testo integrale con note e bibliografia
1. Grandi assenze: l’inerzia del legislatore italiano e i nodi irrisolti del diritto del lavoro.
Il bel volume di cui discutiamo affronta il tema del lavoro po-vero con una visione ampia e molteplice, che consente di indagare in profondità le implicazioni del fenomeno da varie angolazioni.
Il mio contributo al confronto si concentra sull’intreccio fra re-tribuzione proporzionata e sufficiente e salario minimo .
Non sembra sorgano dubbi che fra le cause scatenanti il feno-meno della povertà lavorativa vi sia l’inadeguatezza dei trattamenti retributivi.
Dall’angolazione del giuslavorista, se si intendono indagare le ragioni che portano alla dinamica dei bassi salari, vengono alla lu-ce alcuni punti nevralgici della nostra materia: la mancata attua-zione della seconda parte dell’art. 39 Cost. e la vicenda della rap-presentanza e della rappresentatività sindacale che porta con sé, come è evidente, anche il nodo dell’efficacia erga omnes dei con-tratti collettivi di lavoro .
L’evoluzione post-costituzionale ci ha traghettato verso quel si-stema di sindacalismo di fatto che, per un lungo tratto di strada, ha dimostrato una straordinaria capacità di regolazione, trasmet-tendo l’impressione che i temi della rappresentatività sindacale e dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi avessero trovato una sorta di equilibrio alchemico.
Tuttavia quei temi sono tornati ciclicamente al centro della sce-na, imponendo la ripresa di discussioni che sembravano sopite e che venivano quasi con una certa stanchezza creativa riproposte a fronte del manifestarsi di quei vari fenomeni, di volta in volta espressivi della crisi della rappresentatività o della rottura di col-laudati meccanismi di contrattazione .
Le questioni appena evocate hanno oggi una portata dirompen-te se pensiamo alla proliferazione dei contratti collettivi e al dif-fondersi di sigle sindacali spesso sconosciute secondo fenomeni che si possono osservare nei vari settori produttivi (i c.d. contratti collettivi pirata ).
Emerge una frammentazione estrema della contrattazione col-lettiva, che spesso si attesta su livelli molto bassi di tutela, soprat-tutto in tema di retribuzione.
Come affrontare oggi il problema?
Anzitutto, la riflessione degli ultimi decenni sembra dimostrare che è possibile sciogliere il nodo della rappresentanza e della con-trattazione senza dover necessariamente imboccare il sentiero stretto della seconda parte dell’art. 39 Cost., mettendone a fuoco una lettura attualizzata .
In secondo luogo la costruzione di un simile percorso deve rea-lizzarsi nel quadro del dialogo sociale, sviluppando il confronto e la condivisione con le parti sociali per giungere, all’esito di una at-tenta fase di indagine, all’elaborazione di una proposta normativa.
In questo senso le soluzioni messe in pratica dalle parti sociali sono i punti di partenza imprescindibili della riflessione da svolge-re.
In via esemplificativa, senza voler trascurare le regolazioni mes-se in atto nelle varie categorie , è interessante osservare le indica-zioni che ci trasmettono, con riferimento all’industria, il c.d. Testo Unico della Rappresentanza del 2014 e il Patto della Fabbrica del 2018 .
Si può sul punto rilevare che le pur interessanti proposte di leg-ge che sono emerse sul tema meriterebbero un preliminare ed au-tentico confronto con le parti sociali che dovrebbe, prima di tutto, essere finalizzato ad una analisi approfondita della complessa strutturazione delle relazioni sindacali in Italia in modo da distin-guere le non banali diversità strutturali di un sistema variegato e cangiante .
2. Magnifiche presenze: giurisprudenza e autonomia collettiva.
In Italia, secondo un orientamento giurisprudenziale risalente ai primi anni sessanta del secolo scorso, la retribuzione proporziona-ta e sufficiente ex art. 36 Cost. è quella prevista dai contratti col-lettivi di lavoro.
