testo integrale con note e bibliografia
L’irrompere dell’IA generativa cambierà anche la giurisdizione.
Le tecnologie sono una grande ricchezza ed un enorme motore di progresso, ma non sono neutre e impongono a chi le utilizza e ne beneficia attenzione e capacità di governo. Considerazioni che per quanto concerne l’intelligenza artificiale generativa vanno elevate alla massima potenza. Ci troviamo difatti di fronte a applicazioni, di cui è ancora difficile avanzare una definizione esatta e condivisa, le cui potenzialità e sviluppi sono ancora del tutto indefinite.
La realtà è che stiamo per affrontare una vera e propria rivoluzione che riguarderà ogni aspetto della nostra vita sociale che, in tempi molto più immediati di quanto si pensa, riguarderà anche l’attività di tutti i soggetti che si occupano di giurisdizione.
Un terreno ovviamente sensibile e, come recita l’AI Act, ad “alto rischio” . E’ indubbio che vi siano e vadano affrontati sia i pericoli cui l’Intelligenza Artificiale (d’ora in poi IA) generativa espone, sia le prospettive etiche che si aprono.
Personalmente credo comunque sbagliato un atteggiamento conservativo e non aperto all’innovazione, sia perché storicamente perdente, sia perchè rinuncia a gestire e a cavalcare novità che, nella misura in cui eliminano lavoro umano a basso valore aggiunto e ci danno prodotti ed elaborazioni prima neppure ipotizzabili, diventano ineluttabili ed irrinunciabili. Questo riguarda tutti i settori, anche la giurisdizione.
Il settore della giurisdizione del lavoro è uno dei più esposti ed anche uno di quelli ove queste applicazioni possono meglio esplicarsi per due ordini di motivi, lontani ma convergenti. Da un lato l’inserimento nel mondo del lavoro e della produzione costringe a tener conto delle evoluzioni che ivi si succedono e dall’altro la giurisprudenza del lavoro è uno dei settori che vanta le migliori rassegne di giurisprudenza e le più ampie banche dati settoriali, con un’inevitabile attenzione al precedente.
Il valore del precedente e la prevedibilità delle decisioni.
Abbiamo una forte richiesta di prevedibilità delle decisioni, ma al contempo c’è una forte esigenza sociale che la giurisprudenza tenga conto e si adegui all’evoluzione e alle trasformazioni sociali. Una tensione inevitabile che oggi però soffre di un quadro legislativo estremamente vario e spesso confuso e di giurisprudenze spesso contraddittorie.
Le cause di questa varietà sono molteplici ed attengono sia alla qualità e complessità della legislazione, sia ai diversi orientamenti sulla stessa questione esistenti in giurisprudenza.
Questa varietà giurisprudenziale ha origini storiche ed ordinamentali, per l’estensione al giudizio monocratico data per larga parte del contenzioso . La scelta del 1998 di abbandonare per la stragrande maggioranza dei processi, civili e penali, il giudizio collegiale era finalizzata ad una maggiore efficienza e produttività del sistema, ma ha comportato dei costi. Il collegio significava confronto, spesso allargato all’intera sezione, e quindi l’approdo a giurisprudenze ponderate e condivise. L’ampliamento del giudizio monocratico ha inevitabilmente spinto verso decisioni più individualizzate e più varie. In secondo luogo ha pesato l’esplodere del contenzioso e l’attenzione crescente nel lavoro dei magistrati a meri aspetti quantitativi: quante decisioni si producono ed in che tempi. Numeri e tempi che purtroppo tendono a far crollare la qualità. Sempre sotto il profilo giurisprudenziale la Cassazione stenta a mantenere una nomofilachia a fronte del numero spropositato di ricorsi che è costretta a trattare ogni anno. Una vera e propria anomalia rispetto alle altre Corti Supreme degli altri Paesi: il numero di decisioni delle Sezioni Unite eguaglia l’intera produzione di altre Corti di cassazione.
D’altra parte si è avuta una crescente complessità dell’ordinamento. Le fonti normative, una volta limitate a Costituzione e legge nazionale, si sono moltiplicate con la normativa eurounitaria, i trattati, le sentenze della Corte di Giustizia europea e della CEDU, le leggi regionali ed i regolamenti. Tanto che il primo compito dell’interprete in un’epoca multifonte come l’attuale è in primis un’attività di ricostruzione e di coordinamento delle fonti e delle normative applicabili: un’attività sempre meno meccanica e sempre più un percorso in cui la discrezionalità e la professionalità dell’interprete vengono esaltate.
