Testo integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza

Qualche anno fa un sacerdote, sentendo che mi occupo di diritto del lavoro, mi guardò fisso negli occhi, dicendomi: la materia di cui ti occupi tu si riflette sulla vita di migliaia di persone.
Sul momento pensai che, forse, stesse un po’ esagerando. Con il tempo però ho riscontrato l’importanza di queste parole, in occasione di modificazioni legislative o negli orientamenti giurisprudenziali che, effettivamente, si riflettono su costituzione, svolgimento ed estinzione di migliaia di analoghe fattispecie e rapporti contrattuali.
Uno di tali interventi giurisprudenziali è costituito dalla sentenza JH/KG (i nomi delle parti sono stati secretati e sostituiti con sigle di fantasia) della CGUE del 14.10.20 nella causa C-681/18, nella quale la Corte di Lussemburgo, definendo una questione pregiudiziale sollevata dal giudice del lavoro presso il Tribunale di Brescia, ha dichiarato che L’articolo 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale, deve essere interpretato nel senso che esso … osta: a) a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, b) nonché ad una normativa nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.
Qualcuno che ha esperienza più diretta di me dello svolgimento in concreto del procedimento dinanzi alla CGUE mi ha fatto notare che è stata la prima volta che la Corte di giustizia è stata chiamata dal giudice del rinvio ad interpretare l’art.5, paragrafo 5, della direttiva 2008/104, e che la sentenza è stata pronunciata da un collegio di cinque giudici della II sezione della Corte presieduto dal presidente di sezione, ma che tra i componenti del collegio figura anche il giudice Lenaerts, presidente dell’intera Corte.
Tale circostanza, mi è stato fatto notare, indica che la Corte di Lussemburgo ha voluto assegnare alla questione esaminata particolare importanza.
Perché assegnare tanta importanza alla questione?
Perché in tal modo viene riscritto l’istituto del lavoro tramite agenzia interinale, così lo chiama la Direttiva n.104 del 2008, nel nostro ordinamento.
Alcuni giudici d’appello, infatti, si erano spinti a dichiarare che la disciplina normativa della somministrazione … diversamente da quella del contratto a tempo determinato, consent[irebb]e la successione dei contratti di somministrazione senza alcuna soluzione di continuità e senza alcun limite di tempo.
E la Corte di cassazione italiana si era spinta a dichiarare che il requisito della temporaneità dell’esigenza produttiva sottostante non [sarebbe] richiesto dall’ordinamento nazionale (cass. 3466/17) e che la Direttiva 2008/104/CE, relativa al lavoro tramite agenzia interinale … a differenza della Direttiva 1999/70/CE, non [porrebbe] l’obiettivo della prevenzione dell’abuso del ricorso alla somministrazione (cass. 6152/18), arrivando poi a confermare sentenze di merito che avevano dichiarato legittimi rapporti di somministrazione pressoché continuativi, con le stesse mansioni, presso la stessa impresa utilizzatrice, durati oltre 5 anni e costituiti attraverso decine di contratti e proroghe consecutivi, rinnovati per lo più di settimana in settimana e interrotti solo da un paio di settimane in agosto e un paio di settimane a Natale: meno di quanto previsto da qualsiasi CCNL a titolo di ferie, permessi e festività, e senza la certezza del posto di lavoro per la settimana successiva.
Il che pareva, francamente, troppo: è pur vero che alcune imprese lamentavano che il lavoro tramite agenzia interinale costituisse l’unico strumento di flessibilità che avevano a disposizione. Ma in tal modo risultava liberalizzato il ricorso a tale tipologia contrattuale senza alcuna limitazione, consentendo di eludere sin troppo facilmente le tutele a salvaguardia della tendenziale stabilità del rapporto di lavoro e di invertire il rapporto di eccezione a regola tra somministrazione di manodopera e rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. L’asserito unico strumento di flessibilità si convertiva dunque in strumento di licenziabilità.
Nelle more della decisione della CGUE, il D.L. 87/18, conv. con L.96/18 ed entrato pienamente in vigore dal 1.11.18, c.d. Decreto Dignità, ha posto alcuni limiti all’impiego della somministrazione di manodopera, come dei contratti a tempo determinato in generale, nel senso che Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Ma nel corso del procedimento dinanzi alla Corte di Lussemburgo lo stesso Governo italiano in carica, dopo avere emanato il Decreto Dignità, ha assunto una posizione contraddittoria rispetto alla legislazione che aveva appena emanato attraverso lo strumento del Decreto Legge.
