TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Pasquale Sandulli ha voluto concedermi l’onore e il piacere di questa intervista, peraltro, in un momento, per lui, di grande preoccupazione familiare. L’ho vissuta come un dono prezioso, coronamento di un rapporto affettuoso che va ben oltre la pur importante sintonia scientifica e accademica. Si radica, infatti, nella qualità umana fuori dal comune di Pasquale, che gli ha conferito un’autorevolezza passata inosservata solo ai protervi. Per tutto questo lo ringrazio di cuore. (E. A.)

Caro Pasquale, partiamo dal tuo percorso scolastico?

Mi sono diplomato nell’estate del 1955 presso il Liceo classico “Torquato Tasso” in Roma, e, significativamente pressato dalle indicazioni di mio Padre, mi sono iscritto nella Facoltà (allora così denominata) di Economia e Commercio. Dotato di una formidabile base matematica, grazie all’esaltante insegnamento di Emma Castelnuovo nel triennio delle medie inferiori, rimasi affascinato dall’insegnamento di matematica finanziaria ed attuariale, impartito con somma autorevolezza da Bruno De Finetti, che aveva elaborato fra i primissimi la teoria soggettiva del calcolo delle probabilità (fondamentale per l’assunzione di decisioni operative nel campo economico ad ogni livello in situazioni di incertezza). Un mio positivo approccio alle discipline economiche fu certamente favorito dalla presenza nella Facoltà di docenti di grande fama e limpido insegnamento: da Volrico Travaglini, per l’Economia politica fino a Federico Caffè per la Politica Economica, passando per l’asciutta ma efficacissima didattica di Sergio Steve per la Scienza delle Finanze; non posso dimenticare l’arguzia e la finezza scientifica e linguistica di Amintore Fanfani per la storia economica, raramente assente nonostante i suoi esorbitanti impegni di governo. Ammetto che non ho mai provato attrazione per le discipline aziendalistiche, che all’epoca erano introdotte da corsi, di base ed avanzati, di Ragioneria e si concludevano essenzialmente con le discipline tecniche.

Ma allora come si spiega il passo verso le discipline giuridiche ed in particolare verso il Diritto del Lavoro?

Anche qui riconosco volentieri il ruolo determinante di taluni docenti che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso formativo: Rosario Nicolò per le Istituzioni di diritto privato e Giuseppe Ferri per il Diritto Commerciale, e non dico altro, entrambi contornati da assistenti di spicco e sempre disponibili a fornire il loro appoggio agli studenti: parlo di Vitaliano Lorenzoni, Ludovico Pazzaglia e Pietro Guerra, quest’ultimo determinante per alcuni sviluppi che mi hanno segnato, come dirò tra breve. Per l’area pubblicistica, Giuseppe Chiarelli, del quale non saprei dire se più elevato il livello scientifico, come ben dimostrato dalle sue successiva cariche, o il livello umano con il quale svolgeva la funzione di Preside, accogliendo tutti gli studenti bisognosi di supporto (mi rendo conte che sto parlando della metà degli anni Cinquanta, in cui i c.d. baroni erano autorevolmente autoritari e gli studenti erano relativamente pochi e motivati).
Per il Diritto del lavoro l’insegnamento era affidato a Lionello Levi Sandri, con il quale entrai subito in sintonia un po’ per la materia un po’ per le sue elevate qualità personali.
Ricordo che in quel periodo capitava spesso di vedere un giovanissimo Gino Giugni che dava una mano didattica formidabile. Soprattutto, di grande supporto al titolare della materia era Antonio D’Harmant François, che di lì a poco sarebbe diventato una colonna del Ministero del Lavoro.

Ma tutto questo non può bastare a spiegare una scelta così netta e decisa.


Lo ammetto! Ma era quanto bastava per far scoccare la scintilla.
Infatti, l’opzione previdenziale era in piena coerenza con il complesso delle discipline di cui ti ho riferito. Ognuna di esse incorporava una spicchio significativo della questione sociale: il contatto con il diritto del lavoro mi illuminò sulla possibilità di individuare un’area interdisciplinare, che avrebbe dovuto essere guidata da un metodo giuridico, prevalentemente giuslavoristico, ma non solo: e mi resi perciò conto della necessità di colmare taluni spazi, vuoi scegliendo nella Facoltà discipline complementari funzionali (elementi di procedura civile, di diritto fallimentare), vuoi frequentando liberamente corsi della facoltà giuridica, quali le materie romanistiche, il diritto civile, vuoi sforzandomi in modo sistematico di correlare i vari elementi della nostra composita materia con i profili essenziali di altre discipline giuridiche. Una chicca: ebbi la grande opportunità di frequentare il corso libero di diritto commerciale, tenuto da Vittorio Angeloni appena fuori ruolo, già preside della Facoltà, cosicché per un anno ho fruito di una lezione individuale, non essendoci altri studenti. Posso dire con convinzione che l’autoritaria, quanto amorevole (a pensarci bene) indicazione paterna ha finito per fruttare una sorta di percorso individuale ed originale, un po’ eclettico, con tutto quello che di buono o di cattivo vi è in questo termine.