A ciò occorre aggiungere l’elevato numero ed il rapido succedersi di leggi sullo stesso oggetto senza coordinamento alcuno unite alla scarsa qualità della legislazione, spesso frutto di compromessi, e quindi volutamente ambigua. Mantenere questa ambiguità, affidando all’interprete la soluzione, è spesso una vera e propria scelta. I margini di discrezionalità da parte del giudice chiamato a individuare le norme da applicare e da armonizzare tra loro si sono quindi inevitabilmente ampliati.
L’inevitabile conseguenza è una crescente varietà delle giurisprudenze.
I rimedi interni si sono sinora rivelati scarsamente efficaci. L’art. 47 quater dell’ordinamento giudiziario riserva al Presidente di sezione lo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali all’interno della sezione per evitare contrasti inconsapevoli e promuovere interpretazioni condivise.
Le diverse Circolari sulle tabelle del Consiglio Superiore della Magistratura hanno sempre cercato di valorizzare questo momento, da ultimo con la Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2026/2029 (Delibera di plenum in data 26 giugno 2024) che all’art. 101 prevede e disciplina l’obbligo di riunioni periodiche dirette a questo scopo.
E’ una norma che nel contempo ha enormi potenzialità e piedi di argilla. Fornisce uno strumento che stimola conoscenza e confronto, senza imposizioni in via gerarchica, ma nel contempo responsabilizzando i vari soggetti interessati. Da un lato i presidenti di sezione, che hanno l'obbligo di promuovere le riunioni, di informarsi sulle giurisprudenze e di affrontare interpretazioni e diversità di orientamenti, e dall’altro i giudici che dovranno essere disposti a rimettersi in gioco, a discutere i propri orientamenti e a valutarne la congruità. Ma nel contempo limita questo proficuo scambio alle poche riunioni annue - almeno bimestrali recita la Circolare del Consiglio, ma normalmente sono mensili – che una sezione può svolgere.
Mentre la Cassazione non è in grado per lo stesso suo carico di lavoro di “garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale” (art. 65 Ordinamento Giudiziario).
Questo nonostante la tensione e gli interventi anche legislativi che vanno nella direzione di potenziare le espressioni della nomofilachia. Vanno in questa direzione il ricorso del pubblico ministero nell’interesse della legge (art. 363 c.p.c.), reso ancora più pregnante dalla previsione che il principio di diritto possa essere enunciato dalla Corte di cassazione anche di ufficio e non solo su richiesta, e l’enunciazione di un principio di diritto vincolante quando decide su di un ricorso, quando “risolve una questione di diritto di particolare importanza”.
Ma il precedente nel nostro ordinamento non ha valore vincolante, ma solo persuasivo. Persuasione che deriva dalla forza delle argomentazioni, ma anche dalla provenienza che, se pronunciata dalla Cassazione, assume una particolare valenza.
Interventi e tensione ancora insufficiente per assicurare una reale prevedibilità della giurisprudenza.
Prevedibilità che oggi è richiesta con grande forza e che in realtà costituisce un enorme valore .
L’alternanza degli esiti giudiziari, pur fisiologica, è sempre meno accettata ed ogni decisione difforme da quello che poi viene ad essere l’esito definitivo viene ad essere ritenuto un errore giudiziario, con un abnorme estensione dello stesso concetto di errore.
Non solo, ma chiunque si rivolga ad un Tribunale o ad una Corte vorrebbe sapere cosa lo aspetta come tempi e quali sono gli orientamenti esistenti sperando che casi simili abbiano soluzioni identiche.
E quello che conta, al di là della legge, è il diritto vivente, ovvero cosa decidono Tribunali e Corti.
Per lungo tempo la prevedibilità è stata svalutata, assimilata a conformismo o a ossificazione di orientamenti senza la capacità di adeguarsi all’evoluzione e alle trasformazioni sociali, ma si tratta di una valutazione sbagliata perché quanto si vuole rimarcare valorizzando la prevedibilità è il messaggio di certezza e stabilità che ne esce e gli inevitabili costi che mutamenti di giurisprudenza sotto vari aspetti producono.