Come dà conto la stessa sentenza della CGUE, infatti, si era opposto alla ricevibilità della questione pregiudiziale, sostenendo che, trattandosi di una controversia tra privati e non avendo la Direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale efficacia orizzontale, la risposta alla questione sollevata non avrebbe potuto avere rilevanza ai fini dell’esito di tale controversia, con la conseguenza che l’unico risultato possibile per il lavoratore sarebbe stato quello di ottenere un risarcimento a carico della Repubblica italiana qualora il recepimento della Direttiva 2008/104 fosse stato giudicato incompleto o imperfetto, e nelle proprie osservazioni aveva sostenuto la legittimità della normativa in questione.
Tale circostanza risulta persino paradossale, dopo che in data 12 luglio 2018 lo stesso Governo aveva presentato al Parlamento Disegno di legge per la conversione in legge del decreto-legge 87/18, recante disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese, poi convertito con legge 96/18, e che aveva modificato la disciplina di cui si discuteva, introducendo anche per i contratti di somministrazione a tempo determinato la necessità di ragioni oggettive temporanee legate all’attività dell’impresa utilizzatrice, dichiarando espressamente, così si legge nella relazione governativa, che Si intende intervenire con nuove misure per limitare l’utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto a una eccessiva e allarmante precarizzazione, causata da un abuso di forme contrattuali che dovrebbero rappresentare l’eccezione e non la regola.
La CGUE, in ogni caso, è entrata nel merito della questione e, con collegio di cui s’è detto, ha dichiarato quanto si è riportato all’inizio.
Il legislatore e la giurisprudenza nazionali dovranno dunque tenere conto dei principi affermati dalla Corte di Lussemburgo.
Al riguardo, si pongono alcune questioni applicative di tipo sia processuale, sia sostanziale.
Sul piano processuale, si pone la questione dell’efficacia diretta o meno della sentenza europea nell’ordinamento interno.
Al riguardo, la stessa sentenza al punto 65 precisa che il principio d’interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino … al fine di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultimo. E al punto 66 che tale principio non può servire a fondare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale: dunque non consente la disapplicazione automatica di una norma interna contraria.
Tuttavia, già con la sentenza David Smith del 7.8.18 nella causa C-122/17 la CGUE al punto 41 della motivazione ha avuto cura di rilevare che A tale riguardo, certamente, la questione se una disposizione nazionale, ove sia contraria al diritto dell’Unione, debba essere disapplicata, si pone solo se non risulta possibile alcuna interpretazione conforme di tale disposizione (sentenze del 24.1.12, Dominguez, C-282/10, punto 23, e del 10.10.13, Spedition Welter, C-306-12, punto 28).
E la sentenza MV dell’11.2.21 nella causa C-760/18 anche su questo si spinge ancor più oltre, e dichiara espressamente nel dispositivo che l’obbligo per il giudice di rinvio di effettuare, il più possibile, un’interpretazione e un’applicazione di tutte le pertinenti disposizioni del diritto interno, idonee a sanzionare debitamente tale abuso e ad eliminare le conseguenze delle violazione del diritto dell’Unione, include la valutazione della questione se le disposizioni di una normativa nazionale anteriore, ancora in vigore, che consente di convertire in un contratto di lavoro a tempo indeterminato la successione di contratti a tempo determinato, possano, eventualmente, applicarsi ai fini di tale interpretazione conforme, persino nel caso in cui disposizioni nazionali di natura costituzionale vietino in modo assoluto, nel settore pubblico, una siffatta conversione.
Detta sentenza nella motivazione precisa anche al punto 42 che gli Stati membri sono tenuti a garantire il risultato imposto dal diritto dell’Unione, e questo, punto 68, al fine di garantire la piena efficacia della direttiva e di pervenire ad una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultima e, punto 69, in modo da sanzionare debitamente il suddetto abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione, al punto che, punto 70, nel caso in cui il giudice nazionale dovesse concludere nel senso di trovarsi costretto a dare un’interpretazione contra legem … dovrebbe verificare se vi siano altre misure effettive in tal senso nel diritto interno, e ciò in quanto, punto 71, una direttiva produce effetti giuridici nei confronti dello Stato membro destinatario e, pertanto, di tutti gli organi nazionali, a seguito della sua pubblicazione o dalla data della sua notifica.