E la scelta della tesi di laurea …

L’orientamento verso una formazione giuridica, sia pure atipica (ne ho piena contezza) ebbe una spinta determinante allorché, durante uno dei seminari tenuti dal Prof. Guerra, mi venne da lui proposto di frequentare l’ambiente de “Il Foro Italiano” (la sede, fra l’altro, era nella stessa Piazza Borghese, d’angolo con la Facoltà), per annotare delle sentenze selezionate dalla direzione e rassegne di giurisprudenza, come quella su rinunzie, transazioni e quietanze del lavoratore, sotto la pungente revisione di un severo Virgilio Andreoli. Dalla direzione della rivista mi fu anche affidato il compito di sistemare le schede delle massime lavoristiche per il Repertorio annuale del Foro: una settimana l’anno dedicata alla lettura ed alla classificazione delle schede: l’incarico, svolto sotto la direzione di Onofrio Fanelli, persona energica quanto amabile, cessò, ovviamente, con l’avvento delle tecniche informatiche, di cui Fanelli fu un grande e tempestivo fruitore, e non solo.
A questo punto, dovendo scegliere la disciplina in cui laurearmi, ero maturo per rivolgermi ad una materia giuridica, con una tesi che, in piena sintonia con il relatore Prof. Lionello Levi Sandri, non ebbe un connotato monotematico, ma assunse un taglio sistematico, avendo ad oggetto “Le recenti trasformazioni dell’ordinamento previdenziale italiano e il concetto giuridico di sicurezza sociale”. Come vedi, un tema predittivo della mia linea di studio: sono, ma non solo io, ancora alla ricerca di una soluzione adeguata di fronte al problema della combinazione fra garanzia dei mezzi adeguati e sostenibilità.

Come hai approcciato l’accademia?

Sotto questo profilo, sono stato particolarmente fortunato: avviatomi sul percorso dell’assistentato universitario volontario, e mentre ancora ero assorbito dagli impegni del servizio militare di leva, piovve dal cielo un posto di assistente ordinario nell’ambito lavoristico destinato a fronteggiare le esigenze didattiche della scuola europea di recente istituzione presso la Facoltà, diretta da Giacinto Bosco: quando si dice il momento giusto! Presi servizio il 1° novembre 1962, in contemporanea con l’arrivo di Ubaldo Prosperetti (nel frattempo, Lionello Levi Sandri era stato nominato commissario europeo per gli affari sociali, e di lì a poco avrebbe organizzato la prima Conferenza europea sulla sicurezza sociale - nov. 1966). Prosperetti in quel periodo stava curando l’edizione della monografia “Il lavoro subordinato”, e mi si presentò l’enorme opportunità di collaborare con lui nella predisposizione dell’apparato bibliografico: una formidabile ricognizione di dottrina e giurisprudenza! Oltre tutto conobbi e frequentai suo figlio Giulio, alle prime armi, ma già palesemente ben dotato, ed animato da un atteggiamento scientifico fortemente curioso e speculativo. Ricordo anche con grande piacere che intorno ad Ubaldo Prosperetti si formò un consistente ed affiatato gruppo di allievi: da Giorgio Branca ad Edoardo Ghera, da Sergio Magrini a Giorgio Lattanzi, io stesso ed in qualche modo GianCarlo Perone, cui si affiancarono i più giovani; Roberto Pessi, Antonio Vallebona, M. Josè Vaccaro.
Quali sviluppi paralleli in quel periodo?
Un’esperienza formativa importante dei primissimi anni mi venne offerta anche dall’instaurazione di un rapporto di collaborazione con il CNEL (1963-1965), essendo stato chiamato a fornire supporto tecnico nella elaborazione del primo disegno di legge del Consiglio, in materia di orario di lavoro, riposi e ferie - del tutto ignorato dal Parlamento - e, più o meno in contemporanea, a fornire un ben più consistente supporto giuridico nella elaborazione di un ampio progetto di riforma del sistema pensionistico, a tre pilastri, fondato su una seria analisi attuariale dell’ipotesi proposta (Mario Alberto Coppini era un autorevolissimo cattedratico di matematica attuariale). Anche questo progetto, caratterizzato dalla costante attenzione all’equilibrio di lunga durata, dovette cedere il passo alla introduzione, a vele spiegate, del metodo retributivo, pur temperato dalla iniziale presenza di massimali pensionistici, culminato nella l. 153/1969 : sebbene si presentassero, anche di riflesso da altri Paesi, importanti segnali di una società in forte ripensamento e già in crisi culturale, prevalse l’ottimismo di una crescita indefinita (il MEC era già operante), anche grazie alla forte immissione delle forze fresche del lavoro femminile.

