Testo integrale con note e bibliografia
1. Complessità e relativizzazione della dicotomia lavoro subordinato-lavoro autonomo: la direzione tracciata dall’OIL
Fin dalla premessa del suo libro Adalberto Perulli richiama l’attenzione sulla subordinazione giuridica quale “cruna dell’ago da cui deve passare ogni lavoratore per guadagnarsi le tutele individuali e collettive a lui riservate da una Repubblica fondata sul lavoro (art. 1 Cost.), che promette di tutelare il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35 Cost.)” . L’assunto domina la scena sia nella prospettiva del diritto interno sia in quella, nella quale ci collocheremo in queste brevi note, del diritto internazionale del lavoro .
Tuttavia, se il lavoro subordinato rappresenta una parte rilevante e ancora quantitativamente preponderante del mercato del lavoro, al contempo l’A. si interroga su “ciò che è rimasto escluso dal perimetro delle tutele e che oggi, nelle nuove forme in cui si manifesta, reclama la sua appartenenza al continuum che dalla subordinazione porta all’autonomia, e chiede riconoscimento da parte del diritto del lavoro” .
Come ampiamente dimostrato dall’A., il binomio subordinazione-autonomia ha assunto nuove conformazioni, anche per mano del legislatore, sviluppandosi processi di “ibridazione” delle fattispecie e dei rispettivi domini giuridici di tutela. Il legame esclusivo che il diritto del lavoro ha costruito con il lavoro subordinato ci appare così sotto scacco per effetto dei cambiamenti che hanno investito l’organizzazione e le condizioni di lavoro. In questo scenario la frammentazione ed eterogeneità delle forme di impiego non trovano adeguata rappresentazione all’interno della cornice regolativa di riferimento. La narrazione centrata sulla rigida dicotomia tra subordinazione e autonomia ha quindi perso la sua capacità di raccontare e descrivere lucidamente la complessità del lavoro e delle sue multiformi manifestazioni .
Allo stesso tempo i dati statistici registrano la perdita di terreno del lavoro subordinato a tempo indeterminato, sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, nonché l’aumento dei lavoratori autonomi, che costituiscono la maggioranza della forza lavoro in molti paesi in via di sviluppo dove operano per lo più nell'economia informale .
Il lavoro autonomo è in crescita anche nei paesi sviluppati per effetto delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro legate ai cambiamenti tecnologici, climatici e demografici, alle migrazioni . Si tratta indubbiamente di una dimensione frastagliata ed eterogenea, nel nostro paese come nel resto del mondo, sulla quale insistono non secondarie criticità. L’amplificarsi dei rischi sociali, che hanno colpito pesantemente anche i lavoratori autonomi (diseguaglianze, concorrenza al ribasso sulle condizioni di lavoro a partire dai redditi da lavoro, etc.), hanno evidenziato i limiti dei modelli tradizionali di tutela . La pandemia ha minacciato la salute e la vita dei lavoratori, ma ha anche accresciuto la consapevolezza dell'importanza di proteggere tutti i lavoratori, in particolare quelli considerati più vulnerabili. Come noto, durante la crisi sanitaria gli stati hanno esteso le tutele oltre il perimetro del lavoro subordinato ma si è trattato di interventi estemporanei che richiedono necessariamente ulteriori azioni di consolidamento nella direzione di una revisione in senso inclusivo delle tecniche di tutela .
Il periodo emergenziale, nella sua drammaticità, dovrebbe altrimenti fungere da acceleratore di un processo di rinnovamento dei sistemi di tutela nel segno dell’universalità, per lo meno nell’ambito delle misure volte a garantire la soddisfazione di bisogni considerati essenziali per le persone che lavorano, a prescindere dal loro status contrattuale.
Le trasformazioni dei rapporti di produzione hanno in questo senso penetrato il tessuto giuridico, ponendo nuove sfide al diritto del lavoro, sia sul piano della qualificazione dei rapporti che su quello della disciplina applicabile. Da qui la riflessione dell’A. si sposta inevitabilmente sulla funzione stessa della materia, sul suo statuto protettivo dentro e oltre i confini della subordinazione. Ci si chiede, in questo senso, se il diritto del lavoro possa ancora intendersi come la risposta di un sistema normativo assiologicamente orientato alle esclusive esigenze di tutela sociale del lavoro dipendente.
