Questi ultimi mesi hanno visto un particolare attivismo nella scena normativa europea, dove sono giunti a conclusione i dibattiti istituzionali in materia di intelligenza artificiale, di lavoro su piattaforme, di due diligence.

Sono tutti sforzi, apprezzabili e  doverosi, di reagire e di assumere iniziative di fronte a un quadro in continua evoluzione, nel quale la tecnologia e le innovazioni organizzative modificano continuamente e imprevedibilmente il quadro di riferimento e gli equilibri nel mondo del lavoro.

Di tale quadro in formazione risulta difficile delineare gli esiti finali, ammesso che il processo abbia una fine; e, tuttavia, è necessario intervenire tempestivamente, con la speranza di produrre un effetto regolatore che possa attenuare gli effetti negativi e porre le premesse affinché si producano i risultati positivi possibili in un contesto destinato a rimanere, per sua natura, fluido e mutevole.

Plastica raffigurazione di tale fase di transizione è la attuale configurazione del mercato del lavoro in Italia che pone di fronte al paradosso (apparente) di una situazione nella quale crescono i posti di lavoro, anche per le fasce deboli (giovani e donne) ma, al contempo, non migliorano le condizioni dei lavoratori.

Basti pensare al perimetro sempre crescente del lavoro povero e di quello precario.

Ma, e qui sta l’altro paradosso, il lavoro non cresce nemmeno nella considerazione degli stessi lavoratori, come emerge dal fatto che fasce sempre più ampie di lavoratori, specie fra i più giovani, non considerano più il lavoro che sperimentano come l'esperienza centrale della loro vita.

Ne sono indici significativi i frequenti casi di dimissioni o quelli di lavoratori che lasciano il posto di lavoro "sicuro" per dedicarsi ad altre attività, talvolta anche più precarie e dalle prospettive incerte, ma considerate più gratificanti.

Parrebbe venir meno l'assunto dualistico di base sul quale per decenni si è fondata la scala delle priorità, che partiva dall’imperativo di dover assicurare, innanzitutto, la stabilità lavorativa alla persona e solo successivamente di pensare al suo benessere spirituale, culturale, esistenziale.

Ci si chiede se sia il caso di riformulare l'assunto che fino ad ora ha ispirato la sociologia, la filosofia e il diritto del lavoro, secondo il quale il lavoro non è soltanto un mezzo per procurarsi il sostentamento ma anche strumento e condizione di sviluppo della personalità del lavoratore.

Pare impossibile, allo stato, dire se si tratta di un fenomeno positivo o negativo. Quel che è certo è che esso non sembra destinato a attenuarsi e che, quindi, determinerà conseguenze (al momento difficilmente configurabili) sull'organizzazione del lavoro, sul modo di intendere la solidarietà fra lavoratori, sulle dinamiche interne delle associazioni sindacali, al limite, sul modo di intendere la società stessa...

Forse la risposta è quella che qualificati studiosi hanno individuato nella soluzione del lavoro scelto, capace di appagare il bisogno soggettivo e, al tempo stesso, di soddisfare anche il bisogno oggettivo di lavoro.

Ma quanti sono i lavoratori in grado di scegliere il lavoro? E quanti sono quelli che, invece, si ritengono fortunati per avere un lavoro purchessia? Sorge il problema, centrale in una società liberale e democratica, del diritto ad uguali opportunità e chances .

Non si può, e non si deve, ignorare che , accanto a queste modifiche di cultura del lavoro, persistono, a ricordarci le durezze della realtà, situazioni di compressione dei diritti dei lavoratori, di sfruttamento profondo, di sicurezza personale, come quelle che sono anche di recente emerse in istruttorie penali  relative agli appalti in  grandi aziende del settore della logistica e dell'abbigliamento.

In questo quadro di una transizione che sembra non aver fine, viene da rifugiarsi nella constatazione montaliana che è più facile dire "ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".

Ma si tratta di un rifugio non consentito a chi è chiamato a svolgere un ruolo attivo per migliorare, qui e ora, il quadro del mondo del lavoro e la vita di chi vi opera.

È questa la direzione nella quale si sono posti quanti hanno collaborato con LDE per realizzare questo numero e contribuire alla riflessione e al dibattito su alcuni dei temi più contingenti e non eludibili.

La transizione, infatti, o la si governa o la si subisce.

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