È indubbio come l’utilizzo sempre più pervasivo delle nuove tecnologie digitali stia avendo un impatto rilevante anche sui rapporti e sul mercato del lavoro (sono ormai sempre più comuni termini come Gig Economy, On demand Economy e Industria 4.0). Nuove forme di lavoro si affacciano sul mercato e nuovi modelli di business impongono, se non un ripensamento, un adeguamento delle categorie storiche su cui si è fondato (e si fonda) il diritto del lavoro, prima fra tutte la distinzione fra lavoro subordinato e lavoro autonomo.
Non si tratta un cambiamento che si manifesta, di colpo, solo oggi. Nel contesto italiano, già dai primi anni 2000, si era palesata un’esigenza di flessibilità nell’individuare forme contrattuali idonee a regolare particolari rapporti lavorativi che non potevano essere ricondotti alle due grandi categorie del lavoro autonomo o subordinato. In tale direzione, ad esempio, si era mosso il D. Lgs. 276/2003 (cd. “Legge Biagi”) nel tentativo di proporre una pluralità di forme contrattuali per regolamentare particolari rapporti di lavoro e dunque garantire una tutela ai lavoratori impiegati.
Più di recente, nell’ambito della riforma del cd. Jobs Act, il Legislatore ha invece inteso – in coerenza con le Direttive europee - rimettere al centro il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma è indubbio che una rinnovata esigenza di flessibilità da un lato e l’adozione di nuovi modelli imprenditoriali dall’altro, non hanno mancato di sollevare questioni rilevanti circa la qualificazione dei rapporti di lavoro, imponendo una ulteriore riflessione sulle forme contrattuali applicabili a casi per così dire “limite”.
Nel contesto di cambiamento sopra delineato, il tema della distinzione fra lavoro autonomo e lavoro subordinato e della qualificazione di “nuovi” rapporti di lavoro è stato affrontato da recenti pronunce in diversi ambiti: dalle consegne di cibo a domicilio (cd. food delivery) ai call center ed anche all’ambito ospedaliero.
a. Il noto “Caso Foodora”. I ricorrenti adivano il Tribunale di Torino allegando di essere stati “fattorini” e di essere stati, di fatto, dipendenti della Società con applicazione del CCNL Logistica, almeno con riferimento all’art. 36 Cost.. Chiedevano pertanto al Tribunale l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro e la corresponsione delle differenze retributive indicando, come possibili parametri, alcuni Contratti Collettivi. Nel contempo, i ricorrenti denunciavano una violazione del loro diritto alla privacy nonché l’esercizio - da parte della piattaforma - di un controllo a distanza. Denunziavano, infine, la mancanza di una tutela anti-infortunistica e la violazione dell’art. 2087 c.c..
La sentenza di primo grado (n. 778 del 7 maggio 2018) dedica un paragrafo alla “volontà delle parti” rilevando come i ricorrenti avessero sottoscritto contratti di collaborazione coordinata e continuativa in cui era previsto che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere legato ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza e di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”.
È interessante notare la scelta di orientarsi subito verso la co.co.co, e la sentenza non prova neppure a percorrere la strada della partita IVA o la tesi dello “opus”. Il Giudicante valorizza come decisiva la circostanza secondo cui i ricorrenti non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla. I “fattorini” potevano scegliere se dare o non dare la disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora e quest’ultima poteva decidere se inserirli o meno nei turni.
Il Giudice cita la disposizione dell’art. 2 del D. Lgs. 81/2015 e la analizza valorizzando la parola “anche”, quasi a dire che il Legislatore avrebbe introdotto un requisito in più rispetto a quelli della subordinazione ex art. 2094 c.c. ed arrivando a sostenere che forse il Legislatore avrebbe voluto ampliare la subordinazione, finendo però di fatto per restringerla.
I ricorrenti proponevano appello. Con la sentenza n. 2 del 4 febbraio 2019, la Corte territoriale ha ritenuto corretta la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza di primo grado. La Corte d’Appello ha rilevato, in sintesi, come si trattasse di rapporti brevi (durati fra i 6 e gli 11 mesi) e di prestazioni orarie brevi (44 ore – 68 ore per mese). A giudizio della Corte, dirimente risultava il fatto che Foodora potesse disporre della prestazione lavorativa solo se i collaboratori decidevano di candidarsi a svolgere l’attività nelle fasce orarie (cd. slot) stabilite.
Per contro, la Corte ha ritenuto che l’art. 2 del cd. Jobs Act introduca un tertium genus e che dunque tre sarebbero i genera: (i) lavoro subordinato ex art. 2094 c.c., (ii) lavoro autonomo, ma etero-organizzato ex art. 2 del D. Lgs. 81/2015 e (iii) lavoro coordinato ex art. 409 n. 3, c.p.c..
Orbene la Corte d’Appello di Torino ha ravvisato la etero-organizzazione ex art. 2 D. Lgs. 81/2015 perché “gli appellanti lavoravano sulla base di una «turnistica» stabilita da Foodora, la committente determinava le zone di partenza, venivano comunicati gli indirizzi di consegna e i tempi di consegna erano predeterminati (in 30 minuti)”.
