Ed eccoci di fronte alla riforma degli ammortizzatori sociali. Il momento è favorevole, infatti, la proposta di legge, presentata il 29 settembre 2020, a cui oggi il Governo ha cominciato a dare seguito trova come interlocutore Mario Draghi. Proprio quest’ultimo nel lontano 2009, quando era al vertice di Banca d’Italia, sottolineava come il sistema degli ammortizzatori sociali risultasse inadeguato per affrontare tempi di grande crisi come quelli che caratterizzavano gli anni dal 2008 in poi – ed oggi si replica a seguito dell’arrivo del virus Covid-19 -. L’attività di riforma, forse finalmente in attuazione, deriva da osservazioni che vengono da molto lontano, già in una pubblicazione del 2010 il prof. Carinci osservava che “il Sistema Paese è ancora attardato da un regime degli ammortizzatori sociali obsoleto, frammentato, disuguale, di per sé inidoneo a far fronte alla grave drammatica ricaduta occupazionale che certo richiederà tempi lunghi per essere assorbita. Il fatto è che tale regime poggia su una molteplicità di pilastri, scoordinati ed incoerenti, figli di un processo alluvionale, si da realizzare una protezione assicurativa estremamente ed irrazionalmente diversificata per settori, dimensioni imprenditoriali, localizzazioni geografiche, tipologie contrattuali” (note simili le si possono rintracciare fin dal 1997 e prima ancora). Da notare che l’aggettivo “alluvionale”, a distanza di 12 anni, è stato di nuovo utilizzato anche nella presentazione della proposta di legge finalizzata a delegare il Governo alla stesura della proposta di riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Nell’ultimo decennio qualcosa si è fatto anche se non si è arrivati ad una conclusione. Infatti, si sa molto bene che l’argomento è già stato affrontato ben due volte: prima dalla riforma Fornero nel 2012 e poi dal Jobs Act nel 2015. Nonostante gli sforzi non si è riusciti a trovare una soluzione definitiva alla varietà delle procedure e delle gestioni. Si era così giunti ad avere un sistema apparentemente stabile anche se ancora molto diversificato. Per il settore industriale restava il classico sistema CIGO e CIGS anche se con qualche piccolo aggiustamento, un secondo sistema restava regolato dalla cassa integrazione in deroga che venne esteso a più settori restando regolato in modo che le Regioni si accollassero una parte dei costi attraverso l’utilizzo delle risorse del Fondo Sociale Europeo, unitamente alla predisposizione di interventi di politiche attive del lavoro destinate agli stessi lavoratori beneficiari dei trattamenti in deroga, ed un terzo sistema in cui la gestione delle crisi veniva delegata ai Fondi di Solidarietà Bilaterali per i quali venne prevista una partecipazione concorrente con l’Inps per la gestione delle risorse, anche qui creando una certa discriminazione lasciando che le aziende con meno di 15 dipendenti potessero optare volontariamente per l’adesione senza tuttavia esserne obbligati, infine, in caso di perdita del posto di lavoro la riforma Fornero prima (con Indennità di Mobilità, Aspi e Miniaspi) e il Jobs Act dopo (con Naspi, Asdi e Disc-coll) portarono momentaneamente al termine di quello che, nel 2007, il prof. Miscione ebbe a definire “diritto usa e getta cui ormai si è finiti per abituarsi, anche se con fatica” . Questi interventi ebbero il pregio di considerare anche il lavoro autonomo/parasubordinato come meritevole di tutela in caso di grave crisi.
Si arriva così dopo parecchi anni, e spinti da una nuova crisi, a mettere di nuovo mano al sistema degli ammortizzatori sociali. Quindi bene che oggi si decida per l’”universalismo” in modo da offrire protezione sociale a tutti indistintamente secondo i dettami costituzionali. Bene la semplificazione, anzi benissimo ma solo se sarà fatta con criterio perché la frammentazione dei sistemi di accesso alle coperture hanno fatto da collo di bottiglia e reso davvero complesso gestire, nel corso della pandemia, tanti modi differenti di gestire gli interventi integrativi; questo è andato a discapito delle imprese e dei lavoratori (per esempio quanti hanno subito ritardi inaccettabili nel ricevere il proprio assegno dalle Casse in Deroga?). Ma per fare tutto questo ci vogliono risorse che oggi nessuno possiede, né l’Inps, né le Regioni, né gli Enti bilaterali e se si pensa di aggiungere aggravi a carico delle imprese già in difficoltà forse non si è sulla strada giusta. Il punto di vista delle imprese e degli operatori verrà preso in considerazione o sarà l’ennesima riforma teorica più che pratica? I segnali di aggravio dei costi a carico delle imprese si preannunciano, si leggono già negli atti parlamentari alla proposta di legge delega del settembre 2020 al comma 3, lettera a) numero 3) dove si legge: “graduale superamento dei massimali del trattamento di disoccupazione al fine di assicurare un trattamento minimo non inferiore al 70% dell’ultima retribuzione, incrementabile in relazione all’anzianità contributiva”. Nonostante le disastrose conseguenze delle norme che nel passato prevedevano assegni pensionistici fino all’80% dell’ultima retribuzione percepita, ecco che si ritorna a ipotizzare livelli assistenziali dal costo davvero impegnativo. Se già oggi con l’applicazione dei massimali le conseguenze dei deficit finanziari per il sostentamento delle integrazioni salariali durante la crisi del Covid sono notevoli, e certamente incideranno per parecchio tempo, su quali basi è possibile pensare addirittura ad un trattamento minimo non inferiore al 70% dell’ultima retribuzione? Ipotizzando poi un ulteriore incremento in relazione all’anzianità contributiva creando una grave discriminazione nei confronti dei giovani. Quindi ancora una volta bene la semplificazione burocratica ma il nodo da sciogliere resta ancora una volta quello finanziario, soprattutto in un paese dove gli indicatori demografici indicano una popolazione sempre più anziana, con previsione di ingressi al lavoro potenzialmente inferiori rispetto alle persone che accedono alla pensione. In questo scenario come potrà essere possibile, soprattutto in caso di una nuova crisi, sostenere costi tanto elevati? Questa è la vera sfida e confido che la presenza di un uomo di finanza come Mario Draghi riesca a trovare un buon equilibrio.