La giurisprudenza, più di mezzo secolo fa, si accollò la respon-sabilità di individuare una possibile forma di attuazione dell’art. 36 Cost. dovendo prendere atto dell’inerzia del legislatore in un qua-dro socio-economico che aveva l’urgenza di individuare un criterio per rendere giusta la retribuzione.
Quel meccanismo delineato dalla giurisprudenza ha funzionato perfettamente, favorendo ed amplificando la tendenza espansiva dei contratti collettivi di lavoro e realizzando, più di quanto si po-tesse pensare, una generalizzata applicazione di questi giacché il tema della retribuzione finiva per trascinare con sé l’applicazione di altri istituti; in nome dell’inscindibilità delle clausole di un con-tratto collettivo si giungeva dunque ad una sua pacifica applica-zione nel rapporto di lavoro .
Negli ultimi decenni tuttavia il vento è cambiato e la giurispru-denza, pur con non poche difficoltà, si sta orientando verso una nuova fase, come emerge dalle ormai celebri sei sentenze della Su-prema Corte dell’anno scorso che, con un intervento di partico-lare importanza, ha puntato il faro sull’adeguatezza delle tariffe re-tributive previste dai contratti collettivi di lavoro . La Cassazione sembra dire, con una chiarezza inedita nella precedente giurispru-denza, che il rinvio al contratto collettivo per determinare la retri-buzione proporzionata e sufficiente non può intendersi come sa-crale ove quest’ultimo si faccia portatore di discipline che compor-tano l’applicazione di un trattamento retributivo inadeguato per i lavoratori.
Ciò premesso non si può tacere che altri e ben più dirompenti fattori hanno ridotto la capacità benefica della formidabile solu-zione giurisprudenziale di cui discutiamo: la rottura dell’unità sin-dacale classica, la formazione del dissenso collettivo e di quello individuale, la contrattazione collettiva separata e, infine, la sta-gione più recente, quella della proliferazione incontrollata di con-tratti collettivi e di sigle sindacali, una sorta di neoplasia sindacale, una crescita anomala di cellule nel tessuto delle relazioni sindacali italiane.
Non si può ovviamente trascurare che anche nell’area dei sin-dacati comparativamente più rappresentativi emergono gravi que-stioni connesse ad alcuni contratti collettivi che prevedono retri-buzioni del tutto inadeguate e sui quali si è concentrata l’attenzione della giurisprudenza appena sopra richiamata.
Orbene, l’autonomia collettiva ha certamente gli antidoti per respingere le tendenze regressive che sono presenti nel mercato del lavoro ma, come si dirà oltre, occorre un adeguato intervento normativo che possa sostenere l’auspicabile reazione immunitaria delle organizzazioni sindacali.
3. Ascesa e (possibile) declino della direttiva sul salario minimo.
Senza dubbio nel ragionamento che si conduce sul tema, ha un particolare peso la direttiva 2022/2041 del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea.
È da rilevare che la direttiva ha avuto un percorso di approva-zione particolarmente travagliato e che molti sono gli Stati mem-bri, compresa l’Italia, che non hanno ancora completato l’iter di recepimento (il cui termine è scaduto il 15 novembre 2024). Peral-tro sul percorso dell’attuazione della direttiva si è posto anche un ulteriore (e grave) elemento di incertezza, rappresentato dal ricor-so promosso dalla Danimarca (causa C-19/23) su cui sono state da pubblicate (il 15 gennaio 2025) le conclusioni dell’Avvocato ge-nerale presso la Corte di Giustizia dell`Unione europea che ne ha chiesto l`annullamento. Nelle conclusioni del suo parere, l’Avvocato generale propone infatti alla Corte di Giustizia di an-nullare integralmente la direttiva, in quanto “incompatibile con l’articolo 153, paragrafo 5, TFUE e, quindi, con il principio di at-tribuzione sancito dall’articolo 5, paragrafo 2, TUE”.