In realtà nel nostro ordinamento non v’è alcuna norma interna che impedisca di dichiarare la nullità dell’apposizione del termine a un contratto individuale di lavoro, o la nullità di un rapporto trilaterale di somministrazione, per contrarietà a norma imperativa ai sensi dell’art.1418, comma 1 c.c., oppure per illiceità della causa sottostante ai sensi dell’art.1418, comma 2 c.c., nel caso di violazione del diritto dell’Unione Europea come delineato dalla Corte di Lussemburgo, e anzi nel nostro ordinamento c’è un espresso divieto di somministrazione fraudolenta sancito dall’art.28 D.Lgs. 276/03 prima e dall’art.38 bis D.Lgs. 81/15 attualmente.
Dunque, non v’è il rischio di dare un’interpretazione contra legem di una norma nazionale da disapplicare, e v’è invece spazio per l’interpretazione adeguatrice del diritto interno costituzionalmente e comunitariamente orientata, senza necessità di rimessione di questione di legittimità costituzionale.
Sulla stessa linea, nel senso che il giudice nazionale può utilizzare la tecnica dell’interpretazione conforme, si vedano anche M.L.Lepore e F.Fanizzi, Temporaneità della somministrazione di lavoro: protezione del lavoratore e tecniche anti-abusive dopo l’intervento della CGUE in QG – Questione Giustizia del 16.4.21, sul rilievo che il codice civile all’art.1344 disciplina il contratto in frode alla legge e, soprattutto, che all’art.1421 sanziona con la nullità i contratti stipulati allo scopo di eludere l’applicazione di norme imperative, quali sono certamente quelle contenute nell’art.5, par.5, prima frase della Direttiva 2008/104.
Una prima questione sul piano sostanziale riguarda invece il limite che debba essere ritenuto ragionevole dal giudice nazionale nella definizione dei rapporti di somministrazione cessati prima dell’entrata in vigore del Decreto Dignità e ancora controversi nei vari gradi di giudizio.
Al riguardo, in fattispecie diverse dalla somministrazione di manodopera, la Corte di cassazione ha già avuto occasione di affermare che il limite dei 36 mesi può essere considerato quale parametro tendenziale di durata massima delle assunzioni a tempo determinato (cass. 22552/16 – cass. 22557/16 – cass. 6089/21).
Per un verso, tuttavia, nel nostro ordinamento, stranamente, sono ancora presenti fattispecie di rapporti a termine ancora non disciplinati con un limite temporale: come lo erano i rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti lirici sino alla sentenza Sciotto della CGUE del 25.10.18 nella causa C-331/17, e come lo sono tuttora i rapporti a tempo determinato nel settore agricolo.
Per altro verso, la sentenza JH/KG sembra richiedere all’interprete un’indagine di fatto più penetrante, nel momento in cui non propone un limite temporale univoco valido per ogni e qualsiasi successione di rapporti di somministrazione di manodopera, ma impone per un verso di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, e per altro verso di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.
Come si legge nella motivazione della decisione, infatti, la CGUE statuisce che il lavoro tramite agenzia interinale non può soddisfare esigenze di personale permanenti dell’impresa utilizzatrice interessata (punto 48), gli stati membri si devono adoperare affinché il lavoro tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente per un lavoratore tramite agenzia interinale (punto 60), la Direttiva 2008/104 osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale (punto 63), i giudici nazionali devono adoperarsi al fine di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultimo (punto 64) e verificare se vi sia stata una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale tale da eludere la natura temporanea del lavoro interinale (punto 67), missioni successive assegnate al medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice eludono l’essenza stessa delle disposizioni della direttiva 2008/104 e costituiscono un abuso di tale forma di rapporto di lavoro, in quanto compromettono l’equilibrio realizzato da tale direttiva tra la flessibilità per i datori di lavoro e la sicurezza per i lavoratori, a discapito di quest’ultima (punto 70), e ciò in particolare quando in un caso concreto non viene fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’impresa utilizzatrice interessata ricorra a una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, a maggior ragione laddove a essere assegnato all’impresa utilizzatrice in forza dei contratti successivi in questione sia sempre lo stesso lavoratore tramite agenzia interinale (punto 71).
Una seconda questione sostanziale riguarda l’applicabilità di tali principi ai rapporti tra lavoratore e società di somministrazione, invece che tra lavoratore e impresa utilizzatrice.
L’art.22, comma 2 D.Lgs. 276/03, infatti, disponeva che In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. 368/01, per quanto compatibile, e analogamente ora dispone l’art.34, comma 2 D.Lgs. 81/15.