E il PNRR? Dico solo che un tale progetto che non considera la formazione scolastica come prioritaria per dare al paese ragazzi davvero pronti ad entrare nel mondo del lavoro non è un progetto completo. Se si pensa di formare solo in emergenza quando le persone perdono il lavoro o sono in “cassa integrazione”, si sta pensando che la conoscenza è una questione irrilevante. Con aziende sempre più immerse nella tecnologia e alla ricerca di competenze sempre più specialistiche, in un mondo dove la competizione si basa sulla velocità d’azione, come faranno le persone a collocarsi? Davvero il supporto dei centri di formazione Pubblica sarà tanto avanti da essere in grado di gestire programmi adeguati? Confidiamo in una risposta adeguata e, soprattutto, adeguata alla costruzione di un prospero futuro per tutti e il futuro si crea con politiche di formazione continua, non emergenziali. Oggi le politiche attive per il lavoro intervengono, come ho detto, solo quando è troppo tardi, quando la persona ha già perso il lavoro o lo sta perdendo, cercando di dargli una opportunità per ricollocarsi. Questo presuppone che le persone siano programmabili come i computer, inserendo una nuova app il gioco è fatto, la persona improvvisamente diventa abile in qualcosa che prima non conosceva. E che ne facciamo delle persone a bassa scolarità che non sanno come si fa a studiare o che si sono convinte che non serva? Il tema è stato compreso anche perché spinto dalla Comunità Europea. Per questo è interessante il progetto “ricollocami” che è un programma regionale di politica attiva finalizzato alla realizzazione di azioni di accompagnamento al lavoro, di creazione di attività esperienziali di formazione pratica per l’acquisizione di qualifiche di approfondimento tecnico di specializzazione e incentivi all’occupazione per le aziende che assumono con contratto a tempo indeterminato i percettori di ammortizzatori sociali (indennità di mobilità, cassa integrazione, ecc.) Il Programma prevede che la persona interessata possa fruire di servizi di orientamento specialistico e di accompagnamento al lavoro, nonché il rilascio del Libretto formativo del cittadino. È un buon programma, un buon primo passo. Si comprende che la formazione preventiva non è un argomento facile da gestire sia per le poche risorse a disposizione sia per la complessità generale dovuta all’età delle persone, al loro grado di scolarizzazione, al grado di apprendimento, alla propensione al nuovo, alla volontà di mettersi in gioco. Tuttavia, il fatto che ci siano delle complessità da affrontare non è un buon motivo per limitare le risorse finanziarie da destinare ad un argomento tanto importante.
Di nuovo, come per gli ammortizzatori sociali in Italia si osserva la mancanza di una legislazione unitaria oggi le politiche attive del lavoro sono regolate da più norme tutte diverse e frazionate in modo disomogeneo essendo anche molto delegate alle Regioni. Questo significa complessità e scarsa flessibilità soprattutto nel momento del bisogno che stiamo vivendo. Un labirinto di istituzioni e norme a cui presto si dovrà mettere mano. Le spinte ci sono, basti leggere l’Employment Outlook 2021 che sottolinea come il rilancio del mercato del lavoro dovrebbe ripartire dalla formazione e invece dove siamo? Da non molto l’Ocse e la Commissione Europea hanno reso pubblici i risultati della prima indagine Piaac (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) che è uno studio finalizzato a misurare competenze linguistiche e matematiche della popolazione adulta in modo comparabile tra paesi. Ne risulta che siamo i peggiori in termini di competenze linguistiche e penultimi in matematica. Questi sono i dati che la nostra politica deve davvero affrontare, non solo pensare a sempre più intensivi metodi di assistenzialismo. Meno si investirà in cultura e più non resterà che l’assistenzialismo il che significa che i poveri saranno così tanti che non si riuscirà più a tenere il passo e allora come si farà? La povertà si combatte con la formazione, quella scolastica prima di tutto; i sussidi dovrebbero servire solo in casi eccezionali, non essere la regola del vivere quotidiano.
Di nuovo la sfida è semplificare e trovare le risorse finanziarie, perché senza soldi qualsiasi buona idea fatica a trovare la sua realizzazione, anche in questo la presenza di Mario Draghi è davvero importante, le risorse per il lavoro vanno trovate e calibrate sia verso politiche di sostegno in caso di crisi, ma soprattutto in prevenzione. Per questo, dal nostro punto di vista, i piani di riforma dovrebbero essere tenuti distinti, da una parte sistemare una volta per tutte gli ammortizzatori sociali va molto bene ma la formazione non può essere considerata un “eventuale di cui”.
Dovrebbe essere considerato altrettanto prioritario aprire un tavolo di riforma specifico per migliorare il sistema di formazione degli italiani, a partire dalla scuola primaria sino alla preparazione professionale, col fine di dare una vera opportunità alle persone che entrano e che sono nel mondo del lavoro. La nostra esperienza come professionisti obbligati, pienamente a ragione, ad acquisire crediti formativi per mantenere integre le competenze potrebbe essere di ispirazione per tutti. Andrebbe pensato un percorso generale di base e andrebbe affrontata la questione della preparazione di insegnanti e formatori adeguata alle esigenze del paese. Noi lanciamo la sfida e confidiamo che qualcuno la raccolga.