Quale è stato l’impatto di queste esperienze e l’avvio dei tuoi contatti a livello europeo?

Come vedi, mi sono un po’ soffermato su queste prime esperienze, per spiegare la mia destinazione allo studio dei temi previdenziali, senza trascurare i temi del contratto individuale di lavoro in una chiave di valorizzazione del momento organizzativo: dal che la monografia su “Prestazione di lavoro subordinato e rappresentanza” (1974) e la serie di saggi, distribuiti nel tempo, sulla durata della prestazione di lavoro (orario, riposi, ferie), con il contorno sostanzioso del commento all’art. 18 dello statuto dei lavoratori nel relativo commentario diretto da Ubaldo Prosperetti, le riflessioni su parasubordinazione e autonomia in varie occasioni (ADL, Trattato di diritto privato dir. da Rescigno, ed anche in una delle tante quanto preziose iniziative di Antonio Vallebona volte a raccogliere le opinioni dei colleghi), quelle sul licenziamento disciplinare e poi più in generale sul potere disciplinare, e più di recente le implicazioni lavoristiche dell’esposizione (rimozione) del Crocifisso in aula (2022). Voglio ricordare a parte il saggio sul costo del lavoro nel passaggio dall’accordo al decreto, frutto di un seminario organizzato con Ezio Tarantelli nella sua purtroppo breve e tragica presenza in Facoltà.
In ambito sindacale, la risalente indagine sul sindacato nel volume collettivo ISLE, brevi saggi fra i quali una riflessione sullo sciopero nell’ordinamento sportivo; un rilievo particolare però deve riconoscersi agli approfondimenti sull’autonomia sindacale di tipo istituzionale in tutta la complessa evoluzione della previdenza integrativa, di cui in seguito, e la correlata attenzione al fenomeno della bilateralità.
Le due linee evidenziate in questo segmento rispondono anche alle mie due primarie occasioni di frequentazione della dottrina germanica, nel 1966 in Heidelberg, come borsista del DAAD , e nel 1977 come borsista in Monaco di Baviera presso la Max-Planck-Gesellschaft nel periodo di progettazione dell’Institut für vergleichendes/ausländisches und internationales Sozialrecht, che si sarebbe consolidato nel 1982 sotto la guida di Hans F. Zacher, destinato a diventare per una consiliatura (1996) Presidente della MPG. Mi ritrovai in un colorito gruppo di studiosi, provenienti da varie parti del mondo, avendo come interlocutori per l’Italia dapprima il valoroso Thomas Simons e poi la gentile Eva Honerlein; con entrambi ho mantenuto e mantengo amichevoli ed utilissimi rapporti.

Parliamo del tuo filone previdenziale, o, se preferisci, di sicurezza sociale.