Collocandosi sul versante del diritto internazionale l’A. osserva che l’OIL, pur se con modalità ed intensità differenti, riconosce nel suo codice genetico la centralità del lavoro in tutte le sue forme e declinazioni. L’A. ricostruisce le diverse tappe del percorso che, soprattutto a partire dalla Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali del lavoro del 1998, hanno condotto verso il superamento della logica oppositiva binaria.
L’Organizzazione si è fatta artefice di un cambio di rotta nella definizione delle politiche di azione: da un lato permane, sia pur affievolita, l’egemonia del lavoro subordinato come principale ambito da tutelare; dall’altro lato si consolida una visione universalistica delle tutele che porta a “relativizzare il distinguo tra subordinazione e autonomia” . Secondo l’A. “anche il diritto internazionale del lavoro suggerisce di ritenere ormai trascorso il tempo in cui la voce autorevole di Luigi Mengoni si levava per riaffermare la netta distinzione tra tipi negoziali oppositivi in ragione di altrettanto nettamente divaricati assetti di interessi” .
La centralità della persona e la promozione del lavoro dignitoso rappresentano, nella condivisibile ricostruzione dell’A., l’architrave alla luce della quale interpretare e valorizzare le misure e le azioni adottate dall’OIL a tutela dei lavoratori .
2. Linguaggio e tecniche di regolazione: un mosaico difficile da comporre.
Dalla prospettiva del diritto internazionale del lavoro un primo ordine di questioni indagate dall’A. attiene alla posizione assunta dall’OIL sulla qualificazione dei rapporti all’interno della dicotomia lavoro subordinato-lavoro autonomo. Come osserva Perulli, già nella Conferenza del 1997 l’Organizzazione aveva fotografato l’evoluzione in atto sul versante delle fattispecie di lavoro, registrando la diffusione di una categoria ibrida di rapporti che, pur se riconducibili al lavoro autonomo, presentavano profili di dipendenza economica. Si trattava di rapporti di “dependency within independence” ritenuti meritevoli di protezione in quanto presentavano caratteristiche di debolezza in senso socio-economico.
La Proposta di Convenzione discussa in quell’occasione si poneva un duplice obiettivo: da un lato chiarire i tratti caratterizzanti della categoria e, dall’altro, estendere l’ambito di applicazione di talune tutele originariamente previste per i soli lavoratori dipendenti. Sul punto l’A. identifica due distinte strategie dell’OIL: la prima, di caratura più universalistica, poggiava sull’estensione del raggio di protezione del diritto del lavoro oltre la subordinazione; la seconda, diversamente, promuoveva una sorta di sintesi tra universalismo e selettività, riconoscendo un nucleo essenziale di diritti fondamentali (libertà di organizzazione sindacale, diritto alla contrattazione collettiva, divieto di discriminazioni, divieto di lavoro minorile, tutele sul piano della retribuzione, della salute e sicurezza, gli infortuni e malattie professionali, la sicurezza sociale) per tutti coloro che forniscono un’attività a favore di terzi, a prescindere dalla qualificazione formale dei relativi rapporti di lavoro. L’estensione delle tutele oltre il perimetro della subordinazione trovava giustificazione nelle condizioni di dipendenza economica e/o organizzativa quale caratteristica dominante di tali rapporti.
Pur se in quell’occasione la Proposta di Convenzione non venne adottata, soprattutto in ragione delle profonde differenze tra gli stati membri, l’attenzione dell’OIL sul tema è costantemente cresciuta nel tempo tanto da sfociare nell’elaborazione della Raccomandazione n.198/2006 . Qui, secondo l’A., l’OIL ha chiaramente posto in evidenza l’esigenza di estendere il campo di azione del diritto del lavoro al di fuori delle fattispecie di lavoro subordinato. Tuttavia, si tratta di un intervento che sposa ancora la logica della “grande dicotomia”, risolvendosi in una mera revisione/aggiornamento del concetto di subordinazione.
Un secondo ordine di questioni attiene all’applicazione degli standards internazionali sul lavoro. Esula da questo breve contributo l’analisi del perimetro soggettivo di riferimento degli standards elaborati dall’OIL ma è evidente che si tratta di una questione centrale nel dibattito sul futuro dell’Organizzazione e sulla stessa effettività ed efficacia dei suoi strumenti regolativi .
