testo integrale con note e bibliografia

TESTO DELLA SENTENZA

testo della sentenza

La sentenza in commento della sezione regionale lombarda del giudice contabile si occupa dell’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. a una fattispecie di ipotizzato danno erariale.
L’art.2126 cod. civ. , secondo cui “la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa”, costituisce esplicitazione del principio di effettività della prestazione lavorativa e della corrispettività tra questa e la controprestazione retributiva e previdenziale . La disposizione ha l’obiettivo di riequilibrare la situazione, altrimenti compromessa a svantaggio del prestatore di lavoro, derivante dalla declaratoria dell’invalidità di un contratto cui sia stata già data esecuzione, offrendo, come è stato efficacemente evidenziato , al citato prestatore una tutela di tipo retrospettivo, non già proiettivo.
Detto in altri termini, con l’art.2126 cod. civ. il legislatore ha voluto affermare che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non può pregiudicare la posizione del lavoratore, il quale vanta una serie di diritti connessi all’attività svolta, in primis quello a un’adeguata retribuzione e alla copertura previdenziale, in conformità ai principi sanciti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione repubblicana.
La disposizione è stata oggetto di applicazione anche nel pubblico impiego, antecedentemente e successivamente al processo di privatizzazione .
La fattispecie concreta sottoposta al vaglio della sezione regionale lombarda della Corte dei Conti concerne un ipotizzato danno erariale da indebita percezione di trattamento economico connesso allo svolgimento di prestazioni riconducibili al profilo professionale di collaboratore scolastico, qualifica ottenuta in base a false dichiarazioni sul titolo di studio necessario, in realtà mai conseguito.
Nella pronuncia in commento viene dato lealmente atto della sussistenza di un indirizzo costante e consolidato del giudice contabile, secondo cui nei casi di accesso a posti di impiego pubblico conseguito mediante la falsa attestazione del possesso del titolo di studio richiesto si versa in una fattispecie di illiceità della causa, che priva il lavoro eseguito della tutela prevista dall’art.2126 cod. civ., stante il contrasto con norme fondamentali e generali e con i basilari principi pubblicistici dell’ordinamento . In tali casi, infatti, secondo questa prospettazione, il conseguimento dell’impiego sulla base di false dichiarazioni sul possesso dei titoli di studio comporta l’irrimediabile rottura del sinallagma contrattuale, in quanto il dipendente non è in possesso della professionalità richiesta, a nulla rilevando che agli emolumenti percepiti abbiano corrisposto prestazioni effettivamente svolte.
La sezione lombarda della Corte dei Conti, come già in qualche altra recente pronuncia , si discosta da tale indirizzo sulla scorta di argomentazioni sistematiche di ampio respiro.
In primo luogo, si muove dal richiamo all’art.1, comma l-bis della l. 14 gennaio 1994, n. 20, in forza del quale il giudice contabile, fermo restando il potere di riduzione, deve tenere conto dei vantaggi comunque conseguiti dall'amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità .
Dalla lettura della disposizione, ove si parla di vantaggi “comunque conseguiti”, non solo dall’amministrazione di appartenenza, ma anche da altre amministrazioni e dalla “comunità amministrata” , emerge chiaramente una differente portata applicativa rispetto alla compensatio lucri cum damno civilistica. Come ha evidenziato la medesima sezione lombarda, la compensatio lucri cum damno civilistica e la determinazione del danno erariale ai sensi dell’art.1, comma 1-bis della l. n. 20/94, nonostante alcune analogie di fondo, non sono coincidenti, in quanto hanno presupposti diversi, lapidariamente espressi sul piano testuale dalla norma giuscontabile, per cui l’esegeta è vincolato ad una più ampia lettura, anche alla luce del principio del favor rei a fronte di previsioni anche punitive e non solo risarcitorie .
In secondo luogo, la pronuncia in commento richiama i dettami dell’art.2126 cod. civ., il quale, dopo aver disposto che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, precisa che la suddetta disposizione non trova applicazione laddove la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Secondo la giurisprudenza la suddetta nullità non ricorre in ogni caso di contrarietà con norme imperative di legge, ma soltanto nei casi di contrarietà del contratto con norme fondamentali e generali o con principi basilari dell’ordinamento .