Il mio contatto con Lionello Levi Sandri, che ho mantenuto in termini non solo di filiazione scientifica, ma quasi di filiazione elettiva (ancorché Lionello avesse quattro splendidi figli con i quali ho mantenuto rapporti fino al suo decesso, ed oltre), non solo mi consentì di prendere parte alla Conferenza del 1966 (con compiti di segreteria tecnica), ma anche di entrare fin dall’inizio nella compagine dell’Istituto Europeo di Sicurezza Sociale (IESS), con sede in Lovanio, sotto la presidenza del Ministro del lavoro belga Weldkamp, Vicepresidente lo stesso Lionello. Ben presto si rivelò una fucina di ricerche interdisciplinari, a taglio prevalentemente giuridico, con incontri almeno annuali e produzione di un annuario, presente nelle biblioteche, specialmente oltre le Alpi. Ricordo incontri congressuali e seminariali assai curati, di taglio comparatistico su vari temi, dalla copertura sociale delle malattie ai regimi pensionistici: l’Italia ospitò più volte queste riunioni, a Roma (sul trattamento di malattia – 1972), a Perugia (Le riforme della sicurezza sociale in Europa – 1980), a Firenze (la tutela contro gli infortuni sul lavoro – 1984).
Nel 1981, a Lisbona, tenni una relazione al congresso dell’IESS su “Disoccupazione e crisi economica”. Fra le prime ricerche dell’IESS l’attenzione si concentrò sulle forme di previdenza integrativa, molto fiorenti negli altri Paesi dell’Europa occidentale e praticamente sconosciute in Italia. Da lì prese il via la mia attenzione a questo tema, che ho seguito con forte impegno, non solo scientifico (ricordo la mia relazione all’AIDLaSS del 1990 a Cagliari, che mi permetto di considerare come un riconoscimento della comunità dei lavoristi), essendo stato di lì a breve incaricato dal Ministro del Lavoro nel 1992 di elaborare il primo testo legislativo (d. lgs. 124/93), che si è proposto per un decennio come base per l’avvio della previdenza complementare. L’attenzione a questa materia si è sviluppata via via che essa è stata scrutinata dalla Corte costituzionale, comportando come fisiologica conseguenza l’attenzione anche all’inquadramento costituzionale della previdenza di base.
A questo proposito, devo aggiungere che sono stato molto lieto che, nella redazione del Libro dell’anno del diritto della Treccani, la Direzione ed in particolare Tiziano Treu abbiano pensato di affidare a me, a volte insieme al Collega Stefano Giubboni, la disamina dei provvedimenti dell’anno. Mettendo in fila quei commenti, si può tentare di capire se c’è una linea del legislatore, al di là dell’alternanza politica. Peccato che l’iniziativa si sia interrotta.

Cosa mi dici del tuo percorso accademico: Roma, Cassino, Perugia, Roma.

È stato un percorso felice. Inizio dalla tappa della fondazione di una nuova Università a Cassino, faticosa; partivamo da niente, e con i maestri, tra i quali Giovanni Cassandro, Carlo Merlani e lo stesso Prosperetti, inventammo la formula della società cooperativa fra studenti e docenti per consentire i primi passi dell’iniziativa; ponemmo le prime pietre di quella che sarebbe risultata una importante realtà universitaria del Lazio meridionale, che tu stesso, poi, hai ulteriormente fortificato. Perugia è stata per 13 anni un’oasi beata della mia vita universitaria, in un ambiente cittadino di grande cordialità, potendo contare sulla preziosa collaborazione di Dante Duranti e di Siro Centofanti; mi abbeveravo alle analisi giuridico filosofiche di Nicola Picardi e di Alessandro Giuliani, mio Preside era Agostino Curti Gialdino e poi Giorgio Branca, fratello maggiore della scuola di Ubaldo Prosperetti. Roma è stato un bellissimo ritorno, con a fianco Matteo Dell’Olio, e poi Giuseppe Santoro Passarelli ed ancora Salvatore Hernandez: non solo ho fatto tesoro dell’insegnamento impartito in scuole e master, ma ho anche sostenuto l’impatto della disarticolazione dei corsi di laurea in triennali e biennali, cercando di attivare corsi sul Welfare State nell’ambito delle classi economiche piuttosto che in quelle aziendali. È rimasto in quella sede Angelo Pandolfo: grazie a lui ho stretto ancora di più i già ottimi rapporti con Tiziano Treu, con il quale ho fatto il tandem nell’AIDLaSS, lui presidente ed io segretario generale.
Ho proseguito a contratto con grande soddisfazione con l’insegnamento in LUISS di Diritto della Previdenza complementare ed in seguito di Giustizia costituzionale del lavoro, condividendolo con Marco Marazza, ed anche di diritto del lavoro nell’Università europea di Roma, inizialmente in condivisione con Felice Testa, che ha successivamente acquisito la piena titolarità del corso.

Quale è stata la tua esperienza con le istituzioni pubbliche?

