Editoriale del numero 2 del 2018
di Piero Martello
Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da una certa effervescenza, soprattutto verbale, del dibattito politico,che si è tradotta in qualche provvedimento normativo in materia di diritto del lavoro.
Proseguendo così una analoga effervescenza legislativa che si è registrata anche negli ultimi anni.
È pur vero che tutto è perfettibile (specialmente le leggi umane) e va sempre rispettato il primato della politica, nel senso che spetta ai Decisori istituzionali (Parlamento e Governo) fissare e/o cambiare le regole giuridiche, individuare i diritti da riconoscere e tutelare, stabilire la scala di valori, disporre gli strumenti idonei per la realizzazione degli obiettivi che le norme si pongono.
Ma è anche vero che l'opera del Legislatore deve essere preceduta da una attenta ponderazione e non può essere dettata, come pure è successo anche in tempi non recenti, da spinte contingenti o da esigenze estemporanee.
Ciò vale anche quando vi sono esigenze pressanti: dare e prendersi il tempo necessario ad una accurata valutazione consente di evitare provvedimenti-tampone, che prima o poi mostrano la loro insufficienza, ponendo così le premesse per un ulteriore intervento.
La stabilità (relativa, ovviamente,ma tendenziale) delle leggi costituisce di per sé un valore, poiché consente ai destinatari, lavoratori e datori di lavoro, di fare le loro valutazioni e i loro programmi con una prospettiva di una certa durata.
Per evenienze simili i Romani hanno coniato il monito festina lente: affrettati lentamente sembra un ossimoro, ma è segno e frutto di saggezza e di lungimiranza.
Sul tema, viene da pensare anche alle considerazioni di Italo Calvino a proposito dell’elogio della lentezza.
In materia legislativa, bisogna saper coniugare velocità e cautela.
Resta ,poi, l'esigenza, e l'esortazione, ad avvalersi del parere e dell'apporto dei tecnici ,fermo restando il ruolo di indirizzo politico, legittimamente e costituzionalmente affidato ai Decisori istituzionali.
Lasciano, quindi, il tempo che trovano certe definizioni valide solo sul piano del marketing politico, come, ad esempio, decreto dignità, che richiama alla memoria analoghi casi di marketing quali, fra gli altri, contratto a tutele crescenti (dov'era difficile individuare quale fosse la tutela che cresceva e dove cominciava e dove finiva la crescita)
Un contributo alla stabilità delle leggi è dato dall'attività giurisdizionale, in quanto essa evidenzia eventuali aporie, contribuisce a colmarle con l'interpretazione, tende a rimuoverne gli effetti incongrui, adattando la regola generale e astratta alla peculiarità e alla specificità del caso concreto.
In tale ottica va salutata positivamente la recente sentenza n. 194 della Corte costituzionale laddove, cancellando certi automatismi decisionali, recupera e valorizza il ruolo e la funzione della giurisdizione.
E, nel parlare di giurisdizione, ci si deve riferire non solo al Giudice ma anche all'Avvocato che, quando propone una interpretazione delle norme, partecipa a pieno titolo alla funzione dello jus dicere.
Naturalmente, il riaffermato ruolo della giurisdizione deve coniugarsi con il senso di responsabilità e di misura dei suoi protagonisti, il cui diritto/dovere di interpretazione deve restare entro i limiti giuridici dell'ermeneutica, evitando torsioni e dilatazioni improprie.
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