Pur se, come detto, l’approccio oggi dominante pone al centro le esigenze di tutela della persona, indipendentemente dal suo status contrattuale, il linguaggio utilizzato dall’OIL non offre ancoraggi certi sul piano interpretativo, aprendo interrogativi di non agevole risoluzione in ordine all’individuazione degli spazi di tutela .
La topografia degli standards adottati dall’OIL appare estremamente variegata trattandosi, in alcuni casi, di tutele rivolte esclusivamente a beneficio dei lavoratori dipendenti e, in altri casi, di precetti a tutela anche dei lavoratori autonomi. I termini utilizzati nei documenti ufficiali dall’Organizzazione, ovvero quelli di workers, employee, self employment, platform workers, informal workers, assumono significati diversi in ragione dello specifico ambito in cui vengono declinati . Ma è la stessa definizione di “employment relationship” che può essere declinata in più modi tenuto conto dell’eterogeneità degli obiettivi di volta in volta prescelti dall’Organizzazione.
Posta quindi l’assenza di una definizione univoca di lavoro subordinato a livello internazionale, e tenuto conto delle ambiguità nell’individuazione dei criteri sulla base dei quali identificare la “relazione di lavoro” meritevole di tutela, la portata soggettiva degli standards dev’essere ricostruita indagando il testo normativo, i lavori preparatori ed altresì le interpretazioni dei comitati di supervisione dell’OIL .
L’incertezza sul piano del linguaggio si riverbera poi sulla determinazione delle tutele applicabili. Tuttavia su questo l’A. osserva un decisivo cambio di passo dell’Organizzazione a partire dalla Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali del lavoro del 1998 con la quale viene identificato un corpus inalienabile di diritti, anche descritti come “diritti umani universalmente riconosciuti”, che vanno tutelati in quanto ancorati allo status di persona umana e fondati sul rispetto dei principi generali e di tutela della dignità umana. E’ stato valorizzato un nucleo minimo di standards sociali dotati di applicazione universale, ovvero condizioni preliminari del libero mercato che dovrebbero essere rispettate indipendentemente dal livello di sviluppo sociale, economico, culturale di ciascun paese . Il ruolo svolto dall’OIL sul punto risulta indubbiamente determinante sia se esaminiamo i progressi intervenuti all’interno degli Stati membri (dopo l’introduzione della Dichiarazione il numero di ratifiche delle Convenzioni fondamentali è cresciuto in poco tempo come mai era accaduto), sia se esaminiamo i documenti elaborati da importanti organismi internazionali che costantemente richiamano la Dichiarazione del ’98, assumendola come una comune cornice regolativa di riferimento a tutela dei diritti dei lavoratori . Nell’intento di assicurare positive interazioni tra progresso sociale e crescita economica, la garanzia dei principi e dei diritti fondamentali nel lavoro è precondizione necessaria. Date queste premesse la Dichiarazione “ricorda che nell’aderire liberamente all’OIL tutti i suoi Stati membri hanno accettato i principi e i diritti enunciati nella sua Costituzione e nella Dichiarazione di Filadelfia e si sono impegnati ad operare per conseguire il complesso degli obiettivi dell’OIL al meglio delle loro capacità”. Per la Conferenza internazionale del lavoro, organo da cui promana la Dichiarazione, “tutti i membri anche qualora non abbiano ratificato le Convenzioni fondamentali, hanno un obbligo, dovuto alla loro appartenenza all’OIL, di rispettare, promuovere e realizzare, in buona fede e conformemente alla Costituzione, i principi riguardanti i diritti fondamentali che sono oggetto di tali Convenzioni”.
Del resto il paradigma del lavoro dignitoso, introdotto dall’OIL nel 1999, già indicava la direzione da intraprendere: i diritti sociali fondamentali devono essere applicati senza distinzioni in quanto la dignità del lavoro dev’essere assicurata a prescindere dalla natura contrattuale dei relativi rapporti ed altresì della sussistenza o meno di un vincolo contrattuale . Questa tendenza verso una sorta di “impermeabilizzazione” del nucleo duro di diritti alle categorie legali è stata più volte sottolineata dal Comitato di esperti dell'OIL sull'applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni (CEACR): “i principi e diritti fondamentali sul lavoro sono applicabili ai lavoratori della piattaforma alla stregua di tutti gli altri lavoratori e indipendentemente dal loro status lavorativo” .