Sicuramente interessante ed utile, per la possibilità di far valere, ragionevolmente, le mie idee, anche se un giorno fui apostrofato da uno stretto collaboratore del Ministro di turno che voleva sapere se stessi dalla parte del Ministro o da quella del Direttore Generale della Previdenza (no comment…).
Partecipai insieme con il dolcissimo Fabio Mazziotti di Celso ad una Commissione incaricata di verificare la correttezza e la congruità delle ricerche in materia infortunistica, in quanto finanziate dalle sanzioni pecuniarie di quell’assicurazione; avendo silurato alcune ricerche ignobili, ci ritrovammo a nostra volta silurati senza complimenti: ma la nostra sottilmente pungente replica alla lettera di commiato scatenò l’inseguimento del segretario del Ministro, che cercava inutilmente di recuperarci. Non so se possa parlarsi di episodi di colore.
Il mio contributo all’Ufficio legislativo fu molto apprezzato, e fu con marginali assestamenti recepito dal Presidente del Consiglio; era Giuliano Amato! Ho proseguito nel fornire il mio contributo anche al percorso di c.d. privatizzazione degli enti previdenziali dei liberi professionisti. Ebbi il piacere di essere nominato nel primo Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, che non è riuscito a sopravvivere alle spinte dei tanti che non gradivano il suo controllo.

Tu mi hai preceduto nella composizione del Collegio arbitrale costituito presso l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica: quale è stata la tua esperienza?

Penso che condividerai la mia valutazione nettamente positiva, per il garbo e la serenità con cui il Collegio, a metà strada fra giudice ed arbitro, svolgeva la sua attività (fra l’altro, ero in compagnia di Mattia Persiani e di Roberto Pessi). Certo un ordinamento di rango monarchico (sia pure fortemente orientato a seguire l’indirizzo dell’ordinamento italiano) dava un vago sapore di disparità fra le parti del procedimento, che solo in pochi casi si è concluso con il riconoscimento delle pretese dei ricorrenti. Negli ultimi tempi della mia partecipazione al Collegio il contenzioso sembrava come esaurito.
Peraltro, devo fare presente che nella sede della Curia Romana ho avuto anche il privilegio di supportare i responsabili nel processo di riforma del sistema pensionistico, che destava forti preoccupazioni finanziarie.

***

Caro Edoardo, se il tuo garbato interrogatorio è terminato, mi sento di proporre all’attenzione di chi vorrà leggere queste righe una riflessione finale sulla collocazione didattica della materia e delle discipline del gruppo lavoristico nelle Facoltà di Economia: con l’intento di ricavarne, mi auguro, indicazioni di ordine generale, e non solo per una semplice mia rimembranza personale; fra l’altro, ricordo che ho vissuto due anni di insegnamento nella Facoltà di Scienze Politiche perugina, in quell’atmosfera un po’ astratta, quasi sognante di quel tipo di facoltà.
Sulla importanza delle materie lavoristiche in ambito di Economia, posso limitarmi a ricordare che, in occasione di uno dei Seminari svoltisi a Bertinoro circa venti anni fa, Marina Brollo, che coordinava un gruppo di lavoro dedicato appunto alla collocazione della materia nelle tre facoltà, primaria quella giuridica e secondarie Economia e Scienze politiche, era preoccupata del rischio di contaminazione metodologica, fra il diritto ed il socioeconomico, cui è esposto specialmente il giurista del lavoro in queste facoltà: ma se si evita tale contaminazione e si opera in coordinazione, non di rischio si tratta, ma di importante opportunità (si devono ricordare qui le pagine di Smith sul salario?).
Allora, questo, se vogliamo, è solo un punto di partenza, in cui collocare la questione dell’accentuazione della valenza interdisciplinare della materia, doverosamente più attenta – per le implicazioni di ordine gestionale, quasi prima che giuridica – al dato socio-economico ed alla sua misurazione quantitativa; è questo il risvolto del giudizio finale formulato dalla Brollo laddove configura il diritto del lavoro come “disciplina di frontiera, di confine e quindi di punto d’incontro fra scienze giuridiche e altre scienze sociali”. Senza timore, aggiungo ora, di dover a pieno titolo inglobare il sistema previdenziale nell’ordinamento del lavoro. Un timore che evidentemente il legislatore costituente del 2001 ha paventato, quando ha ritenuto di dover porre espressamente la materia della previdenza sociale nelle competenze dello Stato, relegando la previdenza complementare ed integrativa nella competenza mista Stato/Regione.
Questo è solo uno spunto di un più articolato ragionamento che ho svolto in occasione della cessazione del mio insegnamento, e che ha trovato ospitalità nel volumetto della LUISS (2013) celebrativo del saluto al compianto Sergio Magrini, a Gian Carlo Perone ed a me.

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