Nei rapporti tra lavoratore e somministratore trova dunque applicazione la disciplina dei contratti a termine, per quanto compatibile. Né sarebbe seriamente prospettabile che il formale datore di lavoro possa andare indenne da conseguenze giuridiche per i vizi che rendono illegittimi i propri stessi rapporti di lavoro.
Al riguardo si assiste alla situazione curiosa per cui alcune imprese utilizzatrici pretendono che, pur nell’illegittimità dei rapporti, la conseguenza giuridica sia la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze del somministratore.
Le società di somministrazione evocate in giudizio, a propria volta, pretendono che, pur nell’illegittimità dei rapporti, la conseguenza giuridica sia la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.
Sulla possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore la giurisprudenza di legittimità è costante (cass. 1148/13 – cass. 17540/14, in Foro it. 2014-I-3139 – cass. 24088/19 – cass. 26525/20).
Ma alla luce della disposizione normativa appena citata, non sembrano esservi ragioni per escludere la possibilità della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in alternativa, alle dipendenze del somministratore.
Nella pratica applicativa si possono presentare, infatti, le fattispecie più varie: il lavoratore può non avere interesse, ad esempio, alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze di un utilizzatore privo dei requisiti dimensionali per l’applicabilità della tutela reale. Inoltre, si sono visti casi di imprese utilizzatrici dichiarate fallite, come anche il caso di una società di somministrazione dichiarata fallita.
Al lavoratore, dunque, pare possibile la facoltà di valutare caso per caso quale diritto far valere, e quale soggetto convenire in giudizio.
Una terza questione sostanziale riguarda i rapporti già definiti con sentenza passata in giudicato, e dunque la possibilità di ottenere un risarcimento a carico della Repubblica italiana, dal momento che il recepimento della Direttiva 2008/104 è stato giudicato incompleto e imperfetto.
Al riguardo sembrano peraltro valere gli stessi principi di cui alla prima e seconda questione appena esaminate: con l’unico limite della proponibilità della domanda risarcitoria solo entro il limite temporale previsto dalla legge a decorrere dalla definizione del rapporto controverso.
Una quarta questione sostanziale riguarda l’applicabilità dei principi espressi dalla Corte di Lussemburgo alla somministrazione a tempo indeterminato, c.d. staff leasing, che parte della dottrina pretende di escludere dalla sfera di applicazione della decisione europea.
Al riguardo occorre peraltro osservare che la sentenza JH/KG della CGUE del 14.10.20 nella causa C-681/18 non contiene alcuna espressione che possa legittimare una simile distinzione, e che la stessa Direttiva 2008/104 interpretata dalla CGUE riguarda il lavoro tramite agenzia interinale nel suo complesso, indipendentemente dalla circostanza che tra lavoratore e somministratore sia costituito un rapporto a tempo determinato o a tempo indeterminato.
Una quinta e ultima questione sostanziale riguarda l’applicabilità dei principi espressi dalla Corte di Lussemburgo ai rapporti costituiti sotto il vigore del Decreto Dignità, che pure parte della dottrina pretende di escludere dalla sfera di applicazione della decisione europea.
Anche a tale riguardo occorre peraltro osservare che i principi espressi dalla sentenza JH/KG della CGUE del 14.10.20 nella causa C-681/18 si pongono su un piano diverso dal mero limite temporale e, parzialmente, di causali introdotto dal Decreto Dignità.
Quello che rileva ai fini della conformità del ricorso alla somministrazione di manodopera al diritto dell’Unione, infatti, non è né un astratto limite temporale, né un limite di causali, ma il fatto che si debba per un verso preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, e per altro verso evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme.
E anche sotto il vigore del Decreto Dignità sembrano possibili manovre elusive rispetto a tali principi, e soprattutto rispetto al primo di essi.
Il problema del lavoro tramite agenzia interinale, infatti, riguarda soprattutto le mansioni maggiormente fungibili e di contenuto professionale medio basso: quelle che coloro che amano esibire inglesismi chiamano low-skilled jobs, ma nello stesso tempo quelle più facilmente sostituibili.
Resta dunque possibile, anche sotto il vigore del Decreto Dignità, un impiego continuativo di manodopera somministrata elusivo dell’obbligo di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, volto a soddisfare esigenze permanenti di manodopera nell’organico aziendale, richiesto dalla CGUE: basta alternare nelle mansioni di bassa qualifica lavoratori assunti tramite agenzia interinale, e si possono soddisfare in tal modo esigenze permanenti di manodopera per la durata di decenni.