Per quanto concerne nello specifico i diritti di matrice sindacale la Convenzione n. 87/1948 sulla libertà sindacale fa rinvio a tutti i lavoratori “senza alcuna distinzione” . Il CEACR ha affermato che «i lavoratori autonomi possono pienamente beneficiare dei diritti sindacali garantiti dalle Convenzioni n. 87 e 98 al fine di promuovere e difendere i loro interessi, anche per mezzo della contrattazione collettiva» . Anche il Comitato dell’OIL sulla libertà sindacale propone una lettura estensiva oltre il perimetro del lavoro dipendente. Esemplificativa tra le altre la richiesta sottoposta dal Comitato alla Corea con l’invito ad adottare le misure necessarie per “garantire che i lavoratori autonomi godano pienamente dei diritti di libertà di associazione, in particolare del diritto di aderire alle organizzazioni di loro scelta” .
Così la Convenzione n. 100/1951 sulla parità di retribuzione e la Convenzione n.111/1958 sulla discriminazione nell’impiego e nell’occupazione si applicano a "tutti i lavoratori, in tutti i settori di attività, nel pubblico e privato, nell'economia formale e informale” . La Convenzione n.29/1930 sul lavoro forzato e il relativo Protocollo del 2014, nonché la Convenzione n. 105/1957 sono applicabili a “tutti i lavoratori del settore pubblico e privato, lavoratori migranti, lavoratori domestici e lavoratori nell'economia informale” . E, ancora, la Convenzione n.138/1973 e la Convenzione n.182/1999 coprono tutti i rami dell'attività economica e tutti i tipi di lavoro, indipendentemente dallo status occupazionale (che include il lavoro autonomo) e il lavoro informale .
Anche se ci spostiamo oltre il terreno dei core labour standards emerge una chiara tendenza espansiva dell’ambito di applicazione delle tutele. Prendiamo ad esempio la Convenzione sulla sicurezza sociale n.102 del 1952 che introduce parametri minimi per la protezione delle persone economicamente attive, compresi i lavoratori autonomi . Questi parametri di riferimento riguardano malattia, assistenza medica, disabilità, maternità, infortunio sul lavoro, disoccupazione e vecchiaia e includono il sostegno ai familiari. La Raccomandazione n.202 del 2012 introduce una serie di garanzie di sicurezza sociale di base relative all'assistenza sanitaria essenziale e alla sicurezza del reddito di base . Così la Convenzione n.122 del 1964 e la Raccomandazione n.169 del 1984 sulla politica dell'occupazione; e, ancora, la Raccomandazione n.204 del 2015 e la Convenzione n.190 del 2019 sulla violenza e le molestie, sono rilevanti per tutti i lavoratori, compresi i lavoratori autonomi e quelli che operano nell’economia informale .
L’assunto secondo cui le misure di tutela devono essere garantite indipendentemente dalla fattispecie negoziale di riferimento, in quanto funzionali a soddisfare comuni bisogni di protezione, è stato ulteriormente rafforzato in una serie di recenti interventi dell’OIL . In questi termini possiamo leggere il Rapporto sul futuro del lavoro del 2019, la Dichiarazione per il futuro del lavoro del Centenario dell’OIL del 21 giugno 2019 (v. infra), nonché la miriade di documenti elaborati dall’Organizzazione durante la pandemia con l’obiettivo di supportare gli stati membri nella gestione dell’emergenza e, soprattutto, nella definizione delle misure da adottare per superarla .
Questa tensione verso modelli di tutela che si spingono oltre gli steccati del lavoro dipendente, per accogliere tutti coloro che vivono del proprio lavoro, impone una revisione degli schemi regolativi della tradizione al fine di garantire pari dignità al lavoro, indipendentemente dalla sua qualificazione giuridica. Con la digitalizzazione, e ancor più per effetto della crisi pandemica, si è chiaramente manifestata l’urgenza di rivedere gli apparati di tutela in senso più inclusivo e coerente con l’evoluzione dei rapporti di produzione e dei modelli di organizzazione del lavoro su scala globale. In questa prospettiva l’Organizzazione ha promosso interventi di revisione degli assetti di tutela e ciò, in particolare, a beneficio delle categorie più a rischio come coloro che operano nell’economia informale e in forme precarie di impiego, ivi inclusi i lavoratori autonomi .
