Il 29 maggio scorso è stata presentata, al Senato, una proposta di revisione della Legge n.81/2017 a cura di un gruppo di Senatori inerente il Lavoro Agile, meglio conosciuto come Smart Working.
Il terreno su cui viene coltivato il pensiero di normare la modalità di applicazione del lavoro agile è un terreno impervio sopra il quale si scontrano venti contrari. Da un lato le scienze economiche che analizzano la condotta umana come relazione tra fini determinati e mezzi scarsi applicabili a usi alternativi (L.Robbins An Essay on the Nature and Significance of Economic Science - 1932), e dall’altro le scienze giuridiche che regolano il comportamento individuale o sociale dell'uomo in funzione di un ideale di giustizia in cui diritti e obblighi vengono a bilanciarsi in relazione ai valori che caratterizzano un sistema sociale e culturale.
Oggi i mezzi scarsi sono il tempo e lo spazio. L’attuale immensa spinta alla digitalizzazione è la soluzione tecnica ed economica che l’uomo sta ponendo in campo per risolvere il problema. Così le leggi economiche in perenne cambiamento vengono osservate dal legislatore il quale si pone l’obiettivo di creare un ambiente istituzionale entro il quale dette attività si muovano senza danneggiare alcuno degli attori che vi partecipano. Tuttavia, non sempre i “freddi” venti normativi sono in grado di contrastare i “caldi” venti dell’economia che cresce; si ingenera, così, il rischio di creare turbolenze che non giovano alla crescita dei semi in germoglio del pensiero creativo dell’uomo. Basti osservare come si stia passando in modo iperveloce da un mondo del lavoro fatto di “cartellini presenza”, ossia, di tempi ben definiti (D.Lgs. 66/2003) ad un mondo del lavoro dove il lavoro viene eseguito in ragione di chiari obiettivi da raggiungere, poco importa in quanto tempo.
Il lavoro agile rappresenta molto bene questa situazione. Esso, infatti, tende a non gestire più il lavoro delle persone in termini di tempo (la prestazione può essere svolta in un arco temporale molto ampio, 13 ore nella bozza di riforma della L.81/2017) ma di risultato (e qui nessuna norma può intervenire in modo puntuale tali e tante sono le attività e tali e tanti sono i risultati che ogni singola funzione può avere come obiettivo).
Nel periodo precedente alla pandemia il lavoro agile ha dimostrato di essere apprezzato dai lavoratori e molte aziende hanno visto migliorare la produttività di quasi tutti i lavoratori interessati. Per questi motivi stava diffondendosi in modo molto importante; anche nella Pubblica Amministrazione i risultati perseguiti sono stati molto positivi.
Con la pandemia il lavoro agile non è stato adottato solo da chi ne aveva rilevato l’importanza e la fattiva utilità, ma anche dagli scettici e da chi non l’avrebbe mai adottato, soprattutto nell’ambito delle PMI.
Questa improvvisa, e da alcuni non gradita, accelerazione ha messo in luce due questioni fondamentali:
il lavoro agile necessita di una nuova cultura imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione
Il lavoro agile necessita di una forte spinta alla digitalizzazione delle imprese e del Paese
La norma del 2017, nel suo incipit non modificato nella sostanza dalla nuova proposta di riforma, evidenzia due scopi che il lavoro agile intende perseguire:
il lavoro agile mira ad ottenere un aumento della produttività riducendo i costi – organizzazione -
Il lavoro agile consente di favorire un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita privata – welfare
Solo il primo è davvero uno scopo, il vero scopo per cui può essere inserito il lavoro agile in azienda, il secondo è un beneficio derivato, è una conseguenza ma non può essere lo scopo principale.
Proviamo a pensarci: se l’obiettivo che mi prefiggo non è organizzativo come potrò valutare le prestazioni? Come potrò perseguire obiettivi di migliore produttività? Come potrò ottenere vantaggi competitivi? Come potrò ottenere vantaggi economici e finanziari?
Se invece introducendo il lavoro agile si danno obiettivi precisi, le persone mano a mano che li raggiungono saranno più motivate e sarà più facile premiarle e staranno bene, se le persone non hanno l’assurdo condizionamento di dover “tirare le sei” probabilmente avranno più tempo da dedicare anche a se stessi e staranno meglio, impareranno a concentrarsi su ciò che davvero è importante.
La barriera culturale da superare non è legata a quanto tempo si lavora ma a quali risultati la persona produce.
Al fine di introdurre con successo lo smart working in azienda si deve quindi passare dalla cultura del tempo e dello sforzo alla cultura del risultato, dalla cultura dello “stare lì per forza” alla cultura della responsabilizzazione sui risultati del proprio lavoro partecipando più attivamente all’andamento dell’azienda, condividendone obiettivi e risultati.
Questi, purtroppo, non sono elementi codificabili per legge, o meglio lo potrebbero essere se si decidesse di inserire nei piani di studi scolastici, fin dalla prima elementare, strumenti chiave quali: come aumentare il senso di autostima, come saper gestire la propria emotività, come saper comunicare bene, come organizzare al meglio il proprio tempo etc. Tutti elementi con cui nella vita adulta abbiamo a che fare e che se sviluppati consentono all’individuo di essere veramente libero, padrone di sé stesso, consapevole nelle proprie scelte e responsabile dei risultati che ottiene con il suo comportamento nelle relazioni con gli altri.
Quello che fa la norma è concentrarsi su tutt’altro: diritto alla disconnessione, tempi massimi di durata della prestazione, limite della fascia oraria giornaliera, tutti elementi che tendono a legare e spesso incatenare i principi e gli obiettivi del lavoro agile.
