Come sanno perfettamente i lettori di questa prestigiosa rivista, in Italia convivono due modalità di lavoro da remoto: il lavoro agile, regolato dalla Legge n. 81/2017 e il telelavoro che, a dire il vero, non ha una disciplina legislativa specifica ma solo qualche accenno in normative che non regolano il telelavoro e qualche accordo interconfederale o di settore.
Dall’inizio del 2020 e fino alla fine del corrente anno la pandemia ha di fatto “remotizzato” quasi tutti e le aziende, e non solo, hanno scoperto che lavorare da remoto si può e che addirittura la produttività aumenta. Di contro, invece,
ne ha sofferto la socializzazione dei lavoratori e la motivazione degli stessi con qualche problema in più per chi gestisce la risorsa umana in o per le aziende. Molti lavoratori hanno dovuto anche far ricorso all’assistenza psicologica.
Quindi, da una parte le aziende hanno voglia di riorganizzarsi utilizzando in modo più intensivo il lavoro agile in via unilaterale, cosa che è stata molto facile nel periodo emergenziale ma che non sarà più possibile al termine di tale periodo perché l’attuale normativa legislativa non lo consente, essendo necessario il consenso del lavoratore.
Certamente i benefici ci sono sia per i lavoratori, sia per le aziende che per l’intera società. Per citarne alcuni: le aziende potrebbero ridurre i loro costi di struttura con beneficio anche sui prezzi dei loro prodotti o servizi; i lavoratori risparmierebbero ore di viaggio e concilierebbero meglio le esigenze di vita e di lavoro; l’intera società civile ne beneficerebbe perché si avrebbe minore inquinamento ambientale dovuto al minor traffico.
Ma non si possono nascondere neanche i problemi. Al di là degli aspetti che citavo prima della socializzazione e della motivazione dei lavoratori, il lavoro da remoto danneggia sicuramente anche tutti i lavoratori e le aziende che lavorano sul lavoro degli altri. Mi riferisco a tutti i servizi di mensa, bar, ristoranti, negozi, che prestano la loro attività in prossimità dei siti produttivi. Le infrastrutture mancano, sia informatiche che dei servizi (scolastici in primo luogo). Bisognerebbe inoltre rivedere le norme di diritto del lavoro e sindacale per consentire a tutti di esercitare i loro diritti e non vedersi esclusi dai processi aziendali di partecipazione alle attività di teams o decisionali.
Insomma, una bella sfida per il lavoro che verrà. Le aziende stanno già ragionando sulle nuove strategie organizzative con un utilizzo intensivo del lavoro agile e come al solito abbiamo un Legislatore poco attento alle trasformazioni sociali e meno ancora alla revisione delle normative legislative.
Di fatto però a gennaio 2022, se non si metteranno le mani nella struttura normativa del lavoro da remoto, ci saranno diversi conflitti. Il datore di lavoro non potrà più disporre dello stato emergenziale per “remotizzate” a suo piacimento i lavoratori. Ci vorranno accordi individuali, neanche collettivi. Quindi il legislatore deve sbrigarsi a prendere in seria considerazione la riforma del lavoro agile, magari inserendola nel più ampio progetto di digitalizzazione derivante dal PNRR.
Noi abbiamo fatto qualche ipotesi ragionata e sono orgoglioso di mettere a disposizione dei lettori di LDE il nuovo importante lavoro del nostro Centro Studi e Ricerche: LO SMART WORKING TRA REGOLE E INNOVAZIONE.
Abbiamo voluto anticipare questi ragionamenti mettendo a disposizione di tutti, come di consueto, non solo enunciazioni filosofiche ma argomentazioni concrete con la previsione di un articolato legislativo conclusivo. Il tutto è raccolto nel dossier pubblicato in questo numero della rivista.
La discussione è aperta.
Smart working post pandemia: urgente una revisione normativa
- Di : Potito Di Nunzio
- Categoria: Consulenti del lavoro