Non solo, ma quanto si vuole e occorre evitare non è l’evoluzione giurisprudenziale, ma sono i contrasti inconsapevoli.
Le differenze giurisprudenziali consapevoli sono inevitabili, proprio per l’ampia discrezionalità imposta da un quadro normativo complesso, articolato e spesso ambiguo, ma consentono un confronto, una condivisione e spesso una sintesi che porta proprio a quel positivo adeguamento alla realtà e allo sviluppo sociale.
Vanno invece assolutamente evitati i contrasti inconsapevoli, oggi estremamente diffusi per lo stesso numero e varietà di questioni sottoposte ai magistrati. Specie nei grandi uffici, anche grazie alla natura monocratica della stragrande maggioranza dei giudizi, è ben difficile sapere quanto viene deciso nella porta accanto e lo stesso Presidente di sezione ha ben pochi strumenti e possibilità di saperlo.
Perché, ci piaccia o no, oggi viviamo in un quadro di anarchia giurisprudenziale inconsapevole, che va superato e dove in realtà si stanno già facendo passi per superarlo.
Occorre avere consapevolezza delle formidabili valenze che la prevedibilità porta con sé. Innanzitutto contiene la domanda: ogni cambiamento o incertezza sulla giurisprudenza stimola nuove domande, altrimenti viste senza speranza. Inoltre lancia un forte messaggio sociale alla collettività di certezza sulla giustizia e sul diritto vivente.
Per questo non dobbiamo auspicare l’approdo a sistemi di common law o analoghi con una valenza vincolante del precedente, ma piuttosto pensare ad iniezioni di prevedibilità del sistema che rendano le decisioni maggiormente prevedibili, senza però ossificarle. La realizzazione di banche dati giurisprudenziali può essere un primo fondamentale passo in tale direzione.
Le banche dati giurisprudenziali
Lo sviluppo di banche dati giurisprudenziali di merito nazionali, di ufficio o di sezione sono state stimolate e sviluppate con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e con il Progetto unitario per la diffusione dell’Ufficio per il Processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli Uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato (UPPTF). A fine 2023 è stata realizzata dal Ministero della Giustizia la nuova Banca Dati Giurisprudenza di Merito nazionale (in due versioni pubblica e riservata ai magistrati) che contiene tutti i provvedimenti civili pubblicati dai tribunali e dalle corti di appello dal 1° gennaio 2016 e un certo numero di provvedimenti penali. Ma sono state anche realizzate banche dati locali grazie a ricerche e progetti condotti nei vari Tribunali o sezioni nell’ambito del Progetto unitario sopra citato, condotto in collaborazione dagli Uffici giudiziari e da tutte le Università pubbliche italiane suddivise in 6 macroaree.
Ben 23 Università in collaborazione con gli uffici giudiziari hanno elaborato progetti relativi a “Raccolta indirizzi giurisprudenziali e alimentazione banca dati di merito” che in diversi casi sono stati concretizzati. Questi progetti elaborati dalle Università non sono stati presi in considerazione dal Ministero per la realizzazione della Banca Dati Giurisprudenza di Merito a livello nazionale, che ha agito senza alcuna sinergia e interlocuzione, ma sono stati e saranno estremamente utili per la realizzazione di Banche dati di giurisprudenza locali che saranno preziosissime ai fini dell’informazione, della consapevolezza e del confronto, consentendo un vero e proprio salto di qualità. Difatti, come è stato acutamente osservato le banche dati di giurisprudenza possono diventare un formidabile strumento di organizzazione.
“…organizzare un ufficio significa definire le concrete modalità attraverso cui devono essere contemperate la produttività, la qualità dei provvedimenti, il benessere organizzativo e il dialogo col territorio. E le banche dati di giurisprudenza sono uno degli strumenti per realizzare questi obiettivi.