D’altra parte, un datore di lavoro che opera basando la sua leadership su quanto tempo si sta al proprio posto di lavoro e non su quanto è stato prodotto in quel tempo, difficilmente adotterà il lavoro agile perché sarà preoccupato di perdere il controllo sulle persone, attenzione, sto dicendo proprio sulle persone e non sul risultato del loro lavoro.
La proposta di riforma contiene elementi di “antica memoria” ponendo l’accento sui “bisogni e tempi del proprio datore di lavoro”, ebbene è proprio questo tipo di cultura che impedisce lo sviluppo dello smart working. Per questo motivo il lavoro straordinario è in assoluta antitesi con i principi della buona organizzazione, inoltre se è vero che il lavoratore è libero di organizzare i tempi della sua prestazione, come si fa a stabilire che ha lavorato del tempo in più e perché è stato necessario farlo? Significherebbe introdurre sistemi di controllo della prestazione che di fatto sono inibiti da specifiche norme e che male o per nulla si sposano con il concetto di lavoro agile nella sua vera accezione di miglioramento organizzativo.
Il lavoro agile risulta quindi indubitabilmente un ottimo metodo di lavoro destinato ad essere sempre più presente nelle aziende, negli studi professionali e nella Pubblica amministrazione perché il mondo ormai sarà prevalentemente digitale e l’esperienza vissuta durante questa pandemia ha portato la conoscenza di tale strumento ad una platea molto vasta.
Occorre però considerare dei requisiti di base per poter introdurre in azienda lo smart working, riconosciuti i quali poi si potrà determinare cosa sia codificabile in una legge e cosa no:
1. L’imprenditore, il professionista, ogni manager, ogni Ministero per quanto riguarda la funzione Pubblica deve assumersi la responsabilità dei risultati delle attività che i propri lavoratori eseguiranno nonché la responsabilità del loro benessere psicofisico (responsabilità dei vertici)
2. Occorre avere una strategia chiara di cosa si vuole ottenere nel complesso e dalle prestazioni di ogni persona, ogni mansionario non è più una mera lista di cose da fare ma un metodo per ottenere dei risultati concreti (cultura del risultato)
3. Le persone devono avere strumenti adeguati ed essere formati su come gestire al meglio il proprio tempo e la relazione tra lavoro e vita privata (digitalizzazione, formazione)
4. Le persone devono essere costantemente informate e devono stare in contatto fissando precisi e frequenti momenti di confronto (informare e condividere, ascolto, feedback continuo)
5. Chi dirige deve sapere esattamente quali sono le priorità, dare indicazioni chiare e verificare costantemente che le cose siano fatte, motivando le persone senza dare nulla per scontato, nemmeno le loro capacità, occorre semplificare al massimo qualsiasi attività e identificare con chiarezza quali sono i risultati che hanno davvero importanza (direzione e controllo)
6. Premiare sempre il raggiungimento di ogni buon risultato (riconoscimento, motivazione)
I principi qui evidenziati mostrano come sia imprescindibile la qualità della leadership che introduce e guida il lavoro agile per il buon funzionamento dello stesso. La norma e la proposta di riforma sono concentrati sul lavoratore, i suoi orari, i suoi diritti ma non si sofferma sufficientemente sugli obblighi del datore di lavoro da cui tutto dipende e sulle caratteristiche della formazione che deve adottare il datore di lavoro.
Il suggerimento quindi che, se proprio legge deve essere, può risultare più idoneo per una normativa coerente è quello di imporre alcuni obblighi molto diversi da quelli prospettati quali i seguenti:
1. gli strumenti tecnologici devono essere forniti dal datore di lavoro
2. si deve prevedere che l’accordo di lavoro agile debba contenere l’indicazione chiara dei risultati che il lavoratore deve ottenere nell’ambito della sua prestazione
3. la durata minima del corso formativo per il lavoratore non può essere inferiore a 24 ore annue;
4. anche il datore di lavoro deve essere obbligato ad almeno 24 ore di formazione permanente quale attività finalizzata all’acquisizione di competenze specialistiche, anche di natura interdisciplinare, utili al miglior esercizio della propria leadership. L’attività di formazione deve consistere nella frequenza di eventi formativi che presentino contenuti articolati e tendano all’acquisizione di conoscenze, anche specialistiche, concorrendo a migliorare le proprie competenze direzionali
5. prevedere che le disposizioni del lavoro agile siano applicabili anche ai contratti di apprendistato professionalizzante e di tirocinio extracurricolare, con obbligo di garantire la formazione mediante adeguate tecnologie digitali
6. il periodo di preavviso per il recesso potrebbe essere abbreviato a soli 15 giorni e 30 nel caso di lavoratori disabili
È fondamentale ricordare e sottolineare che il lavoro agile deve essere legato direttamente a progetti di evoluzione della struttura organizzativa e produttiva delle imprese e non solo, ed unicamente, volto al miglioramento dell’equilibrio del rapporto tra vita lavorativa e privata. Quest’ultima è sicuramente un’ottima conseguenza da tenere in dovuto conto ed avere ben chiara, ma non può essere lo scopo primario.
Proprio per questo si tiene a sottolineare che il quarto punto sopra evidenziato è la chiave principale per iniziare un percorso di cambiamento culturale finalizzato ad ottenere organizzazioni davvero efficaci, efficienti e moderne nonché una qualità di vita migliore per tutti, ma non solo, può essere un formidabile strumento per dare lavoro a persone che vivono in zone disagiate, isolate, poco sviluppate aiutando a sconfiggere la povertà nel migliore dei modi ossia dando vere opportunità di lavoro!
Il lavoro agile non è una questione di diritto è una questione culturale.
Lo smart working non è questione di diritto
- Di : Loris Beretta
- Categoria: Ordine dei commercialisti