In attesa di conoscere l’esito del giudizio sopra indicato, si deve certo rimarcare che la direttiva sui salari minimi adeguati è stata l’occasione per affrontare in Italia molte delle questioni che si so-no poste sul piano della frammentazione contrattuale e del livello, spesso indecente, di tutela giuridica ed economica che emerge dal-la giungla contrattuale di questa fase storica.
La direttiva è stata vista come lo strumento per ridurre la con-correnza salariale al ribasso e contrastare i deprecabili fenomeni di dumping che sono presenti nel sistema.
Ciò premesso, deve rimarcarsi che, da un lato, sembra difficile ipotizzare che l’Italia, avendo un alto livello di copertura contrat-tuale, sia tenuta ad uno specifico intervento normativo di attua-zione della direttiva e, dall’altro, che la nozione di salario minimo che la direttiva fissa sembra collocarsi in una dimensione diversa dalla retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost.
In particolare nel definire la procedura di determinazione di sa-lari minimi legali adeguati la direttiva (art. 5, par. 1) fa riferimento a criteri per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuo-vere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ri-durre il divario retributivo di genere. Tuttavia la direttiva prevede altresì (art. 5, par. 4) che gli Stati membri utilizzano valori di rife-rimento indicativi per orientare la loro valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali e che, a tal fine, «possono utilizzare valori di riferimento indicativi comunemente utilizzati a livello internazionale, quali il 60 % del salario lordo mediano e il 50 % del salario lordo medio, e/o valori di riferimento indicativi utilizzati a livello nazionale».
Una simile indicazione sembra tracciare una possibile divarica-zione quantitativa fra il salario minimo legale prefigurato dalla di-rettiva e la retribuzione giusta ex art. 36 Cost.
4. Una legge sulla retribuzione giusta come condizione necessaria ma non sufficiente.
Una possibile strada, non risolutiva dei nodi critici sopra indica-ti ma che potrebbe dare una forte spinta nella giusta direzione è quella di intervenire, con una legge, per stabilire i criteri di indivi-duazione della retribuzione proporzionata e sufficiente.
Una simile soluzione non risolverebbe la delicata questione del-la misurazione della rappresentatività sindacale, che è la via mae-stra per affrontare il tema della retribuzione giusta.
Tuttavia, poiché questa strada sembra difficile da percorrere, un intervento del legislatore italiano che codifichi la regola della retribuzione giusta, operando un rinvio ai contratti collettivi stipu-lati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, avrebbe effetti benefici su un mercato del lavoro in cui sono presenti segnali di profonda regressione.
Una proposta normativa così congegnata prenderebbe le mosse dal già citato orientamento prevalente in giurisprudenza secondo cui la retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. è quella prevista dai contratti collettivi di lavoro, cui viene ricono-sciuto il ruolo di “autorità salariali” .
Occorre precisare che un simile progetto normativo presuppo-ne che la giurisprudenza conservi un fondamentale ruolo di con-trollo sulla legge e sull’autonomia collettiva alla luce dell’art. 36 della Costituzione, come certamente hanno messo in luce un anno fa le sei sentenze della Cassazione sull’adeguatezza retributiva prima ricordate . Il rinvio legale dunque non opererebbe come uno scudo rispetto all’accertamento giurisprudenziale del rispetto dei parametri della retribuzione proporzionata e sufficiente.
Un intervento normativo che proceda in questa direzione sa-rebbe coerente con quanto affermato da Corte cost. n. 51 del 2015 intervenuta sul trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa. Come è noto tale sentenza ha ritenuto che la disposi-zione di riferimento (art. 7, comma 4, del d.l. n. 248/2007 conver-tito in l. n. 31/2008, congiuntamente all’art. 3 della legge n. 142 del 2001), si propone di contrastare forme di competizione salaria-le al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tem-po, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della suffi-cienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti col-lettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rap-presentative.