Soprattutto in un periodo storico durante il quale, sia per lo sviluppo tecnologico, sia per le difficoltà economiche, sia per i flussi migratori, gli aspiranti lavoratori di bassa qualificazione professionale abbondano rispetto alla domanda di lavoro.
Al riguardo vale la pena di rilevare che la CGUE, nella ancor più recente sentenza MV dell’11.2.21 nella causa C-760/18, si è spinta ancor oltre rispetto agli arresti precedenti, e nella motivazione ha avuto cura di precisare al punto 45 che un’interpretazione restrittiva … consentirebbe di assumere lavoratori in modo precario per anni e al punto 46 che non è possibile un’interpretazione restrittiva … svuotando di gran parte del suo significato l’obiettivo perseguito, né è possibile … consentire l’utilizzo abusivo di siffatti rapporti, da parte dei datori di lavoro, per rispondere ad esigenze permanenti e durevoli in materia di personale.
È pur vero che tale decisione riguardava dei contratti a termine: ma sotto tale profilo, alla luce della sentenza JH/KG della CGUE del 14.10.20 nella causa C-681/18, i contratti e tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale non paiono differenziarsi, in quanto figura eccezionale di rapporti di lavoro.
Più in generale, qual è il fondamento teoretico sul piano economico della somministrazione di manodopera, al di là delle legislazioni che nel nostro paese si sono succedute nel 1997, 2003, 2015 e 2018 e, più in generale, il fondamento teoretico della precarizzazione dei rapporti di lavoro?
Un economista inglese, John Hicks, premio Nobel per l’economia nel 1972, nel 1989, nel saggio Una teoria di mercato della moneta: un titolo che nessun avvocato, e men che meno un giuslavorista, si metterebbe a leggere, se non nutre particolare interesse per i misteri dell’economia monetaria, inserisce per inciso la teorizzazione della precarizzazione di parte della forza lavoro.
In particolare, spiega Hicks, perché il mercato sia concorrenziale ciascuno deve essere libero di cambiare: il lavoratore deve esser in condizione di andarsene se trova un’offerta che ritiene migliore, il datore di lavoro deve poter licenziare se ritiene opportuno farlo. Ma chi ha detto che il mercato del lavoro debba essere concorrenziale? Esiste anche la concorrenza al ribasso sul prezzo delle retribuzioni, dovuta a un’offerta di lavoro maggiore della domanda. Inoltre, il contratto individuale di lavoro non è un contratto commerciale, nel quale possa bastare un’eguaglianza tra le parti meramente formale: ha la funzione di soddisfare bisogni primari. Dunque, alla libertà di dimissioni non può corrispondere un’egualmente indiscriminata libertà di licenziare.
E ancora, prosegue Hicks: non è necessario che l’intera forza lavoro industriale sia stabile, un’industria può avere un nucleo di lavoratori stabili, mentre gli altri son occupati nella produzione con un rapporto meno stretto.
In particolare, non c’è bisogno che il lavoro semi-qualificato, che può essere addestrato rapidamente, sia vincolato con un rapporto stretto, ed è possibile che la tecnologia moderna tenda a richiedere sempre più un tipo di lavoro che consente un rapporto più labile.
Ecco, dunque, chi teorizza la precarizzazione della maggior parte dei rapporti di lavoro, salvo alcuni ruoli di qualifica alta difficili da sostituire. E non ci si lasci ingannare da chi sostiene che si tratterebbe di costituire un rapporto più labile con un numero marginale di lavoratori dipendenti: il lavoro semi-qualificato riguarda il 70% della manodopera.
Il grande economista, che pure negli anni ’30 era stato allievo di Keynes, in tal modo finisce per teorizzare come scaricare il rischio d’impresa sulla parte debole del rapporto di lavoro, e per teorizzare come infoltire quello che qualcuno chiamava icasticamente esercito di riserva, ossia un gruppo di aspiranti al lavoro pronti a innescare una concorrenza al ribasso sul livello delle retribuzioni, pur di soddisfare abitudini malsane: ad esempio, quella di mangiare tutti i giorni.
D’altra parte, ancora più a fondo, le teorizzazioni di Hicks poggiano sul terreno del liberismo economico, teorizzato da Mises nel 1922/27, Hayek nel 1960 e Milton Friedman nel 1980, che a propria volta poggia sul terreno malfermo del nichilismo etico e del materialismo teoretico che caratterizzano il pensiero della modernità da Kant e da Nietzsche in poi.

 

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