In una prospettiva di rendimento quantitativo il ruolo delle banche dati di giurisprudenza dell’ufficio è evidente, perché esse possono contribuire in molti modi a un incremento della produttività:
a) agevolando la motivazione per relationem (art. 118 disp. att. c.p.c.), che richiede la conoscibilità dei precedenti citati;
b) rendendo possibile la motivazione semplificata per questioni seriali, attra¬verso l’elaborazione di modelli di provvedimento;
c) rendendo più incisiva la fase iniziale del processo (quella che si chiude con la prima udienza di trattazione), attraverso una catalogazione della causa che tenga conto dei precedenti dell’ufficio e, in relazione a questi, definisca le modalità di trattazione più consone;
d) incrementando la possibilità di successo delle proposte conciliative ex art. 185-bis c.p.c. effettuate tenendo conto dei precedenti dell’ufficio;
agevolando la conoscenza degli orientamenti dell’ufficio da parte dei difen¬sori, anche in una prospettiva deflattiva.
Non meno centrale è il ruolo delle banche dati per la qualità della risposta giudiziaria, intesa qui come completezza, chiarezza, esaustività e sinteticità dei provvedimenti.”
E non si tratta solo di organizzazione, ma anche di perseguimento del benessere organizzativo, assicurando l’ascolto ed il recepimento del contributo di tutti, e di formazione per la stessa diffusione ed approfondimento dei contenuti.
Ma, va aggiunto, le banche dati giurisprudenziali vengono a costituire il fondamentale big data che viene messo a disposizione e su cui lavorano programmi ed algoritmi per effettuare ricerche giurisprudenziali, per ricavare modelli e documenti, per realizzare previsioni probabilistiche.
La predittività
Il termine predittivo è probabilmente brutto e ingannevole, dando l’idea di una profezia in grado di anticipare una decisione.
Del resto secondo la Treccani predittivo significa consentire “di prevedere il possibile avverarsi di eventi o di situazioni future”.
Una definizione di “predittivo” in effetti non è facile e richiede un approccio complesso, che va oltre il dato giuridico. La Carta etica sull’utilizzo della intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari del Cepej nel suo glossario avanza una proposta di definizione:
“Per giustizia predittiva si intende l’analisi di una grande quantità di decisioni giudiziarie mediante tecnologie di intelligenza artificiale al fine di formulare previsioni sull’esito di alcune tipologie di controversie specialistiche (per esempio, quelle relative alle indennità di licenziamento o agli assegni di mantenimento).”
Definizione che, a conferma della problematicità della questione si sofferma poi sulla predizione grazie all’analisi induttiva utilizzata da altre branche di scienze, sulla correlazione tra dati di ingresso e dati in uscita, sulla creazione di modelli e sulla critica avanzata da alcuni autori all’applicazione della modellizzazione matematica ai fenomeni sociali, per poi concludere che “conseguentemente la formulazione di previsioni costituirebbe un esercizio di carattere puramente indicativo e senza alcuna pretesa prescrittiva”.
Conclusione del tutto condivisibile, dato che anche la migliore analisi predittiva non potrà che avanzare ipotesi probabilistiche, senza alcuna garanzia di certezza.
Ma sarebbe un significativo passo in avanti già dare tali ipotesi sia in relazione ai tempi realistici previsti per una causa o un processo, sia quanto agli orientamenti esistenti per la casistica di interesse.
Partendo dall’elaborazione dei precedenti contenuti in una banca dati dei provvedimenti si può arrivare ad ipotizzare con ragionevole probabilità (non certezza) l’esito di una causa in una data materia, l’entità dell’eventuale risarcimento e di influenzare in tal modo i potenziali attori ed utenti.
Questo richiede una banca dati quanto più ampia e completa, la trasparenza e pubblicità della tempistica materia per materia, la sistematizzazione dei provvedimenti, la loro messa a disposizione e comunicazione (possibilmente in linguaggio comprensibile al normale cittadino e non in “giuridichese”).
Questo comporta anche risolvere alcune questioni in apparenza secondarie, ma estremamente rilevanti: la profilazione di giudici e avvocati, l’anonimizzazione o la pseudo anonimizzazione dei provvedimenti, l’estrazione di massime o abstract, il linguaggio giuridico.
Tutti temi che meriterebbero un approfondimento e che per motivi di spazio rinvio ad altro scritto.
Le positività di una giustizia predittiva ben strutturata sono duplici.
Da un lato per l’utenza mettendo a disposizione un bagaglio di saperi e conoscenze che può comportare un salto di qualità per l’economia e per i cittadini, creando una rete virtuosa, evitando cause temerarie o con scarsa speranza di successo e chiarendo ex ante i possibili scenari.