In tale passaggio viene, inoltre, ricordata la fondamentale sentenza della Corte Costituzionale di inizio 2023 in tema di ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato , la quale ha evidenziato la centralità dell’art.2126 cod. civ., definendolo con estrema efficacia “presidio contro pretese restitutorie avanzate dal datore di lavoro compresa la Pubblica Amministrazione”.
In terzo luogo, la pronuncia richiama il recente orientamento della Cassazione, secondo cui nel pubblico impiego privatizzato gli impegni di spesa possono certamente impedire di riconoscere aumenti di corrispettivo non coperti da una regolare conduzione della contrattazione o da altri presupposti necessari per il loro riconoscimento, ma non possono impedire il pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, seppure in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva, con le regole autorizzatorie per esso previste o con i vincoli di spesa . In tali pronunce anche la Suprema Corte, al pari della Corte Costituzionale, sottolinea la centralità dell’art.2126 cod. civ., chiarendo che deve essere letto in connessione con le tutele costituzionali del lavoro e della sua retribuzione (articoli 35 e 36 Cost.).
Viene, infine, richiamato anche l’orientamento delle sezioni penali della Cassazione, secondo il quale, allorquando sia commesso il reato di truffa finalizzata all’assunzione di un impiego pubblico , che si consuma nel momento della costituzione del rapporto impiegatizio, al lavoratore spetta comunque la retribuzione per l’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa richiesta, giusta la disciplina dettata dall’art.2126 cod. civ. .
Sulla base del quadro tratteggiato la sezione lombarda del giudice contabile ritiene che con riferimento alle prestazioni lavorative rese da dipendente pubblico, assunto in carenza del titolo di studio richiesto per l’accesso, occorra distinguere tre ipotesi: a) prestazioni non routinarie richiedenti titoli di elevata specializzazione non posseduti (es. prestazioni rese da medico privo di laurea); b) prestazioni routinarie non richiedenti titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello), che sono svolte da soggetto in possesso del titolo prescritto, anche se con votazione inferiore a quella indicata; c) prestazioni routinarie non richiedenti titoli di elevata specializzazione (es. quelle meramente operative di un bidello), che sono svolte da soggetto non in possesso del titolo prescritto e autore di mera produzione di titolo falso.
Nella prima ipotesi trova giustificazione il tradizionale indirizzo ostativo al riconoscimento di una utilitas fruita dalla pubblica amministrazione, con conseguente obbligo di restituzione integrale delle retribuzioni percepite: quando l'amministrazione esige una prestazione professionale particolarmente qualificata, che richiede il possesso di un particolare titolo di specializzazione, l'attività svolta dal soggetto privo delle cognizioni tecnico-culturali tassativamente prescritte non può ontologicamente produrre l'utilità preventivata in sede di stipulazione del contratto di lavoro .
Il tradizionale indirizzo merita, invece, di essere rivisto nelle altre due ipotesi relative all’espletamento di mansioni non altamente qualificate.
Nel secondo caso l’amministrazione ha fruito di una prestazione di minimale complessità da parte di soggetto in possesso del titolo prescritto, anche se con votazione inferiore a quella dichiarata, per cui l’unico soggetto danneggiato è il terzo aspirante all’incarico scavalcato in graduatoria.
Nel terzo caso, vagliato dalla pronuncia in commento, l’amministrazione ha fruito di una prestazione di minimale complessità da parte di soggetto non in possesso del titolo prescritto, ma con un’utilità minore, che viene prudenzialmente quantificata nel cinquanta per cento della prestazione resa.
La sentenza, in forza del principio di piena indipendenza del giudizio contabile , precisa che restano fermi i profili di valenza penale, disciplinare e civile della vicenda in questione .
L’innovativo indirizzo della sezione lombarda è stato seguito da altre sezioni regionali del giudice contabile in analoghi casi di accesso a posti di collaboratore scolastico ottenuti in base a false dichiarazioni sul titolo di studio posseduto , nonché in una particolare vicenda di svolgimento di rapporto di lavoro, già regolarmente instaurato, in violazione di un sopravvenuto obbligo di iscrizione ad albo professionale .
Come si è cercato di dimostrare, la sentenza in commento opera un ripensamento dell’indirizzo consolidato in materia attraverso un iter articolato e ricco di argomentazioni. Occorrerà attendere l’elaborazione giurisprudenziale futura delle sezioni di appello del giudice contabile.

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