Il recente Rapporto sulla povertà della Caritas segnala un ulteriore incremento della vulnerabilità sociale, nonostante l’economia prospera e l’occupazione in salita. Per restare ai lavoratori, l’8% degli occupati è povero e diventa il 16,5% tra gli operai.
La Caritas non è certo sospettabile di partigianeria o di pregiudizio politico e la sua legittimazione deriva dal suo forte radicamento nella realtà, dal contatto diretto con i soggetti più deboli. Le sue rilevazioni, quindi, sono ben più solide e pregnanti dei meri dati statistici. E le cifre sopra citate fanno emergere un preoccupante ossimoro dovuto al fatto che in una situazione economica positiva e con occupazione in crescita aumenta il numero dei “poveri nonostante il lavoro” (per non parlare dei numeri ancora più preoccupanti per i disoccupati). Siamo in presenza di una contraddizione paradossale, costituta dal fatto che il lavoro non riesce ad essere strumento idoneo per condizioni di esistenza decenti ; ancor meno, per una crescita della qualità della vita. Con il parallelo ossimoro di una delle maggiori economie mondiali (quale quella italiana) che registra una crescita del numero delle famiglie in povertà.
A meno di non ritenere, come pure taluno sostiene, che lo stato di salute della nostra economia dipende proprio dal basso costo del lavoro. Tesi da cui discenderebbe il corollario che la ricchezza prodotta remunera tutti i fattori della produzione tranne il lavoro. Con buona pace delle prescrizioni (precettive e non programmatiche) della Costituzione in materia di salario adeguato per una “esistenza libere e dignitosa”.
E non si tratta solo di benessere materiale (pur importante) ma anche di qualità della cittadinanza. Poiché la “povertà nonostante il lavoro” impedisce anche la crescita sociale del lavoratore e dei suoi figli ,cui vengono preclusi, fra l’altro, la possibilità di prendere l ”ascensore sociale” o, come scrive la Caritas, il “diritto di aspirare”. È ,infatti, evidente il nesso tra salario e dignità, tra lavoro dignitoso e pienezza di cittadinanza e partecipazione sociale. Acquistano, in proposito, particolare significato e peso le parole pronunciate in un recente discorso dal Presidente della Repubblica Mattarella , il quale ha rilevato che le “sacche di salari insufficienti” costituiscono “elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”.
Sono parole che fanno emergere in tutta la loro impellenza i doveri delle Istituzioni e dei soggetti pubblici derivanti dai precetti costituzionali in materia di solidarietà sociale e di tutela del lavoro e dei lavoratori. È vero che non vi sono soluzioni miracolose né ricette magiche, e che il superamento delle attuali difficoltà richiede tempi proporzionati alla complessità delle cause. Ma è ugualmente vero che occorre porre fine a una inerzia che dura da troppo tempo.
È pacifico, infatti, che i salari in Italia sono da alcuni lustri fermi su valori nominali formalmente stabili ma nella sostanza erosi sensibilmente, non foss’altro che per effetto delle dinamiche inflattive e del connesso calo del potere d’acquisto. E ciò mentre negli stessi anni nei Paesi più sviluppati d’Europa i salari sono cresciuti, dove più dove meno ma pur sempre in positivo. Vorrà pur dire qualcosa se anche la Banca d’Italia ha richiamato l'esigenza di favorire una crescita dei livelli salariali.
Non è compito di una Rivista trovare soluzioni ,quanto, piuttosto, richiamare l’attenzione e la riflessione dei lettori sui problemi che investono il diritto e il rapporto di lavoro. Ciò è quanto LDE ha fatto e fa anche con questo numero, ospitando il dibattito fra gli studiosi (cui va rinnovata la gratitudine per la generosa collaborazione) su temi inerenti il salario costituzionale, la sostenibilità sociale e ambientale dell’impresa, il lavoro etero-organizzato, la giurisprudenza costituzionale , la sicurezza sul lavoro.
Sempre con l’obiettivo di dar conto, quanto più possibile, della pluralità degli orientamenti.
Per le soluzioni è doveroso rimettersi alle Istituzioni, ai soggetti pubblici e privati che hanno il compito di cooperare nel comune obiettivo di elaborare piani di intervento organici di ampio respiro, abbandonando la logica dei rimedi emergenziali e contingenti. Si tratta di porsi in un'ottica di programmi strutturali, all’interno dei quali inserire i singoli interventi dislocati (come è naturale e indispensabile) nel tempo; lavorando per superare le contraddizioni e gli ossimori che connotano l’attuale realtà.
In tale ottica non sarà inutile riprendere taluni dei temi già emersi in passato nel dibattito pubblico, quali il salario minimo legale, il rinnovo dei contratti collettivi scaduti da molti anni, il freno ai rapporti di lavoro precari e irregolari, i contratti-pirata,gli infortuni sul lavoro. Con la consapevolezza che in gioco sono non solo i diritti individuali ma, secondo il monito del Presidente Mattarella, la stessa coesione sociale.
E nella direzione di tale impegno comune non sarà fuori luogo riecheggiare un antico auspicio: tornare alla Costituzione!