Dall’altro con una fortissima valenza interna perché ciò impone principi preziosi anche all’interno della giurisdizione con una trasparenza delle decisioni, una circolarità della giurisprudenza tra I e II grado ed una consapevolezza delle decisioni con superamento dei contrasti inconsapevoli.
Principi che impongono un forte incentivo per un miglioramento della qualità complessiva delle decisioni.
L’AI Act e lo sviluppo di sistemi di IA nella giustizia
L’ AI Act è il tentativo europeo di regolamentare l’impatto dell’IA generativa, anche nella giustizia. Non si può che condividere l’idea di far rientrare la materia della giustizia tra quelle ad alto rischio proprio perchè si vuole evitare che le decisioni giudiziarie possano essere automatizzate e prese da una macchina. Anche se a ben vedere il comma 8 dell’allegato III prevede espressamente come ad alto rischio “I sistemi di IA destinati ad essere usati da un’autorità giudiziaria o per suo conto per assistere un’autorità giudiziaria nella ricerca e nell’interpretazione dei fatti e del diritto e nell’applicazione della legge a una serie concreta di fatti o a essere utilizzati in modo analogo nella risoluzione alternativa delle controversie.”
Questo comporta che viene ad essere compresa solo l’attività giudicante, non gli usi di IA per attività amministrative accessorie, né per attività preparatorie, procedurali limitate o di supporto e migliorative dell’attività umane.
La proposta di introduzione di una normativa in Italia, approdata al Disegno di legge n.1156, tuttora in discussione al Parlamento, in materia di giustizia è alquanto timida e con l’art 14 ha scelto un’ottica conservativa a mio avviso perdente.
Al di là di riservare al magistrato il processo decisionale, l’utilizzo dell’IA sarebbe limitato “esclusivamente per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario, nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale”.
In realtà tra quanto viene consentito e quanto vietato resta un’enorme zona grigia non regolamentata.
Non solo, ma l’esclusiva data al Ministero della Giustizia sulla “disciplina (del)l'impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari ordinari” significa condannare la giustizia ordinaria italiana all’arretratezza. Difatti i difetti di governance dell’informatica da parte della competente direzione ministeriale, che ha un monopolio al riguardo, sono ormai emersi con solare evidenza, sia per la lontananza dagli uffici giudiziari e dall’avvocatura, sia per la mancanza al Ministero di figure tecniche, ma ancora più per l’impostazione complessiva autoreferenziale che viene seguita.
Difatti “il monopolio del Ministero della Giustizia era comprensibile e dovuto per lo stesso ruolo costituzionale quando l’informatica era un semplice supporto, ma non è più giustificabile quando è diventata e diventerà sempre più formante e cardine della giurisdizione e componente essenziale della stessa gestione di tutti gli aspetti dei Palazzi di giustizia. Oggi la prospettiva è molto più intrinseca alla giurisdizione e richiede quindi apporti e interlocuzioni con altri soggetti. Il C.S.M. in primis, chiamato dalla Costituzione a tutelare la giurisdizione, ma anche l’avvocatura per il compito di difesa dei diritti cui è chiamata dall’art. 24 della Costituzione. Interlocuzione e collaborazione che oggi è dovuta a livello costituzionale, ma che si rende necessaria anche a livello funzionale”.
Da ciò la mia proposta da tempo avanzata di approdare ad un’Agenzia, controllata dal Ministero della Giustizia, ma partecipata anche da CSM e CNF che possa garantire agilità e stipendi adeguati e concorrenziali con dipendenti fidelizzati e capaci. In cui coinvolgere i migliori cervelli oggi esistenti negli uffici giudiziari, nell’avvocatura e nell’accademia.
Già oggi vi sono strumenti e sistemi di IA utilizzati nella giustizia. Applicazioni utilizzate dagli avvocati e strumenti già oggi utilizzati per l’assegnazione dei procedimenti e per sintetizzare le sentenze della Banca Dati Giurisprudenza di Merito.
Ma le prospettive sono molto più ampie e immediate sia per la gestione degli studi legali, sia per la gestione dei Palazzi di giustizia e per il controllo di gestione su tutti i settori amministrativi e del personale.