Secondo il Giudice d’Appello, il rapporto ex art. 2 D. Lgs. 81/2015 resta dunque “autonomo” ma è regolato come se fosse lavoro subordinato per alcune materie fra cui “sicurezza e igiene, retribuzione diretta e differita (quindi inquadramento professionale) limiti di orario e previdenza”.
b. Call Center. Con la sentenza del 6 maggio 2019 il Tribunale di Roma si è occupato del caso di alcuni lavoratori, impiegati su una commessa cd. outbound per una società di telefonia, che chiedevano il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Il Tribunale ha rilevato come: “Ai fini della distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, assume valore determinante – anche a voler accedere ad una nozione più ampia della subordinazione, con riferimento a sistemi di organizzazione del lavoro improntati alla «esteriorizzazione» di interi cicli del settore produttivo – l’accertamento dell’avvenuta assunzione, da parte del lavoratore, dell’obbligo contrattuale di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui è destinata la produzione, per il perseguimento dei fini propri dell’impresa datrice di lavoro”.
A fronte di ciò, la sentenza ha escluso la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra le parti, rilevando altresì come la norma dell’art. 2 D. Lgs. 81/2015 individua un terzo genere (co.co.org) che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c. e la collaborazione coordinata e continuativa come prevista dall’art. 409 n. 3 c.p.c., conformandosi così a quanto stabilito dalla Corte di Appello di Torino nel caso dei riders sopra citato.
Il Giudice, nel caso in esame, ha escluso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato per effetto dell’ipotesi derogatoria prevista dall’art. 2 comma 2, D. Lgs. 81/2015 poiché nello specifico settore delle collaborazioni outbound le OO.SS. hanno sottoscritto un primo accordo nazionale.
c. Rapporti libero professionali in ambito medico. Il tema della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o come subordinato ha avuto e ha un grande rilievo nell’ambito della prestazione medica. Numerosi gruppi ospedalieri italiani hanno in essere rapporti di collaborazione libero professionale con medici che prestano la propria attività presso dette strutture.
Si tratta di una scelta di gestione legittima e spesso voluta proprio dai professionisti, che possono così godere di ampia autonomia senza i particolari vincoli di soggezione ed eterodirezione propri del lavoratore dipendente.
Tanto è stato ad esempio stabilito dal Tribunale di Milano con la sentenza n. 1031 del 15 maggio 2018. Nella causa citata il libero professionista (anestesista) rivendicava la subordinazione nei confronti dell’Ospedale affermando fra l’altro che egli era tenuto (i) a rendere la prestazione secondo turni, (ii) ad orario prestabilito dalla struttura e necessariamente collegato alle esigenze organizzative e ai servizi erogati dalla stessa e (iii) con pianificazione da parte del suo responsabile.
Rilevava la sentenza come “tali elementi non costituiscono automatica riprova della subordinazione anche in ragione del fatto che in un ospedale programmazione giornaliera degli interventi, così come il calendario delle guardie, risultano indispensabili ai fini del funzionamento generale”. Continua il Giudice: “non è pensabile che un medico – anche libero professionista – a maggior ragione specializzato in anestesia e rianimazione, possa decidere in autonomia come e quando procedere agli interventi […] peraltro direttive generali e programmatiche dell’attività lavorativa non sono incompatibili con la prestazione di lavoro autonomo”.
Con sentenza n. 6020 del 13 novembre 2017 il Tribunale di Bergamo ha rigettato la domanda di accertamento della subordinazione del medico a partire, innanzitutto, dal nomen iuris scelto dalle parti (“contratto di incarico libero professionale”).
Rilevava la sentenza come eventuali vincoli alla prestazione del professionista “non rappresentano limitazioni della sua libertà, ma modalità tecniche di estrinsecazione della sua professionalità”. Vi era, nel caso di specie, una mera comunicazione dei giorni di assenza da parte del professionista al solo fine di organizzare i turni e garantire una presenza in reparto, e l’orario di lavoro non era imposto dalla struttura, ma legato agli ambulatori e allo svolgimento dell’attività professionale.
Il Giudice ha dunque rilevato: “il suo rapporto con la struttura, pur nella rigidità dell’organizzazione necessaria per garantire le prestazioni sanitarie pubbliche rispettando standard quali-quantitativi, appare caratterizzato dalla collaborazione piuttosto che dall’etero-organizzazione”.
Le pronunce sopra citate confermano un quadro di grande fermento, in attesa peraltro – con riguardo al tema dei riders – di un possibile intervento della Corte di Cassazione che potrebbe fornire ulteriori spunti interpretativi.
In ogni caso, sembra sempre più necessario che il Legislatore e le Parti Sociali individuino soluzioni in grado di rispondere ai nuovi modelli di business che si affacciano, in maniera sempre più insistente, sul mercato del lavoro. Vorranno tali soggetti accettare la sfida?