Si tratterebbe, come è evidente, della consolidata tecnica nor-mativa fondata sul rinvio della legge al contratto collettivo, che ha visto il pieno coinvolgimento dei contratti collettivi sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi su temi di partico-lare importanza fra i quali ricordiamo: il contratto a termine, la somministrazione di lavoro, il contratto di apprendistato, il con-tratto a tempo parziale, il potere di modifica delle mansioni, la di-sciplina dell’orario di lavoro, il contratto di solidarietà, la cassa in-tegrazione, il fondo nuove competenze.
È ancora da mettere in luce che anche nella prassi amministra-tiva sono del pari frequenti le interazioni e i rinvii ai contratti col-lettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentati-vi .
Si deve peraltro mettere in rilievo che il rinvio ai contratti col-lettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi riguarda, in un significativo numero di ipotesi, il tema retributivo e, in particolare, una formula che è assimilabile al trattamento economico complessivo.
Si considerino in particolare, oltre al già citato art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007, anche l’art. 2, comma 25 della l. n. 549/1995 (norma di interpretazione autentica dell’art. 1 del d.l. n. 338/1989 sull’imponibile contributivo), l’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 117/2017 (lavoro nel terzo settore), l’art. 203, comma 1, d.l. n. 117/2017 (settore del trasporto aereo).
A ben vedere le formule utilizzate in tali riferimenti normativi (trattamenti economici complessivi, trattamento economico, trat-tamento retributivo) alludono all’intera retribuzione spettante a quei lavoratori una volta che viene loro applicato uno specifico contratto collettivo. Quindi, l’adeguatezza salariale è pienamente coincidente con l’intero trattamento retributivo del CCNL.
Ciò premesso, considerato il gran numero e anche l’importanza qualitativa dei rinvii legali ai contratti collettivi sottoscritti dai sin-dacati comparativamente più rappresentativi, verrebbe da chieder-si quale sia la preclusione a utilizzare tale tecnica anche al fine di individuare la retribuzione proporzionata e sufficiente.
Una proposta di legge che affronti un simile tema dovrebbe fa-re riferimento al trattamento economico complessivo e non ai c.d. minimi salariali e anche prevedere un sistema di equilibrio che possa intervenire per determinare, attraverso l’intervento di un or-ganismo interistituzionale, i criteri di individuazione della retribu-zione giusta .
Un meccanismo così congegnato, rappresenterebbe un notevole passo in avanti verso l’individuazione di una retribuzione dignito-sa.
Una simile soluzione consentirebbe, a ben vedere, di affrontare quel nodo cruciale rappresentato dalle consistenti riduzioni retri-butive che vengono in considerazione nelle catene degli appalti.
Non v’è dubbio che, con il venir meno del principio di parità di trattamento negli appalti (per effetto del d.lgs. n. 276/2003), si so-no creati i presupposti per profonde diversificazioni retributive in consistenti aree del nostro tessuto produttivo, diversificazioni che una legge come quella qui ipotizzata potrebbe contrastare e collo-carsi altresì come elemento di riequilibrio.
La proposta normativa in questione non consisterebbe in un semplice rinvio all’autonomia collettiva ma si dovrebbe far carico di avviare una fondamentale interazione fra parti sociali e poteri pubblici per costruire una intelaiatura che sarebbe prodromica ad una legge sulla misurazione della rappresentatività sindacale.
Giunti a questo punto l’auspicio è che lo sforzo ricostruttivo che la dottrina ha messo in campo possa essere utile per affronta-re e sciogliere i nodi critici che, in questo momento, impediscono a milioni di persone di avere una retribuzione giusta.
Affrontare una simile drammatica questione è una premessa necessaria per realizzare una crescita inclusiva e partecipata che guarda ad un nuovo modello di sviluppo.