Con possibili estensioni dirette a ricavare strumenti di lettura della litigiosità, del tipo di contenzioso, dei valori economici, delle scelte di organizzazione del processo, delle norme citate, dei trend decisionali, delle correlazioni tra materie diverse, indici di mediabilità, pesatura dei procedimenti, monitoraggio, conoscenza e predittività degli orientamenti, rapporto tra realtà territoriale e giustizia.
Emblematici sono al riguardo i diversi progetti di cruscotti elaborati nell’ambito del “Progetto unitario sulla diffusione dell’ufficio per il processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato” finanziato da fondi europei per le politiche di coesione (il PON Governance e Capacità Istituzionale 2014 – 2020) che ha coinvolto tutte le Università pubbliche italiane.
Cruscotti che puntano a consentire sia al singolo magistrato, sia al Presidente di sezione, sia al Presidente dell’Ufficio di avere un controllo in tempo reale di tutti gli aspetti dell’attività giudiziaria e amministrativa, a partire dal singolo ruolo, per giungere alle sopravvenienze e definizioni e alle tendenze in atto, con modalità sempre più articolate e granulari per fasi del processo, per tipologia di procedimenti, per settori.
Vi sono diversi progetti per creare cruscotti previsionali , direzionali , strategici , di analisi dei flussi , di analisi e monitoraggio che sia pure con strumentazioni e finalità parzialmente diverse vanno nella stessa direzione di dare in tempo reale un quadro dell’andamento del singolo e dell’ufficio, con la ulteriore possibilità di effettuare previsioni e simulazioni. Il tutto viene ad essere fondamentale per la gestione dei procedimenti gestiti dal magistrato e per l’organizzazione dell’ufficio. Cruscotto che è già in fase di realizzazione avanzata presso la Corte di Cassazione. con l’obiettivo di fornire informazioni in tempo reale per consentire decisioni tempestive, con un controllo sul flusso dei fascicoli e sui diversi passaggi procedurali con una definizione unitaria di dati e indicatori. Il salto è quello dalla misurazione al governo dell’organizzazione.
Ma anche nell’ambito dello stesso “Progetto Unitario” prima citato vi sono idee, applicazioni e progetti di grande interesse che investono direttamente la giurisdizione ed il supporto del lavoro di tutti gli operatori, che sono un esempio delle enormi potenzialità che le applicazioni di IA possono avere nella giustizia.
Ne cito solo alcuni che potrebbero essere concretizzati in tempi estremamente brevi.
Il document builder sviluppato dalla Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia e dall'Università Statale di Milano è uno strumento avanzato che supporta i giudici nella redazione dei provvedimenti giudiziari, in particolare nella sezione motivazionale. Utilizza tecniche di intelligenza artificiale per l'elaborazione del linguaggio naturale, basate su modelli di ultima generazione (LLM), per analizzare e indicizzare documenti giuridici a livello di singole frasi o paragrafi. L'approccio human-in-the-loop consente ai giudici di mantenere il controllo decisionale, selezionando e modificando i suggerimenti forniti dallo strumento. L'interfaccia del document builder è divisa in un'area di lavoro principale e un'area di suggerimenti testuali, con funzionalità di ricerca per contenuto e per materia, permettendo di visualizzare e importare frammenti testuali pertinenti per la stesura della motivazione.
D’altro canto l’applicazione elaborata dall’Università degli Studi e dal Tribunale di Catania per la sezione immigrazione è di grande interesse e di possibile estensione a tutte le materie. Parte da un’analisi di tutti i provvedimenti e contenuti esistenti nella banca dati, li confronta e determina prima per ciascun campo e poi a livello generale un punteggio di somiglianza con procedimenti già trattati. Al fine di supportare e agevolare la decisione del giudice in merito al procedimento in esame, il prototipo permette di effettuare un'operazione di matching (approssimativo) tra i campi fascicolari tramite cui è possibile estrarre, una lista ordinata di sentenze in merito ad istruttorie "simili" a quella in corso, in cui ogni sentenza si riferisce ad un'istruttoria tanto più simile a quella in corso quanto più in cima alla lista. In questo modo il processo decisionale del giudice potrebbe essere facilitato attraverso l'esame di un numero ristretto di sentenze pregresse, ossia le prime tot sentenze della lista di cui sopra. Come potrebbe essere facilitata la prevedibilità ed omogeneità della giurisprudenza.
Davvero non avremo i giudici robot?