Ricostruendo in questi termini il percorso centenario intrapreso dall’OIL, l’A. registra quindi un processo di “relativizzazione del pensiero tipologico, ovvero del sistema di protezione universale del lavoro centrato esclusivamente sulla tecnica della fattispecie di subordinazione, e il correlativo superamento della subordinazione come concetto esclusivo ed escludente” . La direzione è tracciata, vuoi dalla prospettiva del diritto internazionale che da quella del diritto interno, e parla il linguaggio dell’universalità delle tutele in risposta a bisogni e rischi che accomunano tutti coloro che traggono sostentamento dal proprio lavoro.
3. Quali prospettive aperte dall’human-centred approach per il futuro del lavoro?
Come già anticipato se ci concentriamo sulla storia più recente dell’Organizzazione si susseguono gli interventi che confermano, ed anzi rafforzano, la tendenza universalistica dell’OIL . Tra tutti il Rapporto sul futuro del lavoro e la Dichiarazione del Centenario dell’OIL per il Futuro del Lavoro .
La leva che muove oggi l’operato dell’OIL è ben rappresentata nel punto in cui si afferma che “nel suo secondo secolo l’OIL deve promuovere con persistente vigore il suo mandato costituzionale per la giustizia sociale, sviluppando ulteriormente il suo approccio al futuro del lavoro incentrato sulla persona, che pone i diritti e i bisogni dei lavoratori e le aspirazioni e i diritti di tutte le persone al centro delle politiche economiche, sociali e ambientali” . Da qui la crisi non può mettere in discussione i paradigmi fondativi ai quali si è ispirata l’Organizzazione nella sua attività di standard setting ovvero l'universalità, l’indivisibilità, l’interdipendenza e l’interrelazione di tutti i diritti umani, sia civili che politici, nonché dei diritti economici, sociali e culturali.
La centralità della persona nelle politiche di intervento e nelle linee di indirizzo promosse dall’Organizzazione spinge necessariamente verso l’accesso universale ai sistemi di protezione sociale. Il pacchetto di risorse politiche dell'OIL contenute nel documento "Extending social security to workers in the informal economy” , e nella stessa direzione, quanto affermato nel Report “Extending social security to self-employed workers. Lessons from international experience” del 30 giugno 2020 , ben riflettono la prospettiva inclusiva che l’OIL ha fatto propria.
Un passaggio fondamentale è certamente la proposta della “Universal Labour Guarantee” attraverso la quale definire standard di tutela comuni per tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status contrattuale . Condivisibile sul punto l’osservazione di chi ritiene la proposta una vera e propria svolta non solo perché essa sottolinea a gran voce la cifra universale dei core labour standard, ma altresì perché promuove una tutela universalistica anche sul tema del salario e dell’orario di lavoro .
Riprendendo in particolare l’articolo III (B) della Dichiarazione, tutti i lavoratori dovrebbero godere di un'adeguata protezione in conformità con l'Agenda per il lavoro dignitoso. Nell’accezione promossa dall’OIL la protezione si sostanzia nel rispetto dei diritti fondamentali, nell’erogazione di un salario minimo adeguato, nella previsione di limiti massimi sull’orario di lavoro, nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Sullo sfondo rileva l’intento dell’Organizzazione e degli stati membri di “rinnovare le basi democratiche dei nostri mercati del lavoro e rafforzare il dialogo sociale, dando voce a tutti nel plasmare i cambiamenti in corso e la qualità della loro vita lavorativa”.
Lo studio di Perulli ha in questo senso dimostrato l’approccio avanzato dell’Organizzazione che si è fatta nel tempo promotrice di un sistema di tutele in parte svincolato dai modelli regolativi centrati sulla fattispecie tipologica. Il fondamento della tutela dovrebbe risiedere nella condizione di sottoprotezione e vulnerabilità della persona nel mercato. La complessità del tempo presente e delle dinamiche che lo animano richiede necessariamente di intervenire, attualizzandolo, sul corpus regolativo che si è via via costruito grazie all’opera fondamentale dell’OIL. Da qui l’urgenza di avviare un processo centrato sulla ridefinizione dell’ambito di applicazione delle Convenzioni e delle Raccomandazioni al fine di rimodellarlo alla luce delle esigenze che accomunano tutti coloro che spendono le proprie energie lavorative a favore di altri, indipendentemente dalla tipologia contrattuale adottata.
La questione si lega, inevitabilmente, a quel ridisegno in senso universalistico del diritto del lavoro che, riprendendo ancora una volta l’analisi di Perulli, caratterizza oggi tutti i sistemi giuridici e che dovrebbe rappresentare la prioritaria traiettoria di azione nel prossimo futuro.