DAVVERO ANDRA' TUTTO BENE?
All'epoca del primo lockdown "duro", nel febbraio/marzo 2020, si è diffusa l'espressione "andrà tutto bene".
Si trattava di un augurio e, al tempo stesso, di uno scongiuro o, forse, di un esorcismo dettato da un evidente intento di auto-rassicurazione.
Quel che è accaduto nei mesi successivi, e che continua ad accadere, ha ampiamente dimostrato che l’ esorcismo non sempre ha funzionato.
A distanza di oltre un anno e mezzo, non si può fare meno di chiedersi, con riferimento alla realtà delle politiche e del mercato del lavoro, se vi siano, e quali siano, adeguate ragioni per pensare che tutto sta andando bene e che così sarà per il prossimo futuro.
La pandemia ha accelerato dei processi già in atto, ma a tale accelerazione delle realtà produttive non sempre ha fatto seguito una pari celerità degli interventi, specialmente di quelli di competenza delle Istituzioni pubbliche.
È necessario, quindi, vedere cosa è possibile e doveroso fare per recuperare il distacco che si è determinato tra la realtà sociale e produttiva e l'apparato normativo e organizzativo che ad essa deve far fronte.
Occorre una pari accelerazione dei processi e delle dinamiche istituzionali e sociali (legislazione, primaria e secondaria; accordi fra le parti sociali; concertazione fra tutti i soggetti interessati) e tutto ciò deve avvenire con la celerità richiesta e imposta dai processi sociali, organizzativi, produttivi in atto.
Evitando, quindi, il consueto inseguimento e ritardo rispetto a una realtà che è sempre più avanti.
Si ha, ancora, la percezione di una diffusa riluttanza e difficoltà ad affrontare in termini adeguati i nuovi problemi e le nuove sfide che la realtà produttiva, organizzativa, relazionale propone con impellenza intrinseca, accentuata dalla perdurante emergenza pandemica.
In questo tempo di pandemia non tutto e "andato bene"; comunque, non per tutti.
Basti pensare agli effetti depressivi che il lockdown ha prodotto sulle dinamiche salariali, determinando un calo di reddito complessivo soprattutto per le categorie e i settori lavorativi meno protetti.
Basti pensare allo scricchiolio che ha caratterizzato le infrastrutture sociali, sia di tipo sanitario sia di tipo previdenziale, specie dopo lo sblocco dei licenziamenti.
E, quindi, non si può fare a meno di imboccare una riforma integrale e profonda degli strumenti di gestione della crisi, capace di realizzare un assetto complessivo (e non dei semplici ritocchi di maquillage) del sistema degli ammortizzatori sociali che possa assorbire e neutralizzare gli effetti di una crisi occupazionale di portata enorme (forse superiore alle pesanti cifre che circolano).
Così come non è più rinviabile una attenzione effettiva alla giungla contrattuale, che vede, al momento, circa mille contratti collettivi di lavoro (alcuni più o meno "pirati"); con il problema connesso della rappresentatività dei soggetti stipulanti; e con il corollario della definizione dell'ambito di efficacia dei contratti collettivi.
Manca ancora una ragionevole certezza che le parziali modifiche del processo del lavoro adottate con gli emendamenti governativi di riforma nei mesi scorsi diano i frutti ipotizzati in termini di più celere definizione del contenzioso. Occorrerà vedere, infatti, quanto tempestiva sarà l'attuazione degli interventi organizzativi preconizzati (ufficio del processo, incremento delle risorse personali e materiali...)
Non è più rinviabile un intervento sistema sul tema della gestione “disinvolta” dei processi di delocalizzazione aziendale , laddove il valore della libertà di iniziativa economica non può esplicarsi senza tener adeguato conto anche della responsabilità sociale dell’impresa.
Si tratta di un insieme coerente e convergente di interventi, da realizzare in modo contestuale e nel più breve tempo possibile, evitando di ricadere nei malvezzi di un passato in cui si adottavano misure congiunturali ed episodiche; che sono l'esatto contrario di quella azione strutturale della quale ormai non si può fare a meno se si vuole essere all'altezza della sfida che le realtà nuove impongono.
Solo alla fine di questo processo virtuoso si potrà dire se tutto "andato bene".
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