L’AI Act in apparenza ha accantonato il modello del giudice robot e l’ipotesi di decisioni automatizzate . Ma il rischio è che ciò sia pura apparenza.
Già oggi nessuno può assicurare che il giudice non privilegi le soluzioni più consolidate, riportandosi nella motivazione a precedenti conformi (art.118 disp. att. Cpc) o riproducendo decisioni precedenti proprie o di altri.
Del resto Piero Calamandrei nel suo “Elogio dei Giudici scritto da un avvocato” già in epoca non sospetta indicava quali fossero i pericoli per i giudici.
“Il vero pericolo (per il magistrato) non viene dal di fuori: è un lento esaurimento interno delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate: una crescente pigrizia morale, che sempre più preferisce alla soluzione giusta quella accomodante, perchè non turba il quieto vivere e perchè la intransigenza costa troppa fatica (…). La pigrizia porta ad adagiarsi nell’abitudine, che vuol dire intorpidimento della curiosità critica e sclerosi della umana sensibilità: al posto della pungente pietà che obbliga lo spirito a vegliare in permanenza, subentra con gli anni la comoda indifferenza del burocrate, che gli consente di vivere dolcemente in dormiveglia (…). La peggiore sciagura che potrebbe capitare a un magistrato sarebbe quella di ammalarsi di quel terribile morbo dei burocrati che si chiama il conformismo.”
Pericolo oggi ancora più vivo in un momento storico i magistrati vivono una sorta di schiavitù da tempi e numeri, indotti ad un produttivismo cieco in cui la qualità dei provvedimenti, ovvero dare giustizia, appare come un lato del tutto secondario.
L’affidarsi all’IA può essere una comoda scappatoia. Anche perché non è così facile individuare se il ricorso a strumenti di IA sia stato limitato a ricerche giurisprudenziali, a riassumere atti delle parti, verbali o comunicazioni, o a recepire quasi acriticamente parti di motivazioni. Del resto quanto va preservato, e questo è il chiaro messaggio della AI Act, è il percorso decisionale di cui l’IA può essere prezioso supporto, mai sostitutiva.
Si possono continuare a chiedere “limiti stringenti all’utilizzo dell’IA da parte dei giudici” , ma, a parte la genericità, sembra una battaglia di retroguardia ed in parte già persa, perché se gli strumenti di IA diventeranno, come probabile, sempre più performanti e efficienti è impossibile procedere con divieti. Non solo, ma in tal caso, come scoprire che un magistrato ha fatto uso di strumento di IA? Dovremo elaborare software analoghi a quelli già in uso nelle Università per scoprire le tesi copiate? ed anche adottandoli come potremo provare che è stata la decisione e non semplicemente la motivazione o parte di essa mutuata dall’IA.
La strada che dovremmo imboccare con grande urgenza mi sembra diversa ed ha due direzioni: formazione e valorizzazione alla professionalità e del lato umano.
Formazione, in quanto dovremmo lanciare a tutti i livelli delle professioni giuridiche, a partire dall’Università, una fortissima iniziativa per dare a tutti gli strumenti per utilizzare in modo efficace e consapevole applicazioni di IA nella giustizia e contemporaneamente segnalarne rischi e inevitabili limiti di utilizzo.
Professionalità e lato umano come cultura e come esaltazione della funzione umana dell’avvocato come del giudice, del loro rapporto con le parti e con gli utenti, della capacità di ascolto e di comprensione.
Valorizzare la curiosità, l’elaborazione intellettuale, il rapporto con gli altri soggetti che interloquiscono in un processo, la fatica e la soddisfazione della stesura di un atto, come del decidere, che poi altro non sono che la bellezza e il fascino delle diverse professioni giuridiche.
Non si tratta di continuare a declamare la necessità di “human on the loop”, ma di enfatizzare e di praticare quotidianamente che il ruolo di magistrato, come di avvocato non può essere altro che profondamente umano, proprio perchè è intessuto e si nutre di relazioni umane.
Valorizzazione che non porta a rinunciare al formidabile contributo che possono darci nell’immediato futuro le diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale con una capacità pressoché infinita di immagazzinare ed elaborare milioni di dati.
Non dobbiamo cedere ai computer, ma dobbiamo utilizzarli come ausilio alla nostra irrinunciabile umanità.