari da privilegiare, a danno dei diritti dei singoli, la “collettività dei lavoratori” nelle loro “diverse tipologie e categorie. Da qui un necessario ritorno al ” diritto civile” ed all’ ”equità del giudice” .
4. A chiusura del tutto qualche ulteriore riflessione.
Nel settore giuslavoristico è nutrita la schiera di studiosi che nei loro scritti si proclamano fedeli seguaci del giusnaturalismo, guardando con supponenza quanti mostrano di essere fautori del positivismo giuridico, che ha nella continua ricerca della certezza del diritto il suo elemento caratterizzante. Certezza che nelle guerre e nelle pandemie che provocano gravi ricadute in termini di vite umane viene vista come un rassicurante approdo che si accredita di fatto sul popolare, accattivante e spesso gratificante giusnaturalismo, supportato non di rado da un pauperismo di matrice cattolica e patrocinato da un condizionante ed incisivo circuito mass-mediatico .
Il positivismo giuridico rifugge quindi da utopie sovente fallaci, facendo riferimento costante alla esperienza giuridica ed al vivere quotidiano e nel contempo rivendicando il doveroso rispetto delle leggi dello Stato, per le quali Socrate ha sacrificato la sua vita e Creonte, re di Tebe, quale difensore della polis, e a tutela della salvezza di tutti, ha negato la sepoltura di Polinice, pretesa invece da Antigone, sensibile invece alla pietas ed alla interiorità sentimentale soggettiva.
Per concludere , l’essere stata la pandemia da Covid-19 per lungo tempo governata da un legislatore privo di progettualità, alla ricerca di immediati consensi ed incerto nell’agire, ha indotto seppure tardivamente a meglio valutare il positivismo, facendone crescere gli estimatori, che ormai non disdegnano di schierarsi dalla parte di un “nuovo Creonte”, nella speranza di una Giustizia efficiente e di leggi migliori -
La storia dei Greci, come quella dei Romani, ha ancora molto da insegnare.